Fanfic su attori > Altri attori/film
Segui la storia  |       
Autore: xkissmeyafool    21/08/2017    0 recensioni
[https://it.wikipedia.org/wiki/Shameless_(serie_televisiva_2011)]
La vita di Mickey non è facile, e il continuo susseguirsi di eventi più o meno negativi a cui ha da sempre preso parte o di cui è stato suo malgrado spettatore lo ha con il tempo portato ad una diffidenza e ad un'apparente impenetrabilità che Ian fa fatica a spiegarsi. Quest'ultimo sembra essere di gran lunga più agevolato, e a volta gli sembra quasi di sentirsi sopraffatto dal senso di inadeguatezza con cui Mickey sente di doverlo affrontare.
La realtà che li circonda è complicata per entrambi, e nessuno dei due può fare a meno di mostrare, a proprio modo, la propria frustrazione; eppure, forse, solo per questa volta, two wrongs might make a right.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Giorno dopo giorno, mi rendevo conto che lavorare al Patsy’s non era poi tanto male. 

Non mi dispiaceva stare a contatto con le persone, e finalmente dopo tanti anni, avevo la possibilità di essere una persona comune, con un’occupazione comune e una vita comune, almeno all’apparenza. La paga era buona, non delle migliori ma comunque vantaggiosa, e avevo la possibilità di pranzare gratis, ora che i clienti erano aumentati ed era stato necessario introdurre l’orario continuato. Spesso i miei fratelli passavano a trovarmi, anche se il più delle volte a muoverli era la speranza che potessi offrirgli un servizio gratuito. Ridacchiavano e mi prendevano in giro mentre mi rivolgevo ai clienti, probabilmente per il tono cordiale e amichevole che nessuno di loro aveva mai avuto occasione di sentirmi utilizzare, e mi avevano confessato più volte che sarebbero stati contenti di essere al mio posto. Sapevo che mentivano, perché nessuno di loro, nemmeno Samuel (che era il più piccolo e senza l’ombra di senso etico) era tagliato per le relazioni interpersonali, a meno che non si trattasse di consegne speciali e pagamenti in nero. Talvolta mi domandavo se avessero anche loro la consapevolezza di vivere una vita sbagliata. 

Non vedevo spesso Mandy, il nostro unico momento di confronto era al mattino prima di lasciare casa e la sera, se lei non era già andata a letto. Il mio turno pomeridiano di solito finiva alle nove, ma il mio nuovo lavoro aveva rappresentato l’unico cambiamento nella mia routine; non avevo perso la voglia né tantomeno l’abitudine di trattenermi all’Alibi fino a tardi, con gli stessi drink e ragazzi diversi. Sapevo per certo che mia sorella avesse dei presentimenti sul mio stile di vita notturno e che, se fosse venuto alla luce, sarebbe stata tutt’altro che d'accordo con la mia scelta, ma per il momento le avventure sessuali rappresentavano la mia unica occasione di svago, e non avevo intenzione di rinunciarvi. 

Quando passava al locale, di solito nel primo pomeriggio o prima di andare a scuola, notavo sempre la presenza di Debbie, e arrivai a chiedermi, non senza malizia, se mia sorella non stesse approfittando della sua compagnia per la semplice comodità di un viaggio in auto la mattina. Non che uno come me potesse biasimarla, a dire il vero. 

 

Mi rigiravo tra le mani un biglietto, facendo vagare la mente per distrarmi dal numero impresso su di esso. Avevo tentato di gettarlo via, ma una parte di me era consapevole del fatto che, ogni volta, sarei tornato a ripescarlo dal cestino della mia stanza. Non lo trovavo in alcun modo rassicurante, se non altro era frustrante a livelli estremi. 

