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Autore: Carme93    20/08/2017    0 recensioni
Phoenix, Arizona, Stati Uniti d'America, futuro prossimo.
Ogni famiglia ha un segreto, che nasconde gelosamente.
La famiglia Freeland non fa eccezione.
Gabriel Freeland, appassionato di videogiochi, comincia a porsi sempre più domande sulla lontananza della sorella maggiore, Alex. Intanto è preso dalla sua vita di adolescente. Farebbe di tutto pur di partecipare alla fiera dei videogiochi, che si svolgerà a breve nella sua città. Qualcosa andrà storto e con il suo migliore amico si ritroverà a scoprire il segreto dei suoi genitori.
Come se la caveranno Gabriel e il suo migliore amico, una volta coinvolti negli intrighi dei nobili francesi?
Troyes, Francia, 1242.
La corte di re Luigi IX si riunisce a Troyes in attesa della nascita di Gael, primo maschio di Marc de Ponthieu e madama Alexandra Freeland.
Hyperversum è tornato. Preparatevi per una nuova partita.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Henri de Grandpré, Ian Maayrkas aka Jean Marc de Ponthieu, Isabeau de Montmayeur, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Daniel/Jodie, Etienne/Donna, Geoffrey/Brianna, Ian/Isabeau
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo V
 
«Ecco i miei figli! Sembra che abbiano fatto caccia grossa!» disse palesemente soddisfatto il barone.
Thierry osservò un gruppo di soldati e cavalieri all’entrata del borgo. Gli Inglesi erano mescolati agli uomini di suo padre e quelli dei Ponthieu. Il giovane cavaliere inglese, che li aveva aiutati, scorgendoli li venne incontro. Con lui c’erano altri due giovani. Uno dei due era più piccolo, sembrava suo fratello; l’altro indossava i colori bianco e azzurro dei Ponthieu.
«Michel!» disse con voce strozzata Marianne.
«Razza di incoscienti! Avete molto da spiegarci! Avete messo in subbuglio l’intera corte!» sbottò il ragazzo. «E voi cosa ci fate ancora qui?».
Matt e Gabe gemettero nel riconoscere il cavaliere che quel pomeriggio li aveva letteralmente graziati.
«Ci hanno aiutato! Li avete presi, vero?» ribatté subito Marianne.
Michel la incenerì con lo sguardo, ma annuì. «Sì. Con i cavalieri inglesi siamo riusciti a stringerli da due lati». All’improvviso i soldati si spostarono lasciando spazio a due cavalieri dall’aspetto austero; entrambi scesero da cavallo per andar loro incontro.
Gabe rimase a bocca aperta riconoscendo il più alto dei due e vide, come in un sogno, Marianne saltare giù dal palafreno e correre da quest’ultimo e abbracciarlo.
«Che ti prende?» sussurrò Matt.
«Non mi dire che non lo riconosci!» replicò Gabe senza distogliere lo gli occhi dal cavaliere che ascoltava il discorso concitato della fanciulla. Il ragazzino che era con lei era sceso anche da cavallo e si era avvicinato all’altro cavaliere, che nel frattempo stava parlando con il barone inglese. A differenza di quanto era apparso loro in un primo momento, aveva sentito il ragazzino avvicinarsi e, appena fu abbastanza vicino, gli pose una mano sulla spalla. Sembrò incupirsi alle parole del barone e si chinò sul ragazzino per fargli qualche domanda e poi lo avvolse nel suo mantello.
«In effetti mi sembra di averlo già visto. Non ricordo dove, però. Forse su un libro di storia…» disse Matt meditabondo.
«Ma che libro e libro! Ti pare che io legga libri di storia? Quello sembra proprio mio zio Ian. Te l’ho presentato una volta. Suo padre è stato nell’esercito con mio nonno».
«L’archeologo girovago? Gli assomiglia, magari è un antenato…».
Intanto, però, Marianne doveva essere arrivata alla parte della loro piccola avventura nella quale i due americani erano entrati in scena. Con un puro gesto di incoscienza pensò con un brivido Matt. Il cavaliere li fissava con una strana espressione.
