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Autore: EffyLou    25/08/2017    3 recensioni
IN PAUSA - aggiornerò quando avrò alcuni capitoli pronti!
Las Vegas pullula di creature sovrannaturali e mostri.
Phoebe Montgomery ha ventitré anni e lavora come barista al casinò dell'hotel Mirage, sulla Strip. È una ragazza socievole, spigliata, c'è solo un problema: è schizofrenica. O almeno così crede di essere. Fin da bambina, si imbottisce di pastiglie per allucinazioni pur di non vedere mostri e creature spaventose che, dodici anni prima, uccisero suo fratello in un vicolo.
Esseri che la guardano come se fosse oro, che la inseguono, la braccano, la aggrediscono, solo se lei non prende la pastiglie. Devono essere allucinazioni per forza.
Tuttavia, Phoebe Montgomery è una cosiddetta Esper con il dono della chiaroveggenza.
Grazie al fortunato incontro con Damon Darden, la ragazza entrerà nell'Ordine degli Esper, organizzazione sottoposta al Vaticano che lavora per studiare e comprendere mostri e creature, e per mantenere in equilibrio quel mondo fatto di due realtà sovrapposte che mai devono incontrarsi.
È un mondo insidioso. Non si deve abbassare la guardia per nessun motivo.
Chi perde la concentrazione, chi si lascia corrompere, chi guarda in faccia il Male...
Cade.
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La storia tratta della percezione extrasensoriale.
Genere: Dark, Horror, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Esper'
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Esper
Order and Holders



Capitolo primo.
Gin Lemon


 
Las Vegas.
Non l’avrebbe mai immaginato di finire a Las Vegas, e ogni tanto si chiedeva se quella vita non fosse altro che un’allucinazione. Eppure era lì, nella Città del Peccato almeno da due anni.
Era partita da Nashville con una valigia piena di progetti e davanti alle lenti degli occhiali da sole il sogno di diventare ricca come Paris Hilton.
Phoebe Montgomery non aveva poi tante aspirazioni: le bastava diventare miliardaria, non chiedeva altro.
Ma come ogni miliardario che si rispetti, prima doveva infilarsi nel fango fino alle ginocchia e anche più su. Tutto sommato però le era andata bene.
Era riuscita a trovare un posto come barlady all’hotel casinò Mirage, sulla Strip. Il direttore e il capo del personale, Amethyst Moore, rimasero molto colpiti dalla parlantina di Phoebe e la presero per questo. Si rivelò presto una grande lavoratrice, pronta a rimboccarsi le maniche anche per i lavori più sporchi. Parlava ininterrottamente con la clientela, facendoli sentire a proprio agio e facendo amicizia con quasi tutti, motivandoli a tornare ancora. Era veloce a servire le ordinazioni, aveva una buona memoria. Aveva la straordinaria capacità di ascoltare anche se, di fatto, non ti stava ascoltando. Era come se avesse il cervello diviso in due: una parte andava per fatti suoi, un’altra era vigile a ciò che la circondava.
Il suo capo aveva fatto fatica a credere che una ragazza del genere fosse schizofrenica. Gli schizofrenici, oltre alle allucinazioni, avevano anche estrema difficoltà nel rapportarsi. Lei sembrava così a suo agio tra le gente, invece. All’inizio non le aveva creduto, poi l’aveva vista riempirsi di pasticche per allucinazioni e aveva cambiato idea.
Amethyst Moore le aveva creduto da subito invece, ma non per questo le aveva riservato un trattamento di favore. I primi tempi l’aveva bacchettata, perché era goffa, ma poi l’aveva trattata con dolcezza e pazienza, vedendo che Phoebe era molto determinata e volitiva. Imparò in fretta.
La accolse persino in casa sua, provvisoriamente, ma la ragazza nel giro di qualche mese guadagnò abbastanza da comprarsi una casina a Wynn Road, poco lontano dalla Strip. Le due divennero inseparabili amiche. Amy aveva sette anni più di Phoebe, ne aveva trenta mentre la ragazza ventitré.
Amy era alta, bionda, bellissima e sembrava una modella di Victoria’s Secret.
Phoebe sembrava un folletto. Un folletto alto. Con i suoi occhioni verdi, il sorriso dispettoso, il naso all’insù.

