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Autore: Vago    25/08/2017    4 recensioni
Questo mondo è impazzito ed io non posso farci nulla.
Non so cos'hanno visto in me, ma non sono in grado di salvare chi mi sta vicino, figurarsi le centinaia di persone che stanno rischiando la vita in questo momento.
Sono un allenatore, un normale allenatore, non uno di quegli eroi di cui si parla nelle storie sui Pokémon leggendari.
Ed ora, isolato dal mondo, posso contare solo sulla mia squadra e sulle mie capacità, nulla di più.
Sono nella merda fino al collo. No, peggio, sono completamente fottuto.
Non so perchè stia succedendo tutto questo, se c'entrino davvero i leggendari o sia qualcosa di diverso a generare tutto questo, ma, sicuramente, è tutto troppo più grande di me.
Hoenn, Sinnoh, due regioni in ginocchio, migliaia di persone sfollate a Johto dove, almeno per ora, pare che il caos non sia ancora arrivato.
Non ho idea di come potrò uscirne, soprattutto ora che sono solo.
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Rocco Petri
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Videogioco
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Ogni mio passo rischiava di farmi cadere, le rocce erano viscide, intrise della pioggia battente che cadeva dal cielo.
Svoltammo a sinistra, seguendo il profilo delle colline rocciose, per trovarci di fronte a un precipizio che, una decina di metri più in basso, cadeva sull’inizio di una cascata scrosciante.
I resti di un ponte pendevano molli dalle due estremità assicurate alla pietra.
- Ed ora? – chiesi battendomi le mani sulle cosce.
- Ed ora? – ripeté Jacob con voce calma – Ora tira fuori il tuo pokémon volante e fatti portare di là. –
- Ma… non si fa così! – Provai a protestare, rendendomi conto di quanto fosse esile la mia ragione.
- Non è che volare sul dorso di un pokémon serva solo a tornare a un centro pokémon quando ci si rende conto di essere nella merda fino al collo con i pokémon selvatici che ti assediano. Forza, ora muoviti. –
Un Crobat comparve davanti all’allenatore veleno, porgendogli le zampe posteriori perché lui potesse aggrapparcisi. Con un paio di violenti battiti d’ali il pokémon pipistrello si alzò in volo, dirigendosi verso la sponda opposta.
Sospirai.
Mi sembrava strano dover sfruttare Swellow per un tragitto così ridicolmente corto.
Lasciai aprire la sfera, guardando prendere forma al mio compagno piumato.
Impiegammo pochi secondi a superare il baratro. Sotto ai miei piedi potevo distinguere chiaramente le punte aguzze degli scogli comparire e scomparire, allo stesso ritmo con cui le onde li colpivano.
Feci rientrare il pokémon volante non appena tornai a toccare il suolo con le mie scarpe.
Ci ritrovammo davanti a una ripida parete rocciosa, solcata appena da decine di scalini in pietra.
- Ed ora? – chiesi guardando la parete.
- Saliamo. Memoride è appena oltre questa scala. –
Cominciammo la lenta risalita sotto un cielo leggermente più clemente nei nostri confronti.
Le ginocchia cominciarono a dolermi, gli scalini erano alti e stretti al punto da rendere quella risalita quasi una scalata.
Finalmente, con gli ultimi passi, arrivai alla cima della parete, potendo guardare cosa c’era oltre.
Poche, sparute case svettavano nel pianoro racchiuso tra le montagne. Una decina di abitazioni, non di più, tutte con più di settant’anni di storia tra le loro mura.
Nonostante le costruzioni fossero ancora in buona parte integre, non un’anima sembrava abitarle.
Eravamo decisamente arrivati in una città fantasma.
Jacob prese una sigaretta dal pacchetto, cercando di accenderla con l’accendino quasi completamente scarico. Solo dopo diversi tentativi una timida fiammella comparve per bruciare la punta storta del cilindretto pieno di tabacco.
- Il tuo amico dovrebbe essere da queste parti, vero? – chiesi, voltandomi verso il mio compagno di viaggio.
- Dovrebbe, ma non mi ha ancora inviato le indicazioni per raggiungere la sua base. – mi rispose guardandosi intorno – Per il momento, vieni, ti faccio vedere da dove si accede ai tunnel del Monte Corona, sempre che ne sia rimasto qualcuno integro. –
Attraversammo il paese velocemente, osservando ogni finestra in cerca di un segno di vita, inutilmente.
Uno stagno sporco  riempiva il centro della piana e, al suo centro esatto , si alzava per pochi centimetri un tetto appuntito in legno marcescente.
- Là sotto c’è una caverna con delle incisioni rupestri. – mi disse distrattamente Jacob procedendo in direzione della catena montuosa – O, per lo meno, c’erano. Non so cosa ne possa essere rimasto dopo tutto questo. –
La mano destra dell’allenatore veleno davanti a me parve spostarsi verso le sue sfere.
Sarà stato agitato. È normale, in fondo.
Siamo in un luogo totalmente abbandonato, dopotutto.
