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Autore: Mimithe_Moonlight    20/08/2017    1 recensioni
E se le avventure di Elisabeth e delle sue sorelle si svolgessero nel presente mentre le ragazze frequentano il liceo?
E' iniziato un nuovo anno alla PRIDE HIGH SCHOOL e le giovani Bennet si preparano a fare incontri che cambieranno le loro vite.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Bingley, Elizabeth Bennet, Fitzwilliam Darcy, Jane Bennet, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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P&P High School
Capitolo 7

La Verità


Il sole splendeva riscaldando l’aria mite che sapeva ormai di primavera, il vento soffiava leggero facendo frusciare le foglie degli alberi in una sottile musica. Elizabeth, con gli occhi chiusi e un bicchiere di carta colmo di caffè in mano, se ne stava seduta  su una panchina sotto un vecchio salice piangente. Poco distante Charles e Jane lanciavano briciole di biscotti a uno stormo di rumorosissime anatre che starnazzanti si agitavano nell’acqua del fiumiciattolo artificiale che scorreva per tutto il parco, sormontato ogni tanto da un ponte in pietra. Charlotte e il suo amato William Collins li avevano lasciati poco prima per andare in centro città a fare shopping mentre loro avevano preferito rimanere lì nella pace di quel piccolo angolo di verde all’interno della metropoli. Jane si voltò verso la sorella sorridendo nel vederla rilassarsi sotto quell’albero.
-Dovresti smetterla di preoccuparti così tanto per lei, è più forte di quello che pensi- le sussurrò Charles in un orecchio facendola rabbrividire. Si voltò verso di lui e i suoi occhi si persero in quelli chiari del ragazzo.
-Lo so, ma non posso farne a meno. Rimarrà per sempre la mia piccola sorellina, anche quando avremo novant’anni e le rughe. Continuerò a vedere in lei quella piccola bambina che passava ore e ore a scrivere su un quadernino le sue storie- gli rispose gettando una manciata di briciole nel fiume alle anatre che si litigavano per riuscire a raggiungere il cibo. Sentì le sue braccia cingerle delicatamente i fianchi e si abbandonò ala stretta del ragazzo appoggiandosi contro il suo petto.
-Ho visto il coraggio che nasconde Elizabeth Bennet e ti assicuro che non c’è proprio nulla di cui preoccuparsi, soprattutto se continua a versare caffè in testa alle persone- commentò ridendo Charles mentre poggiava il mento sulla spalla di Jane.
-E poi ora c’è William a tenerla d’occhio, e fidati di me se ti dico che niente potrà farle del male con quel ragazzo come guardia del corpo- Jane annuì piano e rise ripensando alla faccia di George quella mattina, era talmente ridicolo con i rivoli di caffè che gli scorrevano lungo il viso mentre se ne stava a bocca aperta come un pesce a guardare Elizabeth che lo metteva in ridicolo davanti a tutta la scuola. Si voltò verso Charles che la guardava confuso da quell’improvvisa risata e si sollevò sulle punte per fare qualcosa che non aveva ancora avuto il coraggio di fare. Le sue labbra sfiorarono quelle del ragazzo, esitanti temendo un rifiuto, ma dopo un attimo di stupore Charles si sporse in avanti approfondendo quel primo bacio e attirandola a sé. Le mani di Jane che stringevano il bordo della giacca aggrappandosi come se avesse paura di cadere. Quando si separarono a entrambi mancava l’aria mentre sorridevano con le fronti poggiate l’una contro l’altra. Sentirono fischiare e applaudire e quando si voltarono videro William e Lizzy che ridendo battevano le mani. Jane scosse il capo con le guance ancora rosse per l’imbarazzo.
-Abbiamo degli amici davvero invadenti, lo sai vero?- sussurrò Charles con la mano ancora poggiata sulla schiena di Jane.
-Purtroppo sono l’unico tipo di amici che abbiamo- commentò intrecciando le dita con le sue e avvicinandosi ai due guardoni.
-Lo sapete che siamo in un parco pubblico, vero?- rise Elizabeth quando li raggiunsero.
