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Autore: michaelgosling    21/08/2017    2 recensioni
Delle creature geneticamente modificate capaci di mutare aspetto e di viaggiare nel tempo rischiano di alterare la storia dell'umanità.
Sei persone completamente diverse per età, carattere, mentalità e che vivono in diversi luoghi e in diverse epoche vengono scelte per fermarle.
Dal testo (secondo capitolo):
"Perché? Perché noi?"
"Perché siete anime spezzate."
Genere: Angst, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4. COLTON HARRINGTON

“Nei marine c'è una gerarchia da rispettare. Anche lì si commettono errori, ma si possono gestire. Sai per cosa combatti e tutti fanno parte della stessa squadra. Lottare contro la corruzione, invece, è come inseguire le ombre. Non sai mai chi è sul libro paga dei cattivi, magari è il tuo partner, oppure il comandante di turno.”

                                                                                                                                                                      (L.A. Noire)




Non gli piaceva quel posto.

Non gli piaceva quella situazione.

Non gli piaceva quel Bauer.

Era troppo misterioso, sapeva parlare solo per enigmi, parlava e parlava senza mai rispondere a nulla, senza mai dire qualcosa di concreto. E se c'era una cosa che aveva imparato da quando era entrato in polizia era che non c'era mai da fidarsi delle persone che non rispondevano direttamente ad una domanda.

Aveva una vita perfetta. Prestava servizio nel Dipartimento di Polizia di Los Angeles come agente anche se ancora per poco dato che era ad un passo dalla promozione a Detective e come ciliegina sulla torta, aveva da qualche mese una relazione sentimentale con una ragazza che riteneva essere quella giusta, viste le loro molteplici affinità e tutte le cose che avevano in comune.

Insomma, la sua vita non poteva andar meglio.

E ora questo. Un incubo dal quale desiderava svegliarsi ad ogni costo. Viaggi nel tempo? Ma chi li ha mai voluti?!? Lui stava benissimo nel suo mondo, nella sua città, nel suo ambiente, non era minimamente interessato a viaggiare nel tempo e nello spazio. Per combattere delle creature disgustose poi? Ma perché? Chi glielo faceva fare? Assolutamente no.

E se questo vecchio pensa seriamente di convincermi con il senso di colpa che solo io posso e stronzate varie sull'essere scelti, si sbaglia di grosso. Io rischio la vita tutti i giorni inseguendo ladri, delinquenti e assassini per servire e proteggere la popolazione di Los Angeles, e poi non sono sopravvissuto alla guerra e tornato nel mio paese per finire in una farsa assurda. Con questi tizi poi? Sembrano usciti da un circo!

“Bene, ci siamo tutti. Io ehm, ecco,.. scusate ma è tutto nuovo anche per me, ma cercherò di essere il più chiaro possibile..”

Tu chiaro? La vedo dura.

“.. immagino che siate tutti un po' imbarazzati..”

Puoi giurarci.

“.. è normale all'inizio, ma penso che le cose cambieranno..”

Tu vivi nel mondo dei sogni.

“.. ma cercate di andare d'accordo. E' questa la parte più difficile. So che non sarà semplice per nessuno di voi. Siete diversi per mentalità, epoca, nazionalità. Ma sono certo che con il tempo, e con un po' di tolleranza, riuscirete a trovare un punto in comune. Il mio consiglio è di allargare i vostri orizzonti, di cercare di capire l'altro prima di giudicare..”

Quello che capisco io è che questi li voglio ben lontani da me.

“Ci tengo subito a spiegarvi che le diverse lingue che parlate non saranno un ostacolo, non per la vostra comunicazione, almeno. Vi ho messo un microchip nel corpo che..”

TU COSA? Che hai fatto?!? Che mi hai messo dentro? E dove? Come hai osato? In un ospedale psichiatrico devono metterti, brutto bastardo.

“.. non agitatevi, vi prego. E' minuscolo, ed è talmente piccolo che è del tutto innocuo per il vostro corpo. E' come un piccolo neo. Ne ho uno anch'io, sapete? Non vi accorgerete neanche di averlo. Quel microchip vi permettere di comprendere, e farvi comprendere, in ogni lingua del mondo. Io sono tedesco..”

Tedesco? Hitler? Perfetto. Davvero magnifico.