Erano a casa della donna, avevano appena finito di divorare una pizza enorme e di vedere un film.
«Ma che cosa abbiamo guardato?» borbottò Phoebe.
«Credo si chiami Suite francese
«Ma non dovevamo guardare quel film con Heath Ledger, Parnassus? O come si chiama. Io amo quel film. E amo Heath. Pace all’anima sua, mi manca fottutamente tanto.»
«Sì, ma non ho il dvd di quel film e ci siamo arrangiate. Non ricordi? – sospirò Amy, mettendosi in piedi. – Vuoi bere?»
Phoebe aggrottò le sopracciglia. A sua discolpa poteva dire che all’inizio del film e per buona parte della sua durata, non era sobria. Non del tutto. Ma d’altronde, da quando era a Las Vegas, non lo era quasi mai nei momenti liberi. Sin City, d’altronde, la città del peccato.
Annuì poco convinta e le fece un cenno col mento.
«Acqua.»
Si mise a sedere, tenendosi la testa tra le mani. Aveva cambiato posizione e ora aveva le vertigini. Succedeva sempre, era uno degli effetti collaterali delle pasticche di clozapina, contro le allucinazioni. Duravano poco, attimi di pura confusione mentale e tempie che esplodevano. La testa che vorticava come se fosse dentro una lavatrice e chiudere gli occhi non serviva proprio a niente.
Amy tornò con il bicchiere d’acqua fresca e fu un toccasana per Phoebe.
«Tutto bene?»
«Tutto bene. Solo… le vertigini, sai.»
«Forse dovresti smettere di prendere quella roba. – provò a dire Amy. – Ti sta logorando. Non puoi uscire nelle giornate soleggiate, e siamo in Nevada! Non puoi fare movimenti bruschi, non puoi rischiare di tagliarti… Prova a prendere medicine più leggere, a questo punto.»
«Amy, purtroppo quelle più leggere non hanno alcun effetto. Ci ho provato. Ecco perché prendo la clozapina, è l’unica che fa effetto.» replicò uno sguardo fugace.
«E se non vedessi più quelle brutte cose?»
«La schizofrenia è cronica.» sospirò, inarcando le sopracciglia con aria eloquente.
Amy non disse più nulla.
Vide Phoebe alzarsi, recuperare le sue cose e infilarle nella borsa di pelle nera. Le diede un bacio sulla guancia, augurandole la buonanotte, ed uscì nel buio della strada debolmente illuminata per raggiungere la sua bicicletta.
D’altronde non aveva mica bisogno di una macchina. Quando sarebbe diventata ricca, ne avrebbe avute a bizzeffe, di macchine.
 
 

«Phoebe, tesoro! Due Manhattan! Uno per me, e l’altro per il mio amico.» le urlò uno dei clienti abituali.
Phoebe eseguì l’ordine. Whiskey e vermouth rosso in eleganti calici da cocktail di vetro. Il liquido si fece scuro e lo servì ai due.
«Michael, lei è Phoebe. La migliore barlady di tutta Las Vegas. – ammiccò verso di lei. – Se dovesse servirti personale, sai a chi venirlo a fottere.»
Michael la guardava come se la volesse mangiare, lei non ci faceva troppo caso. Però quegli occhi avevano qualcosa di strano, brillavano d’una luce pericolosa che costrinse Phoebe a rivolgergli più attenzione.
Era un uomo molto più grande di lei, biondo, con gli occhi azzurri, la pelle cerea. La sigaretta che pendeva tra le labbra carnose. Degustò il suo Manhattan senza staccarle gli occhi di dosso.
Lei gli rivolse un sorriso. D’altra parte, non era la prima volta che un uomo le rivolgeva quello sguardo. Phoebe non era particolarmente bella, non come Amy o altre ragazze nel locale, ma aveva quell’aria frizzante e dispettosa che evidentemente piaceva.
«Gestisce un locale, signor…?»
«Bane. Michael Bane. – rispose, sistemando la giacca porpora. ─ Sì, gestisco un albergo Non prestigioso come questo, ma un bel ritrovo per chi vuole un po’ di pace in questa caotica città.»
«Signor Bane. – ripeté Phoebe, annuendo, mentre serviva i gin tonic a due amiche. – Il nome dell’albergo?»
«The Hole.»
«Insolito.»
«Appropriato.» la corresse con un sorriso che avrebbe fatto impazzire tutte le donne lì dentro.
Il signor Bane era senz’altro un bell’uomo. Una bellezza glaciale, non facile da trovare a Las Vegas.
Quel suo albergo, il Buco. Era un nome insolito, di sicuro non avrebbe attirato fiumi di clienti come il Mirage ma d’altronde, come detto dallo stesso Bane, era un luogo in cui si poteva stare in pace dalla caotica Sin City.
L’affascinante imprenditore le lasciò sul bancone il suo biglietto da visita, strizzandole l’occhio prima di alzarsi, infilare le mani nelle tasche, e raggiungere un tavolo da poker con l’amico che li aveva presentati.
Phoebe intascò il biglietto e si diresse da Amy, dall’altro lato del bancone circolare.
La donna stava servendo un paio di mojito.
«Ho conosciuto un uomo.» esordì raccogliendo ordinazioni.
«Non è strano.» le lanciò un’occhiata divertita.
«Michael Bane. Piccolo imprenditore.»
Amy tacque e la guardò con le sopracciglia aggrottate, Phoebe non la notò e si occupò dei cocktail.
«Non è un tipo molto affidabile.»
«Mica devo confidargli i segreti. – sorrise. – Curioso nome per un albergo però… “the Hole”.»
L’altra sospirò, non le disse nulla.

