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Autore: LysandraBlack    20/08/2017    5 recensioni
Aenor Mahariel, fiera Cacciatrice tra i Dalish.
Geralt Amell, ambizioso mago intrappolato nella Torre del Circolo.
Kallian Tabris, sogna una vita tranquilla nell'Enclave di Denerim.
Elissa Cousland, ansiosa di mettersi alla prova.
Natia Brosca, che non conosce altro che i bassifondi di Orzammar.
Duran Aeducan, comandante dell'esercito e Principe della città dei nani.
Sei eroi, provenienti da ambienti radicalmente diversi, si ritroveranno loro malgrado a fermare il Flagello che si abbatte sul Ferelden. Ce la faranno?
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Alistair Therin, Custode, Leliana, Morrigan, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con
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- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
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CAPITOLO SEI: ORZAMMAR II

 





Duran Aeducan si lasciò cadere sullo scranno, chiudendo gli occhi. Che giornata terribile.

Non soltanto quella senzacasta aveva dovuto scegliere proprio quel giorno per disonorare le Prove e tirarsi contro le ire dell'intera città, ma era pure arrivata a scontrarsi in finale con lui. E gli aveva persino dato del filo da torcere, doveva ammettere. Il Maestro delle Prove era furioso, l'intera casta dei guerrieri era in tumulto, i nobili chiedevano maggiori punizioni per i senzacasta e l'Assemblea aveva fatto partire un'indagine sull'intero andamento e organizzazione delle Prove.

Nel giro di qualche ora, Orzammar era entrata nel caos, quando l'indomani avrebbero dovuto organizzare una delle più importanti spedizioni degli ultimi anni nelle Vie Profonde.

Il principe si massaggiò le tempie, tentando di farsi passare il mal di testa senza grandi risultati.

Il banchetto organizzato in suo onore si era trasformato in un vociare concitato di nobili, tutti pronti a suggerire questa o quell'altra soluzione al problema dei marchiati, delle scommesse sulle Prove, dell'organizzazione delle caste e, probabilmente, su ogni altra questione esistente.

Lord Dace lo guardava in cagnesco dall'altra parte della sala: aveva cercato di convincerlo a riabilitare i nani di superficie, ma quando il principe gli aveva fatto notare che nessuna delle casate nobiliari aveva intenzione di saldare debiti non propri in nome di qualche nano dalla testa tra le nuvole, Ronus Dace aveva ammesso il proprio complotto, rifugiandosi nella sua birra al miele e lanciandogli di tanto in tanto sguardi risentiti.

Lady Helmi, d'altra parte, aveva uno sguardo tronfio mentre teneva un discorso tra un altro gruppetto di nobili. Duran non riusciva a sentire le parole, ma era certo che la donna stesse tramando qualcos'altro per arricchirsi a spese altrui: tra i molti pettegolezzi, girava voce che sfruttasse gli orfani senzacasta per farli lavorare senza doverli pagare.

Lord Harrowmont gli si avvicinò sorridente. «Lord Aeducan, vostro padre è molto fiero di voi.» Gli disse. «Mi dispiace per quanto successo alle Prove, un affare oltraggioso, a mio dire.»

Come se avesse bisogno di sentirselo dire. Annuì, bofonchiando una risposta.

Il mal di testa continuava a martellargli nelle orecchie, voleva solo andarsene a letto.

«Ovviamente prenderemo provvedimenti, e daremo a quella marchiata una punizione esemplare!» Continuò imperterrito l'anziano nano. «Non possiamo andarci leggeri, altrimenti daremo l'impressione di tollerare certe cose. E altri seguiranno il suo esempio, se non facciamo qualcosa per impedirlo, possiamo starne certi, non ci si può fidare di quella feccia.»

Duran annuì distrattamente, facendo scivolare lo sguardo per la sala, fino allo scranno del padre, impegnato in una conversazione animata con due rappresentanti della città nanica di Kal-Sharok.

«E ovviamente aspetteremo il vostro ritorno per l'esecuzione, in quanto siete stato personalmente offeso durante le Prove in Vostro onore, persino colpito durante il combattimento!»

Il principe rivolse nuovamente la sua attenzione al nano di fronte a lui. «Potrei stare via a lungo.»

L'altro scosse la testa. «Non importa, la terremo in cella. Sarebbe oltraggioso che voi non foste presente.» Insistette.

«Molto bene, allora.» Sospirò Duran. Come se giustiziare una senzacasta imprigionata per giorni potesse servire a ripristinare il suo onore. Per non parlare dell'onore dei guerrieri che erano stati sconfitti dalla marchiata in questione. Le Sorelle del Silenzio avevano già mandato lettere irate all'Assemblea, chiedendo un risarcimento per la loro novizia assassinata.

Quando venne chiamato dal padre, sospirò di sollievo.

«Comandante.» Lo salutò Re Endrin. «Trova tuo fratello Trian e mandamelo. Voglio parlargli.»

Duran si inchinò leggermente. «Certamente, padre. A domani.»

Uscì in fretta dalla sala, ansioso di liberarsi di tutti quei nobili. Gorim lo seguì a ruota.

«Che giornataccia, eh?» Commentò l'amico.

«Non penso potesse andare peggio.» Rispose il principe.

«Non dite così. Ancora non avete parlato con vostro fratello Trian!» Scherzò il guerriero. Duran scosse la testa, sconsolato. Aveva tristemente ragione.