“.. e sto parlando nella mia lingua, eppure voi riuscite a comprendermi benissimo. Grazie a quel microchip, ogni volta che qualcuno vi parlerà in qualunque lingua voi capirete, perché qualunque cosa dica, voi la sentirete nella vostra lingua. E quando sarete voi a parlare con qualcuno di un'altra nazionalità, avviene la stessa cosa. La persona che avrete davanti sentirà cosa direte nella sua lingua. A questo serve il microchip. E' una specie di traduttore personale.”

Quindi non ho scusanti. Devo per forza socializzare con questi plebei.

“Torno subito, devo controllare una cosa. Voi intanto fate due chiacchiere.. parlate.. cercate di fare amicizia..”


Cos'è una battuta? Hai sul serio detto “fare amicizia”? Scherzi, vero?

Henrich lasciò il soggiorno per andare in un'altra stanza, e per la prima volta dopo tanto tempo, Colton si sentì veramente a disagio.

Aveva ucciso, vissuto per una ragionevole quantità di tempo con la possibilità di morire da un momento all'altro, aveva visto cadaveri in ogni stato, cadaveri di suoi compagni in guerra, cadaveri di americani uccisi da un assassino che lui avrebbe dovuto trovare in patria, eppure nulla, assolutamente nulla di quello che aveva passato, poteva essere equiparato all'imbarazzo che provava in questo momento, almeno a quanto ricordasse.

Colton Harrington aveva molti difetti: era serio, sarcastico, superficiale come pochi, e sempre pronto a puntare il dito contro chi non rispecchiava i suoi altissimi standard, ma era sempre sicuro di sé. Sicuro su cosa fare, cosa dire, in ogni situazione. Eppure ora, era disorientato. Iniziò a guardarsi i piedi, le gambe, le dita delle mani, l'uniforme da agente che ancora indossava. Ogni cosa gli sembrava più interessante.


Il tempo scorreva lentamente, quasi a rallentatore, cinque di loro iniziarono a guardarsi intorno, ansiosi di rivedere Henrich per porre fine a quella situazione imbarazzante, ma lui non arrivava e il disagio ormai aveva raggiunto livelli impressionanti.

Solo uno di loro era rimasto come.. indifferente? Colton pensò fosse una motivazione valida per vederci chiaro, così alzò lo sguardo e guardò il diretto interessato.

Si trattava di un uomo alto e magro di massimo trent'anni, il viso era come sciupato, segnato da qualcosa di indelebile che lo avrebbe accompagnato per il resto della vita. Aveva un accenno di barba appena visibile color oro, esattamente come i capelli corti, rigorosamente pettinati, quasi come una madre pettina i capelli del figlio ancora piccolo prima che esca per andare a scuola. Indossava una camicia a righe chiusa fino all'ultimo bottone a mezze maniche, dei comunissimi jeans accompagnati da una comunissima cintura, delle scarpe ormai troppo vecchie e un orologio al polso sinistro.

Era indubbiamente un uomo attraente, forse il più bello dei quattro riuniti in quella stanza, e dai vestiti che indossava, Colton ipotizzò che doveva provenire da un'epoca simile alla sua, ma comunque non si sentì affatto rincuorato.

C'era qualcosa in quell'uomo.. qualcosa di strano. Qualcosa di inquietante. Era come se gli mancasse una parte. Il suo sguardo era come perso nel vuoto, come se nulla gli stesse accadendo, come se non valesse la pena prestare attenzione alla sua situazione. Gli occhi chiari erano come smarriti, stanchi, sul punto di chiudersi, ma la cosa più inquietante in assoluto era la sua espressione. Vuota. Smarrita, come gli occhi e il suo sguardo. Come se non avesse un anima. Come se fosse una macchina. Come se non avesse niente dentro. Niente sentimenti, emozioni. Un guscio vuoto.

Non mi piace affatto questo tizio, istinto di poliziotto. Altro che farci amicizia, questo è da tenere d'occhio.

Vicino a lui, c'era una donna. Una giovane donna bionda e con gli occhi chiari, molto magra. E bella. Proprio il tipo di donna che piaceva a Colton. Bionda. Occhi chiari. Magra. Era proprio il suo tipo di donna. Ma l'idillio non durò a lungo per il poliziotto: non appena si rese conto di quanto fosse sporco e rovinato il vestito che indossava, così come le dita, l'interesse romantico che nutriva per lei sparì in un colpo solo.
Ma quando è stata l'ultima volta che si è fatta un bagno? Deve essere proprio una poveraccia. Peccato, era così attraente.

