CAPITOLO 4.
COLTON
HARRINGTON
“Nei marine
c'è una gerarchia da
rispettare. Anche lì si commettono errori, ma si possono
gestire.
Sai per cosa combatti e tutti fanno parte della stessa squadra.
Lottare contro la corruzione, invece, è come inseguire le
ombre. Non
sai mai chi è sul libro paga dei cattivi, magari
è il tuo partner,
oppure il comandante di turno.”
(L.A. Noire)
Non gli piaceva quel posto.
Non gli piaceva
quella situazione.
Non gli piaceva quel Bauer.
Era
troppo misterioso, sapeva parlare solo per enigmi, parlava e parlava
senza mai rispondere a nulla, senza mai dire qualcosa di concreto. E
se c'era una cosa che aveva imparato da quando era entrato in polizia
era che non c'era mai da fidarsi delle persone che non rispondevano
direttamente ad una domanda.
Aveva una vita perfetta.
Prestava servizio nel Dipartimento di Polizia di Los Angeles come
agente anche se ancora per poco dato che era ad un passo dalla
promozione a Detective e come ciliegina sulla torta, aveva da qualche
mese una relazione sentimentale con una ragazza che riteneva essere
quella giusta, viste le loro molteplici affinità e tutte le
cose che
avevano in comune.
Insomma, la sua vita non poteva andar
meglio.
E ora questo. Un incubo dal quale desiderava
svegliarsi ad ogni costo. Viaggi nel tempo? Ma chi li ha mai
voluti?!? Lui stava benissimo nel suo mondo, nella sua
città, nel
suo ambiente, non era minimamente interessato a viaggiare nel tempo e
nello spazio. Per combattere delle creature disgustose poi? Ma
perché? Chi glielo faceva fare? Assolutamente no.
E se
questo vecchio pensa seriamente di convincermi con il senso di colpa
che solo io posso e stronzate varie sull'essere scelti, si sbaglia di
grosso. Io rischio la vita tutti i giorni inseguendo ladri,
delinquenti e assassini per servire e proteggere la popolazione di
Los Angeles, e poi non sono sopravvissuto alla guerra e tornato nel
mio paese per finire in una farsa assurda. Con questi tizi poi?
Sembrano usciti da un circo!
“Bene, ci siamo tutti. Io
ehm, ecco,.. scusate ma è tutto nuovo anche per me, ma
cercherò di
essere il più chiaro possibile..”
Tu chiaro? La vedo
dura.
“.. immagino che siate tutti un po'
imbarazzati..”
Puoi giurarci.
“.. è normale
all'inizio, ma penso che le cose cambieranno..”
Tu vivi
nel mondo dei sogni.
“.. ma cercate di andare d'accordo.
E' questa la parte più difficile. So che non sarà
semplice per
nessuno di voi. Siete diversi per mentalità, epoca,
nazionalità. Ma
sono certo che con il tempo, e con un po' di tolleranza, riuscirete a
trovare un punto in comune. Il mio consiglio è di allargare
i vostri
orizzonti, di cercare di capire l'altro prima di giudicare..”
Quello
che capisco io è che questi li voglio ben lontani da me.
“Ci
tengo subito a spiegarvi che le diverse lingue che parlate non
saranno un ostacolo, non per la vostra comunicazione, almeno. Vi ho
messo un microchip nel corpo che..”
TU COSA? Che hai
fatto?!? Che mi hai messo dentro? E dove? Come hai osato? In un
ospedale psichiatrico devono metterti, brutto bastardo.
“..
non agitatevi, vi prego. E' minuscolo, ed è talmente piccolo
che è
del tutto innocuo per il vostro corpo. E' come un piccolo neo. Ne ho
uno anch'io, sapete? Non vi accorgerete neanche di averlo. Quel
microchip vi permettere di comprendere, e farvi comprendere, in ogni
lingua del mondo. Io sono tedesco..”
Tedesco? Hitler?
Perfetto. Davvero magnifico.
“.. e sto parlando nella
mia lingua, eppure voi riuscite a comprendermi benissimo. Grazie a
quel microchip, ogni volta che qualcuno vi parlerà in
qualunque
lingua voi capirete, perché qualunque cosa dica, voi la
sentirete
nella vostra lingua. E quando sarete voi a parlare con qualcuno di
un'altra nazionalità, avviene la stessa cosa. La persona che
avrete
davanti sentirà cosa direte nella sua lingua. A questo serve
il
microchip. E' una specie di traduttore personale.”
