Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: TheChump    24/08/2017    1 recensioni
L'amore può essere un ossessione.
Quando non lo si è mai provato.
Quando tutti attorno a te si innamorano e tu resti solo a guardare.
Può diventare una caccia al tesoro, un boccino d'oro da inseguire.
É quello che è per Nina, quasi una leggenda.
Tutti si innamorano di lei, ma lei non si innamora di nessuno. Lei sembra apatica, incapace di provare un sentimento simile.
E poi? e poi Alice.
Alice che diventa una possibilità, una speranza.
Alice che ama Paolo e non è ricambiata.
Alice che cambia il mondo di Nina.
Alice che può farle scoprire cos'è l'amore.
É un amore idealizzato, è ciò che ho capito di esso e come vorrei che fosse.
Nina e Alice si amano, di quell'amore che forse si legge solo nei libri.
E se lo trovi, crediti fortunata, perchè è decisamente tanto raro.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Prologo

I ragazzi morivano per lei. Quelli più grandi e anche quelli più piccoli. Tutti e dico tutti, da quelli più spavaldi a quelli più timidi, tutti dicevano di amarla, che lo facessero da soli, nelle loro stanze o con amici dopo un bicchiere di troppo o proprio lì davanti a lei in una dichiarazione disperata. Non potevano fare altro, non potevano non restare affascinati, ammaliati. A lei le bastava dire due parole o semplicemente farsi vedere, passare un po' di tempo con loro ed era fatta. Tempo niente e un nuovo nome si aggiungeva alla lista di quelli che glielo avevano urlato, sussurrato quel "ti amo". Riusciva a convincere anche i più timorosi e non c'era verso, il numero aumentava sempre. E lei? Lei niente. Qualche volta una dichiarazione la faceva sorridere e allora diceva si. Iniziavano ad uscire, andavano qui e andavano lì. Lui la sfoggiava con orgoglio, se la trascinava dietro peggio di un trofeo, le presentava tizio e le presentava Caio. Passava un po' di tempo e lui diceva di amarla sempre più. E lei? E lei niente, diceva che gli voleva bene, che ci teneva, che forse lo amava, ma ancora non lo sapeva. Allora i giorni passavano e lei era sempre più distratta, lui sempre più insicuro e possessivo. Urla. Tu questo tu quello. Non ne posso più. Basta. E così si lasciavano, tra i pianti di lui e i sospiri di lei. Ed era meglio per entrambi, lo sapeva lei e, in fondo, lo sapeva anche lui. Bastava qualche mese o forse solo qualche giorno e si rendeva conto che quella ragazza così bella in fondo era molto diversa da lui e dal pensiero che si era fatto di lei, che per tutto il periodo in cui erano stati insieme era stata una specie di tortura infernale in cui lui era pervaso dal terrore di perderla da un momento all'altro. Si rendeva conto che non aveva quasi respirato per tutto quel tempo e finalmente iniziava ad ingoiare grossi sorsi di aria fresca. Forse l'aveva amata o forse aveva pensato di amarla, forse non era lei che aveva il terrore di perdere, ma tutta la notorietà che lei gli aveva regalato... in ogni caso era finita e quella diventava un'esperienza di cui vantarsi e raccontare ai posteri, le foto o i video delle prove inconfutabili da esporre come una laurea e questo era più che abbastanza per andare avanti e magari diventare anche amici.
