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Autore: alessiawriter    21/08/2017    1 recensioni
Ormai Koan, il figlio maggiore di Sesshomaru, ha raggiunto l'età esatta per poter seguire suo padre nelle sue imprese ed essere addestrato come il guerriero che fin dalla nascita è destinato a diventare. Ma ne sarà veramente all'altezza?
Seguito di "Notte di Luna Nuova" della serie "Discendenze", si possono leggere separatamente.
Genere: Avventura, Azione, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Discendenze'
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All'altezza del padre.
 
 
 
 
Rin era contrariata, mentre osservava fuori dalla finestra i suoi figli rincorrersi e giocare con le spade di legno costruite dalle loro stesse mani creative. Stretta nel suo michiyuki rosso, la giovane consorte del Gran Generale dell'Ovest non riusciva a smettere di pensare con preoccupazione al futuro dei suoi figli.
 
Mikomi, che aveva appena compiuto otto anni, eppure era come se ne dimostrasse tre in più sia a livello fisico che mentale, in quel momento era salita sull'albero più imponente del giardino, reggendosi a testa in giù con la coda al ramo e facendo le boccacce al fratello maggiore. Aveva i lunghi capelli argentei stretti in una coda che si muoveva a ritmo del vento e delle sue agili mosse, e Rin non poté che notare la palese somiglianza con il padre Sesshomaru; dai suoi tratti non aveva preso nulla, se non le morbide labbra. 
 
Koan, che aveva quattordici anni e che era il piccolo guerriero di casa che ogni giorno cercava di essere all'altezza delle aspettative onerose del padre, osservava con divertimento la sorella minore, mentre con un balzo felino la raggiungeva. Nonostante la sua giovane età, Koan aveva già superato in altezza e robustezza la povera Rin, che ormai guardava gli uomini di casa dal basso verso l'alto.
 
Rin sospirò con mestizia; Koan sarebbe presto partito con il padre per allenarsi e crescere come guerriero, ma una madre non è mai pronta a lasciare andare il proprio figlio; sapeva di averlo riposto in buone mani, non avrebbe mai affidato le sorti del fanciullo a nessun altro, eppure non poteva ancora arrendersi all'idea di non averlo più costantemente in mezzo ai piedi.
 
Presa com'era dalle sue elucubrazioni, non si accorse della presenza di Sesshomaru, per cui quando i suoi artigli affilati incontrarono i suoi fianchi asciutti, fu presa alla sprovvista e si lasciò scappare un gridolino. «Mi hai fatto prendere un colpo!», si sentì in dovere di giustificare la sua reazione, rivolgendogli uno sguardo costernato.
 
Sesshomaru alzò un sopracciglio, in una smorfia provocatoria. «Ti facevo più coraggiosa, Rin», la stuzzicò, chinandosi per sfregare il naso sulla sua pelle fresca del collo dal profumo inebriante; era l'unico gesto d'affetto che si concedeva in pubblico, ma a Rin andava bene così perché ogni momento passato con il demone era di per sé unico.
 
Rin chiuse gli occhi, abbandonando la testa contro il petto marmoreo di Sesshomaru come se, per il peso dei suoi pensieri, fosse diventata troppo gravosa da reggere. «Forse mi hai sempre sopravvalutato troppo», mormorò lei, scherzando fino a metà.
 
Sesshomaru catturò nelle sue parole l'aspra nota e capì subito che doveva esserci qualcosa a tormentare l'animo della sua consorte. La afferrò quindi per le spalle facendola girare e le alzò il mento con due dita affusolate, immergendosi nei suoi occhi bruni. «Che ti prende?», chiese con il suo tono incolore, ostentando disinteresse, ma con lo sguardo che tradiva una certa preoccupazione.
 
Rin si costrinse a sorridere nel modo più naturale possibile e si alzò sulle punte dei piedi, lasciando che le loro labbra si incontrassero in un bacio fugace. «Mi sei mancato», ammise, e se da una parte tentava di cambiare il discorso, dall'altra gli stava confidando una verità ineccepibile.
 