-Ma tu non stavi dormendo pacificamente senza disturbare nessuno?- 
-Corretto, “Stavo”, perché al genio qui di fianco è venuta la geniale idea di svegliarmi!-
-Dai, non fare la noiosa tanto non saresti riuscita a dormire ancora per molto lo stesso. Dobbiamo tornare in hotel- rispose William stringendosi nelle spalle.
-Dobbiamo proprio?- mugugnò Elizabeth nascondendo il viso sotto le braccia.
-E’ quasi ora di cena e stanotte c’è la festa prima di tornare a casa e alle nostre noiosissime vite- 
-Voi andate pure avanti io vi raggiungo fra un po’, diciamo “mai”- rispose Lizzy raggomitolandosi sulla panchina con la tazza di caffè vuota appoggiata di fianco. Jane rise appoggiandosi contro Charles mentre William sollevava gli occhi al cielo.
-Dai alzati e andiamo, non voglio incorrere nell’ira della professoressa di matematica, quella belva è assetata di sangue-commentò il ragazzo scuotendola mentre lei borbottando parole incomprensibili si aggrappava alla panchina.
-Non posso lasciare da sola questa panchina, è l’amore della mia vita e ci sposeremo- 
-Sicuri che non sia ubriaca?-domandò Charles inclinando il viso.
-Se hai messo qualcosa nel suo caffè, William giuro…- iniziò Jane con gli occhi già fiammeggianti.
-Calmati mamma chioccia io non ho fatto niente! Non so perché si comporti così!-
-Ehi io sarei ancora qui, nel caso non lo sapeste e voleste continuare a parlare di me come se non ci fossi. E comunque io non ci torno in hotel e non ho intenzione di andare a quella festa per rivedere George che fa gli occhi dolci a ogni gallina che incontra- borbottò Lizzy alzando una mano.
-E va bene, l’hai voluto tu…- William si avvicinò a lei e dopo averla osservata un attimo la sollevò di peso caricandosela su una spalla mentre lei si divincolava battendogli i pugni sulla schiena e urlando indispettita. 
-Shh, prima che pensino che sto cercando di rapirti e mi arrestino-esclamò il ragazzo mentre si dirigeva con gli altri verso l’uscita del parco sotto gli sguardi attoniti delle persone che passeggiavano lungo il sentiero. 
-E tu mettimi giù allora!- 
-Ne sei sicura? Io mi stavo abituando alla vista- commentò William ridendo mentre le dava una leggera pacca sul sedere prima di farla tornare con i piedi per terra.
-IDIOTA!- esclamò la ragazza dandogli un pugno sulla spalla mentre lui continuava a ridere di gusto sotto gli sguardi divertiti di Jane e Charles. 
-Almeno ti sei alzata no?- commentò Jane passando il braccio intorno alle spalle della sorella. 
-Ma tu da che parte stai scusa?- mormorò lei con gli occhi spalancati.
-Possiamo andare signorine? Dobbiamo prepararci per una festa!- Elizabeth sospirò sollevando gli occhi al cielo lasciando che la sorella la trascinasse fuori dal parco e verso il loro hotel.

-Maledetta te, Jane, lo sapevo che non dovevo darti retta quando mi hai fatto comprare questo stupido vestito! Sembro una deficiente!- esclamò Elizabeth sporgendo la testa da dietro la porta del bagno. Jane sollevò gli occhi al cielo mentre finiva di mettere l’ultima forcina a sostegno del suo chignon. 
-Dai, non fare la melodrammatica e fatti vedere!- Lizzy sbuffò e aprì la porta del bagno prima di uscire strascicando i piedi. Jane la guardò con la bocca spalancata, era perfetta. Il vestito nero che le aveva fatto comprare metteva in risalto il suo corpo longilineo e si apriva in un’ampia gonna che le arrivava a metà coscia. Il corpetto attillato le lasciava scoperte le spalle e sulla schiena vi era una spaccatura ricoperta da un sottile strato di pizzo. Il tatuaggio svettava scuro sulla pelle pallida della ragazza che si stringeva le braccia al petto leggermente a disagio. 
-Sei uno schianto-
-Mi sento nuda…Posso almeno mettere le scarpe da ginnastica? Mi ucciderò i piedi se metto qelle trappole che mi vuoi prestare!- 
-Sono solo un paio di scarpe col tacco non il demonio!-
-Ti prego!-
-Senti se proprio non vuoi mettere le mie scarpe mettiti gli stivali col tacco che ti ho regalato per Natale!- Elizabeth sbuffò afferrando gli stivali neri e lasciandosi cadere sul letto per indossarli. 