- Secondo te, cosa è successo agli abitanti? – provai a chiedere.
- Non ne ho idea, erano tutti anziani. O, per lo meno, quasi tutti. Spero per loro che abbiano raggiunto le loro famiglie in città e non siano state le bande a scacciarli… Comunque, l’ingresso per i tunnel del Monte Corona è lì davanti. –
Proseguii nella direzione che mi aveva indicato, scorgendo solo dopo un momento l’apertura che deturpava la parete.
Mi pareva strana, quella galleria. A poco più di un metro dall’ingresso una pila di pietre occupava tutto lo spazio a me visibile. Poteva però esserci uno spazio che, per colpa della prospettiva, non riuscivo a vedere.
- Jacob, posso chiederti un ultimo favore, prima di salutarci? – chiesi distrattamente mentre mi avvicinavo all’apertura.
- Certo. Dimmi pure. –
- Potrei aver bisogno del tuo aiuto per spostare un paio di pietre. –
- Va bene, nessun problema. –
Oltrepassai l’imbocco del tunnel, guardandomi intorno e cercando, se non uno spazio per proseguire il mio viaggio, almeno delle tracce della squadra dispersa.
Per un attimo, mi parve di vedere qualcosa di rosso sotto un masso. Un pezzo di stoffa, forse.
- Jacob, credo di aver trovato qualcosa, puoi venire a darmi una mano per tirarlo fuori? –
Mi chinai sul masso, prendendo tra le dita il pezzo di stoffa indurita e tirando, cercando di strapparlo alla presa della frana.
- No. –
Mi voltai in fretta, cercando di capire quella risposta.
Vidi appena il Toxicroak colpire con il proprio pugno la sommità già crepata dell’ingresso, poi fui investito da decine di detriti di tutte le dimensioni.
Mi ritrovai a terra, frastornato. Sopra di me non vedevo altro che roccia, sassi e polvere vorticante. Solo un tenue bagliore riusciva a filtrare dall’esterno.
Sentivo dolore ovunque. Non riuscivo a muovere il braccio sinistro, così come le gambe. Il braccio destro, invece, era premuto contro il mio ventre.
Tossii un paio di volte, avvertendo ogni volta fitte lancinanti al petto.
- Sai, - una voce ovattata arrivò alle mie orecchie dall’esterno – non so se tu sia ancora vivo. Se lo sei però, sappi che mi dispiace, mi eri diventato quasi simpatico. Ma, sai, eri arrivato troppo vicino. Se non mi avessi incontrato, forse, saresti anche riuscito a tirare fuori da lì i cadaveri dei tuoi amici. Sarà per la prossima volta, dai. –
Ne seguì solo il silenzio.
Provai ad urlare diverse volte, ma l’aria usciva a stento dai miei polmoni e ancor più faticosamente ne entrava.
Sarei morto lì sotto. Ne ero sicuro. Non potevo uscirne in nessun modo.
La mia mano poteva raggiungere le sfere, ma a quale scopo? Saremmo morti entrambi, schiacciati l’uno contro l’altro.
E anche se fossimo riusciti a starci entrambi, nessuno dei miei compagni è in grado di utilizzare mosse in grado di sbriciolare tutte queste pietre lasciandomi intonso.
Diverse lacrime mi rigarono la faccia, trasportando con loro la polvere che si era posata sulle mie guance.
Forse Hasi non era così male come partner, in fondo.
Cominciai a singhiozzare, dapprima forte, poi sempre più sommessamente, mentre la mia mente cadeva lentamente verso l’oblio.
Meglio così, sarei morto nel sonno, senza accorgermi di nulla.
Passarono le ore. Forse anche i giorni.
Sentivo le labbra spaccarsi per la disidratazione e la stanchezza farsi sempre più avvolgende.
Le pietre si fecero sempre più opprimenti e distinte, per un attimo mi parve di poterle contare.
Ero già morto?
L’odore di polvere e terra si era attutito, lasciando il posto a qualcosa di diverso, irriconoscibile al mio naso.
I massi davanti al mio viso parvero allontanarsi e, nel loro indietreggiare, lasciare spazio alla criniera bianca di Darkrai.
Sarei morto accompagnato da un incubo. Perfetto.
Ma, a questo punto, cos’avevo ancora da perdere.
- Dove sei? –
Ancora con questa fottuta domanda. Questa volta gli avrei risposto, non avevo più nulla da proteggere, tanto.
- A Memoride, schiacciato da decine di massi. –
- Tu provi… - il pokémon parve incerto sulla parola da usare – dolore? –
Era una domanda, quella?
- Si. Provo dolore. Ma durerà per poco, perché sto per morire e tu non potrai più tormentarmi. –
- Memoride… Massi… -
- Perché stai ripetendo quello che ho detto? – gli urlai contro, disperato.
Il signore degli incubi scomparve alla mia vista.
Riaprii gli occhi in preda a un dolore lancinante. Il mio braccio sinistro pareva bruciare come se fosse stato appoggiato su tizzoni ardenti.