Dal suo canto, Sesshomaru era rimasto insoddisfatto dal loro breve contatto, così la afferrò gentilmente per retro del capo e avvicinò ulteriormente i loro visi. Il bacio divenne presto famelico e insaziabile, tanto che il demone, sollevandola per le natiche, le fece allacciare le gambe dietro la sua schiena. Quando i loro inguini si scontrarono, Rin aprì gli occhi di scatto e sapeva che se non lo avesse fatto in quel momento, niente li avrebbe fermati dal finire sul loro letto a fare l'amore per ore e per ore; ma semplicemente, per quanto ne avesse bisogno e lo desiderasse, non poteva abbandonarsi così alla passione.
 
Interruppe il bacio e pressò lievemente sul petto di Sesshomaru, riuscendo ad allontanarlo solo perché il demone aveva deciso di accettare la sua richiesta. Lo guardò con tristezza negli occhi e portò una mano alla base del suo collo regale. «Tra poco i bambini saliranno a cercarmi per la merenda», disse solamente, sperando che il consorte capisse.
 
Sesshomaru alzò un sopracciglio con aria accigliata e sbuffò con frustrazione, ma non aggiunse nulla; la lasciò andare e subito Rin fu assalita dai sensi di colpa. Dopotutto, non si vedevano da un mese intero e non appena tornava lei gli rifilava una scusa, come se lo stesse evitando. E forse stava accadendo proprio questo. Aveva paura che lui potesse leggerle negli occhi tutto quello che le passava per la mente e ancora non si sentiva pronta per l'inevitabile discussione che ne sarebbe conseguita.
 
Il demone le diede le spalle e si ritirò silenziosamente nel suo studio, piantandola lì in mezzo al corridoio dell'ormai triste castello, mentre una sensazione di vuoto le attanagliava il cuore. Solo quando sentì i passi e le voci dei suoi bambini, decise di darsi un riscossone; non poteva farsi vedere così abbattuta dai suoi figli, anche se con molta probabilità loro l'avrebbero sentito. 
 
Koan fu il primo ad arrivare, correndo a perdifiato, ma senza mai avere il respiro affannato, seguito da Mikomi, rossa per la rabbia per essere arrivata ancora una volta seconda.
 
«Non vale!», gli urlava con indignazione la bambina, gonfiando d'aria le guance, in un gesto puramente puerile. «Sei partito in anticipo!», lo accusò, mentre le prime lacrime le salivano agli occhi. 
 
Koan si mise a ridere, tirandole poi le orecchie appuntite per il gusto di farle un dispetto. «Sei tu troppo lenta, Miko», la rimbeccò con aria fastidiosamente saccente; poi, come se si fosse appena accorto della presenza della madre, che li guardava con un misto di rassegnazione e divertimento, assunse un'espressione angelica. 
 
Rin scosse la testa, asciugando le lacrime della piccola mezzosangue con il dorso della mano, e indirizzò al figlio maggiore un'occhiata di rimprovero. «Quante volte devo dirti di non litigare con tua sorella?», esclamò retoricamente, per poi portarsi le mani sui fianchi.
 
Koan abbassò la testa, nascondendo gli occhi dietro la frangia dei capelli di un bianco lucente, e sembrò sinceramente pentito; tuttavia, Rin non era ingenua e soprattutto era una scena che si era già ripetuta innumerevoli volte prima di allora, perciò fece solo finta di credergli. Gli sorrise. 
 
Quando però vide Mikomi e Koan annusare l'aria contemporaneamente, Rin non poté evitare di corrugare le sopracciglia rivolgendo uno sguardo interrogativo al figlio maggiore. «È tornato nostro padre», commentò piattamente Koan, mentre già la piccola mezzodemone era partita spedita verso il genitore paterno. Era questa la differenza sostanziale tra i due figli: mentre Mikomi ammirava e stravedeva per suo padre, al contrario Koan lo temeva e ne era intimorito. D'altronde, Mikomi non aveva le stesse pressioni a cui era sottoposto il fratello maggiore; non ancora, perlomeno. 
 
Rin poggiò una mano sulla spalla del figlio, stringendola amorevolmente. «Va tutto bene, Koan?», si appurò di sapere, anche se poteva intuire chiaramente la risposta del figlio. Non aveva bisogno lei dell'olfatto per capire se ci fosse qualcosa a tormentare i suoi figli. 
 