-Non capisco perché la fai sempre così difficile quando si tratta di andare ad una festa! Non è che c’è qualcuno su cui vuoi fare colpo?- commentò Jane poggiandosi la mano sul fianco e facendo arrossire Lizzy.
-E tu cosa mi dici, invece? Tu e il principe azzurro siete una coppia ora?-
 -Io, non lo so. Quella cosa al parco è stato un impulso del momento…-
-O MIO DIO!! JANE BENNET TU LO AMI!!-urlò Elizabeth spalancando gli occhi e lanciandosi in avanti per abbracciare la sorella.
-Sono così felice per te!!!- 
-Quanto vorrei che ci fosse qualcuno così anche per te…-sussurrò Jane stringendo la sorella.
-Magari William Collins ha un cugino-commentò lei con un sorrisetto divertito mentre la stanza si riempiva del suono cristallino delle risate delle due ragazze e fuori scendeva la notte.

William Darcy stava finendo di allacciarsi i bottoni della camicia quando qualcuno bussò alla porta. 
-Vado io!- urlò a Charles che a ancora in bagno nel tentativo di tenere a bada i suoi capelli e l’ansia che provava all’idea di rivedere Jane. Aprì la porta e si trovò stupito a fissare il volto tumefatto di George con al suo fianco Caroline. Sorrise sotto i baffi vedendo il segno ancora violaceo del  livido intorno agli occhi e il labbro spaccato.
-Charles vieni a vedere! C’è la coppia dell’anno alla porta!- esclamò appoggiandosi contro lo stipite mentre si allacciava i polsini della camicia. Charles alle sue spalle aprì la porta del bagno e sbirciò fuori. Il suo sguardo incuriosito si fece freddo quando incontrò quello della sorella.
-Caroline cosa ci fai con lui?- domandò gelido avvicinandosi ai due. 
-Ci vado ad una festa, Charles, alcuni hanno ancora buon gusto e non escono con i membri della servitù- Lui strinse i denti gli occhi ridotti a due fessure.
-Giuro su Dio, Caroline, se non fossi mia sorella…- William posò una mano sulla spalla dell’amico facendolo indietreggiare. 
-Non per essere sgarbato, ma si può sapere che cosa diavolo volete?-
-Sempre dritto al punto, non è vero William?- intervenne George sorridendo con una tale sfrontatezza da far ribollire il sangue al moro che faticava a trattenersi dal colpirlo ancora. 
-Volevo parlare con te di Lizzy-
-Non chiamarla così, non osare…- sibilò William stringendo i pugni.
-Stai lontano da lei, lo dico per te, amico. Quella è una mela marcia completamente fuori di testa. E poi non hai visto le cicatrici che ha addosso. Alcuni dicono che spacciasse droga. Sono davvero sollevato di non stare più con lei…-
-Vattene. Ora- 
-Ehi, Cercavo solo di aiutarti amico!-esclamò George sollevando le mani.
-Tu non puoi parlare male di Elizabeth. Non ci devi provare e comunque, io e te non siamo amici quindi fai un favore a tutti e due e vattene da qui-
George fece per replicare ma scosse il capo e senza dir niente si allontanò con il braccio intorno alle spalle di Caroline.
-Che cosa voleva dire?- domandò Charles non appena William lo guardò dopo essersi appoggiato con la schiena sulla porta appena chiusa.
-Non ne ho idea…-sospirò l’altro passandosi stancamente una mano sul viso.
-Vuoi che chieda a Jane?- William scosse il capo.