 

“Allora…”

La voce alle mie spalle mi fece voltare di scatto, con il rischio di rovesciare un intero vassoio di Red Velvet. Una chioma rossa mi scrutava, il cipiglio divertito perennemente impresso sul suo volto. Ignorai la sua presenza, cercando riparo tra i tavoli ancora da servire. Detestavo vederlo al locale, la sua presenza mi metteva in soggezione, e mi sentivo continuamente sotto esame. Il mio inconscio aveva provato più volte a spiegarmi che queste sensazioni erano solo frutto della mia mente e che Ian Gallagher non passava la vita a crogiolarsi nell’attesa di farmi sentire a disagio, ma Mickey, la sua parte irrazionale, aveva eliminato il messaggio come si fa con la segreteria telefonica del telefono: senza ascoltarlo. Ed era terrificante per me dover pensare che un perfetto sconosciuto potesse avere tanto potere sulla mia persona. Recuperando dei piatti vuoti da un tavolo, osservai con la coda dell’occhio la sua figura, in piedi davanti al registratore di cassa e apparentemente molto interessata all’incontro di boxe che trasmettevano sul televisore. Gli sfrecciai davanti, dirigendomi in cucina senza degnarlo di un’occhiata. Stavo provando a mostrarmi il più impegnato possibile, in modo da dargli l’impressione di essere troppo indaffarato per prestargli attenzione. Lui però non accennava a voler andare via, e quando si sedette ad uno dei tavoli liberi, dovetti reprimere l’istinto alzare gli occhi al cielo. In quella posizione, pensai di doverlo trattare esattamente come tutti gli altri clienti, così afferrai il libretto degli ordini e mi diressi deciso (o almeno così mi sembrò il mio atteggiamento) verso di lui.
“Vuole ordinare?” domandai distaccato, e quasi mi venne da ridere per l’infantilismo di quella scena. Notai che l’espressione di Ian assomigliava molto alla mia, e non potei trattenere un sorriso alla vista del suo, sbilenco. 

“Sì, certo” replicò, cogliendomi di sorpresa. Mi stava reggendo il gioco, e quella recita poteva andare avanti anche per ore. “Prendo una fetta di torta a limone, un frullato al cioccolato e il numero di telefono del cameriere.” 

Mi rivolse un’occhiata candida, restituendomi il menu che gli avevo precedentemente fornito. Mi ci volle un po’ per metabolizzare la sua richiesta, e quando alla fine ci riuscii, quasi lasciai che il taccuino mi cadesse dalle mani. Lo fissai a lungo, indeciso sul da farsi, e la mia esperienza negli approcci che andassero oltre la richiesta di sesso mi convinse ad ignorare l’ultima parte del suo ordine, appuntando il resto. Scomparvi in cucina, mentre il mio lato paranoico sentiva lo sguardo del ragazzo seguirmi. Preparai il suo frullato e tornai al suo tavolo portandolo su un vassoio insieme ad una fetta di torta profumata. Ian mi ringraziò, così feci per allontanarmi. La sua voce mi fece voltare di nuovo.
“Credo che manchi qualcosa” commentò, ispezionando con finto interesse il vassoio davanti a lui. Sospirai, infastidito e rassegnato per molteplici motivi. 

“Lascia stare” mi limitai a rispondere, osservando il suo sorriso provocatorio scomparire dal suo viso. Sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi e lo stesso, solito sconforto trascinarmi di nuovo nel baratro dei miei pensieri. 

Io non lo conoscevo. Non sapevo nulla di lui, e allo stesso modo lui non sapeva nulla di me; era questo il motivo per cui sarebbe dovuta finire lì, prima ancora di cominciare. La sua vita era tranquilla, lo percepivo dall’aria spensierata che lo accompagnava sempre, dal modo in cui si guardava intorno e il sorriso gli illuminava gli occhi. La sua vita era semplice, e la mia era fin troppo complicata, e il pensiero mi frustrava, ma la mia negatività non doveva inquinare la sua calma, perché non era corretto. Lui non mi conosceva, e non poteva sapere a cosa sarebbe andato incontro se avessimo instaurato un rapporto che andasse oltre la semplice conoscenza. Quella era la normalità, per me che ormai non riuscivo più a figurarmi una realtà diversa, ma per uno come lui sarebbe stato diverso, era inevitabile, e non volevo coinvolgerlo in qualcosa di così caotico. 

Evitai il suo sguardo per il resto della sua permanenza al locale. Era chiaro che la mia vaghezza lo avesse confuso, e non potevo biasimarlo. 