Koan si sforzò di mostrarsi sereno e annuì velocemente, circondando le spalle della madre con un braccio come se fosse una sua vecchia amica. «Certamente! Allora, che cosa c'è per merenda?»
 
.:••:.
 
Mikomi arrivò nello studio di suo padre, attratta dal suo odore che aveva da subito appestato le mura del castello. Le era mancato molto, nell'ultimo mese in cui era partito per chissà quale spedizione, e ogni volta rimaneva sempre fin troppo poco tempo; eppure, riusciva sempre a guadagnarsi la sua buona razione di attenzioni, quasi con prepotenza. 
 
Arrivata davanti alla porta alta di legno, il suo primo istinto fu quello di abbassare la maniglia e fare violentemente irruzione; poi però, ricordandosi di quello che sua madre le diceva sempre a proposito delle buone maniere, con le piccole nocche bussò con forza.
 
Era strepitante, non riusciva a stare ferma sul posto un secondo di più, tanto che appena suo padre le diede il permesso di entrare con la sua voce autoritaria smorzata dalla porta, si catapultò nella stanza come un diavolo della Tasmania. Se Sesshomaru era felice di rivederla, non lo fece capire, tuttavia sembrava che la contentezza della bambina bastasse per entrambi.
 
Si avvicinò alle sue gambe, guardandolo con gli occhi ambrati carichi di aspettativa, maledettamente simili solo nel colore a quelli del padre. «Ben tornato, padre», lo salutò con la sua vocina sottile e infantile, le braccia nascoste dietro la schiena mentre si dondolava sui talloni. 
 
Il Gran Generale dell'Ovest non rispose, eppure con lo sguardo le diede il muto assenso di poter salire sulle sue ginocchia, cosa che la bambina non si fece ripetere due volte; anche perché era sicura che non lo avrebbe rifatto. Con un balzo, gli fu subito allo stesso livello del viso e regalò al demone un sorriso sdentato che coinvolgeva anche lo sguardo. 
 
Sesshomaru strabuzzò leggermente gli occhi alla vista di quel viso, con meno denti di quanto ricordasse, la cui espressione gli ricordava tanto quella di Rin da bambina, nel giorno del loro primo incontro; ne rimase quasi turbato, ma insabbiò tutto in una maschera di indifferenza.
 
La piccola Mikomi afferrò una ciocca del capelli del padre, che ricadevano maestosamente attorno alla sua figura, e se la rigirò tra le mani, osservandola con aria pensosa. «Ripartirete presto?», sussurrò con un fil di voce che Sesshomaru non faticò a sentire.
 
Solo perché quella giornata si sentiva particolarmente loquace, si decise a dare una risposta alla bambina. «Sì», esclamò secco, nel suo modo diretto e tagliente che non risparmiava neanche la piccola mezzodemone.
 
Mikomi incassò il colpo, pronta probabilmente a quella eventualità, e gli rivolse uno sguardo intelligente, troppo per la sua tenera età. «E verrà questa volta anche Koan con voi?», domandò, con il suo modo schietto che senza dubbio aveva ereditato dal genitore.
 
Sesshomaru la fissò apertamente, chiedendosi come il suo aspetto infantile potesse camuffare la sua mente sottile; se fosse stato qualcun altro, facilmente si sarebbe sentito turbato da quella constatazione. Ma appunto, lui non era qualcun altro. «Suppongo di sì», si limitò a rispondere, senza sbilanciarsi troppo.
 
Mikomi riprese a torturare i capelli del padre, rimuginando sulle sue parole. Quando poi tornò a fissarlo, una piccola scintilla di speranza le illuminava gli occhi. «E io? Potrei venire con voi?», domandò di slancio, pentendosi subitamente di essere stata così sfacciata quando il padre alzò un sopracciglio; non era mai un buon segno. 
 
«Lasceresti anche tua madre, pur di venire con noi?», le domandò franco, sviando la domanda per il gusto di vedere dove quella conversazione sarebbe andata a finire.
 
Mikomi assunse un'espressione sorpresa e raddrizzò le spalle, come se stesse fronteggiando il genitore. «Lei verrebbe anche con noi, non può restare da sola in questo castello. È sempre triste quando voi non ci siete, senza di me e Koan lo sarebbe ancora di più», commentò genuinamente, senza rendersi conto dell'effetto che quelle parole avrebbero avuto sul padre.
 
