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Autore: lapoetastra    22/08/2017    1 recensioni
In silenzio, senza un lamento, senza un gemito, il corpo disteso a terra sul freddo pavimento vuoto e spoglio della casa di riposo che tante volte ha calpestato, quando era vivo, giovane e forte.
È lì, l’uomo del pollo, il più grande trafficante di droga dell’intero Stato.
Ma solo fisicamente.
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Gustavo Fring: momenti e pensieri prima della morte.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gustavo Fring
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ha sempre saputo che prima o poi sarebbe dovuta finire, in qualche modo.
È impensabile che un uomo con un giro d’affari come il suo non si sia creato qualche nemico, con il tempo: del resto, solo le persone prive di importanza non ne hanno.
E siccome di importanza Gustavo Fring ne ha eccome, ed è tutto fuorché stupido o ingenuo, è sempre stato consapevole del fatto che un giorno o l’altro sarebbe giunto il momento, rapido come un pensiero, in cui qualcuno gli avrebbe sparato alla testa, o lo avrebbe accoltellato, o avvelenato, talmente celere da non riuscire ad essere intercettato e fermato nemmeno dai suoi uomini più fedeli.
Un qualche scagnozzo del Cartello, magari. O forse un membro della famiglia Salamanca, un altro, loro che sembrano continuamente spuntare come erba infestante.
Sangre por sangre, in fin dei conti.
Ma mai, mai in tutta la sua vita, Gus Fring si sarebbe aspettato di venir ucciso proprio da quel piccolo topo paralitico di Don Hector, con l’aiuto imprescindibile – ne è certo – di Walter White, uomo che lui stesso ha finanziato ed assunto come suo dipendente, rendendolo importante, famoso; rendendolo qualcuno, nel vasto mercato del mondo, e della droga. White, che probabilmente non ha di fronte a sé molto più tempo  da vivere di quello che resta a lui, ma che in quell’esatto momento è senza ombra di dubbio chissà dove a godere della sua cruenta vittoria, conseguita insieme a quel tossicodipendente senza speranza del suo socio.
Ma non c’è più tempo per la rabbia, o per la voglia di vendetta, ora.
Il biasimo abbandona il corpo di Gus con una velocità pari soltanto a quella con cui lo ha lasciato per sempre la metà sinistra del suo volto, dopo l’esplosione.
Il tempo scorre.
Dovrebbe pensare alla moglie, ed ai figli, negli ultimi attimi che gli sono rimasti.
O magari dovrebbe consolarsi con la consapevolezza che, alla fine, è riuscito nel suo intento, distruggendo fino all’ultimo respiro l’anima di Don Salamanca più di quanto la malattia abbia devastato il suo corpo.
O forse dovrebbe chiedere mentalmente scusa a Tyrus, Tyrus il cui spirito chissà dov’è adesso, mentre del suo involucro di carne e sangue non resta che qualche brandello informe.
No.
Tra i tanti pensieri, tutti potenzialmente doverosi e ragionevoli, ha trovato quello giusto, Gus, a cui aggrapparsi come fosse una di quelle promesse nel cui calore confortante ci si rifugia la sera prima di dormire, ma che al risveglio è già andata dimenticata.
Eccolo.
Il viso sorridente di Maximino Arciniega è di nuovo di fronte a lui, fantasma in un mondo di fantasmi.
Lo guarda con quegli occhi ipnotici ed ipnotizzati che Gustavo ha imparato a riconoscere come unico suo specchio, in un tempo lontano che pareva essere andato perduto per sempre.
Prende tempo per perderlo, Max.
Gus si perde in quello sguardo, rivelatore di un sorriso dell’anima, più luminoso dei cieli cileni dopo una tempesta estiva.
Nulla esiste tranne lui, tranne loro.
Fring non prova dolore, è solo tanto felice.
Felice di rivedere il suo più caro, intimo e vecchio amico, il suo hermano, il suo fratello non di sangue ma di vita, strappatogli troppo presto per un vano capriccio di Don Eladio, il quale ora non è che un corpo in prossima putrefazione. Un altro. Uno dei tanti.
Gustavo sorride, un sorriso storto che gli dilata la bocca informe, e gli tende la carne viva e scorticata del lato sinistro della faccia.
Sembra un segnale: Maximino perde la sua baldanza, e si accascia, si sdraia a terra, su un fianco, gli occhi immobili, l’espressione del volto congelata.
È successo di nuovo.
Forse lo spirito infausto di Hector Salamanca è di nuovo intervenuto, dando prova ancora una volta della sua ineluttabile freddezza emotiva, persino da morto, deciso a devastare la (non) vita di Gus, ancora ed ancora, come un labirinto di dolore da cui non si riesce ad uscire.
O forse quella è l’essenza intrinseca dell’Inferno, per un criminale omicida come Fring: rivivere in un continuo ed interminabile loop i momenti peggiori della propria esistenza terrena.
Gus non lo sa. Come potrebbe?
Sa solo che questa volta non rimarrà fermo a guardare Max allontanarsi da lui, venir rapito, lasciarlo, solo e silenzioso.
Si accascia lui stesso, allora, e non è sicuro che lo abbia fatto volontariamente. Il suo corpo non gli risponde più.
Ma è sdraiato sopra la schiena di Max, ora, con la metà della faccia scarnificata premuta contro il suo corpo caldo, come se bastasse quel contatto fraterno a sanificarlo, a salvarlo, a salvarli entrambi.
Ma non è così.
E Gustavo Fring muore.
In silenzio, senza un lamento, senza un gemito, il corpo disteso a terra sul freddo pavimento vuoto e spoglio della casa di riposo che tante volte ha calpestato, quando era vivo, giovane e forte.
È lì, l’uomo del pollo, il più grande trafficante di droga dell’intero Stato.
Ma solo fisicamente.
La sua anima, in quel momento, chissà dov’è.
 
   
 
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