E così nei cinque anni di superiori Nina era stata amata quasi quanto un'attrice, aveva avuto un’enorme popolarità e un’enorme quantità di ragazzi e ancora non sapeva cos'era l'amore. Solo una volta pensava di essersi innamorata. Era una giornata estiva, di sole e di caldo. Indossava un top bianco, infilato in una gonna azzurra che leggera ogni tanto si alzava appena mentre faceva un passo deciso, ampio e marcato, che col tempo cambiava, quel passo diventava sempre più leggero, più piccolo e finiva per tradirla, diceva al mondo che era fuggita chissà dove. E quelle Adidas bianche che portava ai piedi si ritrovarono molto spesso in posti sconosciuti. Ad un certo punto eccola lì, che solleva appena le spalle, dà uno sguardo intorno, spaesata e si accorge di averlo fatto ancora, di essersene andata via un'altra volta. Può essere qualsiasi cosa a destarla, un suono, un sassolino che le fa lo sgambetto, la fine di un marciapiede o un semaforo che cambia colore, o magari il telefono che squilla e la voce di una sua amica che le chiede dove cavolo sia finita. Può essere veramente qualsiasi cosa e quel giorno fu la voce di un ragazzo. Le urlava di spostarsi disperato prima di finirle letteralmente addosso. Si chiamava Michele. Era alto e magro e il suo viso era nascosto dai capelli ricci e gonfi e da degli occhiali neri e spessi. Aveva diciassette anni e quella era la prima volta che andava in bicicletta. Non era un tipo molto atletico, era più da libri e divano. Non gli piaceva sudare e non gli piacevano gli schiamazzi. Amava molto di più il silenzio e quegli aggeggi con le ruote non lo attiravano più di tanto e forse, a dirla tutta, gli facevano persino paura. Non era mai andato in bicicletta e non gliene importava proprio nulla. Suo cugino glielo diceva sempre che glielo avrebbe insegnato prima o poi, che lo avrebbe convinto e che dopo aver imparato gli sarebbe piaciuto così tanto che non sarebbe più voluto scendere. Aveva sempre trovato la scusa per rifiutare il gesto gentile e alla fine era diventata una guerra. Quel giorno era il suo compleanno e Riccardo aveva pensato bene di regalargli una bella bicicletta. Aveva speso una cifra molto generosa per un ragazzo della sua età che non lavora, per potergliela comprare e alla fine aveva vinto. "Allora... metti un piede su un pedale, con l'altro ti dai la spinta e vai, facile!" Gli aveva detto con un sorriso a trentadue denti più smagliante del solito. Michele era incerto, era salito su quella bici nera e già gli sembrava un buon risultato, non capiva bene perché il cugino si era impuntato così tanto. Lo continuava a guardare spaesato e lo pregava con lo sguardo di farlo scendere, di riportare la bici al negozio e di chiuderla lì. Ma a quanto pare la comunicazione visiva non era così efficace. "Certo facile... Non sono cosa, lasciamo perdere! Io ti ringrazio, ma questa la riporti al negozio e siamo tutti felici e contenti". Stava per scendere, ma Riccardo fu più svelto di lui. "Ma quale negoziooooo! Vai cuginetto, che non è niente!" Così dicendo si attaccò alla parte posteriore del sellino e iniziò a correre. "Fermo! Che cazzo fai, cretino!? Così mi fai ammazzare! Fermooooooo!”. Ma lui continuava a correre e allora Michele iniziò davvero a pedalare. Il cugino si fermò esausto e lui continuò ad avanzare barcollando e urlando, disperato. Non sapeva come fermarsi e quando si vide davanti quella ragazza, gli salì una gran paura. Le urlò di spostarsi, lo fece più volte, ma la ragazza non sembrava accorgersene e quando finalmente si girò per vedere quello che stava succedendo era troppo tardi. La bicicletta volò un po' più lontana da loro, insieme agli occhiali di lui, e intanto loro erano sdraiati al suolo con i corpi doloranti a contatto tra loro. Michele fu il primo ad alzarsi. Le porse una mano e iniziò a chiedere scusa, rosso in faccia e con i il terrore stampato negli occhi nocciola. Senza gli occhiali non riusciva bene a mettere a fuoco la scena e non potendo ben constatare la condizione in cui lei era ridotta, diventava sempre più preoccupato. "Non ti scusare, la colpa è mia... Sono sempre con la testa per aria... Prima o poi mi farò ammazzare..." Lo guardava e rideva "quindi non scusarti, perché se no dovrei scusarmi anch'io". Afferrò la sua mano e si fece tirare su. "Sono Nina, comunque", lo disse così, come si dice un "ciao" qualunque a qualsiasi persona, come se a quella non interessasse e, probabilmente manco a te. Michele strinse gli occhi nell'arduo intento di mettere a fuoco il suo viso. Iniziò ad aprire la bocca per dare una risposta, ma Riccardo lo precedette: "lui è Michele e questi sono i suoi occhiali" gli afferrò il polso e glieli mise sul palmo. "E io sono il cugino bello e simpatico, Riccardo, molto piacere" le prese la mano con decisione e le fece l'occhiolino.