Quindi
non ho scusanti. Devo per forza socializzare con questi plebei.
“Torno subito, devo controllare una cosa. Voi
intanto
fate due chiacchiere.. parlate.. cercate di fare amicizia..”
Cos'è una battuta? Hai
sul serio detto “fare
amicizia”? Scherzi, vero?
Henrich lasciò il soggiorno
per andare in un'altra stanza, e per la prima volta dopo tanto tempo,
Colton si sentì veramente a disagio.
Aveva ucciso, vissuto
per una ragionevole quantità di tempo con la
possibilità di morire
da un momento all'altro, aveva visto cadaveri in ogni stato, cadaveri
di suoi compagni in guerra, cadaveri di americani uccisi da un
assassino che lui avrebbe dovuto trovare in patria, eppure nulla,
assolutamente nulla di quello che aveva passato, poteva essere
equiparato all'imbarazzo che provava in questo momento, almeno a
quanto ricordasse.
Colton Harrington aveva molti difetti: era
serio, sarcastico, superficiale come pochi, e sempre pronto a puntare
il dito contro chi non rispecchiava i suoi altissimi standard, ma era
sempre sicuro di sé. Sicuro su cosa fare, cosa dire, in ogni
situazione. Eppure ora, era disorientato. Iniziò a guardarsi
i
piedi, le gambe, le dita delle mani, l'uniforme da agente che ancora
indossava. Ogni cosa gli sembrava più interessante.
Il tempo scorreva lentamente, quasi a
rallentatore,
cinque di loro iniziarono a guardarsi intorno, ansiosi di rivedere
Henrich per porre fine a quella situazione imbarazzante, ma lui non
arrivava e il disagio ormai aveva raggiunto livelli
impressionanti.
Solo uno di loro era rimasto come..
indifferente? Colton pensò fosse una motivazione valida per
vederci
chiaro, così alzò lo sguardo e guardò
il diretto interessato.
Si
trattava di un uomo alto e magro di massimo trent'anni, il viso era
come sciupato, segnato da qualcosa di indelebile che lo avrebbe
accompagnato per il resto della vita. Aveva un accenno di barba
appena visibile color oro, esattamente come i capelli corti,
rigorosamente pettinati, quasi come una madre pettina i capelli del
figlio ancora piccolo prima che esca per andare a scuola. Indossava
una camicia a righe chiusa fino all'ultimo bottone a mezze maniche,
dei comunissimi jeans accompagnati da una comunissima cintura, delle
scarpe ormai troppo vecchie e un orologio al polso sinistro.
Era
indubbiamente un uomo attraente, forse il più bello dei
quattro
riuniti in quella stanza, e dai vestiti che indossava, Colton
ipotizzò che doveva provenire da un'epoca simile alla sua,
ma
comunque non si sentì affatto rincuorato.
C'era qualcosa in
quell'uomo.. qualcosa di strano. Qualcosa di inquietante. Era come se
gli mancasse una parte. Il suo sguardo era come perso nel vuoto, come
se nulla gli stesse accadendo, come se non valesse la pena prestare
attenzione alla sua situazione. Gli occhi chiari erano come smarriti,
stanchi, sul punto di chiudersi, ma la cosa più inquietante
in
assoluto era la sua espressione. Vuota. Smarrita, come gli occhi e il
suo sguardo. Come se non avesse un anima. Come se fosse una macchina.
Come se non avesse niente dentro. Niente sentimenti, emozioni. Un
guscio vuoto.
Non mi piace affatto questo tizio, istinto di
poliziotto. Altro che farci amicizia, questo è da tenere
d'occhio.
Vicino a lui, c'era una donna. Una giovane donna
bionda e con gli occhi chiari, molto magra. E bella. Proprio il tipo
di donna che piaceva a Colton. Bionda. Occhi chiari. Magra. Era
proprio il suo tipo di donna. Ma l'idillio non durò a lungo
per il
poliziotto: non appena si rese conto di quanto fosse sporco e
rovinato il vestito che indossava, così come le dita,
l'interesse
romantico che nutriva per lei sparì in un colpo solo.
Ma
quando è stata l'ultima volta che si è fatta un
bagno? Deve essere
proprio una poveraccia. Peccato, era così attraente.