Vicino a lei c'era un uomo che sembrava uscito da uno di quei film Western che a volte Colton aveva visto al cinema con la sua ragazza. Un uomo che sprizzava Far West da ogni parte, dai baffi scuri ai piccoli occhi azzurri, dal cappello nero rovinato alle mani segnate dal lavoro. L'unica differenza era che i protagonisti dei film erano giovani e belli, mentre l'uomo che aveva davanti sembrava più l'ubriacone che veniva ucciso subito.

Di bene in meglio. Riconfermo ciò che pensai prima. Un circo. E della peggior specie.

Accanto al cowboy c'era un uomo sulla quarantina piuttosto pallido, alto e magro, dall'aspetto regale e con indosso quella che doveva essere un uniforme di qualche tipo, anche quella all'apparenza regale, lasciando intendere che avesse un ruolo importante. Forse un ammiraglio? Un capitano? Un commodoro? Gli occhi erano piccoli e color verde scuro, e il colore dei capelli era ignoto, dato che indossava un parrucca bianca, che sembrava quasi reale, ma quell'uomo era troppo giovane per avere i capelli così bianchi, quindi era impossibile.

Da qualsiasi paese venisse, doveva vivere in un palazzo, un castello, un ambiente nobile a cui doveva essere abituato dalla nascita, a giudicare dalle mani bianche e lisce come se non avesse mai fatto un lavoro manuale in vita sua, e un ulteriore conferma arrivò quando Colton vide come guardava la bella donna bionda. Con disprezzo, forse per essere seduto vicino a lei, perché la riteneva inferiore, quasi una subordinata, perché se aveva avuto a che fare con persone così, dovevano per forza essere sue subordinate che gli dovevano rispetto, e che al minimo errore sarebbero state buttate fuori.

Ecco, con questo forse potrei andare d'accordo. E' un nobile di sicuro. Composto, pulito, e forse ha un minimo di cervello.

Spostò lo sguardo per osservare l'ultimo, ma quando lo fece, non riuscì a trattenere un espressione disgustata. Davanti a lui c'era un ragazzo.. o una ragazza? Non riusciva a capirlo. Non sapeva nemmeno se fosse umano. O umana. Certo ne aveva la sembianze, ma tutto il resto era sbagliato, tutto il resto era fuori posto, e Colton si sentì come sull'orlo di una crisi.

I suoi capelli scuri che arrivavano fino alle spalle erano un autentico disastro. Sporchi, spettinati, pieni di nodi. Orribili. Aveva due enormi occhi scuri, dello stesso colore dei capelli, nascosti dietro un paio di vecchi e grandi occhiali, così come le sopracciglia a gabbiano, per niente curate e non abbastanza sottili.

Così come la zona tra il naso e la bocca, piena di peli orribili e assolutamente inguardabili, lì da chissà quanto tempo. Il viso, seppur molto angelico e dai lineamenti dolci, era rovinato un po' per quei peli che avrebbero dovuto essere rimossi e un po' anche per qualche brufolo, sparso qua e là, e la totale mancanza di trucco non aiutava certamente le cose.

Le labbra erano screpolate e..

Oddio! Cos'è quello? Un taglio? Ma è enorme. Questa c'ha un enorme taglio su entrambe le labbra. Che schifo. Orrore!

Cercò di guardare altrove, freneticamente, quando ritornò sui suoi occhi, che sembravano così profondi da rendere la presenza degli occhiali del tutto irrilevante. Occhi pieni di rabbia, freddi, gelidi. Pieni di rancore represso che non voleva più essere tale, una furia che stava per esplodere da un momento all'altro. Ed erano puntati su di lui.


Ma che ha da guardare questa? Sono io che dovrei guardarla male, non lei a me. Ma ha visto come è conciata?

E lo fece. Continuò a guardarla. Male. Con giudizio. Con disgusto. Persino i suoi abiti erano fuori luogo. Una maglietta nera con una specie di logo, che non riusciva a leggere. Dei jeans e delle scarpe. Era chiaramente una donna, ma non ne aveva affatto l'aspetto. Non era femminile, non era bella, non era curata, e invece che nascondere i suoi difetti come ogni donna rispettabile, lei li mostrava quasi con orgoglio. Quale donna sana di mente si comporterebbe così?