«Gabriel» chiamò ad alta voce. Sembrava irritato. Per un attimo Matt pensò che volesse procedere laddove era rimasto il cavaliere di nome Michel quel pomeriggio. L’attenzione dei presenti si focalizzò su di loro.
«Lo conoscete, padre?» chiese palesemente sorpreso proprio quest’ultimo.
Il cavaliere fece una smorfia irata e annuì. «Vi presento Gabriel Freeland, erede maschio di sir Daniel».
Gabe sgranò gli occhi e fissò il cavaliere come se fosse matto. Matt guardava ora l’amico ora il nobile. Erano tutti impazziti? Aveva chiamato il signor Freeland sir, come se fosse un cavaliere?
«A quanto pare Jean, il giovane Gabriel ha dimostrato di possedere lo stesso coraggio del padre. Dobbiamo a lui e al suo compagno se Thierry e Marianne sono riusciti a scappare da quei malfattori. Thierry l’ha appena detto a me e Geoffrey» disse l’altro cavaliere.
«Sì, Marianne mi ha appena detto la stessa cosa. Ciò non toglie che Daniel abbia qualche problema di disciplina» replicò arrabbiato Ian.
«Temo che anche noi abbiamo lo stesso problema» disse seccato l’altro gettando un’occhiataccia al ragazzino al suo fianco. Thierry abbassò la testa e non proferì parola.
«Questo è evidente» si limitò a dire Jean poi si rivolse al barone inglese, ringraziandolo per il suo tempestivo aiuto.
«Sir Jean. Ci sono anche io!». Un cavaliere inglese che non dimostrava neanche quarant’anni si avvicinò con un grande sorriso.
«Beau, è un piacere vederti» disse il cavaliere ammorbidendosi palesemente.
«Ho portato anche mio figlio maggiore. Jean» disse chiamando a sé un ragazzino dal volto abbronzato e con riccioli biondi. «Presto diventerà lo scudiero di sir Martwall».
Gabriel si era avvicinato e aveva potuto ascoltare lo scambio di battute. Vide che lo zio Ian si era commosso.
«Benvenuti a Troyes» disse semplicemente il padre di Thierry. Il gruppo si mise in cammino e attraversò le tre cinta di mura fino al torrione centrale del castello. Ian aveva preso con sé sul cavallo Gabe, che ne approfittò per fargli delle domande.
«Non ci sto capendo più nulla! Michel è tuo figlio? Tu che fai qui? Perché tutti ti obbediscono a te e all’altro cavaliere!? Perché hai chiamato sir mio padre?».
«Abbassa la voce e smettila di fare tutte queste domande» lo redarguì Ian. «Io sono Jean Marc de Ponthieu, conte cadetto. Tuo padre è uno dei miei cavalieri. L’altro cavaliere è il conte di Grandpré. È un feudatario maggiore. Portagli rispetto. Oltre che il padrone di casa, è un mio caro amico. Sì, ho tre figli: Marc, Michel e Marianne».
Il numeroso gruppo si fermò nel cortile del torrione e immediatamente fu raggiunto dai servi che presero in consegna i cavalli.
«Senti Michel è uno che minaccia invano?» chiese preoccupato.
Ian si accigliò, ma fu il giovane stesso a rispondere. A quanto pare la maggior parte dei presenti aveva sentito la domanda.
«Io non minaccio invano. In questo caso però ti devo delle scuse, la mia reazione è stata eccessiva. Inoltre devo delle scuse anche al conte di Grandpré, non avevo il diritto di minacciare nessuno non avendone l’autorità» disse Michel chinando il capo.
«Michel, sai benissimo di averne il diritto invece. Se il Signore Iddio non mi avesse benedetto con la nascita di Thierry, con il permesso di tuo padre e del conte Guillaume, saresti stato tu a prendere il mio posto. L’ho dato per scontato nel momento stesso in cui ti ho concesso la mano della mia adorata Celeste».
