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Autore: Arny Haddok    21/08/2017    1 recensioni
Dal testo "Signori e Signore. Bambini e Bambine. Benvenuti. Il circo itinerante Hound's Wonders è felice di ospitarvi per questa magica serata natalizia! Questa sera sarete in mia compagnia, e insieme ammireremo meraviglie di altri mondi, creature bizzarre e evoluzioni che nemmeno potete immaginare! Questa sera, signori miei, la destinazione del nostro indimenticabile viaggio è una sola... DESTINAZIONE MERAVIGLIA!"
I personaggi di Sherlock catapultati nell'universo del circo.
[CircusAU] Accenni di [Teen!lock]
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! Anche questo lunedì sono qui con il capitolo, forse quello più "corposo" fino ad ora, perché succede... qualcosa ecco. Ringrazio tutti i lettori silenti e un ringraziamento in particolare per Koa, che con una pazienza disarmante recensisce ogni capitolo con interesse e cortesia.  
Vi lascio alla storia, buona lettura e forza miei circensi! 

 



On The Wire 


Capitolo quarto 

Happy Birthday Sherlock



Arrivò Natale, un freddo e pungente Natale. Nonostante molti si lamentassero del gelo e delle notti passate a rannicchiarsi per cercare un po’ di calore, durante la festa nessuno osò lamentarsi, perché nessuno ne sentiva il bisogno. Da sempre all’Hound’s Wonders si festeggiava per le occasioni importanti, e il 25 Dicembre era una di quelle: tutti riuniti sotto al tendone dell’arena, al centro dello spazio esibizioni, dove si chiacchierava allegramente e si beveva eggnog° caldo, data la mancanza di stufe. 
Sherlock odiava il Natale, e da qualche anno a quella parte non ne sopportava nemmeno le più antiche tradizioni. Fin da piccolo preferiva starsene per conto suo, al massimo con lo zio che si fermava a Londra per festeggiare con la famiglia. Lui sì che piaceva al piccolo Holmes, con quei suoi regali curiosi e colmi di fascino che portava dalle sue trasferte col circo in giro per l’Inghilterra. Poteva anche trattarsi di un semplice cappello, ma al bambino dagli occhi chiari sarebbe piaciuto ugualmente. Se non fosse stato per la presenza carismatica dello zio, Sherlock si sarebbe rifugiato nell’angolo del salotto, sulla sua poltrona, a studiare il dono appena ricevuto, intanto che Mycroft conversava abilmente con tutti i parenti, che gli lodavano arguzia ed educazione.
Al contrario, John adorava il Natale, e quel Natale gli stava piacendo moltissimo. Nonostante fosse arrivato da pochissimi giorni, tutti lo consideravano un bravissimo ragazzo, adorabile e simpatico. Gli misero tra le mani più volte la tipica bevanda alcolica, e mai tentò di rifiutare. Alzava trionfante il bicchiere quando ne vedeva un altro sollevato, e brindava, scordandosi di tutto quello che aveva passato prima di imbucarsi tra quelle persone. 
Per il funambolo quello fu l’ennesimo Natale in cui si allontanò prima del tradizionale scambio di regali: il maggiore dei fratelli Holmes riusciva sempre a delegare a qualcuno il compito di preparare la tradizione, in modo che tutti dovessero regalare qualcosa ad un’altra persona;si procedeva per estrazione, fino a quando tutti non ricevevano un biglietto con il nome di un altro membro della troupe scritto sopra; a quel punto ognuno si impegnava per donare qualcosa di adatto. Per anni Mycroft aveva chiesto esplicitamente che il foglietto per suo fratello contenesse il proprio nome, così da non mandare il più giovane in paranoia o per evitare che sbattesse in un pacchetto il primo oggetto privo di significato che si trovasse tra le mani, un po’ come accadeva con lui. Ma quell’anno, il direttore della compagnia aveva dimenticato di comunicare questo insignificante dettaglio, ricordandosene solo a tradizione iniziata. 
Cercava il giovane artista ovunque, con lo sguardo, per capire come si sarebbe comportato. Le probabilità che il destinatario del suo regalo fosse Mycroft erano davvero bassissime. Non riuscì a scorgere nemmeno un ricciolo scuro, ma decise di rimanere insieme a tutti gli altri, almeno fino a dono ricevuto e consegnato. 
-Io ho ricevuto il biglietto con scritto Sherlock… - iniziò timida Molly Hooper dopo aver ottenuto in dono una splendida sciarpa fatta a mano dall’addetta al trucco degli artisti.
-Ehi, Sherlock! Dove sei? Ci sono i regali da scambiare! – la voce acuta di Moriarty fece quasi eco nel silenzio calato all’improvviso sull’arena. Il fine udito del ragazzo dai capelli scuri captò l’informazione, ma non sarebbe mai uscito dalla sua tenda, si sarebbe rivelata una scelta ancora peggiore del restare sdraiato sulla branda. 
La tradizione dei regali era stata stupidamente interrotta, costringendo la compagnia a ripartire da un altro individuo. Essendo Watson l’ultimo arrivato, ed essendo arrivato a pochi giorni dalla ricorrenza, ricevette il proprio dono per ultimo e dal direttore, dato che erano ormai settimane che i biglietti erano stati consegnati. Nonostante la fretta e altre decisioni da prendere, Mycroft aveva trovato una libreria ben fornita in centro a Canterbury°°, e lì prese un diario che possedeva di certo qualche anno, e un’ottima stilografica. – Così, Watson, potrà appuntare qualche dettaglio  o magari qualche appunto medico. – aveva detto al ragazzo dopo avergli consegnato il regalo. 
Rimase solo un pacchetto incartato frettolosamente in una carta dal forte rosso sul tavolo, ed era quello di Sherlock, destinato ad Irene Adler: la contorsionista sorrise quando, aprendo la confezione, trovò una catenella di metallo con un ciondolo a forma di rosa. I regali avevano un costo massimo di poche sterline, quindi molti si impegnavano per farli da sé, ma il giovane artista non sapeva sicuramente come maneggiare metalli o pietre, quindi si ritrovò durante il pomeriggio della vigilia ad acquistare collana e carta da regalo. Mycroft rimase sorpreso. Non si aspettava che suo fratello potesse pensare ad un dono e azzeccarlo in base al destinatario. 
La verità? Sherlock non aveva mai letto il foglietto con il nome della donna se non la mattina del giorno precedente. Lo aveva lasciato nella tasca del suo cappotto, sicuro che si trattasse delle solite lettere “Mycroft Holmes”. Invece no, quell’anno qualcosa era andato storto, e camminando annoiato per le strade di Canterbury in cerca di una distrazione, aveva colto l’occasione al volo. 
Il funambolo non aveva nemmeno pensato alla possibile reazione della contorsionista, aveva posato i suoi spiccioli sul bancone ed era tornato indietro con quella che credeva una stupidaggine tra le mani. 

