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Autore: IsabelFlahertie    21/08/2017    0 recensioni
Come sarebbe Twilight di Stephenie Meyer se fosse ambientato in Transilvania? Questa è la mia riscrittura della storia, con qualche mistero un po' diverso da risolvere.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight
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1.

A prima vista

I personaggi di questa storia non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Stephenie Meyer.

 

Viaggio con mia madre verso l’aeroporto per una destinazione bislacca. È l’unica che posso permettermi, perciò mi sono riguardata dal fare storie quando mi è stata proposta. Tre mesi lontano da tutto e da tutti: non chiedo di meglio in questo particolare periodo della mia vita.

Mia madre ha ritrovato la stabilità, non solo economica, grazie a Phil, il giocatore di baseball per il quale ha perso la testa. Per permetterle di seguirlo nelle sue trasferte, ho preso la decisione di andare a vivere con mio padre Charlie, ispettore capo della cittadina di Forks. E questo nonostante la mia avversione per il luogo più piovoso del pianeta.

«Vedrai che sarà un’esperienza interessante, Bella» cerca di rassicurarmi mia madre mentre mi abbraccia, poco prima che chiamino il mio volo. «La Transilvania è un bel posto e comunque, come ti ho detto più volte, non sei obbligata. Puoi sempre rimanere a Phoenix e partire per Forks una volta finita la scuola».

«Voglio andarci» e in parte è vero. M’incuriosisce la prospettiva di studiare in Romania, dove terminerò l’anno scolastico. È una possibilità che la mia scuola dà agli studenti più meritevoli.

Meno allettante è invece il seguito. Dopo i tre mesi all’estero tornerò negli Stati Uniti per trasferirmi a Forks, da Charlie. Tuttavia mi sono ripromessa di farmi coraggio e di non tornare sui miei passi.

È la prima volta che viaggio da sola e l’adrenalina ha fatto presto a impossessarsi di me. Il mio posto in aereo è vicino all’oblò e sono intenta a fantasticare su come sarà osservare il mondo dalle nuvole, quando mi si avvicina un ragazzo dal fisico asciutto e i capelli rossicci e spettinati. Dal cenno spazientito che fa con la testa capisco che il mio bagaglio a mano sta occupando il suo posto, quello alla mia destra, così sposto lo zaino per permettergli di sedersi. Non mi rivolge la parola per tutto il viaggio, né mi degna mai di uno sguardo. Anzi, a dirla tutta non mangia o beve niente e, sospetto, non dorme affatto (a meno che non si sia appisolato durante il mio sonnellino). Probabilmente ha interesse a rimanere vigile per proteggere l’anello che porta alla mano sinistra, un anello dorato con al centro una pietra liscia di colore verde smeraldo. Ha tutta l’aria di essere molto prezioso, oltre che antico.

Ad ogni modo, sta di fatto che per tutto il volo si comporta come se non esistessi. Se ne sta rigido su se stesso, i muscoli del corpo in tensione come se non fosse in grado di rilassarsi. Un atteggiamento che mi lascerebbe del tutto indifferente, se non fosse per una cosa che mi ha dato fastidio. Un paio di volte – la prima quando mi sono alzata per andare alla toilette, la seconda quando mi sono allungata verso la hostess per prendere il vassoio del pranzo – ho avuto l’impressione che si scansasse. Non nel modo classico che si usa per permettere a un’altra persona di spostarsi con maggiore facilità o per aiutare qualcuno ad afferrare qualcosa, nel momento in cui questi si sporge in direzione di qualcun altro. Lui l’ha fatto con disgusto, come se avesse trattenuto il respiro per evitare di sentire l’odore sgradevole che emano. Mi sono annusata la maglietta e la punta dei capelli più volte, ma non ho notato nessun olezzo sospetto.

Di certo è un sollievo per lui quando l’aereo atterra, visto il modo in cui se ne scapicolla verso l’uscita. Poco male, non ci rivedremo mica!