Trovarono Trian nelle sue stanze, assieme al più giovane dei principi, Bhelen.

«Sei un Comandante, dunque.» Lo salutò il fratello maggiore. «Ti hanno dato il titolo prima o dopo esserti battuto contro un senzacasta, per di più donna?»

Duran decise di ignorarlo, come faceva nella maggior parte dei casi. Il fratello sapeva essere insopportabile, ma era sempre sangue del suo sangue, e soprattutto l'erede al trono.

«Nostro padre vuole parlarti, Trian.» Rispose semplicemente in tono piatto.

«Ovviamente. Dobbiamo discutere della strategia per la spedizione di domani.» Si vantò l'altro, guardandolo con superiorità. «Bhelen, goditi la boria del nuovo Comandante, se vuoi, ma vai a letto presto.» Ordinò al fratello minore, per poi andarsene tronfio dalla stanza.

Gli altri tre rimasero un attimo in silenzio, aspettando che se ne andasse.

«Non so davvero come fai, con lui.» Commentò Bhelen.

Duran sospirò. «Sorrido, annuisco e faccio il mio dovere.» Ammise. «Nel migliore dei casi, mi lascia perdere e torna alla sua amata politica.»

Bhelen scosse la testa. «Un tempo ti avrei dato ragione, ma sto iniziando a pensarla diversamente, su di lui.» Abbassò la voce, fino a farla diventare quasi un sussurro. «Non avrei mai pensato che il suo tanto declamato onore gli avrebbe permesso di agire seguendo la sua gelosia...»

«Fratello, di cosa stai parlando?» Chiese Duran senza capire.

«Fratello, Trian sta cercando di ucciderti.» Rispose Bhelen con voce greve.

Duran rimase a guardarlo, attonito. «Cosa?»

«Ho sentito che ne parlava con alcuni dei suoi uomini.» Continuò il fratello minore. «All'inizio ero sconvolto, come te, ma poi ha iniziato ad avere senso. Trian ha deciso che sei d'intralcio per ottenere il trono, e forse ha ragione. Sa che hai successo tra il popolo e sei benvisto dall'Assemblea. Sarebbe insolito per l'Assemblea andare contro il volere del re, ma non sarebbe la prima volta.»

«Ma non mi è mai interessato essere re, lo sai.» Ribattè Duran. «Sono un guerriero, nient'altro.»

«Guarda solo quello che hai fatto oggi.» Lo interruppe Bhelen. «Hai partecipato alle Prove in tuo onore, per ottenere la gloria e per dare spettacolo al popolo. Se otterrai successo nella spedizione di domani, non farai altro che migliorare la tua posizione come erede al trono. Trian ha paura che nostro padre lo rimpiazzi appena torneremo. E se non lo fa, l'Assemblea nominerà te Re appena nostro padre morirà. Sai che il suo orgoglio non gli permetterà di farsi semplicemente da parte.»

Duran si rifiutò di ascoltare altro. «Non ho intenzione di discuterne, Bhelen. Trian è nostro fratello, e voglio credere di potermi fidare almeno della famiglia. Non mi è mai interessato nulla del trono, e anche se l'Assemblea dovesse nominarmi, mi tirerei indietro. Deve rendersene conto, sarà anche tronfio e orgoglioso ma non è uno sciocco.»

«A me sembra che questo dimostri che non ci si può fidare nemmeno dei fratelli.» Osservò l'altro.

«Non mi muoverò contro di lui. E impedisco a chiunque di farlo.» Chiuse la questione Duran, alzando una mano per zittire ulteriori argomentazioni.

 

Giorni dopo, inginocchiato accanto al cadavere senza vita del fratello, quelle parole continuavano a tormentarlo. “Nostro fratello”, come aveva potuto? Chi poteva essere così astuto da organizzare tutto così alla perfezione, incastrandolo per un omicidio che non aveva commesso e mai avrebbe pensato di farlo?

Alzò lo sguardo, incrociando quello del padre, supplicandolo di credergli.

«Figlio mio. Dimmi che non è come sembra.» Disse Re Endrin, la voce che tremava.

Duran deglutì a vuoto, gli occhi sbarrati, sconvolto che il padre potesse anche solo pensarlo colpevole di un simile atto. «Padre, non sono stato io.» Riuscì a dire, la voce strozzata.

«Ha ucciso Trian! Proprio come Trian aveva detto che avrebbe fatto!» Si intromise Bhelen, facendosi avanti.

Duran si volse verso il fratello, senza capire. «Bhelen?» Sussurrò.

«Il mio signore è innocente!» Ribattè Gorim, fronteggiando il principe.

«Ser Gorim, la tua lealtà ti rende un testimone inutilizzabile. È compito altrui raccontare l'accaduto.» Dichiarò Lord Harrowmont. «Tu, esploratore. Dicci, cosa è successo?»

Duran rimase accanto al corpo del fratello, la mano guantata e sporca di sangue di Prole Oscura ancora appoggiata sulla spalla di Trian, incapace di muoversi mentre i due uomini che lo avevano accompagnato raccontavano di come si fosse scagliato sul fratello maggiore, uccidendolo senza pietà in un'imboscata. Nell'altra mano, teneva ancora l'anello con il sigillo degli Aeducan, appartenente a Trian. Rimase in silenzio a guardare il fratello minore, Bhelen, annuire con convinzione mentre i due raccontavano le loro menzogne.

“Nostro fratello.”