L’entrata della tenda si aprì con indecisione, mostrando la timida figura di Molly, la quale non accennò nemmeno ad un passo verso la branda del ragazzo. Fuori era davvero buio, e si sentiva ancora la voce rauca di qualche membro della troupe ormai ubriaco. Sherlock era seduto di schiena rispetto alla costumista, e non si prese la briga di girarsi, semplicemente la salutò.
-Molly, ciao. – 
-Ciao Sherlock… so che non ti piacciono i festeggiamenti, e prima non c’eri quando dovevo darti il regalo… - aveva la voce flebile, incerta. La voce di una ragazza innamorata. 
-Vuoi darmelo ora? – il funambolo alzò gli occhi sopra la propria spalla sinistra fissando il suo sguardo in quello della Hooper. 
-Esatto… come sempre capisci tutto senza bisogno di spiegazioni. – si sforzò di mantenere il sorriso, quando invece il tono tagliente del suo interlocutore l’aveva irrimediabilmente intimorita, come accadeva la maggior parte delle volte. 
Allungò alla sua  sinistra il pacchetto, staccando gli occhi da quelli magnetici di Holmes. Lui fu costretto a voltarsi in direzione della tremante mano della ragazza, e concentrò la sua visuale sul dono. Lo prese e cominciò a scartarlo, lentamente, senza fretta o avidità, con eleganza. Posò la carta che portava i segni delle piegature su un baule vicino alla branda, e portò vicino al volto un oggetto dalle piccole dimensioni. 
Molly aveva pensato moltissimo al regalo, aveva speso interi pomeriggi a fantasticare sulla scena dello scambio, e non si aspettava che potesse finire in quel modo. Ci aveva impiegato diversi giorni per finirla, ma non riusciva a smettere di girarsela tra le mani, lasciando per interi minuti i costumi da sistemare da parte. La spilla che aveva confezionato era splendida: una base di rame che aveva ricavato da una vecchia spilla rotta e sistemata, e sopra una piccola rondine cucita a mano, sottile e irrigidita dal metallo che era stato inserito all’interno del velluto nero; il volatile era stato posizionato sopra un fiore di fresia, candido e delicato; le cuciture in vista non erano nascoste, ma messe in risalto da un filo dorato che impreziosiva senza appesantire la piccola opera. Molly era fiera di quella creazione, con tutta l’attenzione e l’impegno spesi. Aveva scelto accuratamente il fiore, conoscendone il peculiare significato, “fascino”. Quello che Sherlock possedeva e che ostentava senza rendersene conto.
Il funambolo tornò a cercare gli occhi della costumista, e li trovò immediatamente, emozionati. 
-Grazie Molly, è veramente bella. – faceva fatica a sorridere, ma si sforzò per ingraziarla del bel dono ricevuto, che, per la prima volta da anni, non erano un paio di suole di cuoio per il cavo. 
-Mi ci sono impegnata molto, sai… buon Natale Sherlock.- concluse lei, abbassando il viso verso la sua spilla, voltandosi e uscendo dalla tenda, aspettando anche un semplice augurio, che non arrivò.