Da Bucarest per arrivare a Bistrita, la città che mi ospiterà durante la trasferta, devo prendere un secondo volo. Appena il taxi mi ferma davanti alla scuola, vengo indirizzata nell’ufficio della preside, la signorina Dumitrescu, una donna di mezza età smilza e bassina che mi accoglie in maniera cordiale e affabile. «Prima di lei è arrivato un altro studente americano. Ne stiamo aspettando ancora quattro, giungeranno in serata» m’informa, mentre mi accompagna ai dormitori dell’ultimo piano, dove c’è la stanza che occuperò per i prossimi tre mesi. «So che molti di voi trovino strano il fatto che ospitiamo gli studenti del Progetto di Scambio all’interno dell’istituto, ma noi qui abbiamo una lunga tradizione in questo senso e ci piace farvi sentire a casa. Certo, qualora alcuni desiderino affittare un appartamento, sono liberi di farlo».

«Comprendo bene, signorina Dumitrescu» mi costringo ad affermare. La verità è che non capisco come si possa rinunciare alla comodità di abitare nello stesso posto dove si svolgeranno le lezioni. Ho letto il regolamento e, al di fuori degli orari di scuola, siamo praticamente liberi di uscire e rientrare quando ci pare. 

«Benvenuta al Liceu Mihai Eminescu, Isabella Swan» mi augura infine, prima di sparire per permettermi di sistemarmi in camera.

La stanza non è molto grande, a occhio calcolerei una quindicina di metri quadrati. Ha tutto quello che mi occorre: un letto, un armadio, una scrivania e una sedia. L’arredamento è piuttosto spartano, niente tendine alle finestre o tappeto ai piedi del letto, né fronzoli che pendono qua e là.

Sto mettendo sotto carica lo smartphone per telefonare a mia madre, quando sento sbattere la porta dirimpetto alla mia. Socchiudo leggermente l’uscio per dare una sbirciatina e mi paralizzo nel rivedere il ragazzo dai capelli rossicci, quello poco cordiale che sedeva vicino a me in aereo.

Lui pare sbiancare alla mia vista e mi rivolge la stessa espressione che farei io se vedessi un fantasma. Infastidito, attraversa il corridoio ad ampie falcate e, prima che raggiunga la scalinata, lo sento mormorare un distinto: «Non ci voleva proprio!».

È un comportamento inammissibile, senza alcuna giustificazione. Sono così indignata che tento di seguirlo per chiedergli che problema ha, ma non riesco a incrociarlo in nessuno dei tre piani inferiori. Pare essersi volatilizzato. Arrivo sfinita al piano terra e, proprio quando sono davanti all’ufficio di presidenza, sento la signorina Dumitrescu parlare con qualcuno: «Doveva pensarci prima di arrivare qui, ora le sarà difficile trovare una casa d’affitto entro domani. Per il momento le conviene restare da noi e intanto cerchi. Appena avrà trovato, potrà andarsene».

«Molte grazie lo stesso» dice il suo interlocutore.

Vedo la maniglia della porta abbassarsi e faccio per girarmi e tornarmene svelta in camera mia. Va a finire che inciampo su me stessa e, nel tentativo di rimanere in equilibrio, perdo del tempo prezioso. Succede così che vedo uscire fuori dall’ufficio il ragazzo scorbutico. Mi fulmina con uno sguardo assassino e io mi sento raggelare il sangue nelle vene.

D’istinto, l’occhio mi cade sulla mano con cui sta chiudendo la porta, attratta dal brillio della pietruzza verde incastonata in quel suo antico anello. La cosa non gli sfugge e con un gesto repentino nasconde la mano nella tasca dei pantaloni, come un bambino sorpreso con le mani nel barattolo della marmellata.

Gira i tacchi e si dilegua.

Io me ne torno in camera, stanca e delusa che la mia avventura sia iniziata con il piede sbagliato.

 

 

 

NOTE

 

·       A Bistrita non figura nessun Liceu Mihai Eminescu. Ci sono delle scuole dedicate al poeta rumeno qua e là in Romania, tra cui il Mihai Eminescu National College a Bucarest, ma non a Bistrita. Questo istituto scolastico è una mia invenzione.

·       Se siete arrivati fino alla fine del capitolo, GRAZIE! Se ve la sentite di lasciare un commentino, una critica, un saluto, DOPPIAMENTE GRAZIE! Posterò il secondo capitolo sabato 26 agosto.

 

   
 
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