-Goditi la festa. Parlerò io con Elizabeth, anche se farlo potrebbe voler dire cancellare quell’unica briciola di fiducia che ora nutre in me. Non posso farne a meno però, ho bisogno di risposte- 


La musica esplodeva dalle casse stordendo Lizzy e rimbombandole nella cassa toracica, sorseggiando il suo bicchiere di punch analcolico osservava le coppie che si scatenavano in pista cercando di rimanere stabile sui suoi stivali col tacco. Jane e Charles erano chissà dove, spersi fra la folla ma Lizzy era sicura che si stessero divertendo anche senza vederli. Avrebbe voluto lasciarsi andare ma ogni volta che ci provava scorgeva il volto di George intento a sorridere a Caroline mentre ballavano proprio al centro della pista. Sentiva il sangue ribollirle nelle vene per la rabbia al pensiero del potere che stava dando al ragazzo. Il potere di farla sentire così incredibilmente stupida e insignificante. Sospirò desiderando per l’ennesima volta che quel bicchiere fosse pieno di alcool che potesse annebbiarle il cervello troppo disorientato dalla musica e dai mille pensieri che la affliggevano. 
-Elizabeth- la ragazza si voltò di scatto verso la voce che l’aveva chiamata. William era lì in piedi davanti a lei, elegantissimo nel suo abito da sera ma con gli occhi preoccupati e il corpo teso.
-William, che succede?-domandò confusa inclinando il viso. Il ragazzo sentì la sicurezza mancargli mentre guardava Lizzy e si trattenne dall’accarezzarle la guancia per spostare quel ciuffo ribelle che le ricadeva sullo zigomo.
-Io ti devo parlare di una cosa- lei lo guardò stupita aggrottando le sopracciglia.
-Cosa?-
-Non qui, vieni con me- rispose lui afferrandola delicatamente per il polso e tirandosela dietro scivolando nella folla dei ragazzi che si agitavano a ritmo di musica. Si fermò solo quando l’ebbe trascinata all’esterno, sotto lo sfarfallio di un vecchio lampione che illuminava la strada deserta
-Will si può sapere che ti prende?!- esclamò Elizabeth divincolandosi dalla sua stretta. Lui nervoso sospirò guardando in alto verso le stelle e la luna quella sera ridotta ad una piccola falce luminosa. 
-George è venuto a parlare con me e Charles- disse infine senza guardarla. Lizzy spalancò gli occhi e si passò una mano fra i capelli sciolti che le ricadevano morbidamente sulle spalle magre. 
-Che cosa voleva?- si sforzò di domandare con la voce affievolita dall’ansia.
-Parlare di te, del tuo passato-
-Cosa ti ha detto?-
-Niente di importante-
-WILLIAM DIMMI COSA DIAVOLO TI HA DETTO QUELLO STRONZO!-urlò Elzabeth tappandosi poi la bocca con la mano. -Ti prego- mormorò con occhi imploranti- Il ragazzo si voltò verso di lei esitando. 
-Ha detto che tu non sei come vuoi farci credere. Che sei una mela marcia, una bugiarda e che in passato hai fatto cose, diciamo poco legali- 
-Dio mio-mormorò lei alzando il viso verso il cielo, gli occhi lucidi di lacrime. 
-E tu gli credi?- gli domandò lei. 
-Non lo so- 
-Cosa vuoi dire?-
-Che non ti conosco, per Dio! Non mi hai mai detto nulla sul tuo passato! So solo quello che mi ha detto Jane…- Elizabeth aggrottò le sopracciglia.
-Cosa ti ha detto mia sorella?- William la guardò mordendosi la lingua e maledicendosi per non essere stato zitto.
-Quel giorno quando siete venute a casa di Charles, mentre passeggiavi con Caroline, io le ho chiesto il motivo per cui mi odiavi così tanto e lei mi ha raccontato del motivo per cui avete lasciato la città. Non arrabbiarti con lei ti prego, siamo stati insistenti e lei voleva solo aiutare…-
-Lo so, non mi arrabbierò con lei, tranquillo. Conosco abbastanza Jane da sapere che non c’è nulla che non farebbe per aiutare il prossimo, è semplicemente nella sua natura cercare di aggiustare ciò che sembra rotto. Ci ha provato anche con me ma non c’è niente che possa mettere a posto, ci sono troppe cose che non vanno bene in me, troppo che avrebbe bisogno di essere riparato- 
-Elizabeth…- mormorò lui avvicinandosi. Lei sollevò il volto rigato di lacrime silenziose e scintillanti come le stelle che brillavano sopra di loro.