Sesshomaru alzò un dito e lo picchiettò sulla fronte della bambina, dove in mezzo ai capelli argentei si stagliava una mezzaluna, segno della sua discendenza demoniaca; era il primo vero contatto con la figlia da quando era arrivato e Mikomi non osò nemmeno fiatare, per paura di interrompere quell'incantesimo. Un attimo che durò pochi secondi, ovviamente, ma che ricompensò il travaglio patito durante la sua assenza.
 
Quando Sesshomaru allontanò la mano, la piccola mezzodemone la agguantò e osservò i suoi artigli, aguzzi a dovere. Alzò la sua di mano e la sovrappose a quella del genitore, che quel giorno sembrava parecchio permissivo e la lasciava fare in silenzio. «Un giorno anche i miei artigli saranno come i vostri?», la buttò lì, con tutta la naturalezza del mondo.
 
Non riuscì a trattenersi. Il demone si concesse una risata, smorzata in un ringhio, e indirizzò uno sguardo di sufficienza alla bambina. «Gli artigli dei mezzodemoni non saranno mai lontanamente come quelli di un demone completo», rispose brutale, non meravigliandosi quando Mikomi assunse un'espressione ferita.
 
Mikomi avrebbe voluto piangere, ma il suo orgoglio glielo impediva; non si sarebbe umiliata tanto davanti al padre, per nulla al mondo. I suoi occhi d'ambrosia si incatenarono a quelli piatti e dalla forma allungata verso l'alto di Sesshomaru e non un singolo istante accennò ad abbassarli.
 
Sesshomaru si sentì sfidato apertamente e un ringhio gli partì dal fondo della gola, con il potere di riportare sulle righe la piccola mezzodemone che si decise finalmente a spostare lo sguardo; non era ancora pronta a spiazzare il padre, nessuno ci sarebbe mai riuscito, ma non si sarebbe arresa.
 
.:••:.
 
Koan fissava con aria assente la tazza di cioccolata che la madre gli aveva premurosamente preparato - l'unica pietanza che le riuscisse bene, oltre al tè. 
 
Così immerso da perdere il contatto con la realtà, non si accorse neanche che Rin aveva preso posto accanto a lui e lo stava fissando con apprensione; a occhio e croce, poteva immaginare cosa angosciasse il figlio. 
 
Sapevano entrambi cosa volesse dire il ritorno di Sesshomaru al castello e non erano così sicuri di aver digerito - figuriamoci accettato! - l'idea. E poi l'inverno era alle porte, non poteva rischiare che suo figlio si ammalasse; avrebbe potuto intraprendere il suo percorso di formazione di guerriero anche in primavera, giusto?
 
Era sicuramente un punto -per quanto debole potesse essere- a favore della sua tesi, che avrebbe sicuramente esposto al Gran Generale dell'Ovest al più presto. Ma Koan che ne pensava?
 
Accarezzò le sue guance, dove i segni color magenta segnavano la sua pelle di porcellana, e lo vide sbattere le palpebre due volte, tornando immediatamente nella dimensione terrena. Il mezzosangue si abbandonò con dolcezza alle carezze della madre e sorrise lievemente. 
 
Rin gli passò una mano sulla fronte, alzando i capelli che gli coprivano quasi gli occhi, e lo guardò affettuosamente. «Me lo dici cosa ti impensierisce o devo leggere le foglie di tè?»
 
Koan si lasciò sfuggire un risolino, ruotando leggermente gli occhi. «Come se già non lo sapessi», replicò e il tono incolore la sorprese. 
 
Rin corrugò la fronte e si sbatté un dito sul mento, guardando il soffitto, come se vi stesse veramente riflettendo. «Qualcosa mi suggerisce che c'entra tuo padre», ipotizzò, rivolgendogli uno sguardo eloquente. 
 
Koan sospirò, scuotendo la testa. «È che...», si prese qualche secondo, riordinando le idee. «Non sono così sicuro di voler prendere parte a questo viaggio. Non voglio dover lasciare voi, te e Mikomi; vedo, sento, come stai male quando papà non c'è e non vorrei alimentare la tua sofferenza andandomene», confessò tutto d'un fiato alla fine, gli occhi che in nessun istante lasciarono quelli della madre, leggermente arrossati per la commozione. 
 