Lo vidi lasciare i soldi sul tavolo e, dopo qualche minuto, andare via in silenzio. Portai via il suo piatto vuoto e il bicchiere, infilandomi in tasca le banconote, trasferendole nella cassa subito dopo. Mi accorsi che aveva lasciato una decina di dollari in più, e pur sapendo che si trattava della mia mancia, non riuscii a sentirmi soddisfatto. Mentre riordinavo le banconote negli appositi scomparti, notai un cartoncino marrone spuntare tra di esse, e mi ci volle meno di un secondo per realizzare che Ian aveva deciso di ribaltare la situazione, e lasciarmi il suo numero di cellulare. Me lo rigirai tra le mani a lungo, nella speranza di trovare scritta una spiegazione che, mio malgrado, conoscevo già, ma quel minuscolo pezzo di carta era vuoto, fatta eccezione per le dieci cifre scritte in rosso. 

 

 

Alzai lo sguardo e mi trovai faccia a faccia con Fiona, impegnata ad asciugare delle stoviglie. Ero tentato di iniziare una conversazione, perché per qualche ragione morivo dalla voglia di sapere di più di Ian, e sua sorella avrebbe di certo potuto soddisfare la mia curiosità. Aprii la bocca, ma le parole mi morirono sulle labbra. Lei sembrò notarlo, e le sue sopracciglia si incresparono in un’espressione stranita. 

“Stai bene?” mi chiese, ma non notai particolare interesse nella sua domanda, perciò lamentarmi del mio infinito e irreversibile pessimismo non mi sembrò opportuno. D’altra parte, eravamo semplici colleghi di lavoro, il nostro rapporto non poteva e non doveva sorpassare quel confine, o almeno era questo ciò che mio padre mi aveva insegnato. 

“Sto bene” risposi con convinzione. Lei annuì, tornando a prestare attenzione ai piatti nel lavello. Guardai l’orologio, scoprendo che mancavano meno di trenta minuti alla fine del mio turno, e per la prima volta fui lieto di tornare a casa. Quella sera, neanche la solita visita all’Alibi era contemplata; pensai che mi ci volesse qualche giorno per riprendermi dal trauma di aver sfiorato il coma etilico ingurgitando gin senza ritegno. Avrei trascorso la serata a guardare film pessimi con i miei fratelli o a sopportare l’ennesima lite tra i miei genitori che si sarebbe risolta in malo modo, con qualche livido da aggiungere alla mia vasta collezione e la solita promessa di mia madre di rivolgersi alle forze dell’ordine se fosse capitato di nuovo. Tutto ciò che desideravo era che trovasse il coraggio di farlo davvero, che io stesso avessi la forza di difenderla senza che questo implicasse l’uso della violenza, ma c’era sempre la solita, cieca paura delle conseguenze a bloccarmi. 

 

Pensavo davvero che non sarebbe stato diverso, quella sera. 

Niente, nel modo in cui mio padre rientrò in casa con il suo passo pesante, la camicia sbottonata a metà e un’aria stravolta, mi sembrò inusuale, persino la sua aria annoiata era la stessa. Mia madre mise in tavola un’insalata e quello che sembrava agnello, anche se non ci avrei messo la mano sul fuoco. Non avevamo neanche iniziato a mangiare, quando mio padre alzò lo sguardo dal suo piatto per rivolgerlo alla donna di fronte a lui.

“Che cos’è?” domandò, tentando di mantenere un tono neutro, ma ci accorgemmo tutti dell’astio nella sua voce.

“Agnello, Terry” rispose mia madre senza staccare gli occhi dalla sua porzione. Aveva un’aria tranquilla, quasi amichevole, e sapevo che si trattava di uno dei suoi tanti travestimenti estremi, di cui si vestiva quando si sentiva più minacciata del solito. 