Nel giro di poco tempo sarebbe diventato il suo migliore amico, lo avrebbe iniziato a chiamare Willy il principe di Bel-air, per i suoi modi di fare, e avrebbero mantenuto il loro rapporto intatto anche dopo che lei si lasciò con Michele. Perché fu proprio di quest'ultimo che pensò per un momento di essere innamorata, di aver perso la testa, di avere una collezione di farfalle nello stomaco, di sentire una grossa fiamma rossa ardere dentro di lei e fu proprio per questo che si donò a lui. Per la prima volta nella sua vita, alla veneranda età dei suoi scarsi 15 anni fece l'amore con qualcuno, o almeno pensò di farlo, per poi rendersi conto che per quanto effettivamente tenesse a quel ragazzo occhialuto, il suo sentimento era ben diverso dall'amore, che raggiungeva una certa soglia nella scala dell'affetto, ma che dell'innamoramento aveva ben poco, purtroppo. Erano stati insieme per circa un anno. Avevano fatto tutto quello che una coppia di adolescenti normalmente fa o spera di fare e forse avevano fatto anche di più. D'estate erano stati a mare, in gommone con il vento in faccia e i capelli all'indietro sospesi in quell'azzurro acceso e in spiaggia attaccati, madidi di sudore ad arrostire come polli allo spiedo. Avevano visto le stelle dopo un campeggio in pieno bosco, tra il canto delle cicale, qualche zanzara affamata e una fifa sottile che solo la natura nel buio della notte può incutere. Avevano ingurgitato gelati dopo gelati, pizze, sfincioni, patatine fritte e chi ne ha più ne metta. Avevano camminato ore mano nella mano, andavano a fare gite in bicicletta -alla fine Riccardo aveva avuto ragione-, si parlavano al telefono, si inviavano messaggi pieni di cuori e ad un certo punto erano entrati in quella fase in cui quando c'è una festa e inviti uno è d'obbligo invitare anche l'altra. D'autunno avevano osservato le foglie diventare gialle e poi cadere, si erano abbracciati quando un venticello fresco li aveva colti alla sprovvista regalandogli dei brividi di freddo lungo la schiena. Avevano visto le spiagge svuotarsi, la scuola ricominciare e l'inverno arrivare. Si erano stretti l'un l'altra nei maglioni doppi e spessi la notte di capodanno e avevano addentato insieme un biscotto di San Martino facendo a gara a chi riusciva a spezzarlo per primo. Lui le regalò una rosa a San Valentino e lei un uovo di cioccolato per Pasqua. In primavera videro i campi fiorire e incominciarono a puzzare di fumo a forza di scampagnate varie. E poi eccola di nuovo lì! L'estate, calda e soleggiata con un cartello in mano con su scritto fine a caratteri cubitali. D'estate si erano messi insieme e d'estate si lasciarono. Fu Nina a prendere questa decisione. Fu un momento, un'illuminazione improvvisa, una presa di coscienza che la obbligava a spostarsi dal punto in cui era. Fu un lampo a ciel sereno, una botta in testa improvvisa, una padellata in piena faccia che se la prendi cadi, anche se pesi 180 chili e sei più basso di un nano.
