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Autore: Son of Jericho    26/08/2017    1 recensioni
Sequel di "How can I know you, if I don't know myself?"
Sono trascorsi due anni da quando il sipario è calato sullo spettacolo alla Hollywood Arts. La vita per i ragazzi sta andando avanti, tante cose sono cambiate, e sta arrivando per tutti il momento di affrontare responsabilità, problemi e sorprese.
E mentre impareranno cosa significa crescere, si troveranno faccia a faccia con il tormento più profondo: i sentimenti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andre Harris, Beck Oliver, Cat Valentine, Jade West, Tori Vega
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bade - Cuori tra le fiamme'
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IX – Sparks & Sunlights


 

Tra le mansioni di Freddie alla Crystal-Tech ce n’era anche una che poteva essere definita “sul campo”, ovvero interventi sui computer dei vari uffici, che si trattasse di un semplice programma bloccato o di guasti al server centrale.

Una mattina, una ragazza dal reparto marketing segnalò al CED che il suo account di posta elettronica era stato invaso da spam e allegati indesiderati. Sospettando che potesse trattarsi di un tentativo di truffa telematica, Freddie si armò di antivirus sulla sua chiavetta USB e si diresse verso l’ufficio.

Quello che non aveva considerato, e che realizzò soltanto quando arrivò davanti alla porta, era l’inevitabile incontro con Sam.

Gli faceva ancora uno strano effetto, ogni volta che sapeva di dover stare nella stessa stanza. Una parte di lui era felice di poter trascorrere del tempo con lei, rubando ogni momento possibile, mentre l’altra provava un senso di imbarazzo e turbamento.

Certo, si erano già incrociati all’interno dell’azienda, ma ogni giorno sembrava sempre più difficile.

Quella mattina, non appena ebbe varcato la soglia, fu come sprofondare in un incubo, nell’istante in cui gli occhi di Sam si posarono sui suoi.

Freddie raggiunse il computer sul quale doveva operare, immergendosi nel suo lavoro, almeno finché non si ritrovò a fare di nuovo i conti con la presenza di Sam. Il giovane si voltò alla sua destra, e la vide proprio accanto alla scrivania, accovacciata verso il ripiano inferiore di uno schedario in cerca di una pratica.

Avrebbe voluto che quel momento non finisse mai.

Così vicini, tanto che poteva perdersi estasiato nell’intenso aroma dei suoi capelli, chioma lucente e regale come la criniera di un leone.

Avrebbe dato qualunque cosa al mondo perché lei si accorgesse del suo sguardo, di tutta la passione che conteneva, di ciò che significava. Perché per quanto combattesse i suoi sentimenti, per quanto provasse a seppellirli in profondità, questi continuavano a risorgere. Erano forti, e in fondo non potevano fare altrimenti. Era solo per quelli che Freddie aveva abbandonato Seattle per Hollywood.

Si dovette però accontentare di un minuto come tanti altri, speso sì al suo fianco, ma come se non ci fosse realmente. Una presenza inconsistente, trasparente e passeggera. Una lieve brezza che non l’avrebbe nemmeno sfiorata.

Sam disse qualcosa, ma alle orecchie di Freddie giunsero solo suoni senza senso. Ogni parola perdeva importanza, quando tutto ciò che contava per lui era cercare di vivere ancora un secondo di più vicino a lei.

Si ritrovò incapace di emettere anche il più flebile sussurro.

Che fossero i polmoni inondati dal suo profumo, che fosse il cuore spinto a velocità irraggiungibili, o che fosse il sangue che bruciava nelle vene, Freddie non lo avrebbe mai capito.

Stregato, si accorse solo del fiato che gli veniva strappato, quando Sam si allontanò e tornò ai suoi normali impegni, come se nulla fosse.

E come quell’istante svanì, insieme all’aria, se ne andò anche tutto ciò che avrebbe potuto dirle.

 

*****

 

Robbie era appena uscito dalla biblioteca, stringendo con aria trionfale la copia di un saggio. Si trattava di un testo, scritto da un luminare australiano, che descriveva i cinque sensi sul palco. Era piuttosto breve, ma Robbie aveva scoperto recentemente di essere l’unico del corso a non averlo ancora letto. Per questo, approfittando di un paio d’ore vuote, si era precipitato in biblioteca per cercarlo, e adesso anche lui possedeva il suo tanto agognato libro.

Lo stava per riporre nello zaino, quando incontrò Kendra. La rossa fu quasi sorpresa di vederlo. – Robbie, ciao! –

Lui le fece un cenno col capo.

