Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Hiroshi84    23/08/2017    10 recensioni
In questo racconto di matrice autobiografica, mi accingo a narrare la mia esperienza con il bullismo vissuto alle superiori e la costante ostilità da parte di un bullo in particolare persino dopo la maturità.
Genere: Drammatico, Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


 
Erano trascorsi circa sei mesi da quando avevo finito le superiori lasciandomi alle spalle le materie, i professori, i compagni di scuola nonché l'imperante bullismo perpetrato ai miei danni. A tal proposito, beneficiavo di una meritatissima tranquillità, godendomi i miei diciannove anni senza più percosse fisiche e soprattutto vessazioni psicologiche che avevano reso quel tedioso quinquennio all'I.P.S.I.A. un autentico girone dantesco.
Sia prima che dopo la scuola lavoravo in un negozio di articoli casalinghi, dove parallelamente venivo sfruttato e pagato una miseria, motivi validi per attendere con trepidazione la chiamata alle armi in quanto desideroso di una carriera nell'esercito, mestiere che sognavo fin da bambino.
Non ho alcuna nostalgia delle superiori, se non gli indimenticabili brutti ricordi. I cinque anni mi apparvero lunghissimi, difatti i miei compagni di classe e non, me ne fecero di tutti i colori. L’origine di tutto ciò? Un epiteto, un maledetto epiteto che mi logorava l'anima ogni qualvolta lo udivo: “Prosciutto.”
Lo sgradito soprannome mi venne dato da un coetaneo per via che all'epoca dei fatti avevo la carnagione rosa pallido. Si chiamava Loris Calabrese, un pessimo elemento senza voglia di studiare, che frequentò l’istituto per tre mesi poiché, in seguito a una sospensione per un increscioso comportamento, decise di non ritornare più.
Malgrado siano passati tanti anni, mi viene una gran rabbia al solo pensarci, quell'infelice appellativo ideato da un individuo di passaggio mi condannò per l’intero periodo scolastico. Sono del parere che certa gente viene inviata dal diavolo stesso per scombussolare la vita a chi non merita di essere inquietato.
L’odiato soprannome irreversibilmente si propagò facilmente come un morbo e, in men che non si dica ,persino nelle altre classi.
“Prosciutto! Prosciutto! Prosciutto!...”
Venivo così insultato, spesso e volentieri, da uno o più ragazzi, in classe, nel cortile, nei bagni, nei corridoio, all'uscita della scuola, in qualsiasi luogo insomma, anche per strada coi bulli che sfrecciavano con i loro scooter. In certi contesti, arrivai addirittura alle mani con singoli bravacci, battendomi come un leone a discapito delle dolorose rappresaglie qualora riuscissi a stendere qualcuno. Indubbiamente reagivo per difendermi ma dinanzi ai gruppi non avevo scampo.
A parte Ernesto, il mio compagno di banco anch'egli oggetto di sfottò sebbene in misura minore, non legai con nessuno. I professori non mi furono granché d'aiuto, inoltre, con i miei famigliari non parlavo del gravoso disagio che subivo, vuoi per paura di ritorsioni in caso di adeguati provvedimenti e vuoi perché volevo cavarmela da solo.
Da segnalare che gli insulti non di rado venivano accompagnati da calci nel sedere, sgambetti e vigorose manate al collo. Per ovvi motivi, durante la ricreazione, per evitare problemi, preferivo starmene rintanato in aula, meglio ancora con l'insegnante presente.
Nel 2003 l'incubo finalmente finì, seppur mi diplomai con un modesto punteggio, me ne fregai altamente, d’altro canto l’intento principale era sbarazzarmi di tutti coloro che mi avevano procurato ogni genere di patimenti, tra cui Gaetano Castello, il carnefice dei carnefici.
Capelli biondi a caschetto, occhi azzurri, non molto alto, fisicamente atletico, orecchino e abbigliamento firmato dalla testa ai piedi, il classico primo della classe che eccelleva su tutti e in tutto, anche in educazione fisica, del resto fuori dal contesto scolastico capitanava un'agguerrita squadra locale di calcio, tra l’altro un tipo parecchio fortunato con le ragazze, complice il fatto che era considerato un bel ragazzo. Si distingueva pure a livello caratteriale, inteso in termini negativi, ed è facile immaginare che amava prendersela con i più mansueti, in primis con un certo Giuseppe detto Prosciutto che si divertiva a prendere di mira senza limiti e senza misure.
Arrogante, narcisista, sfacciato, maligno, impietoso, malevole, ostile, perfido... non basterebbero intere pagine per elencare i sinonimi e le parole equivalenti. Posso assicurare e testimoniare che fu piuttosto dura con lui.
Finché, una mattina del terzo anno, preso dall'esasperazione e accecato dall'odio per Gaetano, infilai il mattarello di mia madre dentro il mio Invicta, pronto a malmenare a sangue quel diabolico soggetto. Lo vidi vicino al cancello dell’edificio scolastico, e, come da copione, mi diede fastidio.
«Prosciutto!» esclamò con meschinità, per non parlare delle risate e dei cori crudeli di un gruppo di compagni di “branco.”
Appena si girò di spalle, con le mani tremanti, aprii lo zaino pronto a passare all'attacco, tuttavia, all'atto pratico non feci nulla. Forse la decisione finale scaturì da una questione morale o probabilmente fu l'angelo custode che mi orientò a cambiare idea e, di conseguenza, a desistere dal violento proposito.
In effetti, in classe, immaginai un esito disastroso, con l’elevato rischio di una bella denuncia per lesioni e addio carriera nell'esercito, oltre ad una sospensione che mi avrebbe inesorabilmente pregiudicato l'anno scolastico.
Dopo la maturità, benché la scuola fosse terminata come già detto da sei mesi, Gaetano restò legato al suo “bullistico” malanimo, ovverosia non mancava di offendermi o di mettermi in berlina in qualunque posto mi trovassi. La mia città, non essendo grandissima, incontrarlo non era affatto difficile ed evitarlo o aggirarlo ahimè non sempre possibile. Quella sua condotta impertinente mi rodeva non poco e, nel contempo, trattandosi di casi isolati, preferii non dannarmi, calcolando che presto sarei partito militare.
Successivamente, un episodio degno di nota ribaltò inaspettatamente la situazione a mio favore, un episodio che mi accingo a raccontare attraverso queste righe.
 