Quasi non si accorse di Gorim, che si scagliò contro l'esploratore, e non mosse un muscolo quando due nani lo trascinarono in piedi di peso. Suo padre lo guardò come fosse un estraneo, chiedendogli se avesse altro da aggiungere.

«Come fate a non accorgervi che è tutto un complotto?» Rispose, scuotendo la testa. Bhelen aveva organizzato tutto nei minimi dettagli, probabilmente per mesi, se non addirittura anni. La sua unica speranza era appellarsi all'Assemblea, e sperare che i Deshyr smascherassero i piani del fratello.

«Vorrei crederti.» Ribattè il Re, voltandogli le spalle.

Mentre veniva legato e scortato fuori dalle Vie Profonde, per tutto il lungo tragitto non si lasciò sfuggire una sola parola, limitandosi a guardare fisso il responsabile di tutto.

Bhelen. Bhelen. Bhelen.

La sorpresa per aver scoperto ciò di cui era capace asciò ben presto spazio alla collera. Una cieca, bruciante furia che a stento riusciva a controllare. Non desiderava niente di più che fargliela pagare, che strappargli quel sorriso beffardo dal volto, togliergli tutto ciò che aveva appena conquistato. Voleva vendicare il fratello maggiore, certamente, ma ciò che gli rodeva più ardentemente era l'essere stato imbrogliato così platealmente. Non aver capito cosa stesse tramando, non aver fatto nulla per impedire una tragedia del genere.

Lo rinchiusero in una cella angusta, nei meandri delle prigioni sotterranee di Orzammar. Al buio, non gli rimase altro che torturarsi su come avrebbe potuto evitare tutto quanto. Dopo quelle che potevano essere un paio o una dozzina di ore, una guardia arrivò a portare il cibo ai prigionieri, lasciando poi la torcia appesa al suo supporto nella parete. Duran non degnò di uno sguardo il piatto, limitandosi a coprirsi gli occhi a causa della luce improvvisa.

«Guarda un po', ho compagnia.»

Il principe si voltò in direzione della voce, proveniente dalla cella alla sua destra.

«Un principe, per di più. Che onore.» Continuò la voce, chiaramente femminile. «Com'è che invece di macellare qualche Prole Oscura e le occasionali marchiate alle Prove, hai deciso di assassinare tuo fratello?» Gli chiese.

Duran finalmente la riconobbe. Con tutte le persone con cui poteva finire in cella, proprio la senzacasta che aveva umiliato tutti i partecipanti alle Prove di qualche giorno prima. Appoggiò la schiena contro il muro ricoperto di muschio, senza nemmeno degnarla di una risposta.

«Puoi ignorarmi quanto ti pare, ma fidati che ammazzeranno prima te.» Continuò quella. La sentì ridacchiare sommessamente. «Se pensavano fosse grave quello che ho fatto io, un principe che ammazza l'erede al trono li avrà fatti impazzire completamente.»

Duran chiuse gli occhi, cercando di ignorarla.

Era questo che pensavano tutti? Si era già sparsa la voce su come avesse ammazzato il sangue del suo sangue? In quel caso, anche le sue speranze in un'udienza di fronte all'Assemblea erano poche, se non addirittura inesistenti.

«Quello lo mangi?» Gli chiese nuovamente la senzacasta, sporgendosi dalle sbarre per toccare il piatto posto di fronte alla cella del principe. Quando lui non rispose, l'altra riuscì in qualche modo ad afferrare il coccio e portarselo via. «Ah, vedo che non ti hanno dato roba migliore della mia. Peccato, per un attimo avevo sperato in nug arrosto col miele.» Commentò lei.

La sua voce fastidiosa venne sostituita da un sonoro masticare, che non aveva nulla di aggraziato.

 

 

 




Natia si leccò le dita, passandole poi a raccogliere l'ultimo residuo di cibo nella ciotola. La zuppa era molto più buona di quanto si mangiasse nel suo quartiere, ma il principe sembrava essere superiore alla fame dei comuni prigionieri.

Schioccò rumorosamente la lingua, gustandosi il sapore del cibo, per poi prendere due sorsi misurati dal bicchiere accanto a lei. Non avevano portato altro da bere, quindi occorreva razionare. In quelle celle non faceva così caldo come in alcune zone della città sotterranea, però il sistema di ventilazione non era chiaramente dei migliori.

Si ritrovò a guardare le macchie di muffa sul muro, per l'ennesima volta.

Erano giorni che era chiusa là dentro, per la maggior parte del tempo sena luce e senza cibo, ma da quando era arrivato il suo vicino di cella, le guardie si facevano vedere molto più spesso, portando cibo e acqua ad intervalli regolari di alcune ore, cambiando la torcia appesa al muro e, cosa molto importante, non rivolgendole più alcuna attenzione. Niente più sputi, niente più calci, niente più raccogliere il cibo da terra dopo che uno di quei culi di bronto aveva rovesciato la sua cena con un calcio accompagnato da un ghigno soddisfatto. Tutto sommato, però, sarebbe potuto andarle molto peggio. Nessuno aveva approfittato di lei, non l'avevano battuta abbastanza forte da romperle qualcosa e le avevano pure medicato le ferite che si era provocata durante le Prove. Tutto ciò per, ovviamente, farla arrivare viva e in grado di dare spettacolo nel momento della sua esecuzione, ma quella sembrava essere lontana. Giorni impegnativi, per l'Assemblea. Ghignò al pensiero di tutti quei lord dalle barbe profumate che squittivano furiosi e spaventati, il panico che stava probabilmente aleggiando nel Distretto dei Diamanti dopo l'omicidio dell'erede al trono. Sarebbero passati giorni prima che qualcuno si ricordasse di lei.