«Grazie, monsieur Henri» mormorò Michel e la sua voce tremò di gratitudine e commozione.
«Padre, monsieur Henri. Li avete trovati, vedo».
Un giovane muscoloso, che sembrava la fotocopia di Ian, si ergeva a testa alta sui gradini più bassi che portavano al portone del castello.
«Marc» strillò Marianne e corse dal fratello maggiore. Il giovane la strinse a sé sorridendo.
«Veramente sono stati sir Geoffrey e Michel a trovarli» disse Ian.
«Aspetta che ti veda nostra madre. È furiosa» disse Marc alla sorella con un guizzo divertito negli occhi. La fanciulla si imbronciò e si voltò verso il padre in cerca di appoggio.
«Non ci pensare nemmeno. Questa volta l’hai fatta grossa» ribatté Ian.
«Comunque signor conte» disse Marianne rivolgendosi direttamente a Henri de Grandpré con disinvoltura. «Ho trascinato io Thierry. Non avrebbe voluto disobbedirle».
«Peccato che tu non abbia di questi nobili propositi!» disse caustico Ian. Marianne non si scoraggiò di fronte alla severità del padre e lo prese per il braccio. Ian non ebbe scelta che scortare all’interno la sua piccola dama.
Il conte Henri non aveva replicato se non con un cenno alle sue parole. Thierry non aveva osato dire alcunché in sua difesa. D’altronde non gli sembrava il momento adatto, neanche suo padre gli aveva detto ancora nulla. Quando il barone gli aveva detto che era stato male si era preoccupato delle sue condizioni e l’aveva coperto con un caldo mantello. Si vergognava a essere sempre il debole della situazione. Quando entrarono nel torrione il padre si rivolse a lui. «Vai nella tua stanza e cambiati per la cena. Attendimi lì».
Thierry annuì mogio e si separò dal gruppo. Con la coda dell’occhio vide Marianne sul punto di dire qualcos’altro a suo padre, ma una voce irritata glielo impedì. «Signorina, è mai possibile che io non riesca a insegnarti come si comporta una nobile signora? Che vergogna! Ti comporti come lo scudiero più indisciplinato!».
Il ragazzino si inchinò passando accanto a madame Isabeau, che appariva particolarmente furiosa. La donna gli rivolse un’occhiata severa e poi scese in fretta le scale per continuare a rimproverare la figlia. Dopotutto non era consono che una signora gridasse. Non del loro rango, comunque. Thierry trovò i vestiti già pronti per la cena e la sorella Agnes ad attenderlo.
«Ma che ti è saltato in mente!» disse saltando giù dal suo letto, su cui si era seduta. «Mi hai fatto stare in ansia! Anche Celeste e Beatrice sono preoccupate per te. In questo momento sono entrambe con madame Alexandra».
«Perdonami» mormorò Thierry. «Ti prego, però, non infierire. Nostro padre ha detto che verrà da me tra poco e non ho dubbi che mi voglia rimproverare».
Agnes sospirò e lo abbracciò stretto. «Lo sai che ti voglio bene».
«Anche io, tantissimo».
«Sono sicura che nostro padre non sarà troppo duro con te».
Thierry non replicò, ma chiese: «Madame Alexandra come sta?».
«Bene, ha avuto un malessere passeggero a causa del lungo viaggio, che ha dovuto affrontare da Chantal-Argent» rispose Agnes, poi gli tolse il mantello. «Lascia che ti aiuti. Ho ordinato ai servi di prepararti un bagno caldo».
«Grazie, Agnes».
Il bagno e la compagnia affettuosa della sorella lo fecero sentire meglio. Il padre entrò nella stanza proprio mentre Agnes finiva di allacciargli la camicia di seta e attese che la ragazza lo aiutasse a indossare una tunica verde smeraldo con rifinimenti dorati. Una delle più preziose che possedeva. Non per nulla avrebbe cenato con il re. Era la prima volta che vedeva da vicino re Luigi ed era molto emozionato.