-No, William, George ha ragione. Forse è per questo che sembravamo una bella coppia entrambi eravamo marci dentro- 
-Smettila, tu non hai niente in comune con quello-
-William…-sospirò lei. -Se la pensi così forse è ora che tu senta tutta la storia-
Si sedette per terra, sul bordo del marciapiede, stringendosi le ginocchia contro il petto e William si accomodò al suo fianco.
-Io conoscevo i ragazzi che ci aggredirono. Jane non lo sa, nessuno l’ha mai saputo. Erano miei amici o almeno lo credevo. Insieme ci divertivamo e io a quei tempi ero convinta di essere indistruttibile, per questo mi piaceva stare con loro, non si lasciavano fermare da nulla e “pericoloso” per loro era sinonimo di “divertente”. Diventammo presto un gruppo unito e ammetto che avevamo modi per divertirci non del tutto legali ma i miei non lo sapevano e con loro riuscivo a mantenere il mio solito atteggiamento. Ero molto più aperta prima, a volte persino gentile e amorevole, ma soprattutto ero un’ingenua. Mi innamorai di uno dei ragazzi del gruppo e lui sembrava ricambiare. Ma tutto divenne diverso quando fummo una coppia. Era geloso e possessivo, e voleva sempre di più. Una sera eravamo soli e lui cercò di convincermi a fare…l’amore con lui. Io mi rifiutai. Lui si infuriò tanto da tirarmi uno schiaffo e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Me ne andai e troncai i rapporti con loro con quelli che frequentavamo. Misi la testa a posto ma una volta che finivi nel loro gruppo non era così facile uscirne. Non sapevo che quel ragazzo fosse il figlio del tizio che voleva comprare la libreria di mio padre, ero sempre strafatta e ricordavo a malapena quello che dicevamo a cena anche se cercavo di sembrare normale. Quella sera mentre tornavamo a casa non ci accorgemmo di essere seguiti, ma la sua voce mentre ci spingevano in quel vicolo la riconobbi subito. Impotente lo vidi pugnalare mio padre mentre gli altri mi tenevano ferma, una mano a tapparmi la bocca io non…- Lizzy esitò le mani che tremavano mentre se le stringeva in grembo cercando di tenerle ferme.
-Elizabeth puoi smetterla non c’è bisogno che…- provò a fermala William ma lei scosse il capo.
-Va bene così, devi sapere- prese un respiro profondo e continuò.
-Quando mio padre perse conoscenza loro si concentrarono su di me. Mi spinsero contro il muro e mentre mi tenevano ferma lui si avvicinò con il coltello ancora sporco di sangue in mano. Me lo faceva scivolare sulla pelle ferendomi e tagliandomi i vestiti. Sentivo le sue mani ovunque e non riuscivo a muovermi. Quando mi baciò io lo morsi e gli sputai in faccia e lui infuriato  ferì con il coltello alla pancia, ricordo il sapore del suo sangue in bocca e l’odore del mio che mi pizzicava le narici. Poi decise che voleva divertirsi e prendendomi per il collo mi costrinse a mettermi di schiena. Le lacrime mi correvano lungo il viso salate mentre singhiozzando cercavo di ribellarmi. Il coltello mi tagliò di nuovo, questa volta sulla spalla. Sentii il rumore della cintura mentre si slacciava i pantaloni e se non fosse arrivato quel poliziotto probabilmente sarebbe finita ancora peggio. Non parlai per settimane dopo che mi portarono in ospedale. Dissero che avevo un crollo psicologico. Sindrome da stress post-traumatico e quant’altro. Mi sedavano e mi imbottivano di pillole e a me piaceva. Volevo solo dormire e non svegliarmi più. Smisi di mangiare mentre il senso di colpa mi divorava. Era colpa mia se mio padre aveva rischiato di morire. Solo colpa mia. La notte gli incubi mi rendevano impossibile chiudere gli occhi senza risentire quelle mani sul mio corpo. Poi una notte Jane si sdraiò sul mio letto e iniziò a parlarmi pensando che io dormissi. Mi chiese di lottare, di rimettermi in piedi perché lei non sarebbe sopravvissuta se io  mi fossi lasciata morire così. Fu quella notte che capii che non potevo farlo, non