Dei passi interruppero i suoi pensieri. Tese le orecchie.

Due persone, in armatura, procedevano in fila verso di loro. Una era la guardia, riconobbe il nano dal suo incedere traballante a causa dell'alcol.

«Dieci minuti, ser. Gli ordini sono ordini.» Disse la guardia, allontanandosi poi da sola.

Davanti alla sua cella passò un nano in armatura, equipaggiato con uno scudo e una spada, che la superò senza degnarla di uno sguardo.

«Gorim!» Sentì esclamare il principe.

«Ah, quindi sai parlare!» Commentò a voce alta Natia, non sorprendendosi quando nessuno dei due le rispose. Il nuovo arrivato, Gorim, sembrava portare solo brutte notizie per il principe.

Tra i discorsi di politica e altre cose incomprensibili, riuscì a capire il succo del discorso: a quanto pareva, l'Assemblea non era più dalla sua parte, e il fratello minore non vedeva l'ora di sbarazzarsi di lui. Questo Bhelen non sembrava affatto un principe, ma il genere di persona che non si sarebbe stupita di trovare a capo del Carta.

«Verrete mandato nelle Vie Profonde, rinchiuso lì finché la Prole Oscura non vi ucciderà.» Sentì dire al visitatore.

Seguì un momento di silenzio.

«Mio padre?» Chiese il principe.

«Lord Harrowmont dice che il Re si è ammalato. Non ha potuto sopportare il peso di perdere due figli contemporaneamente.»

Di nuovo, il principe rimase in silenzio.

«Ho pregato l'Assemblea di mandarmi con voi, ma non ne hanno voluto sapere.» Continuò l'altro. «È stato un onore servirvi, mio signore. Mi addolora quanto successo.»

«Lo so, Gorim. Ti auguro il meglio sulla superficie, amico mio.» Rispose il principe.

Natia si schiarì la voce, sonoramente.

«Tutto molto commovente, ma se ci fosse un modo per non fare ammazzare il nostro principe, qui, e andare tutti in superficie?» Prese parola, sporgendosi attraverso le sbarre.

Il visitatore si voltò finalmente verso di lei, guardandola con disprezzo.

«E come pensi di poter fare, marchiata?» Le chiese.

Natia sogghignò, leccandosi le labbra secche. «Quanto denaro puoi recuperare nel giro di un paio d'ore?» Gli chiese.

L'altro sembrò non capire. «Stai proponendo di corrompere le guardie? Sei così stupida?»

La ragazza scosse la testa. «Stai zitto e ascoltami. Il Carta ha degli scavatori, professionisti in questo genere di lavori, e ci sono dei tunnel segreti sparsi per tutta la città. Scommetto quello che vi pare che ce n'è uno sotto di noi, da qualche parte.»

«Metterci in combutta con il Carta?!» Ribattè l'altro, ma il principe lo interruppe.

«Gorim, lasciala parlare.»

Natia si leccò nuovamente le labbra. «Se provi a mettere piede nel Distretto della Polvere urlando che vuoi vedere il Carta, ti troverai subito morto in un vicolo.» Lo guardò negli occhi, accertandosi che le prestasse tutta la sua attenzione. «Al mercato, c'è una bancarella vicino al Tapster. Ci lavora una certa Olinda. Vai senza imbellettarti la barba e chiedi di Leske. Dille che stavolta riguarda più di qualche sasso, capirà. Ti metterà in contatto con un nano, porta tutti i soldi che puoi recuperare e fai esattamente come ti dice, non ha un bel carattere. Digli che ti manda Natia, Natia Brosca, e che deve trovare della gente in grado di tirarci fuori di qui.» Spiegò brevemente.

Il nano sembrava confuso. Si girò verso il principe, non sapendo cosa fare.

«Gorim, fai come ti dice.» Gli ordinò quello dopo qualche attimo di silenzio. «Sai dove trovare i soldi, la chiave è nel cassetto dello scrittoio, sotto il doppio fondo.»

«Ma... siete certo di potervi fidare?» Ribattè l'altro.

«Bhelen mi farà ammazzare sicuramente. Non ho altre possibilità. Dovessi anche strisciare nella melma, uscirò da qui. E prima o poi tornerò per vendicarmi.» Disse il principe. «Ora vai, non c'è tempo da perdere.»

Natia osservò il visitatore inchinarsi brevemente e uscire quasi di corsa dalle prigioni.

«Sei sicura di poterci fidare di questo... tuo amico?» Le chiese il principe, dopo qualche tempo.

La ragazza esitò un attimo. «Leske?» Sospirò sonoramente. «Se i soldi sono abbastanza, riuscirà a tirarci fuori, sì.» Sperava di avere ragione.

 

Doveva essere da poco passata l'ora di coricarsi, quando sentirono dei rumori provenire dalla parete dietro di loro. La guardia era passata da poco, e non si sarebbe fatta rivedere prima di sei o sette ore.

Natia si sporse dalla sua cella, facendo segno al principe di darsi una svegliata, per poi afferrare il bicchiere di coccio che le avevano dato e picchiettarlo sulla parete, sperando di riuscire a guidare gli scavatori nella direzione giusta, attenta però a non fare troppo rumore.