Quel giorno dove lui l'aveva praticamente investita, senza sapere come, si ritrovò ad essere invitata alla sua festicciola di buon compleanno, in mezzo a parenti di tutte le età, che stampavano baci a destra e a manca e ragazzini per bene, che guardavano sospirando gli alcolici e gli adulti a momenti alterni. Erano in un ampio terrazzo con dei tavoli attaccati al muro con cibo per migliaia di persone. In ogni caso quel terrazzo era quadrato e non aveva punti ciechi, per cui risultava impossibile fumare o incominciare a tracannare come un cammello, senza essere visti. E quando ci sono degli adulti di mezzo, che possono riferire qualsiasi cosa ai tuoi ben pensanti genitori, il coraggio si annulla. Di solito c'erano sempre quei due o tre, che raccolto quel po' di coraggio in corpo, eccoli che vanno lì, acchiappano il primo alcolico che trovano e via! Ecco che tutti gli altri si scordano della mala fiura e si incamminano anche loro verso il tesoro perduto. Stranamente uno di questi era Michele. Sì proprio lui, quell'intellettuale, solitario e un po' asociale, quel secchioncello che preferiva i libri ad una partita di calcio, versioni in latino piuttosto che un gioco per una qualsiasi console, un binocolo ad un qualsiasi motorino e che da quando era entrato alle superiori accettava molto più volentieri una sigaretta piuttosto che una caramella. Aveva iniziato così, per un non nulla, per una sigaretta buttata a casaccio da un ragazzo qualsiasi. Aveva fatto l’ultimo tiro e con noncuranza l’aveva lasciata cadere. La cosa curiosa è che la campanella aveva iniziato a suonare proprio in quell’istante in cui la sigaretta toccava il suolo, rimbalzando appena e continuando a fumare, arancione e calda, quando ormai il suono era cessato. Michele aveva visto questo piccolo dettaglio, l’aveva osservato e accarezzato con lo sguardo. Aveva avuto un’improvvisa voglia di fumare anche lui. Non aveva mai fumato e non ci aveva mai neppure pensato. La salute o i genitori sembravano non avere posto tra i suoi pensieri e Il suo unico problema rimaneva il dispendio di tempo lontano dalla lettura, che avrebbe dovuto usare per andare a comprare un nuovo pacco, una volta che quello precedente fosse finito… Poi però ha rivisto quella sigaretta cadere al suolo nella sua mente e per qualche motivo ha pensato che quello fosse un segno del destino e che quei bastoncini puzzolenti avrebbero portato qualcosa di importante, prima o poi, nella sua tranquilla esistenza. Così si incamminò verso un tabacchino e comprò il suo primo pacco, delle Chesterfield blu perchè in offerta, e un accendino. Appena fuori ne fumò subito una, tossì appena al primo tiro, ma sorrise e da quel momento in poi nella sua borsa c’era sempre un libro, un clipper e un pacco di sigarette. Smise di fumare a 33 anni, quando gli nacque il primo figlio. Stava lì a guardarlo mentre dormiva, ascoltava il suo respiro e cercava tra i lineamenti del pargolo il proprio viso. Quella era la prima notte che passava tra le mura di casa, dopo un lungo ed estenuante soggiorno in un’incubatrice dell’ospedale. La moglie dormiva ormai da tempo, esausta, e lui era lì, stordito e convinto di trovarsi in un sogno piuttosto che nella realtà. La verità è che fino a quel momento non aveva ancora realizzato di essere diventato un padre. Prima di poterlo portare a casa erano passate un paio di settimane e il fatto di poterlo vedere solo poche ore al giorno lo aveva intrappolato in uno stato molto simile al dormiveglia. Sapeva che era nato, ma era come se in realtà non fosse mai successo, era come se la moglie fosse ancora incinta, a dormire per qualche giorno dai genitori - come spesso accadeva. Ma adesso che se lo trovava lì, a ronfare con gli occhi chiusi e la bocca sdentata spalancata, non poteva fare altrimenti se non realizzare. Era notte fonda e tra le dita aveva la quinta sigaretta della giornata. Ne fumava sempre 3, da quando aveva iniziato erano state solo tre le volte in cui ne aveva fumata qualcuna in più: per la sua laurea, per il suo matrimonio e per quel giorno. Si soffermò a fissare quella sigaretta ancora spenta e pensò a quel lontano giorno dei suoi quindici anni in cui fumò per la prima volta… Le sigarette gli hanno portato qualcosa di molto importante nella vita alla fine? Si, la moglie. Si era fermato su un muretto a leggere e fumare. Era un giorno soleggiato di un’estate che stentava ad arrivare, il sole era alto nel cielo, gli accarezzava la zazzera di capelli e gli bruciacchiava appena il collo, ma non era ancora quella palla luminosa che, anche all’ombra, ti fa sentire la sua calda presenza. Quello era un giorno no per Michele. Le batterie della sveglia, scariche, non permisero a questa di suonare. Nervoso, nel modo di prendere la tazzina bollente col caffè dentro, si scottò e quel bicchierino di ceramica colorata