Vicino
a lei c'era un uomo che sembrava uscito da uno di quei film Western
che a volte Colton aveva visto al cinema con la sua ragazza. Un uomo
che sprizzava Far West da ogni parte, dai baffi scuri ai piccoli
occhi azzurri, dal cappello nero rovinato alle mani segnate dal
lavoro. L'unica differenza era che i protagonisti dei film erano
giovani e belli, mentre l'uomo che aveva davanti sembrava
più
l'ubriacone che veniva ucciso subito.
Di bene in meglio.
Riconfermo ciò che pensai prima. Un circo. E della peggior
specie.
Accanto al cowboy c'era un uomo sulla quarantina
piuttosto pallido, alto e magro, dall'aspetto regale e con indosso
quella che doveva essere un uniforme di qualche tipo, anche quella
all'apparenza regale, lasciando intendere che avesse un ruolo
importante. Forse un ammiraglio? Un capitano? Un commodoro? Gli occhi
erano piccoli e color verde scuro, e il colore dei capelli era
ignoto, dato che indossava un parrucca bianca, che sembrava quasi
reale, ma quell'uomo era troppo giovane per avere i capelli
così
bianchi, quindi era impossibile.
Da qualsiasi paese venisse,
doveva vivere in un palazzo, un castello, un ambiente nobile a cui
doveva essere abituato dalla nascita, a giudicare dalle mani bianche
e lisce come se non avesse mai fatto un lavoro manuale in vita sua, e
un ulteriore conferma arrivò quando Colton vide come
guardava la
bella donna bionda. Con disprezzo, forse per essere seduto vicino a
lei, perché la riteneva inferiore, quasi una subordinata,
perché se
aveva avuto a che fare con persone così, dovevano per forza
essere
sue subordinate che gli dovevano rispetto, e che al minimo errore
sarebbero state buttate fuori.
Ecco, con questo forse
potrei andare d'accordo. E' un nobile di sicuro. Composto, pulito, e
forse ha un minimo di cervello.
Spostò lo sguardo per
osservare l'ultimo, ma quando lo fece, non riuscì a
trattenere un
espressione disgustata. Davanti a lui c'era un ragazzo.. o una
ragazza? Non riusciva a capirlo. Non sapeva nemmeno se fosse umano. O
umana. Certo ne aveva la sembianze, ma tutto il resto era sbagliato,
tutto il resto era fuori posto, e Colton si sentì come
sull'orlo di
una crisi.
I suoi capelli scuri che arrivavano fino alle
spalle erano un autentico disastro. Sporchi, spettinati, pieni di
nodi. Orribili. Aveva due enormi occhi scuri, dello stesso colore dei
capelli, nascosti dietro un paio di vecchi e grandi occhiali,
così
come le sopracciglia a gabbiano, per niente curate e non abbastanza
sottili.
Così come la zona tra il naso e la bocca, piena di
peli orribili e assolutamente inguardabili, lì da
chissà quanto
tempo. Il viso, seppur molto angelico e dai lineamenti dolci, era
rovinato un po' per quei peli che avrebbero dovuto essere rimossi e
un po' anche per qualche brufolo, sparso qua e là, e la
totale
mancanza di trucco non aiutava certamente le cose.
Le labbra
erano screpolate e..
Oddio! Cos'è quello? Un taglio? Ma è
enorme. Questa c'ha un enorme taglio su entrambe le labbra. Che
schifo. Orrore!
Cercò di guardare altrove,
freneticamente, quando ritornò sui suoi occhi, che
sembravano così
profondi da rendere la presenza degli occhiali del tutto irrilevante.
Occhi pieni di rabbia, freddi, gelidi. Pieni di rancore represso che
non voleva più essere tale, una furia che stava per
esplodere da un
momento all'altro. Ed erano puntati su di lui.
Ma che ha da guardare questa? Sono
io che dovrei
guardarla male, non lei a me. Ma ha visto come è conciata?
E
lo fece. Continuò a guardarla. Male. Con giudizio. Con
disgusto.
Persino i suoi abiti erano fuori luogo. Una maglietta nera con una
specie di logo, che non riusciva a leggere. Dei jeans e delle scarpe.
Era chiaramente una donna, ma non ne aveva affatto l'aspetto. Non era
femminile, non era bella, non era curata, e invece che nascondere i
suoi difetti come ogni donna rispettabile, lei li mostrava quasi con
orgoglio. Quale donna sana di mente si comporterebbe così?