Dopo qualche interminabile minuto, qualcuno rimosse con cautela una delle grandi pietre.

«Natia?» Si sentì chiamare.

«Leske!» Rispose, aiutando gli scavatori ad allargare il buco nella parete. «Ce l'hai fatta!»

Tolsero in fretta altri tre massi, e la testa dell'amico si affacciò dall'altra parte. «Avevi dei dubbi, Salroka?» Le chiese beffardo. Natia si trattenne dall'abbracciarlo. Quasi non ci credeva, il piano stava effettivamente funzionando. Rimossero in fretta le restanti pietre, permettendo a Leske e altri due nani di farsi strada nella cella angusta.

«Bel posto.» Commentò l'amico, guardandosi attorno. «Quasi meglio di casa tua.»

Natia scoppiò a ridere. «Qualsiasi posto è meglio di casa mia, là c'è mia madre.»

Leske le allungò un paio di attrezzi da scasso. «Fai la tua magia.»

La ragazza si avvicinò alla serratura della porta, aprendola senza difficoltà, per poi uscire. Squadrò il principe, che la fissava in attesa appoggiato alle sbarre. Ponderò l'opzione di mollarlo lì, sarebbe stato divertente vedere la sua faccia. Esitò, armeggiando con la serratura.

«Muoviti, abbiamo parecchia strada da fare.» Gli disse, spalancando la porta con un cigolio. Quello le fece un cenno col capo, uscendo in fretta. Se lo avesse mollato lì, avrebbe sicuramente chiamato le guardie, e loro non avrebbero fatto tre passi oltre l'uscita del tunnel.

Si infilarono velocemente nel varco attraverso la parete, ritrovandosi poi in uno spazio angusto, dove un tunnel appena scavato conduceva in profondità. Senza pensarci due volte, si calò giù.

«Allora, stai aspettando che la pietra si sciolga?» Sentì uno dei due nani scavatori chiamare il principe. Seguì un grugnito di disgusto, mentre anche l'ultimo dei nani si calava nell'oscurità con loro. Strisciarono nello stretto passaggio per quello che le sembrò un'eternità, nel buio più assoluto. L'aria era poca e piena di terra, rendendole difficile respirare, mentre il terreno smosso e friabile rischiava ad ogni metro di collassare e seppellirli tutti. Sentiva qualcuno ansimare pesantemente dal fondo, poteva essere solo il principe, non abituato a spazi così ristretti.

I senzacasta, invece, procedevano spediti ma con la necessaria cautela, con la sicurezza di chi l'aveva fatto molte altre volte. Natia ringraziò la Pietra che almeno quella volta non stesse trasportando oggetti ingombranti. Il nano scavatore, davanti a lei, si fermò di colpo, per poi tirarsi in piedi e uscire verso l'alto.

La ragazza sentì uno spostamento d'aria e seguì il nano su per il condotto.

Era una vecchia cisterna, ora arrugginita, piena di polvere, ragni, muschi e licheni. La scala che dal basso li avrebbe portati al piano di sopra era pericolante e senza qualche piolo. Faceva molto caldo, segno che da qualche parte doveva passare uno dei cunicoli che portavano l'aria calda proveniente dalla lava verso la città.

Salirono in fila indiana, attenti a dove mettevano i piedi, e finalmente sbucarono in un tunnel che la ragazza conosceva bene, uno dei tanti condotti ormai inutilizzati che esistevano vicino al Distretto della Polvere. Il nano davanti a lei li condusse in un vicolo, dove li stavano aspettando altri due nani incappucciati.

«Mio signore!» Esclamò quello che aveva fatto visita al principe qualche ora prima, chiaramente sollevato. Il principe, che durante il percorso le era sembrato provato, sembrava essersi ripreso. Fece un cenno col capo in direzione dell'altro.

«E ora?» Chiese, togliendosi dei residui di terra dalla barba aggrovigliata.

«Ora, dovrai toglierti quell'aria regale di dosso.» Rispose Natia, incurante dello sporco che le era rimasto appiccicato ai vestiti e alla pelle. Più fossero stati sgradevoli agli occhi e al naso, meno le guardie cittadine avrebbero prestato loro attenzione.

«Non vi piacerà, mio signore, ma è l'unico modo per tirarvi fuori di qui.» Disse Gorim, facendo un mezzo inchino a mo' di scusa ed estraendo una boccetta di liquido nero dalle tasche.
Natia lo riconobbe subito, era inchiostro. Del tipo che veniva usato per i tatuaggi non permanenti che gli abitanti della superficie dovevano indossare quando visitavano la città. Si scambiò uno sguardo compiaciuto con Leske: non capitava tutti i giorni di vedere marchiare un principe come la peggiore feccia senzacasta.

«Non sarà dell'inchiostro in faccia a fermarmi, Gorim.» Dichiarò il principe, facendo segno all'amico di procedere.

Leske intanto si avvicinò a lei, mettendole una mano sulla spalla. «Il peggio deve ancora venire, Salroka. Farvi uscire dalle prigioni era la parte facile. Quel Gorim mi ha assicurato di avere contattato un passaggio da Orzammar alla capitale degli umani, ma non potete salire su come se niente fosse. Vi dovete rendere invisibili e passare dalle uscite che Beraht usava per il suo contrabbando. Poi, quando vi sarete allontanati dalla città, vi unirete alla carovana di mercanti che quel tizio ha contattato. Non c'è pericolo che vi lasci lì, visto come sembra amare leccare i piedi al principe.» Spiegò, lanciando un'occhiata sprezzante ai due nobili.