potevo lasciarla e così decisi di provarci almeno. Ci misi mesi a riuscire ad uscire di casa. La psicologa veniva a casa nostra e mi faceva parlare per ore, mi diceva che potevo piangere, urlare, fare quello che mi faceva stare meglio. Così scrissi. Scrissi per ore tutto quello che mi era successo e poi non scrissi mai più. Feci il tatuaggio la prima volta che uscì di casa dopo l’attacco, non riuscivo a guardarmi allo specchio e vedere tutte quelle cicatrici. Lo chiesi ai miei genitori e loro accettarono. Jane venne con me e per la prima volta la vidi sorridere. Ma vedevo la preoccupazione nel suo sguardo. Quell’ombra di paura che io mi lasciassi andare di nuovo e questa volta non riuscissi più a mettermi in piedi. Avevo toccato il fondo e lei con me. Mi guarda ancora così, ogni volta che mi sveglio urlando per gli incubi, ogni volta che mi perdo nei miei pensieri e divento distante, ogni volta che vedo un coltello o qualcuno mi prende per un polso. Odio sapere che ha paura per me ma non posso aiutarla perché so benissimo che non sono ancora guarita, sono passati tre anni e ancora ho paura, ancora non riesco ad andare oltre. Quindi George ha ragione, c’è qualcosa che non va in me e davvero vorrei poterlo aggiustare ma non so come fare perché ogni volta mi sento impotente e debole come quella notte. Solo un’inutile ragazzina- William la guardò e con delicatezza le sollevò il viso, sorridendole dolcemente le accarezzò la guancia.
-Tu non sei un’inutile ragazzina e sei la donna più forte e coraggiosa che abbia mai incontrato- La tirò verso di se stringendola tra le sue braccia. Lizzy piangeva piano nascondendo il volto nell’incavo della sua spalla. 
-Nessuno ti farà mai più del male, te lo prometto- le sussurrò all’orecchio. 
-Vuoi tornare dentro?- le chiese quando si separarono.
-Dobbiamo proprio?- replicò lei sorridendo. Lui rise alzandosi in piedi e spolverandosi i pantaloni pulendoli dallo sporco del marciapiede prima di allungare una mano verso Elizabeth per aiutarla ad alzarsi. Lei esitò un secondo prima di afferrarla e farsi aiutare.
-E ora dove vuole scappare signorina Bennet?-
-Ovunque, signor Darcy, ovunque- 
E mentre camminava al suo fianco lungo la strada deserta stringendosi nella giacca di lui che le aveva posato sulle spalle, Elizabeth Bennet si sentì per la prima volta protetta e non temette le ombre che si annidavano negli angoli della strada. Erano anni che non provava quella sensazione di sicurezza. Sollevò gli occhi verso il ragazzo che sorrideva guardando davanti a se, le spalle rilassate e le mani infilate nelle tasche dei pantaloni , e si chiese cosa ci fosse di così speciale in lui, per quale motivo riuscisse a farla sentire così quando nessuno ce l’aveva più fatta, nemmeno Jane e nel suo piccolo nemmeno George. Sentendo i suoi occhi su di sé William si voltò a guardarla, gli occhi blu non più come il mare in tempesta che si incastrarono come zaffiri in quelli scuri di Elizabeth.
-Liz, se non la smetti di fissarmi ti porto di nuovo in braccio fino alla festa- 
-Ehi, scusa è solo che…Come ci riesci?-
-Come ci riesco a fare cosa?-
-Ad essere così tremendamente e insopportabilmente perfetto- Lui la guardò stupito sollevando le sopracciglia.
-Ehm, non riesco a capire, mi hai appena fatto un complimento?-
-Non ti ci abituare!- rise lei spintonandolo con la spalla. 
-Elizabeth?-
-Mh?-
-Mi chiedo la stessa cosa ogni volta che ti guardo-



ANGOLO DELL’AUTRICE
Eccomi qui in terribile ritardo ma perdonatemi fra pellegrinaggi a Santiago, impegni scoutistici e wi-fi che non funziona è stato un inferno scrivere questo capitolo soprattutto perché l’ho scritto due volte dal momento che la prima stesura non mi piaceva molto. Ma ecco qui il capitolo, che ne pensate? Fatemi sapere.
Al prossimo capitolo.

Mimithe Moonlight

   
 
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