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Autore: Adeia Di Elferas    21/08/2017    3 recensioni
Filippo Maria fu l'ultimo dei Duchi di Milano a portare il cognome Visconti. La sua personalità inquieta e ombrosa portava in sé tutti i tratti della follia dei suoi avi, ma proprio da lui avrà origine un corso tutto nuovo per il Ducato.
Genere: Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo, Rinascimento
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Beatrice Lascaris aveva già quarant'anni. Filippo Maria la fissava attonito, lui, che si sentiva ancora un ragazzino, per quanto avesse già vent'anni.

"Noi andremo d'accordo." disse la donna, quando furono vicini, dinnanzi all'altare e al Visconti non restò che crederle.

Bartolomeo Capra, con il suo modo lento e accattivante di parlare, lo aveva convinto che sposare la vedova di Facino Cane era l'unica strada percorribile. Ora che il Ducato era finito nelle sue mani, non era più tempo di starsene rinchiuso nel castello di Pavia ad aspettare che succedesse qualcosa.

In più, si era anche trattato delle ultime volontà di Cane, che desiderava rimpolpare le casse viscontee con i suoi soldi e le sue terre.

Quando la cerimonia cominciò, Filippo Maria deglutì e cercò di stare attento. Non guardava nemmeno il profilo della donna che gli stava accanto.

Chiuse un istante gli occhi e poi fece un profondo respiro, benché il tanfo d'incenso avesse rischiato di farlo tossire.

La sua mente era tornata indietro nel tempo, a quando aveva dodici anni. Ricordava molto bene come sua madre, assieme a Jacopo Dal Verme, Pandolfo Malatesta e Facino Cane, lo stesso la cui vedova ora stava davanti all'altare, avevano sventato un colpo di Stato ai danni di Giovanni.

Filippo sentì un morso allo stomaco nel ricordare suo fratello. Non erano mai andati d'accordo, anche se si erano sempre visti molto poco.

E poi sentì le gambe tremare, quando si ricordò di come fosse stato lui stesso a tradire sua madre e suo fratello Giovanni, permettendo, appena ragazzino com'era, che i fuoriusciti di Milano trovasse a Pavia da lui un appoggio e un luogo per rifugiarsi.

"State bene? Vi vedo pallido..." sussurrò Beatrice, il cui volto serafico nascondeva una certa preoccupazione.

"Sto bene." bisbigliò di rimando il giovane Duca, il mento prognato imperlato dal sudore che era sceso fin dalla fronte.

 

"Non sono più un ragazzo." disse piano il ventiseienne Filippo Maria Visconti,puntando gli occhietti – che si erano fatti con il tempo sempre più freddi e lontani – sul suo cancelliere: "So quello che faccio."

L'altro fece un mezzo inchino e sparì subito dalla vista del suo signore. Il Duca ne fu lieto. Non lo sopportava più. Così come non sopportava più sua moglie Beatrice.

Nei sei anni di matrimonio che li avevano posti l'uno accanto all'altra, Filippo Maria aveva imparato a conoscerla.

Lei lo aveva accettato per quello che era e non aveva mai detto una parola contro di lui.Non aveva accennato mezza accusa contro di lui neppure quando l'aveva visto assieme a uno dei suoi paggi.

Filippo Maria era morto di vergogna, ma quando Beatrice aveva sorriso e se n'era andata scusandosi, aveva capito che non doveva temerla, almeno da quel punto di vista.

Dopotutto, non avevano mai condiviso il letto nemmeno una volta dal giorno delle nozze, e lei non pareva soffrirne. Non si era mai trovata ad aspettare figli, ma il Duca era certo che fosse solo un caso. Esattamente come lui, anche lei sapeva dove cercare la compagnia che le interessava.

Però, decretare la sua condanna a morte per adulterio, ormai, era un atto dovuto. Sposarla era servito a consolidare il Ducato, ma adesso stava diventando troppo ingombrante.