Lei fece altrettanto. Lo aveva guardato male dal momento in cui si era seduto per ragioni a lui ignote, ma in parte il poliziotto ne era soddisfatto. Soddisfatto che la loro antipatia fosse reciproca, così non si sarebbe trattenuto nei loro litigi futuri, e il primo era dietro l'angolo, quasi conclamato, ma qualcuno parlò, impedendolo.


Dovrebbe essere più femminile, signorina. Non troverà mai marito se persiste nel mantenere un aspetto tanto lascivo.”

Era stato il nobile a parlare, il primo dei sei a parlare. La sua voce era seria e fredda, ma non c'era cattiveria in essa. Guardò la ragazza con gli occhiali, aspettandosi una risposta. Lei lo guardava, cercando di trattenersi dal fare un piccolo sorriso. Nessuno riusciva a capire se fosse arrabbiata o divertita.

“Fortuna che me l'hai detto, è proprio lo scopo della mia vita trovare marito.”


Il nobile annuì leggermente con la testa.

“Lieto di essere stato d'aiuto.”


La ragazza si mise una mano davanti alla bocca forse per nascondere un sorriso, mentre il biondo che appariva assente per la prima volta si voltò verso il gruppo, come se fosse finalmente interessato a cosa stesse succedendo.

“Da dove vieni tu non esiste il sarcasmo, bigodino?” bofonchiò il cowboy, lanciando uno sguardo d'intesa e ammirazione alla ragazza.


Non desiderate trovare marito?”

La ragazza fece finta di pensarci, e dopo qualche secondo rispose con un secco “No”.


Ma se rimarrete nubile, diverrete un peso per la vostra famiglia.” continuò il nobile, non riuscendo a concepire come una donna potesse avere un altro scopo di vita se non essere moglie e madre.

“Non ti preoccupare di questo. Lo sono già. E posso assicurarti che la cosa non cambierà.”


Lascia perdere..” mormorò Colton, rivolgendosi al nobile, per poi voltare lo sguardo di nuovo verso la ragazza “.. anche se volesse un marito, non lo troverebbe. I capelli potrebbero anche essere aggiustati, ma quell'orrore sulla labbra? Per non parlare di quei disgustosi peli intorno alla bocca. Una scimmia che si veste d'oro, rimane comunque una scimmia.”


Quell'atmosfera colloquiale e rilassata che poco a poco si stava creando, sparì di colpo. La ragazza guardava Colton con occhi nuovamente gelidi, furiosi, mentre il poliziotto neanche la considerava più. Gli altri quattro puntarono gli occhi su loro due, sbigottiti, guardando prima l'uno e poi l'altra, un po' dispiaciuti per la ragazza, e un po' curiosi di vedere la sua reazione.

“Mi vuoi baciare?” chiese tranquillamente la ragazza, con un tono sereno e dolce, tanto da fare quasi paura.


Tutti si gelarono e la guardarono sconvolti. Nessuno si sarebbe aspettato quella risposta. Colton la fissava con occhi che sembravano essersi fatti più grandi da quanto era rimasto sorpreso. E disgustato.

“Cos.. come.. che.. che schifo, no! Neanche se fossi l'ultima donna sulla faccia della Terra!”


E allora cosa cazzo te ne frega di cosa ho sulla bocca?!?” urlò lei, trionfante e soddisfatta, e anche compiaciuta di urlare contro quel poliziotto.

Colton la guardò sorpreso. Incredulo. Non riusciva a credere a quello che stava succedendo. Sentì qualcuno ridere, probabilmente il cowboy dato che aveva preso in simpatia quella maledetta ragazzina.

“Cazzo? Questa parola mi è sconosciuta. Qual'è il suo significato?” chiese il nobile, ansioso di avere una risposta e sentendosi un po' stupido per non averne capito il senso.

“E' un rafforzativo.” mormorò il cowboy, senza però smettere di guardare la ragazza e il poliziotto.

“Come osi parlarmi in questo modo, ragazzina? I tuoi genitori non ti hanno insegnato a portare rispetto agli adulti? Io faccio parte del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, sai? Anzi, a dirla tutta, sto per diventare Detective, quindi vedi di chiudere la b..”