Lei
fece altrettanto. Lo aveva guardato male dal momento in cui si era
seduto per ragioni a lui ignote, ma in parte il poliziotto ne era
soddisfatto. Soddisfatto che la loro antipatia fosse reciproca,
così
non si sarebbe trattenuto nei loro litigi futuri, e il primo era
dietro l'angolo, quasi conclamato, ma qualcuno parlò,
impedendolo.
“Dovrebbe essere più
femminile, signorina. Non troverà mai marito se persiste nel
mantenere un aspetto tanto lascivo.”
Era stato il nobile a
parlare, il primo dei sei a parlare. La sua voce era seria e fredda,
ma non c'era cattiveria in essa. Guardò la ragazza con gli
occhiali,
aspettandosi una risposta. Lei lo guardava, cercando di trattenersi
dal fare un piccolo sorriso. Nessuno riusciva a capire se fosse
arrabbiata o divertita.
“Fortuna che me l'hai detto, è
proprio lo scopo della mia vita trovare marito.”
Il
nobile annuì
leggermente con la testa.
“Lieto di essere stato d'aiuto.”
La
ragazza si mise una
mano davanti alla bocca forse per nascondere un sorriso, mentre il
biondo che appariva assente per la prima volta si voltò
verso il
gruppo, come se fosse finalmente interessato a cosa stesse
succedendo.
“Da dove vieni tu non esiste il sarcasmo,
bigodino?” bofonchiò il cowboy, lanciando uno
sguardo d'intesa e
ammirazione alla ragazza.
“Non desiderate
trovare marito?”
La ragazza fece finta di pensarci, e dopo
qualche secondo rispose con un secco “No”.
“Ma se rimarrete
nubile, diverrete un peso per la vostra famiglia.”
continuò il
nobile, non riuscendo a concepire come una donna potesse avere un
altro scopo di vita se non essere moglie e madre.
“Non ti
preoccupare di questo. Lo sono già. E posso assicurarti che
la cosa
non cambierà.”
“Lascia perdere..” mormorò Colton, rivolgendosi al nobile, per poi voltare lo sguardo di nuovo verso la ragazza “.. anche se volesse un marito, non lo troverebbe. I capelli potrebbero anche essere aggiustati, ma quell'orrore sulla labbra? Per non parlare di quei disgustosi peli intorno alla bocca. Una scimmia che si veste d'oro, rimane comunque una scimmia.”
Quell'atmosfera
colloquiale e rilassata che poco a poco si stava creando,
sparì di
colpo. La ragazza guardava Colton con occhi nuovamente gelidi,
furiosi, mentre il poliziotto neanche la considerava più.
Gli altri
quattro puntarono gli occhi su loro due, sbigottiti, guardando prima
l'uno e poi l'altra, un po' dispiaciuti per la ragazza, e un po'
curiosi di vedere la sua reazione.
“Mi vuoi baciare?”
chiese tranquillamente la ragazza, con un tono sereno e dolce, tanto
da fare quasi paura.
Tutti
si gelarono e la
guardarono sconvolti. Nessuno si sarebbe aspettato quella risposta.
Colton la fissava con occhi che sembravano essersi fatti più
grandi
da quanto era rimasto sorpreso. E disgustato.
“Cos.. come..
che.. che schifo, no! Neanche se fossi l'ultima donna sulla faccia
della Terra!”
“E allora cosa cazzo
te ne frega di cosa ho sulla bocca?!?” urlò lei,
trionfante e
soddisfatta, e anche compiaciuta di urlare contro quel
poliziotto.
Colton la guardò sorpreso. Incredulo. Non
riusciva a credere a quello che stava succedendo. Sentì
qualcuno
ridere, probabilmente il cowboy dato che aveva preso in simpatia
quella maledetta ragazzina.
“Cazzo? Questa parola mi è
sconosciuta. Qual'è il suo significato?” chiese il
nobile, ansioso
di avere una risposta e sentendosi un po' stupido per non averne
capito il senso.
“E' un rafforzativo.” mormorò il cowboy,
senza però smettere di guardare la ragazza e il poliziotto.
“Come
osi parlarmi in questo modo, ragazzina? I tuoi genitori non ti hanno
insegnato a portare rispetto agli adulti? Io faccio parte del
Dipartimento di Polizia di Los Angeles, sai? Anzi, a dirla tutta, sto
per diventare Detective, quindi vedi di chiudere la b..”