Facendo pesare i suoi vent'anni in più, Beatrice aveva sempre messo il naso negli affari di Stato. Se all'inizio il Duca aveva accettato quell'ingerenza di buon grado, ormai non poteva più tollerarla. Era un uomo adulto e presto lo avrebbero preso tutti sottogamba, quando avessero saputo che dietro ogni sua decisione, perfino le più spregiudicate, si nascondeva una donna come Beatrice Lascaris.

 

Filippo Maria stava passando – stranamente in solitudine – nell'ala della fortezza che era stata di sua moglie.

Le sue dame di compagnia erano ancora lì. Egli, infatti, non aveva ancora deciso che farne diloro.

In fondo non c'entravano nulla, con la morte di Beatrice. Né con quella del suo amante. Erano forse un rischio, comunque? Qualcuna di loro avrebbe potuto dimostrarsi più attaccata del previsto alla sua signora? Qualcuna avrebbe osato cercare vendetta?

Incapace di scacciare quel dubbio dalla testa, il Duca si voltò e cominciò ad accelerare il passo, desideroso come non mai di tornare ai suoi alloggi, sotto gli occhi dei paggi e dei soldati che custodivano la sua incolumità mentre dormiva. Era stato uno sciocco ad avventurarsi a quel modo, da solo, in piena notte, per la fortezza...

Mentre girava l'ultimo angolo, però, la sua mezza corsa venne bloccata da un'ancella. Quasi finendo per terra, la giovane si appoggiò al muro e si lasciò scappare una frase di rammarico per la candela che, cadendo, si era spenta.

Filippo Maria la guardò bene e la riconobbe. Era una delle dame di Beatrice che aveva più impresse in mente. Anzi, forse l'unica. Non era suo costume guardare le donne, per quanto giovani e belle, ma lei l'aveva guardata spesso.

Voleva dirle qualcosa,ma non sapeva cosa. Così, sfruttando la sua autorità, optò per qualcosa di neutrale.

Benché sapesse benissimo chi fosse, chiese, a voce tanto bassa che, se il silenzio non fosse stato così immobile, forse lei non avrebbe sentito: "Chi siete?"

"Agnese Del Maino, figlia del Conte Palatino Ambrogio Del Maino. Sono una serva della Duchessa." disse la giovane, la voce sottile che si incrinava.

Il Duca puntò glio cchietti sui suoi capelli biondi e poi sulle sue forme rotonde e fresche. Non sapeva dire quanti anni potesse avere, ma di certo era molto più giovane di Beatrice. E forse anche di lui.

Sentendo dentro di sé una forza che mai aveva provato davanti a una donna, Filippo sragionò.

Afferrò la donna per un polso e chiese, in un ringhio: "La stanza di mia moglie è libera?"

Anche quella era una domanda inutile, dato che sapeva benissimo che era così, ma il Duca voleva prendere tempo e aveva creduto che parlare fosse una buona idea.

La ragazza annuì,sentendo il sangue gelarsi nelle vene. Come tutti, era terrorizzata da quell'uomo strano e crudele. Sapeva di cosa era capace, sapeva di cosa erano stati capaci i suoi avi. Tutti ancora ricordavano le brutture di cui si era macchiato suo nonno materno.

Perciò, più per paura di perdere la vita che non per reale volontà, quando capì che il Duca la voleva, Agnese non fece nulla per opporsi e lo seguì in silenzio fino nella stanza della Duchessa, dove egli la prese con rabbia e con la fretta di chi sente di aver appena commesso una colpa gravissima.

 

Il musico Michele Orombelli salì con riottosità le scale che lo stavano portando al ceppo per la decapitazione.

Nel cortile del castello di Binasco si era radunata una piccola folla e il giovane non aveva alcuna intenzione di dare spettacolo. Però, la paura era paura e non riuscì a trattenersi, quando lo fecero inginocchiare davanti al boia.

Scoppiò a piangere e, quando la lama cadde con un unico colpo secco sul suo collo, stava piagnucolando qualcosa a metà strada tra una preghiera e una maledizione.

Beatrice arrivò appena dopo di lui. Aveva visto tutto e quando posò le ginocchia in terra, per poco non scivolò sul sangue del suo amante. Di uno dei suoi amanti. Era stato solo quello più sfortunato.