«Lasciaci soli, per cortesia» ordinò pacatamente il conte alla figlia. Agnes ebbe un attimo di titubanza e fissò il padre come se volesse dirgli molte cose ma non sapeva come. Henri le concesse un tiepido sorriso dimostrando di aver compreso le sue parole inespresse e le accarezzò il volto. «Non ti preoccupare. Va’ pure. Thierry ti raggiungerà a breve a tavola».
Agnes fece un timido sorriso, annuì e dopo aver fatto un lieve inchino al padre abbandonò la stanza.
«Vi chiedo perdono, padre» mormorò immediatamente Thierry, tenendo sempre la testa china. «Mi dispiace di avervi disobbedito».
«Non mi aspettavo un comportamento del genere da parte tua. All’inizio mi sono arrabbiato, poi è arrivato il re e io e Jean siamo stati convocati da lui. Neanche ti immagini quando, dopo essere stati congedati, abbiamo scoperto che non eravate rientrati. Ho temuto che vi fosse accaduto qualcosa. La paura di perderti ha superato la mia rabbia» disse Henri, che apparentemente non aveva ascoltato le scuse di Thierry. Il ragazzino per conto suo non osò interromperlo, ma era realmente spaventato. «Stai bene? O vuoi che chiami un medico?» chiese Henri de Grandpré prendendolo di sorpresa.
«Sto bene, padre» disse Thierry continuando a non sollevare gli occhi da terra.
«Questo mi tranquillizza. Sua Maestà vuole occuparsi personalmente dei delinquenti che vi hanno aggredito. Non può permettere che i suoi feudatari vengano attaccati in sua presenza. E in questo momento la corte è qui a Troyes. Vorrei ascoltare la tua versione adesso». Thierry gli raccontò ogni cosa senza omettere nulla, poi tacque in attesa. «Jean, è molto preoccupato… Comunque chiunque sia il responsabile, la pagherà».
«Non volevo deludervi» sussurrò Thierry.
«Non l’hai fatto» replicò sorpreso il conte. Dopo un attimo di esitazione lo abbracciò.
«Madamoiselle Marianne è stata di gran lunga più brava di me. Me ne vergogno».
«Madamoiselle Marianne è più grande e tu non ha iniziato il tuo addestramento per diventare cavaliere. Non voglio che tocchi le armi senza saperle maneggiare. Lo sai perfettamente. A meno che tu non te lo sia dimenticato».
«No, padre».
«Mi fa piacere, anche perché domani luciderai tutte le armi» sentenziò il conte. Il ragazzino sgranò gli occhi: l’armeria era enorme. «Un cavaliere deve imparare la disciplina e quando diventerai scudiero di Jean, mi aspetto che tu gli obbedisca sempre».
«Sì, padre» mormorò Thierry.
«Sai come abbiamo scoperto che eravate andati a cavalcare?» chiese il conte. Thierry scosse la testa. Henri sedette sull’unico scranno presente nella stanza e lo scrutò per alcuni istanti. «Padre Mathieu mi ha raggiunto proprio mentre stavamo accogliendo il re. Era spaventato, temeva che tu stessi male. Non hai mai saltato le sue lezioni».
Thierry non poté fare a meno di alzare gli occhi di scatto e fissare il padre in volto. Si era completamente dimenticato della lezione di latino con il prete. Il conte aveva un’espressione severa, ma molto più rilassata di quando era entrato nella camera del figlio.
«I-io… m-mi…».
«Ti dispiace?» gli venne in soccorso il padre. «È bene che tu inizi a imparare che non sei più un bambino e non basta un mi dispiace nella vita per rimediare ai propri errori. Bisogna affrontare sempre le conseguenze delle proprie azioni. A testa alta. È questo che mi aspetto da te» continuò severamente.
«Sì, padre» replicò con voce tremante. Gli occhi gli si riempirono di lacrime.
«Vieni qui» disse Henri in tono più morbido.
Thierry obbedì e con sollievo si ritrovò stretto nuovamente tra le braccia forti del padre. Scoppiò a piangere, incapace di trattenersi. Il conte di Grandpré si limitò ad accarezzarli delicatamente la testa e gli permise di sfogarsi sulla sua spalla.