“Cosa? Detective? Non sei un po' troppo giovane?” chiese il cowboy, mantenendo la sua solita espressione imbronciata.

“Non se sei corrotto..” bofonchiò la ragazza.

Sei finita, ragazzina.

“Scusa che cosa hai detto?!?”


Hai capito.”


Colton strinse i pugni con rabbia, tanto che sentì le unghie delle dita premere contro la sua pelle. Respirò a fondo, cercando di mantenere la calma.

“Anche se non ne hai l'aspetto, a quanto pare e per ragioni a me sconosciute, sei una donna. E io quando sono entrato in polizia mi sono promesso che non avrei mai picchiato una donna, quindi considerati fortunata. Ma sappi questo, non finisce qui.” mormorò Colton stringendo i denti, con un tono che non lasciava spazio a dubbi.

Lei lo guardò con aria di sfida, ma non rispose. E di nuovo, un silenzio glaciale, rotto poi dalla ragazza bionda, che si rivolse alla bruna.

“Se posso chiedere.. come è successo?” chiese, riferendosi al taglio sulle labbra.
La ragazza fece un timido sorriso dovuto alla gentilezza della contadina, ma poi tornò nuovamente seria, per poi voltarsi nuovamente verso Colton.

“E' stato uno sbirro.”

Colton alzò lo sguardo su di lei, e fece un piccolo sorriso, un po' compiaciuto e un po' divertito.

“Si vede che te lo sei meritato.”


La ragazza si pietrificò. Era impossibile dire se ne era rimasta ferita o se era la rabbia che cresceva di nuovo, ma di qualunque cosa si trattasse, doveva essere qualcosa di grosso, perché la sua espressione era fredda. Tutti gli occhi erano puntati su di lei, tranne quelli di Colton, che preferiva guardare nella direzione opposta.


Dopo qualche secondo, la giovane si alzò, ma non fece in tempo a fare qualche passo che subito Colton parlò di nuovo.

“Ecco brava. Vattene via che è meglio.”


Poi tutto successe in un attimo, e alla velocità si aggiunse la sorpresa. Colton si voltò alla sua destra, e neanche il tempo di rendersi conto di quello che stava succedendo che si ritrovò un pugno sulla faccia che gli colpì forte il naso, tanto da farlo sanguinare. Un colpo non particolarmente forte, ma preciso e veloce, e talmente inaspettato che neanche un poliziotto come lui riuscì a fermarlo.



Note.


Dopo davvero tanto, troppo tempo, eccomi con un nuovo capitolo e un nuovo personaggio. Il suo nome, Colton, vuole essere un tributo a Cole Phelps, poliziotto anche lui e protagonista del gioco L.A. Noire, da cui proviene la citazione. Probabilmente non interessa a nessuno, ma ci tenevo a dirlo.

Ho voluto impostare questo capitolo in maniera diversa. Nei precedenti c'era più descrizione, e in questo ho voluto inserire più dialoghi e pensieri, anche perché il luogo in cui si trova Colton è lo stesso già descritto nel primo e nel terzo capitolo, e non volevo diventare ripetitiva. In compenso ho voluto farvi un regalino di Natale anticipato. Una descrizione rapida dei tre prescelti rimasti. Ovviamente ancora non sappiamo i loro nomi e da quali paesi ed epoche arrivano, ma ci tenevo a darvi un piccolo assaggio di loro, quel che basta per presentarveli, starà a voi decidere l'impressione che vi hanno fatto.

Ah un'altra cosa. Come avrete notato, il capitolo è tutto impostato dal punto di vista di Colton. Per questo non ho inserito i nomi di Preston e Giovanna, ma li ho sostituiti con cowboy e contadina. Voi sapete i loro nomi, ma Colton no. E dato che il capitolo è raccontato dal suo punto di vista, mi è sembrato corretto raccontarlo in questo modo.

Un grazie speciale a koan_abyss e alessandroago_94 per le bellissime recensioni che mi hanno lasciato per il capitolo precedente. Spero che apprezzerete anche questo, e sono curiosa di sapere cosa ne pensate!

Un bacio a chiunque leggerà questo capitolo, a chi segue la storia, e soprattutto a chi mi lascerà una recensione! Alla prossima!










  
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