Era ormai sera inoltrata e solo le luci della torce a muro bagnava la scena. La moglie del Duca guardò un momento il cielo settembrino pieno di stelle e poi si fece forza.

Sentiva di aver vissutola sua vita. Aveva quarantasei anni. Molte donne morivano più giovani. Le spiaceva solo che dovesse finire così, nell'ignominia e nello scandalo.

E le dispiaceva anche per Michele. Era stato un giovane uomo così bello e così bravo a suonare i suoi strumenti che era un peccato per l'Italia intera, doversene privare.

Però, pensò, mentre appoggiava docile il collo sul ceppo e chiudeva per l'ultima volta gli occhi, sapeva i rischi che correva, a sposare il nipote di Bernabò Visconti.

 

Gli astrologi del Duca aspettavano con pazienza che si esprimesse in qualche modo. Parimenti, due giovani paggi di notevole bellezza, attendevano pazienti, uno con una brocca di vino e l'altro con un vassoio pieno di dolci, ai lati della finestra dalla quale il loro signore stava guardando fuori.

Non era ancora sorta l'alba, ma, come spesso faceva, Filippo Maria aveva preteso che i suoi servitori lo seguissero in quell'ala della fortezza di Porta Giovia, senza dare altre spiegazioni.

Il suo fisico imponente, il suo sguardo sfuggente e criptico, e la sua voce – poco più che un sussurro – erano tra le cose che più venivano temute dai suoi sottoposti. Ogni suo ordine veniva eseguito con una solerzia impagabile e tutti parevano fare a gara a dimostrarsi i più fedeli tra i servitori di Sua Signoria.

Anche quando aveva deciso di lasciare il centro di Milano per andare a rintanarsi in una vecchia fortezza quasi in disuso, piena di spifferi e umida come una cantina, nessuno aveva osato fiatare e la corte si era trasferita in un batter d'occhio laddove Filippo Maria aveva deciso.

Il suo carattere era ricco di sbalzi d'umore e di manie, con in più una straziante attenzione verso tutto ciò che poteva portare il malocchio o qualsiasi altra avversità della sorte, eppure non sembrava esserci onore maggiore che divenire un suo servitore.

I paggi, poi, dovevano seguire una gavetta da lui stesso ideata. Passavano due anni con precettori che li educavano al silenzio, alla solitudine e alle altre stranezze del Duca. Dopodiché, senza che fosse loro più permesso avere contatti con le famiglie d'origine – per paura che potessero a tal modo farsi tramiti per qualche orribile congiura – Filippo Maria li teneva al suo servizio in prova per qualche mese e solo allora, se erano di suo gradimento e si dimostravano del giusto temperamento, li teneva con sé.

Il Duca sentiva i respiri lenti degli astrologi e dei paggi alle sue spalle. Aveva un cerchio alla testa e avrebbe voluto dormire, ma quella notte i suoi incubi non glielo avevano permesso.

Sentiva qualcosa ribollire nelle vene, come le altre volte. Non capiva perché. Aveva allontanato Agnese apposta per non esserne distratto. I castelli di Cusago,  Abbiategrasso e Bereguardo erano a sua completa disposizione.

Anche se all'inizio non l'aveva trattata con rispetto e le aveva solo messo paura, con il tempo erano riusciti a trovare un equilibrio e, quando a lei era stato chiaro che lui non avrebbe rinunciato per nessun motivo alla possibilità di averla per sé quando voleva, Agnese era stata capace di accettare tutto quanto, accontentandosi di un ritorno economico di tutto rispetto e della vita agiata che sua padre, un misero Conte Palatino, non sarebbe mai riuscito a darle.

Anche quella notte, Filippo Maria la desiderava, ardentemente, eppure ogni volta, poi,faceva fatica a soddisfare il suo bisogno. Erano quasi quattro anni che la visitava, saltuariamente, e ogni volta, anche se era il desiderio a spingerlo a muoversi anche negli orari più assurdi, l'impresa finiva per dimostrarsi più ardua del previsto.

