Al mio amico speciale, che ringrazio per l'ispirazione datami e che possa riprendersi presto.

«Mi dispiace non poter rimanere a casa con te, mi raccomando, non alzarti per nessun motivo, appena torno ci penso io a farti mangiare!»
Sembrava essere diventata la mia personale infermiera, una mamma premurosa, una figura che io mai avevo avuto la fortuna di possedere al mio fianco.
Dopo aver sentito la porta di casa sbattere, segno che era uscita, le mie palpebre diventarono più pesanti di quanto già non fossero, e mi addormentai, perdendo completamente la cognizione del tempo.
Quando mi risvegliai, la luce del sole picchiava ancora contro la mia finestra, e i suoi raggi con tanta strafottenza entravano fra le linee che la mia serranda totalmente abbassata aveva creato, era segno che non avevo dormito poi così tanto.
Il mio stomaco aveva cominciato a brontolare creando boati che forse avrebbero sentito dal piano di sotto, mi ritornarono alla mente le parole suggeritemi dalla mia compagna ma insomma, più una cosa è proibita, e più hai voglia di trasgredire alle regole imposte.
Mi alzai con un balzo poco atletico in confronto ai miei standard, raggiunsi il soggiorno mantenendomi con le mani alle pareti fasciate dalla carta da parati, cercando disperatamente qualcosa da mangiare. In quell’esatto momento la vista mi si annebbiò, stavo sudando freddo, avrei desiderato tanto riuscire a stendermi sul divano, invece, caddi sul pavimento, senza riuscire a controllare i miei muscoli.
Buio.
Stranamente non mi feci male, era morbido, caldo, e per di più, profumava di donna. Era già rientrata.
Non di una donna qualsiasi, di quella che consideravo la mia donna senza però essere mai riuscito a confidarglielo.
Dopo qualche secondo, sollevai la testa, che prima si trovava proprio in mezzo al suo petto fino ad un secondo prima. Nonostante non fosse chissà quanto prosperoso, era comodo come un cesto pieno di petali di rose. Socchiusi gli occhi e notai con mio piacere che era diventata rossa proprio come i fiori a cui avevo paragonato le sue immature protuberanze poco fa.
«S-Soul Evans! C-cosa ti avevo detto? Di non alzarti dal letto! Ti sei fatto male?»
 Era così terribilmente carina, imbarazzata, dalla voce tremante, io proprio non ci riuscivo a rimettermi in piedi e perdermi quel contatto così intimo ed allo stesso tempo fatale e puramente casuale. Nonostante lei stesse ancora imprecando contro di me, la avvolsi in un abbraccio, lasciandomi cullare dal suo profumo, che all’interno dell’incavo del suo collo, riusciva a sentirsi all’ennesima potenza e ad espandersi dentro i miei polmoni.
«Soul… Tu scotti! La febbre deve essere schizzata alle stelle!».
Il suo tono non era più quello della saputella che sempre la caratterizzava, era preoccupata, intimidita anche probabilmente dalla situazione che avevamo assunto.
Non mossi un dito, non risposi. Avevo bisogno del suo calore, del suo profumo, di toccare i suoi setosi e lisci capelli e la sua schiena da bambina ed allo stesso tempo femminile.
«Hai bisogno di cure, Soul.»
«Tu sei la miglior cura, Maka.»