Rin si morse l'interno della guancia e piegò la testa leggermente di lato. «Quella che tuo padre ti sta offrendo è una opportunità che non puoi prendere sotto gamba. Sarei più infelice se restassi perché il tuo senso della giustizia te lo impone, invece che vederti andare via», mormorò lei, sorridendo mestamente. 
 
Koan abbracciò la madre, circondandola interamente con le braccia, meravigliandosi come sempre quando si rendeva conto di quanto fossero fragili gli esseri umani ma allo stesso tempo forti d'animo come neanche un esercito di mille demoni superiori. 
 
.:••:.
 
Rin si appoggiò alla porta, la testa inclinata contro il legno, e chiuse gli occhi, respirando pesantemente; un'altra giornata era passata, finalmente. 
 
Sentì un fiato caldo sul collo e quando riaprì gli occhi, la sua visuale fu sommersa dai capelli argentei del compagno. Questa volta, nonostante la perpetua sorpresa, riuscì a controllare il suo impulso di urlare; seriamente, dov'era finito il suo coraggio? «Mi prendi sempre alla sprovvista», disse con fiato ansante, stringendogli le vesti con i pugni stretti. 
 
Sesshomaru alzò un sopracciglio, mordendole con i canini il suo punto debole: il punto in cui la mascella incontrava il collo. «Una delle mie tante doti», rimarcò, con fare arrogante. 
 
Rin percorse il suo petto tonico con le dita, afferrandogli con forza il viso. «Una delle più irritanti», replicò sorridendo divertita, mentre gli poggiava un bacio casto sulle labbra. 
 
Sesshomaru la afferrò per le cosce e la issò, facendo inevitabilmente scontrare i loro bacini. «Allora te ne mostro un'altra che sono sicuro ti soddisferà».
 
Prima che Rin potesse replicare, o anche solo pensare di farlo, si ritrovò distesa sul futon, le braccia alzate sopra la sua testa e bloccate nella fervida presa del demone; quando incontrò i suoi occhi color miele, una scarica le rianimò le viscere. Istintivamente, alzò il bacino e sentì chiaramente che il bisogno era ricambiato; c'erano troppi vestiti a dividerli. 
 
Dovette pensarlo anche Sesshomaru, dal momento che prese a slacciarle il kimono, con una lentezza che se da una parte aumentava il desiderio dall'altra esasperava la povera Rin. Il Gran Generale dell'Ovest alzò un angolo della bocca, sentendola irrequieta. «Qualcuno è impaziente», la stuzzicò, picchiettandole un dito sulla fronte. 
 
Rin arrossì - sì, ancora dopo tanto tempo il demone aveva ancora questo effetto su di lei - e volse il viso, scappando dai suoi occhi. «Stai zitto» e, sporgendosi in avanti, gli rubò un bacio con passione. 
 
Sesshomaru, senza mollare la presa sulle sue braccia, fece scorrere con una lentezza frustrante le dita sul ventre piatto della compagnia, disegnando con gli artigli linee immagini. Vederla imponente sotto di lui, così inerme al suo tocco e saperla impaziente, era motivo di soddisfazione personale per il demone. 
 
Rimuovendo la biancheria superflua, accarezzò i radi peli del pube di Rin, ghignando quando la sentì trattenere il respiro; l'aveva in pugno. Si abbassò, lasciando un bacio nell'incavo dei suoi seni, poi sopra l'ombelico e infine lì, sul monte Venere. Quando alzò lo sguardo, la vide con il viso rivolto verso l'alto e gli occhi chiusi, in attesa. «Rin, guardami», le ordinò. 
 
Nel momento in cui si assicurò di avere il suo sguardo nocciola addosso, leccò il suo punto più caldo, godendo della sua espressione estasiata e assaporandola con dolcezza; forse non riusciva a comunicarlo con le parole, ma nei gesti si sentiva quanto avesse sentito la sua mancanza. 
 
Come il generale spietato qual era, non le diede un attimo di tregua mentre cominciava la sua amorevole tortura. Rin non poteva fare altro che inarcarsi contro le sue labbra, chiedendo di più, implorando, imprecando, urlando; stava raggiungendo il suo limite. 
 