«Ho avuto molta paura» confessò Thierry in mezzo ai singhiozzi.
«Solo gli stolti non hanno paura. La paura deve inspirare prudenza e non deve dominare un cavaliere».
Henri attese che si calmasse e poi gli diede il permesso di sedersi sullo sgabello vicino al fuoco.
«Come faccio a rimediare?» chiese con voce ancora lievemente tremolante Thierry.
Per la prima volta quella sera il volto del conte di Grandpré si aprì in un lieve sorriso. «Visto e considerato che si tratta di Jean, hai pur sempre permesso che sua figlia si mettesse in pericolo e soprattutto perché non hai dato gran prova di te a chi presto diverrà il tuo tutore, e di padre Mathieu, credo che sarà sufficiente che tu chieda loro perdono e se vorranno, avranno il diritto di punirti».
Thierry lo fissò spaventato, ma annuì. Padre Mathieu era molto buono per cui non si preoccupava troppo, invece monsieur Jean gli faceva più paura nonostante conoscesse anche lui dalla nascita.
«Non possiamo far attendere Sua Maestà» disse il conte alzandosi.
«Padre, che cosa dovrò fare durante l’udienza del re?» chiese con concitazione Thierry. Una volta fuori da lì non avrebbero più potuto parlare in privato.
«Ce ne occuperemo io e Jean. Se e solo se ti viene espressamente dato il permesso di parlare, dovrai raccontare la verità. Io mi devo avviare subito, ma tu puoi andare a chiamare padre Mathieu. Mi ha detto che non desidera cenare con noi questa sera, a causa della presenza dell’intera corte. Preferisce un pasto più frugale. Tu, però, puoi provare a invitarlo nuovamente».
«Sì, padre» disse Thierry contento di quell’opportunità.
«Non tardare» si raccomandò il conte nel momento in cui si separarono sulle scale. Thierry gli promise che sarebbe stato veloce e corse via. Si fermò all’ingresso della cappella e si ricompose. Come immaginava, padre Mathieu stava terminando le preghiera serali. Spesso prima di cena pregava accanto a lui, ma in quel caso preferì inginocchiarsi negli ultimi banchi sentendosi troppo in colpa per avvicinarsi. L’anziano sacerdote, però, l’aveva sentito. Si girò verso di lui e con un mezzo sorriso gli fece segno di raggiungerlo. In silenzio il ragazzino obbedì e si inginocchiò accanto a lui. Mormorò qualche preghiera, non potendo far a meno di pensare a quello che era accaduto nella radura. Avrebbe potuto uccidere quell’uomo. Un brivido gli percorse la schiena. Era un’idea terribile.
«Mio signore, prendiamo insieme l’eucarestia. Non vorrà far attendere Sua Maestà?».
Thierry lo fissò per un attimo e poi replicò: «Vi prego, padre, prima confessatemi». Dopo essere stato assolto si sentì molto più leggero. Terminarono le preghiere e prima di scappare disse: «Vi chiedo perdono per aver saltato la lezione di oggi pomeriggio e di avervi fatto preoccupare».
Padre Mathieu sorrise e annuì. «Non si preoccupi, mio signore. L’importante è che stiate bene. La lezione la recupereremo».
Thierry si sentì in dovere di ripetere quello che gli aveva detto il padre riguardo le conseguenze delle proprie azioni. Il sorriso del sacerdote si addolcì ulteriormente e replicò: «Nostro Signore ha perdonato ogni nostro peccato arrivando a sacrificare se stesso. Io non sono nessuno per giudicare voi. E conoscendo vostro padre, temo che sia stato sufficientemente severo».
Il ragazzino gli raccontò dell’enorme armeria che lo aspettava il giorno dopo e il prete rise bonariamente. «Siete sicuro di non voler cenare con noi?».
«Un uomo di Dio deve accontentarsi di poco e voglio evitare qualsiasi tentazione».
 
   
 
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