«Leske, non so come potrò mai ripagarti.» Gli disse Natia, prendendogli una mano tra le sue. L'altro, che non era abituato a certe manifestazioni di affetto, scosse il capo con un sogghigno.

«Ci ho fatto un po' di soldi, Salroka. E poi, mi hai tirato fuori da certe brutte situazioni, in passato. Non mi devi proprio un bel niente.» La guardò di sottecchi, come a voler aggiungere qualcosa, ma poi rimase in silenzio.

Natia gli lasciò la mano, a disagio. «Tieni d'occhio Rica, senza Beraht il quartiere sarà invivibile per qualche tempo. E lei non ha idea di come vadano certe cose.» Le dispiaceva partire senza salutare un'ultima volta la sorella, molto più di quanto fosse disposta ad ammettere.

«Se la caverà. Ha già trovato qualcuno che la riempie di regali, a quanto pare, quasi è riuscito a distrarla dalla tua situazione. Voleva venire qui, ma le ho detto che era troppo pericoloso.»

La ragazza annuì. «Hai fatto bene. Non voglio finisca nei guai per colpa mia.» Esitò, la paura di salire in superficie che cominciava a farsi sentire. «Se cado nel cielo, bevici su una delle birre del Tapster.»

Leske ridacchiò. «Se cadi in cielo, come farò a saperlo?»

 




 

Duran lanciò un'occhiata ai due senzacasta, che confabulavano poco lontano da loro.

«Muoviamoci, prima che le guardie si accorgano che siamo spariti.» Disse, coprendosi il capo con il cappuccio del mantello sudicio che gli avevano dato per coprirsi. Non bastava l'onta di essersi fatto marchiare, seppur temporaneamente, la faccia, doveva anche andare in giro puzzando come una pila di sterco di bronto. Bhelen avrebbe pagato pure per quello.

La senzacasta sembrò finalmente ricordarsi che avevano fretta. Vide il suo compare allungarle due pugnali dall'aspetto rozzo e letale, che la ragazza si infilò senza esitare nella cintura, per poi tirarsi su anche lei il cappuccio, a coprirle quella massa di capelli rossi, ingarbugliati e sporchi che si ritrovava in testa.

«Al primo bivio per Denerim, subito dopo il passo di Gherelen.» Gli ripetè per la terza volta Gorim. Il suo secondo era chiaramente in ansia all'idea di lasciarlo in mano a dei senzacasta, ma non c'era altra soluzione.

«Gorim, per l'ultima volta, ho capito.» Disse all'amico, cercando di apparire più sicuro di quanto in realtà fosse. «Tra qualche giorno saremo lontani da qui.»

L'amico gli allungò due pugnali, che il principe si sistemò sotto il mantello. Non erano certamente come la sua fidata ascia, ma un senzacasta con un arma forgiata da un fabbro e così appariscente sarebbe stato giustiziato a vista. Lo salutò un'ultima volta con un cenno del capo, per poi seguire la senzacasta in un vicolo laterale.

Attraversarono parte del Distretto della Polvere senza essere notati da nessuno.

Piccoli gruppi di nani, con vistosi tatuaggi sul volto e l'aria trasandata, si aggiravano per le strade luride senza curarsi di ciò che stava loro attorno. Molti altri erano buttati agli angoli delle strade, ubriachi o troppo affamati per muoversi, mentre alcuni di loro chiedevano l'elemosina.

Una nana poco svestita lo chiamò con voce gracchiante, offrendogli un servizio a prezzo stracciato. Continuò a camminare senza voltarsi, disgustato dallo stato in cui quella gente viveva.

Entrarono in una catapecchia di pietra fatiscente, la ragazza che faceva loro strada con aria sicura. Doveva aver attraversato quel passaggio altre volte, perchè fece scattare il meccanismo nel muro senza alcuna esitazione, rivelando un tunnel abbastanza largo da far passare due nani affiancati. L'unica torcia lanciava una luce tremolante attorno a loro, mentre si addentravano in silenzio tra innumerevoli cunicoli che si diramavano in ogni direzione. Probabilmente, pensò Duran, quei tunnel si espandevano veramente per tutta la città e oltre. Fermare i traffici del Carta, in possesso di quei passaggi nascosti, era un'impresa chiaramente impossibile.

Dopo alcune svolte, il percorso cominciò a farsi in salita, a volte interrotto da scalinate scavate nella pietra, altre in cui dovettero far forza sulle braccia per issarsi su delle rocce franate.

L'aria cominciava a farsi sempre più fresca, e portava odori che Duran non aveva mai sentito prima. Dopo un paio d'ore, intravide un raggio luminoso passare dal soffitto della caverna dove stavano passando, come a tagliare l'aria attorno a loro.

La caverna si restringeva di nuovo, portando ad una ripida scalinata.

La ragazza si fermò di colpo, guardando in alto, senza proferire parola.

Duran la imitò, ma a parte dell'altra luce che filtrava dal soffitto, in maggiore quantità, non vedeva nulla di particolare. Erano vicinissimi alla superficie, però, e tutto il suo buon senso da nano gli stava urlando di tornare indietro, sottoterra, dove non rischiava di cadere nel cielo senza un soffitto.