Sesshomaru inserì senza preavviso un dito, guadagnandosi un gemito sorpreso, e, quando fu sicuro di potersi spingere oltre senza farle male, ne aggiunse un altro. Con ritmo veloce, cominciò a muovere le dita dentro e fuori, allargandola e preparandola per il seguito. Rin aveva il respiro affannato e assecondava i suoi movimenti con delle flessioni del bacino. 
 
E proprio quando stava per raggiungere l'apice, Sesshomaru si fermò; Rin emise un gemito frustrato e se avesse avuto una mano libera avrebbe certamente finito da sé il lavoro, ma purtroppo era immobilizzata. «Sesshomaru, ti prego».
 
Il demone inclinò la testa di lato, ghignando mentre, dopo essersi spogliato della sua armatura e dei suoi abiti, si posizionava sopra di lei. Le rivolse uno sguardo interrogativo, invitandola a continuare; voleva che lo dicesse esplicitamente. 
 
Rin si morse il labbro e mentre incatenava i loro sguardi ebbe la forza di annuire. «Voglio essere tua. Ora e per sempre».
 
.:••:.
 
«L'hai rotta, l'hai rotta!».
 
«Non è proprio rotta, le manca solo la testa di cui puoi farne benissimo a meno!».
 
«Lo dico alla mamma».
 
«Accomodati pure».
 
Sesshomaru non si perse una sola parola di quello scambio di battute tra i suoi figli, pur trovandosi al piano inferiore rispetto alle loro camere il suo incredibile udito era riuscito senza fatica ad essere raggiunto. Il giorno era appena sorto da un paio di ore, quando Gran Generale dell'Ovest e la sua consorte stavano consumando la colazione - o per meglio dire, Rin stava facendo rifornimento mentre Sesshomaru non ne sentiva il bisogno. 
 
Ovviamente, Rin era all'oscuro di tutta quella faccenda, tuttavia non lo rimase per molto dal momento che Mikomi fece irruzione dentro la sala da pranzo con tutta la sua ira seguita da un annoiato Koan. Stavano ancora dibattendo animatamente, eppure appena entrambi posarono lo sguardo sul demone cane raggelarono sul posto; sembravano delle statue di sale.
 
Sapevano quanto il padre odiasse sentirli discutere e litigare, specialmente poi la mattina, così, accantonarono momentaneamente l'ascia di guerra e presero posto in silenzio ai fianchi della grande tavola rettangolare, l'uno di fronte all'altra, continuando a guardarsi in cagnesco. Letteralmente. 
 
Rin era abituata a tutto quel trambusto, quindi spostò lo sguardo da Mikomi a Koan e viceversa, prima di sospirare e rivolgersi direttamente al figlio maggiore. «Che hai combinato questa volta?», domandò con tono esasperato, poggiando il mento sulle mani intrecciate. 
 
Koan ruotò gli occhi, mentre cominciava a pizzicare il suo piatto con disinteresse. «Perché sei certa che sia colpa mia?», si lamentò, assumendo un'espressione candidamente innocente. In tutta risposta, gli arrivò un calcio allo stinco da sotto la tavola che lo fece gemere dal dolore e di conseguenza il mittente assunse un'aria diabolicamente soddisfatta.
 
A interrompere la scena fu il ringhio sordo che prepotentemente uscì dalla gola di Sesshomaru; ne aveva abbastanza di tutta quella faccenda, quindi si alzò dalla tavola e intimò a Koan con un breve cenno del capo di seguirlo. Le orecchie appuntite del ragazzo improvvisamente si afflosciarono e, dopo aver ricevuto un sorriso incoraggiante dalla madre, gli corse dietro perché non voleva accrescere maggiormente i suoi guai.
 
Una volta in corridoio, lo vide aprire una finestra e volare fuori, dirigendosi così in giardino; Koan non perse tempo e, poiché essendo un mezzodemone non era capace di volare, spiccò un salto atterrando goffamente sui piedi scalzi.
 
Sesshomaru alzò un sopracciglio e mostrò i canini aguzzi, mentre osservava con un cipiglio severo suo figlio. «Adesso sei un adulto e come tale dovresti prendertela con quelli della tua stazza, non con tua sorella minore. Vediamo che sai fare, mezzodemone» e sferrò il primo attacco.
 
 
 
 
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