Urlai, cercando invano di muoverlo.
Non volevo morire, non volevo morire così. Sarebbe stato tutto inutile.
Avrei dovuto usare i miei ultimi respiri per avvertire Rocco, per metterlo al corrente di quel che mi era successo, ma non potevo in nessun modo arrivare al PokèNav, forse distrutto, nascosto nel mio zaino.
Urlai un’altra volta di rabbia, piangendo disperatamente.
Mi parve addirittura di avvertire dei rumori provenire dall’esterno, tanto ero disperato. Non era possibile che Jacob fosse tornato indietro, le sue parole erano state cristalline.
Le pietre si aprirono sopra di me, schizzando in aria in tutte le direzioni.
Incorniciata dalla luce serale, vidi la sagoma di un uomo dalla corta barba incolta.
Impiegai diversi secondi per riuscire a metterlo a fuoco.
I suoi capelli erano lunghi e sporchi, la maglia scura e i pantaloni volutamente strappati sulle ginocchia sembravano più adatti a un concerto che a un viaggio.
Mi porgeva la mano.
Il suo volto tradiva preoccupazione.
Afferrai l’appiglio che mi aveva offerto, issandomi a fatica, per poi perdere qualche secondo per verificare le mie condizioni.
I miei pantaloni si erano strappati in più punti, esponendo alla luce i numerosi tagli e buchi che mi avevano provocato le rocce.
Il braccio sinistro pendeva floscio, rigato dal mio stesso sangue, che cadeva gocciolante a terra, e ricoperto di escoriazioni profonde.
Non sarebbe mai tornato come prima, probabilmente.
Feci un passo avanti, incerto, verso il mio salvatore.
- Grazie… - borbottai con un filo di voce.
- Tu stai bene, vero? – la sua voce era limpida, quanti anni avrà avuto? Una decina in più di me, probabilmente.
- Sono vivo. – fu la mia risposta, facendo un passo avanti ed uscendo dalla fenditura nella roccia.
Caddi a terra, cercando di spingermi con le gambe e il braccio sano di nuovo verso il cuore della montagna.
Sarei morto, sarei sicuramente morto.
Accanto alla parete rocciosa, all’esterno, Darkrai mi stava attendendo.
Non potevo più scappare.
- Stammi lontano! – provai ad urlare, disperato.
- Per favore, calmati. – provò a dirmi l’uomo facendo un passo verso di me, ma subito lo allontanai.
Erano in combutta loro due, ne ero certo.
- Statemi alla larga! Tutti e due! –
- Nail, stai calmo! –
Mi bloccai un attimo, per poi cominciare a tremare di terrore. – Come… come sai il mio nome? Chi sei? Cosa vuoi da me? –
- Ascolta, Nail. Prometto che non ti faremo del male. Devi però stare ad ascoltarmi. Sono settimane che ti sto cercando. –
Strisciai ancora un poco indietro, ma la mia ritirata si arrestò quando la mia schiena premette contro i massi che bloccavano la via.
- Per favore, calmati. Non ho molto tempo. –
Dall’ingresso del tunnel comparve la sagoma nera di Darkrai, imperiosa.
- Perché non mi lasciate stare? – piansi.
Uno schiaffo impattò sulla mia guancia seccamente, facendomi voltare il capo di lato.
Rimasi in silenzio.
- Ascolta, ho poco tempo ancora a disposizione. Ci sono cose che devi sapere assolutamente. –
Tornai a guardare il mio interlocutore con gli occhi gonfi.
- Guardami. Il mio nome è Karden Sain. Sono nato a Sinnoh trentadue anni fa. So che farai fatica a credermi, ma sono il custode di Darkrai. –
- Custode? – provai a chiedere, cercando di pulire la mia mente e non pensare al pokémon che mi stava fissando dalla mia unica via d’uscita.
- Capirai poi. Ora le cose importanti. Ti sto cercando da diverso tempo per metterti in guardia, ma non sono riuscito ad arrivare finché non è stato troppo tardi. Darkrai ha provato a consigliarti di scappare, ma immaginavo non seguissi le sue parole. –
- Perché io? – continuai, cercando di alzarmi in piedi e riprendere un contegno.
- L’uomo che mi ha protetto dagli altri mi ha detto di metterti in guardia, se fosse stato necessario, ma questo non è importante. Ora devi capire. Sei di Hoenn, conosci Ciclanova? –
Annuii leggermente.
La conoscevo per sentito dire. Una città laboratorio abbandonata nei pressi di Ciclamipoli, erano anni che nessuno ci metteva piede.
- Vai là. Capirai molte cose. –
Darkrai cominciò a guardarsi ansioso alle spalle, forse impaurito, indietreggiando verso l’esterno.
- Devo scappare. Non fidarti di nessuno finché non sarai arrivato là e non avrai capito. Ci rincontreremo quando avrai compreso tutto. –
Karden si allontanò da me velocemente per aggrapparsi al dorso del pokémon incubo e farsi trascinare da lui verso il cielo, dove scomparve.
   
 
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