“Agnello? Ti sembra agnello, questo?” sbottò mio padre, come in preda ad un attacco di follia. Batté una mano sul tavolo, alzandosi di scatto mentre mia sorella sobbalzava al mio fianco. Io non battei ciglio. Appoggiai le posate sul bordo del piatto e alzai lo sguardo, senza dire una parola. Mia madre non si azzardò a guardarlo, mentre lui girovagava per la cucina sbattendo ante, piatti nel lavandino e qualunque cosa gli capitasse a tiro. Non ero sorpreso, non era la prima volta che capitava e l’intera situazione mi lasciava sinceramente impassibile. Dopo anni passati a fare di quella routine quasi quotidiana un’abitudine, l’atteggiamento di quell’uomo, a patto che tenesse le mani lontano da tutti noi, non mi toccava affatto. 

Ciò che accadde in seguito si impresse nella mia memoria come un ricordo sfuocato, e mi sembrò che il mio cervello non fosse riuscito a elaborare appieno la velocità con cui si svolse il tutto. Bastarono un paio di parole da parte di mia madre a far montare mio padre su tutte le furie. La sua voce, ormai divenuta un grido, echeggiava per tutta la casa, mentre afferrava mia madre per un braccio e la scaraventava contro il lavello. Mi alzai di scatto, seguito a fatica dai miei fratelli, e attesi solo di intuire la sua prossima mossa per comportarmi di conseguenza. Le sferrò un pugno sullo zigomo, dove un livido precedente si stava già rimarginando a fatica, ma la forza con cui aveva intenzione di colpirla fu attutita da quella con cui io trattenni il suo braccio, mentre i miei fratelli tentavano di allontanarlo. Non avevamo speranza di evitare qualche taglio o escoriazione, ma era un piccolo prezzo da pagare per garantirci qualche giorno - o qualche ora - di tranquillità. Mio padre non fu colto alla provvista, e con molta sveltezza mi scaraventò a terra con un calcio nello stomaco. Sentii mia madre urlare, poi il suono di uno schiaffo. Rimasi a terra solo per qualche secondo, ma fu abbastanza perché Mandy, fino a qualche secondo prima in disparte con gli occhi sgranati, decidesse di unirsi alla faida. Mi alzai immediatamente, ignorando il dolore alla bocca dello stomaco, per tentare di allontanarla, perché se c’era una cosa che mio padre detestava più delle persone che reagivano alle sue provocazioni, erano le ragazze che reagivano alle sue provocazioni. Non avevo mai visto mia sorella farsi avanti, glielo avevo impedito perché non avrei sopportato che ferisse anche lei, che diventasse un’altra delle sue vittime, e lei da parte sua si era sempre mostrata molto suscettibile riguardo ciò che accadeva in casa nostra. 

Mio padre si voltò quando Mandy cercò di afferralo per un braccio. In un momento, sembrò che io e i miei fratelli fossimo scomparsi, e la sua attenzione cadde esclusivamente su di lei. La strattonò, la spinse, mentre noi facevamo altrettanto dall’altro lato, e nel caos che si era creato, l’unica cosa che vidi fu la sua mano che si chiudeva sull’impugnatura di un coltello appoggiato sul tavolo e nel giro di qualche istante, la sua lama che sfiorava il collo di mia sorella. Vidi il suo colorito farsi sempre più pallido, mentre mia madre era rimasta ormai senza voce nel tentativo di dissuaderlo. Nessuno si mosse. La stanza si era ghiacciata, e un solo passo falso poteva portare a conseguenze a cui mi rifiutavo persino di pensare. Mandy aveva gli occhi spalancati, e il suo petto si alzava e abbassava in modo così irregolare che temevo quasi smettesse di respirare. Mia madre singhiozzava come fosse sull’orlo di un’esaurimento nervoso, mentre io osservavo gli occhi di mio padre tingersi di rabbia nel timore che essa si sarebbe presto riversata sull’unico bersaglio di sua portata. 

Un secondo. Un solo secondo, e la sua espressione cambiò. Il suo sguardo si fece confuso, come se si fosse appena risvegliato da una lunga dormita o si sentisse disorientato dopo qualche bicchiere di troppo. La sua mano indietreggiò, fino a che il tonfo del coltello che veniva appoggiato sul tavolo non permise a mia sorella di tornare a respirare normalmente. 

Mio padre si guardò intorno, sorrise e uscì di casa.

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Altri attori/film / Vai alla pagina dell'autore: xkissmeyafool