«Non sono mai andata oltre quella scalinata.» Ruppe il silenzio la ragazza.

Duran si girò sorpreso verso di lei. Da quando avevano lasciato il Distretto della Polvere, non l'aveva sentita fare un suono.

«Non possiamo tornare indietro, a questo punto.» Rispose, non sapendo bene se a lei o per convincere se stesso. Tuttavia, rimase immobile a guardare il soffitto sopra le loro teste.

«Qualsiasi cosa ci sia là sopra, non può essere peggio di quello che c'è qua sotto.» Dichiarò la ragazza ad alta voce, per poi cominciare a salire i gradini con decisione.

Duran, dopo un attimo di indecisione, la seguì.

 

La scalinata terminava di fronte ad una porta di pietra, dall'aria antica. Era probabilmente uno degli ingressi secondari che i nani dovevano usare ai tempi in cui le Vie Profonde erano la culla di un fiorente impero, non ancora sommerse da orde di Prole Oscura. Era tuttavia stata oggetto di manutenzione costante, perché i cardini sembravano oleati e la serratura nuova.

Mentre la ragazza armeggiava con la serratura, aspettò in silenzio, cercando di ignorare il panico crescente che sembrava immobilizzarlo. Una volta usciti da quella porta, non ci sarebbe stato modo di tornare indietro. Avrebbe perso il suo nome, il suo diritto di nascita, tutti i suoi diritti e doveri. Sarebbe stato nessuno, agli occhi dei nani.

Bhelen aveva programmato tutto nei minimi dettagli, per farlo condannare dall'Assemblea come colpevole di fratricidio e farlo esiliare nelle Vie Profonde, il suo nome cancellato da ogni Ricordo dal Modellatore. Pensò a suo padre, caduto malato dopo aver perso entrambi i suoi figli nello stesso giorno: era davvero come gli aveva riferito Gorim, o Bhelen era caduto così in basso da attentare alla vita del loro stesso padre? Il volto di Trian, a terra coperto di sangue, gli balenò in mente, chiaro come se ce lo avesse ancora di fronte. Bhelen non si sarebbe fermato davanti a nulla ormai, voleva così tanto quel trono da eliminare chiunque si frapponesse tra lui e la corona.

L'avrebbe fermato, a qualunque costo.

Sarebbe andato a chiedere aiuto al re degli umani, a Denerim, ricordandogli dell'aiuto che i nani avevano fornito al padre di lui per riconquistare il trono usurpato dagli Orlesiani. Avrebbe trovato il modo di riconquistare il favore dell'Assemblea, a costo di chiedere favori a nani di superficie e, persino, allearsi con i senzacasta del Carta. Avrebbe avuto la testa di suo fratello, giurò a se stesso.

La serratura scattò.

La ragazza restò un attimo immobile, le mani appoggiate alla superficie in pietra, esitante. Duran le si avvicinò, appoggiandosi anche lui alla porta.

Presero un respiro profondo, e spinsero.

 

Dovettero portarsi le mani al volto, coprendo gli occhi che bruciavano.

La luce era ovunque, accecante, non permetteva loro di vedere nulla. Rimasero storditi per alcuni minuti, cercando di abituare la vista, appoggiati alla parete alle loro spalle, come a cercare la protezione della roccia.

Duran mise a fuoco con difficoltà l'ambiente circostante: una distesa bianca, abbagliante, si spandeva sotto di loro a perdita d'occhio. A tratti vi erano macchie di verde, più vivace rispetto a quello dei licheni che crescevano nel sottosuolo e simile a quello delle pietre preziose. Alte strutture marroncine dalla forma cilindrica si ergevano attorno a loro, coronate da diramazioni, simili alle venature del lyrium, che si muovevano costantemente ed erano decorate da quelle che sembravano foglie appuntite. Tutto era coperto di bianco: le rocce attorno a loro, il terreno...

L'aria gli entrava gelida nel naso, congelandogli i peli della barba e facendolo rabbrividire. Annusò, cercando di carpirne l'odore, ma a parte il freddo, non riusciva a distinguere nulla di familiare.

«Cosa... cosa sono quelli?» Sentì chiedere. La senzacasta fissava il paesaggio attorno a sé a bocca aperta, per una volta senza la sua solita espressione aggressiva sul volto.

«Alberi, credo.» Rispose Duran dopo un attimo di esitazione. Aveva letto qualcosa riguardo il mondo in superficie, ma i libri non erano mai stati la sua passione.

Rimasero incollati alla parete di roccia, come a cercare di trarne conforto. Nessuno dei due osava alzare lo sguardo sopra di loro, nel terrore di non trovare assolutamente nulla.

Una folata d'aria li fece rabbrividire. Faceva freddo, ma Duran si accorse di essere in un bagno di sudore. Si scambiarono uno sguardo preoccupato, incerti sul da farsi.

Molto probabilmente la notizia della loro fuga si era già sparsa, e presto l'intera città si sarebbe mossa alla loro ricerca. Chissà in quanti si sarebbero aspettati che il principe fuggisse in superficie, pur di non affrontare un esilio nelle Vie Profonde...

Duran si fece forza. Nessuno degli abitanti della superficie cadeva veramente in cielo, altrimenti non ci sarebbe rimasto nessuno là sopra. Mosse un passo in avanti e poi un altro, allontanandosi dalla parete rocciosa. C'erano rocce e terra sotto di lui, seppur ricoperte da quella sabbia bianca e friabile, e ciò lo confortava un pochino.