"Stanotte va bene? Le congiunzioni... Le congiunzioni astrali sono favorevoli?" chiese il Duca, con il suo solito filo di voce, le mani strette l'una nell'altra dietro la grossa schiena.

Sapendo benissimo cosa il loro signore voleva sentirsi dire, gli astrologi finsero di consultarsi e di interpretare le loro mappe, e poi, all'unisono, dissero: "Sì, Vostra Signoria, questa notte è propizia per concepire l'erede al Ducato!"

 

Agnese venne svegliata di colpo e per qualche istante restò accecata dalla luce iridescente della piccola torcia che la sua serva aveva portato con sé.

"Filippo?" chiese la donna, interpretando senza fatica lo sguardo un po' preoccupato della sua cameriera.

Questa annuì, e così Agnese si mise a sedere e si affrettò a darsi una sistemata. Non le piaceva essere disturbata a quel modo quando meno se lo aspettava, ma era una donna abbastanza pragmatica da capire che non era il caso di fare le difficili.

In quattro anni, benché,bene o male, fosse riuscita ad aiutare Filippo Maria con i suoi problemi tra le lenzuola, non era ancora riuscita a dargli un figlio e questo avrebbe potuto essere un problema, prima o poi.

Un Duca senza eredi, era in pericolo. Filippo Maria, poi, pareva credere molto in lei, tanto che era riuscito a strappare il permesso di scegliere un erede perfino tra i figli illegittimi, come se fosse certo che solo con lei avrebbe potuto generare un figlio, benché fosse in trattative già in quei giorni per risposarsi.

Il bussare impaziente di qualcuno fece sì che Agnese smettesse di affaccendarsi vicino allo specchio e dicesse alla serva: "Apri pure."

La donna andò alla porta e con un inchino lasciò entrare il Duca Visconti assieme a un piccolo drappello di astrologi e soldati.

La giovane Del Maino si sistemò i capelli biondi dietro l'orecchio e abbassò lo sguardo. Quella era un'altra cosa che la metteva sempre in forte disagio.

Filippo Maria parve ricordarsene e così ordinò a bassa voce ai suoi di andarsene. Non gli piaceva restare senza guardaspalle, nemmeno quando era con Agnese, ma doveva ammettere che senza pubblico tutto diventava più semplice.

Non appena la spessa porta di legno fu di nuovo chiusa alle sue spalle, l'uomo, vestito in modo spiccio, come la sua partenza improvvisa dalla fortezza di Porta Giovia aveva imposto, camminò rapido verso l'unica donna che fosse mai riuscita a risvegliare in lui un barlume di desiderio.

La baciò in modo maldestro, come faceva sempre, come se averla tra le braccia fosse qualcosa di strano e difficile da accettare.

Agnese, che ormai conosceva anche troppo bene quell'uomo dall'animo così pieno di ombre da essere più buio della notte stessa, lo lasciò fare e poi,al momento giusto, prese in mano la situazione e si spinse fin dove il Duca le permise.

 

"Non può essere vero." sussurrò Filippo Maria, passandosi uno dei leggeri guanti da cavalcata da una mano all'altra.

Agnese Del Maino arrossì un po' e poi ribadì: "Ma è così, ti dico. Aspetto un figlio, ne sono sicura."

L'estate del 1424 parve al Duca la più luminosa della Storia dell'uomo. Erano almeno tre settimane, ormai, che non si recava da Agnese e quando era stata lei a chiedere formalmente di poterlo vedere, egli era trasecolato, ma aveva accettato, temendo subito qualcosa di grave.

Per esempio, si era detto, era possibile che la donna avesse scoperto qualche congiura e che non si fidasse a scrivergli una lettera.

E invece...

"Il padre sono io?" chiese Filippo Maria, adombrandosi per una frazione di secondo.

La Del Maino si chiese come potesse quell'uomo davvero farle una domanda del genere. Da quando l'aveva presa come sua favorita, l'aveva fatta controllare a vista notte giorno e solo da persone a lui fidatissime e da soldati dalla specchiata lealtà. Con tutta la buona volontà, come avrebbe potuto fare, lei, a ricevere un amante, se anche l'avesse voluto?