si ruppe in mille pezzi, lasciando una chiazza marrone sulla moquette bianca. Imprecò e mandò maledizioni a dei che, se esistevano, lo facevano solamente nella sua fervida immaginazione. Come volevasi dimostrare perse il treno e dovette farsi a piedi un cinque km buoni fino all’università, dato che il prossimo treno sarebbe passato un’ora e mezzo dopo… Riuscì ad arrivare solo 5 minuti dopo l’inizio della lezione, ma una volta sulla soglia si rese conto che non aveva alcuna voglia di entrare, non aveva alcuna voglia di stare ore ad ascoltare il suo professore che parlava di stelle, non aveva alcuna voglia di stare seduto al suo posto, fermo e rigido, nel duro intento di non far scricchiolare quelle maledettissime, antiquate - tanto per non dire vecchie e malandate - sedie di legno. Sospirò, fece dietro front e decise che avrebbe impiegato quell’oretta diversamente. Ed ecco com’era arrivato a sedersi su quel pezzo di cemento, con un libro in una mano e una sigaretta accesa nell’altra. Piano piano incominciava a calmarsi e proprio quando iniziò a pensare che la giornata si sarebbe sistemata ecco che soprappensiero buttò la cenere per terra, solo che colpì il piede di una ragazza con gli infradito, anziché il suolo. Inutile dire che la fanciulla si mise a urlare, mentre nel suo bel piedino abbronzato si formava una scottatura rossa che, ben presto, avrebbe lasciato un segno. Lui fu scosso da quell’urlo e finalmente si accorse di ciò che aveva combinato. Iniziò ad elencare tutte una serie di scuse, a diventare rosso, agitato e preoccupato e alla fine le offrì un caffè e un cornetto per farsi perdonare. Parlarono e scoprirono di piacersi, così si scambiarono il numero di telefono e due anni dopo si sarebbero sposati. A quanto pare la sua testa tra le nuvole, la sua goffaggine e la sua enorme capacità di causare incidenti alle sconosciute, alla fine, forse, erano le sue fortune più grandi. E quella maledettissima giornata diventò la più bella della sua vita.
Erano passati anni e ora che guardava quella Merit, si rese conto che non aveva più bisogno di fumare, che quelle sigarette, alla fine, avevano fatto la loro parte e che ora aveva una splendida donna che lo amava, ronfante nel loro letto con le lenzuola pulite, bianche e sgualcite, e il primo di una serie di figli che, se non erano perfetti per gli altri, lo erano sicuramente per lui. Sorrise e quella fu l’ultima sigaretta che fumò. Fu la prima e l’ultima che fumò per il solo piacere di farlo. Dopo l’ultimo tiro, si portò la mano davanti a sé e lasciò quel mozzicone cadere ai suoi piedi. Si chinò a terra e, prima di ritornare a coricarsi dalla sua parte del letto, guardò la cenere spegnersi definitivamente.
Ma torniamo a quella sera, quando compiva 17 anni e non riusciva a staccare gli occhi da Nina, a quella sera in cui non fumò neanche una sigaretta, prima volta dopo anni, quella sera in cui non andò a prendersi da bere per primo, quella sera in cui non pensò ai libri, alle stelle che lo guardavano dal cielo, ma quella sera in cui andò dritto dalla ragazza di cui a breve si sarebbe innamorato, o di cui forse lo era già. Le sorrise dolcemente e le chiese di concedergli un ballo, allungandole la mano come nei film. Fu sollevato dopo che questa, un po’ riluttante, alla fine gliel’afferrò e si fece trascinare al centro della pista. Erano una coppia strana, sicuramente scoordinata e senza alcun senso del ritmo. Era quasi ridicolo pensare che Michele, che non aveva mai ballato, e che a quanto pare, non era proprio cosa sua, avesse scelto proprio questa tattica per prendere confidenza con lei. Ma lei di questo non si curò. Sentiva il calore del corpo di Michele a contatto col suo, un contatto che aveva sentito qualche ora prima e che per qualche motivo aveva lo strano effetto di calmarla. Guardarlo negli occhi la rassicurava, si sentiva a suo agio e se fosse dipeso da lei avrebbe volentieri continuato così in eterno, a dondolarsi senza un ritmo effettivo, forse più per inerzia che per un trasporto vero, pur di continuare a sentire i loro corpi toccarsi. Quel ragazzo aveva il fascino del così detto “sfigato un po’ nerd con un mondo tutto suo”. Quei vestiti un po’ larghi, quegli occhialoni quasi più grandi del suo viso, il suo modo di fare un po’ goffo, ma in realtà deciso, creavano un personaggio sui generis, che aveva quella bellezza caratteristica di quelle creature che belle non sono, ma che possiedono una particolarità quasi sconcertante, che ti catturano e che più le guardi, più ti piacciono, più te ne senti stregato e ad un certo punto, senza sapere come, te ne ritrovi catturato. E Nina lo fu, fu catturata da Michele allo stesso modo di come questo era stato catturato da lei, in quella notte che quasi non parlarono, quasi non si toccarono, ma che in qualche modo li legò per il tempo a venire.