Sentì la ragazza esclamare qualcosa di molto volgare, per poi seguirlo a passi pesanti.

Scesero lentamente verso la vallata, seguendo quella che sembrava una piccola strada scavata nella montagna, fino a ritrovarsi su una strada più larga. Lì attorno gli alberi erano più numerosi e fitti, come una sala piena di colonne. Duran ignorò il pensiero che, in una sala, ci sarebbe stato un sicuro soffitto a grandi volte a proteggerli dal vuoto assoluto.

Sempre senza guardarsi in alto, seguirono la strada.

Gorim aveva detto loro che sarebbero sbucati a tre giorni di cammino dal punto d'incontro, non c'era tempo da perdere. Se Bhelen avesse allertato le guardie che presidiavano i cancelli in superficie, presto sarebbero stati ricercati persino lì. Ma anche i nani a guardia del portone d'ingresso alla città non avevano il coraggio di avventurarsi troppo lontano da lì, e un viaggio di due giorni sarebbe stato per loro sicuramente troppo.

Camminarono per quelle che dovevano essere ore, notando che la luce attorno a loro mutava, si affievoliva e cambiava colore. Si fece pian piano rossastra, e le ombre proiettate dagli oggetti si facevano sempre più lunghe e inquietanti, finché non si fece finalmente buio. Non era però un buio totale, come quando le torce si spegnevano in un cunicolo sotterraneo, bensì c'era comunque una luce diffusa, proveniente da chissà dove. I due nani si rifiutarono nuovamente, in tacito accordo, di alzare il naso da terra.

Ben presto attraverso gli alberi, fino a quel momento abbastanza silenziosi, cominciarono ad udirsi molti suoni che li facevano sobbalzare continuamente.

Un grido acuto fece quasi cadere Duran dalla sorpresa, mentre una creatura alata si alzava in volo sopra di loro, sparendo tra la vegetazione. Continuarono ad andare avanti. Poco dopo, un ululato prolungato fece loro estrarre le armi, guardandosi attorno e scrutando allarmati l'ambiente circostante. Chissà quale genere di creature si aggirava da quelle parti...

Sentirono dei rumori attorno a loro, seguiti da altri ululati. Si bloccarono, mettendosi schiena contro schiena e alzando i pugnali, pronti a difendersi.

Duran scrutava la penombra attorno a loro, attendo ad ogni minimo movimento. Qualcosa iniziò a ringhiare, un verso basso e minaccioso.

Un'ombra uscì dagli alberi con un balzo, scagliandosi addosso a loro.

Duran, che l'aveva visto per primo, riuscì a schivare, e la belva si abbatté contro la ragazza, buttandola a terra. La senzacasta imprecò, cercando di mettere il coltello tra lei e quella cosa.

Il principe andò in suo soccorso senza esitazione, ma prima ancora che potesse colpire il loro assalitore, quello si era già allontanato con un balzo, la pelliccia fulva impregnata di sangue che andava a macchiare il terreno bianco. Ringhiò nuovamente, scoprendo i denti appuntiti, le orecchie basse e la schiena inarcata. Era molto più piccolo di un bronto, ma alto quanto un nano.

Duran rimpianse di non avere la sua ascia.

Si scagliò contro l'animale, incurante che un'altra delle bestie lo stesse già attaccando. Finì a terra in un vortice di zanne, artigli e pelliccia, cercando di tagliare e ferire qualsiasi cosa gli capitasse sotto tiro. Il muso dell'animale schioccò a pochi centimetri dalla sua faccia, costringendolo a tenerlo lontano da sé con un braccio. Con la mano libera, mirò al collo dell'animale, conficcandogli il pugnale nella carne e girando l'elsa. La bestia guaì di dolore, per poi accasciarsi da un lato, senza vita. Duran spinse il cadavere lontano da sé e corse in direzione della compagna, pronto ad aiutarla.

Si fermò di colpo, sorpreso.

La ragazza era sdraiata sulla schiena, gli occhi sbarrati di fronte a sé, lo sguardo atterrito. Il corpo senza vita del secondo animale era accanto a lei. Non sembrava ferita.

Dopo qualche attimo, Duran alzò lo sguardo.

Una distesa infinita di blu incombeva sopra di loro, punteggiata di piccole luci. Delle spesse macchie simili a fumo fluttuavano su di essa, mentre le punte degli alberi, seppure così alti, non riuscivano nemmeno a sfiorarla.

Si lasciò cadere a terra, incurante del freddo, lo sguardo rapito verso l'alto. Non sentì nemmeno l'acqua che si infiltrava ghiacciata tra le brache, il freddo pungente che gli riempiva di ghiaccioli la barba ridotta ormai ad un ingarbugliato ammasso di peli. Non riusciva a staccare lo sguardo dalla terribile vastità che sembrava non avere fine, come ipnotizzato.

Rimasero a fissare il cielo, in silenzio, l'uno accanto all'altra, rapiti e terrorizzati allo stesso tempo.

«A quanto pare, non è così facile cadere in cielo.» Disse la ragazza.











Note dell'autrice: ed ecco finite le varie Origini! Dal prossimo capitolo ci si sposta ad Ostagar. Come sempre, commenti, critiche e suggerimenti sono bene accetti. :)

Ho disegnato i vari personaggi. QUI c'è Duran, l'ultimo dei nostri protagonisti!

  
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