 
___


Il 6 Gennaio Watson poté vivere per la prima volta la tradizione dell’epifania: alcuni artisti della compagnia avevano preparato diversi estratti della commedia “Twelfth Night” di Shakespeare, recitata da moltissimo tempo alla fine delle festività natalizie. Nella sua vita, l’aspirante medico non aveva mai avuto l’occasione di andare a teatro, se non per eventi veramente rari, come la visita di parenti lontani o regali di compleanno importanti. Da qualche anno a quella parte, una compagnia teatrale nei pressi di Londra portava in scena quella stessa commedia, e dopo averne sentito parlare per molto tempo, finalmente poteva goderne qualche parte. Non tutti erano nell’arena quella notte, per guardare lo spettacolo, ma agli attori non importava, chissà per quante volte l’avevano già inscenata. Tra gli spettatori, in penultima fila, lontano dal centro del tendone, era seduto il giovane Holmes, in attesa dell’inizio dello spettacolo, e John lo raggiunse con qualche goffo passo sulla cavea. Non si aspettava di trovarlo lì. 
- È la prima volta che guardo questa rappresentazione… anche se, a dirla tutta, sono stato a teatro solo tre volte in tutta la mia vita. – il più basso si sistemò nella posizione più comoda che riusciva ad adottare, mentre il funambolo restava con i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani a spingere sotto al naso, sguardo fisso in avanti. 
Sherlock non sapeva come replicare, e non aveva intenzione di fare riferimento alle difficoltà economiche del suo compagno di tenda. Non gli sembrava carino. 
Fortunatamente, John riprese dal punto in cui aveva interrotto dopo pochi secondi – La prima rappresentazione a cui ho assistito nemmeno la ricordo… che sfiga eh? Per fortuna che sono qui adesso, altrimenti starei strisciando su del freddo terreno con un fucile sulla schiena, dico, mi ci vedi? Con un fucile in mano intendo. – a quel punto si voltò verso il circense. Ora sì che aspettava una risposta. 
- No, John, non riesco ad immaginarti con una qualsiasi arma in mano: sei basso, non molto agile, pochissima massa muscolare. Sarebbe meglio se tuo padre ti lasciasse studiare come medico. Ne andrebbe della tua vita. – rispose con sicurezza Sherlock spostando l’attenzione che concentrava sul palco, verso gli occhi del ragazzo al suo fianco. Tornò ad una posizione composta, sollevando la schiena e spostando le braccia di fianco al busto, facendo pressione con i palmi delle mani sul legno della cavea.
Se uno dei due avesse divaricato di quindici centimetri le gambe, le loro ginocchia si sarebbero sfiorate, eppure entrambi non accennavano a nessun movimento. A Watson saltò un battito nell’istante esatto in cui le iridi celesti dell’artista si erano mostrate in direzione delle sue. Nonostante si trattasse di un ragazzo, doveva ammettere che i suoi lineamenti, i suoi zigomi, erano peculiari. Erano belli.
- Delicatissimo. – e rise, alzando il viso e scuotendo lentamente la testa.
Il ricciolo adottò un’espressione leggermente confusa, si aspettava un occhiataccia, una replica dai toni offesi, e invece, John Watson stava ridendo. 
Quando la luce che puntava al palco si spense all’improvviso, i due ragazzi tornarono seri, e Sherlock non commentò lo spettacolo com’era solito fare, lasciò che il suo compagno di tenda lo guardasse senza distrazioni. Quello gli sembrava carino. 