 
In una tarda mattinata di primavera i miei  datori di lavoro mi mandarono alla posta centrale per spedire una raccomandata. Mentre stavo percorrendo la piazza a piedi, dall'esterno di un negozio di abbigliamento, Gaetano mi apparve davanti assieme a una ragazza bionda di bellissimo aspetto. Entrambi mano nella mano e con due shopper da boutique per ciascuno.
«Dio, fa che almeno stavolta quel bifolco non mi rompa le scatole» pregai mentalmente.
Appena entrai nel suo raggio visivo, Gaetano assunse una mimica maligna, infatti, conoscendolo bene, era palese che mi avrebbe deriso in maniera deplorevole e con la sicurezza di avere manforte dalla sua ragazza. Ad ogni modo mi preparai a incassare l’irrisione, azzeccando in effetti il sicuro pronostico.
«Prosciutto! Prosciutto! Prosciutto!» mi canzonò diverse volte il bullo della malora, con fare spaccone e col chiaro proposito di atteggiarsi con la biondina.
Li ignorai e proseguii a testa alta per la mia destinazione senza dare a vedere in nessun modo l’avvilimento. Fu in quel preciso istante che avvenne una scena altrettanto straordinaria quanto imprevista.
«Perché lo stai insultando? Che ti ha fatto sto ragazzo?» domandò la ragazza, visibilmente scocciata, liberando immediatamente la mano che teneva intrecciata con quella del bifolco in questione.
«Niente, è un povero sfigato, alle superiori veniva preso per il culo da tutti!» si giustificò il grand'uomo ,ridendo nervosamente e sicuramente stupendosi della reazione di colei che non gli aveva fornito un potenziale assist.
«Ti devi solo vergognare!» lo ammonì la biondina sempre più incazzata.
Restai a osservarli. Gaetano non era un tipo cui piacesse venir contraddetto, ragion per cui discusse con la morosa col solito temperamento irascibile.
«Oh, ma che cazzo te ne frega di quel coglione? Non ti permetto di parlarmi così, cretina!» le urlò.
La ragazza gli scagliò addosso le due shopper da boutique e, tra strattoni e gesticolare, la situazione culminò in una sonora litigata. Me ne andai e li lasciai al loro battibecco, dentro di me godevo come un matto, non per cattiveria ma per una senso di giustizia. Per una volta fu lui a cascare male ed io ebbi la concreta dimostrazione che il cosiddetto “karma” esiste davvero.
Il giorno successivo, mentre stavo andando a fare la spesa in un supermercato, udii dietro le mie spalle una brusca frenata, un freno a mano e uno sportello sbattere violentemente. Mi girai d’istinto. Era Gaetano, letteralmente infuriato.
A passo svelto tentai inutilmente di divincolarmi e mi raggiunse stringendomi forte un braccio.
«Prosciutto di merda, per colpa tua la mia ragazza mi ha mollato!» imprecò il buzzurro con un tono iracondo.
Provai a discolparmi con la consapevolezza di non avere nessuna responsabilità in merito.
«Che cavolo stai dicendo? Ero per i cazzi miei, hai cominciato tu a provocare!»
Gaetano mi diede un vigoroso spintone e andai a sbattere in una serranda di un pubblico esercizio chiuso per ferie, rimanendo aderente ad essa.
«Sei passato nel posto sbagliato e nel momento sbagliato!» insistette con gli occhi stralunati e visibilmente arrossati.
Con una mano mi premette il torace mentre l'altra la chiuse per formare un pugno che tenne sospeso a mezz'aria e pronto per sferrarmelo.
«Io ti ammazzo! Hai capito? Io ti ammazzo!» continuò con espressione decisamente minacciosa.