 
* * *
 
Da quel giorno il signor Bane tornò a far visita al casinò del Mirage quasi ogni sera.
Intratteneva amabili discussioni con Phoebe.
Il signor Bane era un uomo molto eclettico, gli piaceva il bondage, lo spanking e soprattutto gli piaceva essere chiamato daddy dalle ragazze giovani che frequentava. Tuttavia Phoebe era l’unica che non lo chiamava così e non era ancora riuscito a portarla al The Hole per una nottata con sé. In realtà non era riuscito nemmeno ad offrirle un caffè fuori dal lavoro, il Mirage era l'unico posto in cui la vedeva. Lei stava al gioco, ma non abbastanza. Era pur sempre un cliente. E lei era una ragazza professionale, tutto sommato, e i gusti eclettici di Michael Bane non è che le piacessero poi tanto.
“Amici okay, ma tu stai nel tuo e io nel mio”, era quello che si ripeteva e che aveva spiegato a Bane. Anche se lui non era si era trovato molto d’accordo.
«Stasera cose le porto, signor Bane?» gli domandò mentre serviva altri due clienti.
«Ti ho detto di chiamarmi daddy. Disobbedisci alle mie regole, Phoebe?» le fece un sorriso che le accapponò la pelle. Sentì un formicolio dietro la nuca, come se fosse di fronte ad un pericolo.
«Sono le sue regole, non le mie. – spiegò paziente, mentre versava un po’ di gin e lemonsoda in un bicchiere con limoni e ghiaccio. – Ecco il suo gin lemon.»
«Non te l’ho chiesto.»
«Non ce n’era bisogno, la conosco. È ciò che le piace.»
«Ci sono tante cose che mi piacciono, Phoebe, ma tu non sei disposta a darmele tutte.»
Lei alzò le spalle, innocente. «Non può ottenere tutto quello che vuole. – sfarfallò le ciglia. ─ Dov’è il suo amico? È un po’ che non si vede.»
Bane indurì la mascella, facendo cozzare i denti. Odiava quell’atteggiamento di Phoebe e al contempo lo esaltava.
«È morto, non lo sapevi? – replicò senza trasporto. ─ Lo hanno trovato con la gola tagliata, dissanguato, un paio di giorni fa in un vicolo. Dicono sia stato rapito e poi ucciso. Qualcuno che non ha pagato il riscatto per tempo, immagino.»
Phoebe sfarfallò le ciglia, esterrefatta e confusa. «Mi sta prendendo in giro? E perché al notiziario o sul giornale non ne hanno parlato?»
«Pare che la polizia non voglia far sapere niente. – si strinse nelle spalle. – Per il momento, credo.»
Lei lo guardò con le sopracciglia aggrottate, come se non lo riconoscesse.
Se erano amici, Michael Bane avrebbe dovuto essere ben più triste di così. Eppure era una statua di ghiaccio, pietra inscalfibile. Nemmeno nei giorni precedenti a Phoebe sembrò turbato o rattristato, si comportava normalmente. Eppure erano amici.
Il campanello d’allarme suonò nella testa della ragazza, che sgrullò la testa e si dedicò agli altri clienti. Non rivolse più una parola a Michael Bane, ma poteva sentire i suoi occhi azzurri bruciarle sulla pelle.



Angolo autrice:
Bentrovati! Grazie a chiunque spulci questa storia e a chiunque decida di scrivermi due righe. Domande, opinoni, consigli... sempre ben accetti!
Per questa soria non ho intenzione di scrivere capitoli troppo lunghi, ma si prospetta abbastanza lunga - secondo la scaletta (?).
Oggi abbiamo conosciuto Amy e Michael Bane, ma presto conosceremo anche gli altri personaggi più importanti della storia che ho ben più a cuore di quel viscido di Bane HAHA.
Alla prossima! ♥

 
   
 
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