- Grazie di aver sopportato per un altro anno questa commedia, e tanti auguri al nostro giovane Sherlock che oggi compie diciannove anni! - concluse l’attrice sul palco in direzione del più piccolo dei fratelli Holmes. Di rimando, il ricciolo sfoderò un sorriso sbilenco senza mostrare i denti. Era imbarazzato, questo secondo John almeno.
- Potevi dirmelo che oggi era il tuo compleanno! Ora che non ho niente da regalarti mi sento quasi in colpa. – ammise Watson una volta usciti dal tendone. Lo spettacolo non era durato molto, e prima di mezzanotte erano fuori a cercare qualcosa con cui far passare il tempo.  Nessuno dei due aveva sonno, e restare sdraiati sulle brande fino a tarda notte non era un’idea allettante. 
- Non c’è bisogno di alcun regalo. Sono bastati gli auguri di Moriarty e di Irene, quest’anno si sono dati da fare. – la voce di Sherlock era obiettivamente incrinata dal fastidio e dal nervosismo. Odiava parlare di ciò che lo riguardava più da vicino, sempre che non si trattasse della sua intelligenza o del suo talento artistico. 
- Non credo sia il caso di arrabbiarsi perché qualcuno ti ha fatto gli auguri. Io, ad esempio, ne sarei felice. – il più basso non si era soffermato sugli individui nominati nella battuta precedente dal funambolo. 
- Io invece sono particolarmente suscettibile. – una risposta secca e seria. Ancora una volta, gli occhi di Sherlock incrociarono quelli colpevoli di John. L’aspirante medico si sentiva in colpa, non si aspettava una replica simile, piuttosto una battuta. Ancora non conosceva Holmes, e doveva essere accaduto qualcosa di particolarmente grave quel pomeriggio. 
Rimase qualche passo dietro di lui: la schiena dritta e le gambe allenate, il passo sicuro e silenzioso, le spalle ancora da scolpire. Quello era lo Sherlock Holmes che John conosceva. Non aveva nemmeno scalfito la superficie. Il circense entrò nella loro tenda e ne uscì con una camicia color sabbia e un paio delle sue calzature di cuoio non rigide. Si sarebbe allenato. 
Il ragazzo dai capelli tendenti al biondo seguì l’enigmatica figura dell’artista fino all’inizio della scala a pioli, restando però a debita distanza: il funambolo si posizionò di schiena al più basso e si sbottonò la camicia bianca e aderente, lasciando la schiena scoperta. Prima che l’altro indumento gli scivolasse sul corpo, Watson intravide le fossette di Apollo del giovane compagno di tenda. Non le aveva mai viste su un uomo che non fosse disegnato su un testo scolastico, un dettaglio pregevole. Diede una rapida occhiata alla tensione delle corde di sicurezza, e cominciò a salire la scala dopo essersi infilato le suole, e John rimase a guardarlo fino a quando non aveva raggiunto la piccola piattaforma dalla quale avrebbe mosso il primo passo. 
Appoggiata al palo c’era l’asta d’acciaio che Holmes sollevò senza difficoltà e che si posizionò sui palmi delle mani rivolti verso l’alto. Cominciò a camminare, concentrandosi solo sul suo equilibrio, dimenticando qualsiasi tipo di distrazione, compreso John, che nel frattempo stava salendo dalla scala. Si sedette sulla piattaforma di legno da cui il moro aveva cominciato il suo esercizio, in silenzio, senza parlare. Arrivato quasi all’altra estremità del cavo, Sherlock spostò l’attrezzo sulle spalle e si voltò con un gesto quasi estemporaneo. Trovò Watson dall’altro lato a cercare il suo sguardo. 
- Mi dici che è successo con quei due? Moriarty e la contorsionista intendo. Il giorno del proprio compleanno una persona dovrebbe essere felice, invece prima eri sul punto di sbottare quando te ne ho parlato. – era serio il giovane ventenne. Fissava gli occhi del circense intensamente, come se cercasse di infondergli fiducia, di sussurrargli “non sono come loro, puoi dirmi come ti senti, anche se l’ho già capito”. 
Sherlock rimase bloccato, così come il suo sguardo, incatenato a quello sicuro di John. Lui era su un cavo sospeso a trenta metri di altezza, il compagno su una struttura studiata per resistere al peso dei trapezisti. Mosse un passo.
- Oggi pomeriggio. Mi stavo allenando e hanno lasciato questa busta sulla cavea, sopra c’era il mio nome scritto con un’elegantissima calligrafia. Credevo volessero semplicemente restare a guardare, invece si sono presi a braccetto, Jim mi ha rivolto uno dei suoi sorrisi e se ne sono andati. – parlava velocemente, ma si sentiva l’affanno, come se in qualche modo si stesse sforzando di pronunciare le parole giuste. Nel frattempo aveva sollevato lo sguardo per guardare il vuoto che aveva di fronte a sé – Quando scesi mi diedi il tempo di riprendere fiato e solo dopo lessi il contenuto della busta. Parlava di Molly, Molly Hooper, la costumista, come se avesse dovuto dirmi qualcosa, ma quella non era affatto la sua calligrafia che invece è disordinata e piena di fronzoli. Allora ho cominciato a preoccuparmi, credo lo abbia capito anche tu che Moriarty non è affidabile, e ho cercato Molly per capire che cosa fosse successo. L’ho trovata in infermeria, seduta su un letto con gli occhi gonfi dal pianto. – si fermò di nuovo, inspirò profondamente e poi riprese. – Quando si era accorta della mia presenza si era alzata velocemente e mi aveva fulminato con lo sguardo, però sembrava veramente triste. Io continuavo a non capire, lei mi aveva evitato nel passarmi di fianco e aveva lasciato sul letto un foglio. Leggendola sembrava una lettera d’amore scritta da me. – rabbrividì al ricordo di quella lettura, ma continuò ad avanzare in direzione di John. 
- Era indirizzata a quella Adler? A me sembra così stronza – la delicatezza con cui Watson parlava era esagerata. In ogni frase doveva inserire almeno una parola sgraziata se non direttamente un’imprecazione.
- Esatto. – concluse stupito il funambolo, che ormai aveva raggiunto la piccola piattaforma. Con un ultimo passo, poggiò entrambi i piedi su una superficie sicura, trovò una giusta collocazione per l’asta e si sedette di fianco al più basso. Guardava verso il basso, mentre l’aspirante dottore preferiva l’altezza del tendone. 
Faceva freddo, e Sherlock non si era nemmeno scaldato con quel misero allenamento. Il nuovo arrivato si strinse nelle spalle, per poi rivolgersi di nuovo al circense.
- Hai cercato quella ragazzo dopo che… beh, dopo che è scappata in lacrime? – 
-Non so se sia “scappata in lacrime”, non sembrava. – 
- Rispondi alla domanda. – 
- No, non l’ho cercata. – 
- Cosa sei?! Un idiota? Sì, solo un idiota potrebbe lasciar andare una ragazza in quelle condizioni! Chissà poverina quanti pensieri si sarà fatta, magari è ancora sveglia a crearsi delle valide ragioni per scusarti. Dio, ti facevo più intelligente “genio che capisce tutto solo guardandoti”. – John si era aiutato con le dita per la definizione del compagno di tenda. Era sfacciato, quasi si divertiva nel poterlo prendere in giro, ma Holmes rimase serio e stupito, non era infastidito, nonostante la sua permalosità.
- Dici che dovevo rincorrerla? Cercarla? Chissà dov’è finita adesso, magari è da qualcuno a farsi consolare. Comunque non sono un idiota. – replicò dopo qualche lungo secondo il ricciolo.
- Sì che lo sei. E ancora sì, dovevi cercarla. Sai cosa farai adesso? La cerchi, e le spieghi come sono andate le cose. – il tono del biondo non ammetteva repliche, così come il suo sguardo accentuato dalle sopracciglia alzate.