Avevo due scelte: ingaggiare una lotta colpendolo per primo con un cazzotto in faccia oppure risolverla a parole e a convincerlo a lasciarmi in pace. Scelsi la seconda opzione, pur tenendo pronta la mano destra nell'eventualità di attaccarlo per difendermi.
«Se mi tocchi con un dito ti vado a denunciare alla polizia» gli dissi col cuore che pompava a mille.
«A me gli sbirri mi fanno una sega!» gracchiò il mio persecutore con gli occhi arrossati dall'ira.
«Gaetano, lasciami stare, te lo chiedo per favore, non hai idea di quanto male mi hai fatto in tutti questi anni!» lo supplicai e delicatamente gli abbassai il braccio con il quale mi premeva il torace. «Ti prego... basta!» aggiunsi con un fil di voce.
Mi sembrò di scorgere i suoi occhi diventare incredibilmente lucidi, tant'è che li abbassò per svariati secondi. Ebbe un atteggiamento titubante e ipotizzai che l’implorazione presumibilmente l'avesse toccato a livello interiore.
Improvvisamente cacciò un urlo e una bestemmia, scagliando il temutissimo pugno, non per colpire me ma per centrare la saracinesca della ferramenta. Il rimbombo fu particolarmente assordante, tanto da intontirmi facendomi chiudere le palpebre di colpo e stordendomi l’orecchio.
Vidi il mio carnefice allontanarsi, risalire in macchina e infine ripartire sgommando. Non mi picchiò e la cosa mi stupii parecchio.
In Autunno, una settimana prima di partire militare, incontrai nuovamente Gaetano in un bar, in compagnia della solita ragazza dai capelli biondi, intenti a mangiarsi un gelato seduti a un tavolino. Inizialmente valutai se farmi notare o meno però alla fine ritenni opportuno non fare la figura del coniglio che scappava.
«Ciao Giuseppe!» esclamò salutandomi cordialmente, mentre la sua ragazza si limitò semplicemente a un sorriso e a un piccolo accenno.
«Ehilà Tano!»
«Com'è? Come stai?» mi chiese.
«Bene, spero anche tu!» risposi banalmente tanto per dire qualcosa.
«Alla grande. Giuseppe, ti auguro buona domenica!» concluse.
«Altrettanto a voi!» dissi congedandomi.
Ordinai alla barista una granita a un tavolino vicino ai due, per osservare e origliare con discrezione e capire se stavano parlando di me.
Fortunatamente se ne stavano tranquillamente a mangiarsi il proprio gelato, a parlare pacatamente e a scambiarsi dei piccoli baci. Capii che non ero l'oggetto dei loro discorsi.
Gustai con calma una granita caffè con panna e brioche siciliana, mi alzai dalla sedia, pagai il conto e fissai Gaetano di profilo per l’ultima volta.
«Ecco, bravo, mi chiamo Giuseppe, non Prosciutto. Non dimenticarlo!» pensai tra me e me come a volergli trasmettere il messaggio telepaticamente per poi uscire da locale.
Andai in piazza e mi sedetti su una panchina. Ripercorsi mentalmente tutto ciò che il bullo mi aveva fatto patire, realizzando che non si cancellano facilmente cinque anni di soprusi e di angherie, seppur involontariamente credo di avergli dato una bella lezione, una lezione ovviamente correlata dal risolutivo episodio precedente. Chissà, un nuovo litigio avrebbe comportato il lancio del cono gelato in faccia ai danni dello smargiasso da parte della biondina. Ridacchiai un po' nel crearmi tramite fantasia un’eventualità abbastanza prevedibile.
Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te!
I vecchi proverbi non sbagliano mai.
 
 
 
   
 
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Hiroshi84