A 15 anni Nina ancora non era quella forza attrattiva che sarebbe divenuta nel giro di qualche anno, era come la forza potenziale in fisica, ovvero la capacità di un corpo di trasformare la propria energia interna in lavoro. In pratica un corpo fermo possiede al suo interno un’energia che, anche se non si vede, è lì e che da un momento all’altro potrebbe essere usata da questo per mettersi in moto, per emanare calore, e chi ne ha più ne metta. Ecco quello che era Nina: un corpo dotato di un’energia potenziale enorme, che in poco tempo si sarebbe trasformata in un’energia cinetica altrettanto grande, che l’avrebbe trasformata in un proiettile inarrestabile, capace di attraversare finemente e con eleganza il cuore di tutti quelli che le si sarebbero parati davanti. Ancora non sapeva come sarebbe stato ricevere tutte quelle attenzioni, neppure si immaginava che avrebbe conosciuto il sapore della popolarità, l’unica cosa che pensava sarebbe successa, che era sicura sarebbe accaduta non si realizzò mai. Si aspettava l’amore, si aspettava di impazzire, di perdere il senno, di diventare una cieca strana capace di vedere solo lui, Michele, e invece no. Cupido non aveva scoccato la sua freccia, forse Venere era dalla sua parte, forse era anch’essa era tra quelli che la bramavano, ma forse proprio per questo, non avrebbe mai permesso che il suo cuore perdesse la sua libertà, legandosi a qualcuno. E così Nina non si innamorò di Michele, non si innamorò di nessuno dei ragazzi con cui uscì, con cui andò a letto, con cui si tenne per mano, con cui cenò, parlò, si confidò, pianse o litigò. Lei poteva avere chiunque e non desiderava nessuno, tutti la volevano e nessuno di loro poteva ottenerla. E lei? lei voleva sapere cosa significava innamorarsi. Non ci aveva mai pensato, non le era mai importato, ma quando si era trovata incapace di ottenerlo si era convinta che era l’unica cosa che desiderava davvero. É come se nel momento in cui realizzò che quello che provava non era quello che avrebbe dovuto provare qualcosa in lei si mosse, si trasformò. Nina è nata da uno sguardo, è nata da un amore improvviso, dall’improvvisa consapevolezza di essere finalmente arrivata nel posto in cui voleva arrivare. Ed è stata quella mancanza, quel vuoto, quell’arto amputato, quel pezzo del puzzle perso chissà dove, chissà quando, la causa della sua esistenza. Michele è stato la scintilla, quel primo gesto che le ha permesso di nascere, di esistere. Quella notte ha tracciato una linea, una strada che Nina avrebbe seguito, percorso e che l’avrebbe portata lì, in un’altra notte, in un altro tempo, con un tendone sulla testa, i capelli bagnati, i vestiti aderenti fradici al corpo intirizzito, il rumore della pioggia attorno a lei e dei passi, veloci, vicini, che arrivano, si fermano. Ed eccolo lì quello sguardo, quell’incontro, finalmente. Ognuno di noi nasce per un motivo, un desiderio, un sogno e vive per appagarlo. Nina è nata per inseguire l’amore, trovarlo, riconoscerlo e farlo suo. É nata per amare un’unica persona, per incontrarla e starle accanto. Michele è stato la prima tappa, è stato il primo livello di un gioco intricato in cui in palio non c’è la vita o la morte, non c’è il bene o il male, la fine del mondo, la ricchezza o la povertà, ma la cosa più vicina alla felicità.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: TheChump