Sherlock, per la prima volta dalla morte di Andrew, diede ascolto ad una persona. Cercò Molly e la trovò seduta al suo tavolo di lavoro immersa in una riparazione. A lei saltò un battito quando intravide la figura del circense, e forse qualcuno di più quando questo si scusò per non averle dato una spiegazione ore prima. La Hooper lo abbracciò, e Holmes ricambiò sorridendo appena, anche se alla costumista sarebbe piaciuto un abbraccio che non fosse unilaterale. 
Evidentemente imbarazzato, il funambolo raggiunse John fuori dalla tenda in cui aveva parlato con Molly. Cercava invano di nascondere le sue emozioni. 
- Allora, com’è andata? –
- Siamo diventati migliori amici adesso? Ci dobbiamo confrontare su tutto quello che ci capita? –
Ormai a corto di speranza, l’aspirante medico rispose dopo aver sospirato e aperto gli occhi più del dovuto verso il cielo – Non puoi dirmi cos’è successo e basta? – 
- Credo mi abbia perdonato… insomma, un abbraccio è una buona cosa, no? – 
- Direi di sì. Certo che con le persone sei proprio negato, eh? Se quel Moriarty ce l’ha con te posso capirlo, sei ottuso e antipatico, senza peli sulla lingua e troppo sicuro di te. – 
Sherlock aprì la bocca per replicare, ma non riuscì a formulare una risposta adeguata.
- Ah già, anche se in ritardo perché ormai è notte fonda, Buon compleanno. –
- Grazie. – 