"Ti sono sempre stata fedele." confermò Agnese, allungando una mano e prendendo quella del Duca.

L'uomo, di norma, avrebbe reagito male a quel contatto, ma quella volta l'accettò senza fare una piega, anzi, alla giovane parve che ne fosse felice.

"Ormai ho imparato ad amarti e apprezzarti per quello che sei." fece piano Agnese, mentre portava la mano destra di Filippo Maria al suo ventre, come a presentargli la piccola vita che stava crescendo dentro di lei.

Il Duca si lasciò convincere a compiere quel gesto, più simbolico che non realmente utile, ma poi ritrasse la mano e si toccò la berretta con l'indice: "Ti auguro una buona salute. Verrò a trovarti, in questi mesi, e voglio essere avvisato, quando il momento arriverà."

 

Filippo Maria Visconti si stava mordendo, assorto, l'interno della guancia, mentre i suoi occhi piccoli e mezzi chiusi passavano in rassegna l'orizzonte, tinto di primavera, che Settimo Pavese offriva al suo signore.

Era il 31 marzo 1425. Al Duca pareva una bella data, per la nascita di un erede.

Nella sala in cui si era rintanato assieme a un paio di paggi, qualche soldato e due astrologi, l'aria si era fatta pesante. Stavano aspettando da ore e ancora non si sapeva nulla.

L'unico rumore che riempiva le sale del castello era ogni tanto un urlo di Agnese e,ogni volta, Filippo Maria stringeva i denti con tanta forza da farsi quasi male, come se ogni dolore del travaglio potesse essere incanalato in lui con quello stupido gesto e tolto dalle membra esauste della donna.

"Mio signore..." fece una delle levatrici, comparendo finalmente nella saletta: "Agnese chiede di voi."

"È nato?" domandò il Duca, con un tono così entusiasta e a voce tanto alta da stupire gli uomini del suo seguito.

"Sì, mio signore." rispose la donna, gli occhi bassi, come se qualcosa non fosse andato per il verso giusto.

Di colpo spaventato da quella possibilità, Filippo Maria prese a correre, mettendo a dura prova le sue ginocchia e i suoi polmoni non abituati a simili sforzi.

Quando arrivò nella camera di Agnese, la trovò viva e apparentemente in salute, benché sudata e stesa su lenzuola macchiate di sangue.

"Dov'è mio figlio?"chiese l'uomo, inginocchiandosi accanto a lei e ignorando del tutto le domestiche e l'altra levatrice che si rincorrevano per la stanza.

"Nostra figlia." lo corresse Agnese.

Filippo Maria si accigliò e parve non capire. Il suo mento importante ebbe un fremito e poi i suoi occhi piccoli e severi seguirono la mano di Agnese, che indicava l'anglo vicino alla finestra, dove la sua serva prediletta stava trafficando con un piccolo fagotto.

Il Duca andò a vedere e la domestica gli porse la piccola.

Filippo Maria, grande e grosso com'era, parve sciogliersi di colpo a quella vista. Per poco non scoppiò in lacrime di gioia e, in un attimo, non gli importò più che quella fosse una femmina. Era sua figlia. Era nata da lui. Nelle sue vene scorreva il suo sangue.

"Farò tutto quello che posso – le sussurrò – affinché il mio Ducato un giorno sia tuo."

Poi tornò da Agnese, tenendo in braccio, orgoglioso, la bambina. La donna lo fissò con dolcezza.

Non sapeva nemmeno lei dire perché, ma era stata certa che avrebbe reagito a quel modo, quando l'avesse vista. Non era il suo erede tanto sperato, ma quella bambina avrebbe avuto un padre pronto a tutto per lei.

"La chiameremo Bianca Maria." decretò Filippo Maria: "Bianca, come mia nonna e Maria, per devozione alla Madonna."

Agnese sorrise: "Bianca Maria Visconti."