“Cosa?
Detective? Non sei un po' troppo giovane?” chiese il cowboy,
mantenendo la sua solita espressione imbronciata.
“Non se
sei corrotto..” bofonchiò la ragazza.
Sei finita,
ragazzina.
“Scusa
che
cosa hai detto?!?”
“Hai capito.”
Colton
strinse i pugni
con rabbia, tanto che sentì le unghie delle dita premere
contro la
sua pelle. Respirò a fondo, cercando di mantenere la calma.
“Anche
se non ne hai l'aspetto, a quanto pare e per ragioni a me
sconosciute, sei una donna. E io quando sono entrato in polizia mi
sono promesso che non avrei mai picchiato una donna, quindi
considerati fortunata. Ma sappi questo, non finisce qui.”
mormorò
Colton stringendo i denti, con un tono che non lasciava spazio a
dubbi.
Lei lo guardò con aria di sfida, ma non rispose. E di
nuovo, un silenzio glaciale, rotto poi dalla ragazza bionda, che si
rivolse alla bruna.
“Se posso chiedere.. come è successo?”
chiese, riferendosi al taglio sulle labbra.
La ragazza fece un
timido sorriso dovuto alla gentilezza della contadina, ma poi
tornò
nuovamente seria, per poi voltarsi nuovamente verso Colton.
“E'
stato uno sbirro.”
Colton alzò lo sguardo su di lei, e
fece un piccolo sorriso, un po' compiaciuto e un po' divertito.
“Si
vede che te lo sei meritato.”
La ragazza si pietrificò. Era impossibile dire se ne era rimasta ferita o se era la rabbia che cresceva di nuovo, ma di qualunque cosa si trattasse, doveva essere qualcosa di grosso, perché la sua espressione era fredda. Tutti gli occhi erano puntati su di lei, tranne quelli di Colton, che preferiva guardare nella direzione opposta.
Dopo
qualche secondo,
la giovane si alzò, ma non fece in tempo a fare qualche
passo che
subito Colton parlò di nuovo.
“Ecco brava. Vattene via che
è meglio.”
Poi
tutto successe in
un attimo, e alla velocità si aggiunse la sorpresa. Colton
si voltò
alla sua destra, e neanche il tempo di rendersi conto di quello che
stava succedendo che si ritrovò un pugno sulla faccia che
gli colpì
forte il naso, tanto da farlo sanguinare. Un colpo non
particolarmente forte, ma preciso e veloce, e talmente inaspettato
che neanche un poliziotto come lui riuscì a fermarlo.
Note.
Dopo davvero tanto, troppo tempo, eccomi con un nuovo capitolo e un
nuovo personaggio. Il suo nome, Colton, vuole essere un tributo a Cole
Phelps, poliziotto anche lui e protagonista del gioco L.A. Noire, da
cui proviene la citazione. Probabilmente non interessa a nessuno, ma ci
tenevo a dirlo.
Ho voluto impostare questo capitolo in maniera diversa. Nei precedenti
c'era più descrizione, e in questo ho voluto inserire
più dialoghi e pensieri, anche perché il luogo in
cui si trova Colton è lo stesso già descritto nel
primo e nel terzo capitolo, e non volevo diventare ripetitiva. In
compenso ho voluto farvi un regalino di Natale anticipato. Una
descrizione rapida dei tre prescelti rimasti. Ovviamente ancora non
sappiamo i loro nomi e da quali paesi ed epoche arrivano, ma ci
tenevo a darvi un piccolo assaggio di loro, quel che basta per
presentarveli, starà a voi decidere l'impressione che vi
hanno fatto.
Ah un'altra cosa. Come avrete notato, il capitolo è tutto
impostato dal punto di vista di Colton. Per questo non ho inserito i
nomi di Preston e Giovanna, ma li ho sostituiti con cowboy e contadina.
Voi sapete i loro nomi, ma Colton no. E dato che il capitolo
è raccontato dal suo punto di vista, mi è
sembrato corretto raccontarlo in questo modo.
Un grazie speciale a koan_abyss e alessandroago_94 per le bellissime
recensioni che mi hanno lasciato per il capitolo precedente. Spero che
apprezzerete anche questo, e sono curiosa di sapere cosa ne pensate!
Un bacio a chiunque leggerà questo capitolo, a chi segue la
storia, e soprattutto a chi mi lascerà una recensione! Alla
prossima!