 
“Per sempre
solo per sempre
cosa sarà mai portarvi dentro solo tutto il tempo
per sempre
solo per sempre
c'è un istante che rimane lì piantato eternamente”


Luciano Ligabue – Per Sempre



 
Note: 

° l'eggnog è un tipico dolce alcolico del periodo natalizio che gli inglesi mantengono come tradizione. Dal 1700 viene bevuto alle rimpatriate famigliari e se vi interessa qualche informazione in più la potete trovare qui:  https://it.wikipedia.org/wiki/Eggnog

°°  Il tempo impiegato per coprire la distanza è relativamente poco, e lo era anche all'epoca, ma immagino che un circo itinerante abbia diverse problematiche da sistemare, e trattandosi di una compagnia numerosa non ci si può fermare in una qualche locanda per sostare e ripartire un'ora dopo. Gli spostamenti verranno sempre affrontati con lentezza da qui in poi, ma non ho intenzione di usarne troppi.


 
Spazio (in)utile: è il capitolo più lungo finora, ma nonostante questo (perché credetemi, vorrei riuscire a scrivere cinquemila parole ma sto faticando moltissimo) non sono soddistaffa. Non so che cosa manchi o cosa sfori, però sento che c'è, oppure sono solo io che mi faccio le saghe cinematografiche mentali. Comunque, dopo l'entrata in scena di Moriarty la scorsa volta, mi sembrava doveroso farlo muovere un pochino, e così ho cercato di fare, sempre nella fede di non andare OOC. Più avanti avrà un ruolo più rilevante, e l'idea dello scherzetto mi intrigava. 
Aspetto ancora il momento giusto per scrivere un po' di sano angst, e spero di non bruciare le tappe con i due protagonisti accelerando o forzando la relazione, che deve nascere come amicizia in ogni caso. Il compleanno di Sherlock me lo immagino sempre triste, ma sono stati i Moffitis a darmi quest'impressione con l'ultima stagione,  quindi is not my fault. Qui ho voluto usare quest'immagine trasportandola nell'universo circo, e John non poteva che empatizzare. Molly è preziosa e si merita più di quanto crede, ma la sua infatuazione per Sherlock è ancora al primo stadio durante l'adolescenza (in realtà nemmeno potrei parlare di adolescenza con ragazzi di 18/20 anni, e vado anche alle Scienze Umane. Si vede quanto la pedagogia mi interessi maronn). 
Spero di non avervi annoiato con questo capitolo, ma giuro che nel prossimo la trama si spiccia (alla buon'ora, direte voi). 
Grazie ancora a tutti i lettori e vi lascio alla pubblicità
Pagina Facebook > Arny Haddok EFP    Profilo Twitter > @CallmeBoo oppure @AnitaMurelli 

Alla prossima!

 
   
 
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