"Farò allestire un'intera ala per voi due, al castello di Abbiategrasso – cominciò a pontificare il Duca: "E sceglierò per Bianca Maria la migliore delle balie, presso la famiglia dei Meravigli e poi..."

"E poi prendi fiato e respira!" rise Agnese e, straordinariamente, Filippo Maria Visconti scoppiò davvero a ridere.

 

Il Duca di Milano guardò la figlia, ormai una ragazzina, e scelse con calma le parole da usare.

In un lampo gli erano tornati in mente tutti i momenti che aveva trascorso con lei. I pomeriggi infiniti passati insieme ad Abbiategrasso, sotto gli occhi amorevoli e pazienti di Agnese. Le battute di caccia, durante le quali la piccola Bianca Maria spesso si dimostrava già migliore di lui. Le lunghe sere davanti al fuoco a parlare e scherzare insieme.

Anche se Filippo Maria era rimasto l'uomo spigoloso, ombroso e sospettoso di sempre, spietato e implacabile coi suoi nemici, con sua figlia diventava completamente diverso.

Bianca Maria era in grado di tirar fuori solo il meglio da lui. Lo faceva diventare buono come il pane e malleabile come il burro.

Quante volte il cancelliere o gli ambasciatori stranieri erano rimasti basiti nel vedere come a quella bambina fosse permesso giocherellare con i documenti ufficiali del padre, sederglisi in braccio e perfino attirarne l'attenzione per motivi stupidi nel corso di importanti riunioni?

In molti dicevano che, se Bianca Maria avesse preteso che il padre interrompesse un consiglio di guerra per giocare con lei, lui avrebbe accettato senza il minimo problema.

E adesso le stava per dire che l'uomo che lei stessa aveva scelto aveva, dopo mille perplessità e contrattazioni, acconsentito a sposarla.

"Dunque, padre?" chiese Bianca Maria, stringendo le mani al petto e osservando il volto arruffato del Duca con apprensione.

"Francesco Sforza ha accettato la nostra proposta." sorrise incerto Filippo Maria: "Sarà tuo marito."

Bianca Maria non resistette oltre e si tuffò al collo del padre, stringendolo a sé con un'euforia tanto contagiosa da costringerlo a incurvare le labbra verso l'alto.

"E così pare che sarò l'ultimo dei Visconti..." sussurrò Filippo Maria, quando la figlia sciolse il suo abbraccio: "I tuoi figli saranno degli Sforza. Il prossimo Duca di Milano sarà uno Sforza."

La ragazzina fece un mezzo respiro spezzato: "Dunque lo adotterete come avete pensato di fare?"

"Non vedo che altro fare, per legittimare i figli che avrete. A questo modo, tu non rischierai più nulla, bambina mia. Non dal punto di vista giuridico, almeno."

Bianca Maria lo abbracciò di nuovo e gli diede un bacio sulla guancia: "Grazie padre!"

"Sei sicura che lui sia l'uomo giusto per te?" chiese il Duca, avanzando per l'ennesima volta quella sua perplessità.

La differenza d'età e di estrazione a lui parevano incolmabili, eppure Bianca Maria era stata certa di voler sposare lo Sforza fin dalla prima volta in cui l'aveva visto.

"Sono sicura, padre." confermò Bianca Maria.

Dopo qualche chiacchiera ancora a riguardo dell'imminente matrimonio, il Duca lasciò libera la figlia di andare dalla madre a darle la buona notizia.

Mentre la osservava correre via, saltellante come quando era una bambinetta, a Filippo Maria si strinse il cuore. La ricordava ancora in fasce, minuta e stremata dallo sforzo di venire al mondo. E adesso era una donna pronta a diventare moglie e madre.

Asciugandosi di nascosto una lacrima, il Duca suonò la campanella, affinché il suo seguito rientrasse in camera e poi, mentre uno dei paggi gli versava da bere, si trovò a pensare che non era poi un male, che fosse lui, l'ultimo dei Visconti.

A quel modo, sua figlia sarebbe stata la prima di un nuovo corso: la prima degli Sforza.

 

 

   
 
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