- Che ci fai in giro tutto solo? Pensavo avessi lezione. –

- E’ saltata la classe di regia. –

- Che fortuna! – gli tirò uno scherzoso pugno sulla spalla. – Io, invece, negli ultimi cinquanta minuti ho dovuto sorbirmi 347 tipi di espressione da tenere sul palco! –

- Già, fortunato… - ripeté lui, massaggiandosi la spalla realmente dolorante. – Peccato che adesso non possa evitare psicologia. –

- Mamma mia… - si portò una mano alla fronte.

Robbie si mise lo zaino in spalla. – Anzi, forse è meglio che vada. Quella se non ti vede arrivare con almeno un quarto d’ora d’anticipo, è capace di fartela pagare per il resto dell’anno. – Rise tra sé e sé, ritornando per un attimo con la mente alle strambe lezioni di Sikowitz.

- Non ti invidio per niente… Io non vedo l’ora che arrivino le vacanze di Natale, non ce la faccio più. Ormai i libri mi stanno uscendo anche dalle orecchie! –

- Già, è stato un semestre abbastanza pesante. –

Kendra gli sferrò un’altro pugno. – Ma non prendermi in giro! Tu sei sempre il primo della classe. Anzi, il primo di tutte le classi! –

Robbie gongolò compiaciuto per quelle parole, almeno finché Kendra non gli rivolse una domanda scomoda. E allora, l’allegria fu contaminata dalla stessa malinconia che aveva provato pochi giorni prima.

- Hai intenzione di tornare a Los Angeles per Natale? –

I dubbi resero Robbie incapace di replicare prontamente. Negli ultimi due anni non era mai tornato a Los Angeles, inventando scuse sul fatto che il viaggio sarebbe stato troppo lungo o che i giorni di vacanza fossero pochi. In realtà niente di ciò era vero, un modo lo avrebbe sempre trovato, ma per qualche ragione finiva ogni volta per rinunciare.

Era lontano da Los Angeles, da Hollywood e da tutto quello che c’era laggiù, e per adesso andava bene così.

Il flusso di pensieri venne interrotto dall’arrivo di Stefan. Trascinava lo zaino in malo modo e aveva un’aria stanca e irritata.

- Non la sopporto più! – esordì.

Kendra si voltò verso di lui. – Chi? –

- Quella di storia del cinema. In ogni lezione spiega per cinque minuti, e poi si mette a raccontare barzellette per il resto dell’ora. –

- Dov’è il problema? –

- Primo: che sono battute orribili, senza capo né coda. Secondo: al prossimo esame, credi che alla commissione possa raccontare la barzelletta del pinguino e dello Yeti? –

Kendra scoppiò a ridere. – Ecco perché ci servirebbe staccare un po’… sentite, avrei aspettato stasera per chiedervelo, ma già che siete qui entrambi lo faccio subito. Io e le ragazze volevamo organizzare una festa di metà corso, prima di Natale. Posso contare sulla vostra presenza? –

- Io senz’altro. – accettò immediatamente Stefan.

La ragazza si rivolse poi all’altro amico. – Robbie? –

- Con quelli della confraternita? –

Kendra annuì.

Robbie inclinò lievemente il capo. - Lo sai che non mi piace molto frequentare quella gente. –

- Ma mica te la devi sposare! – intervenne Stefan, seguito poi dall’amica.

- Andiamo, non ti far pregare tutte le volte! –

Robbie sorrise, consapevole che i due non si sarebbero arresi finché non l’avessero convinto. – E va bene… -

- Ce l’abbiamo fatta. – Stefan e Kendra si scambiarono il cinque, dopodiché il ragazzo riprese lo zaino e si diresse in classe per l’ora successiva. – Io vado, ci vediamo a pranzo. –

Salutato l’amico, Robbie si accorse di aver lasciato un pensiero in sospeso. Si accigliò, prima di rispondere soprattutto a se stesso. – Comunque credo di no. –

Kendra si girò di scatto, non capendo a cosa si riferisse. – “No”, cosa? –

- Non tornerò a Los Angeles. –

 

*****

 

La tentazione di chiamarla era forte.

Il display brillava nel palmo della sua mano. Il suo nome, impresso a lettere bianche e maiuscole, risaltava sullo sfondo nero come una stella nel cielo. E un pulsante verde, che sembrava invitarlo a premerlo.

Freddie continuava a fissare il telefono, e schiacciava ogni tanto un punto qualsiasi per evitare che cadesse in stand-by, e che andasse così ad oscurare il numero di quel contatto che tanto turbamento gli stava procurando.

Aveva solo voglia di risentirla, malgrado non fossero passati più di trenta minuti da quando si erano salutati al parcheggio dell’azienda, al termine di una giornata come altre.

Ma trenta minuti erano già abbastanza. Avvertiva la sua mancanza.

Mentre un rigido vento invernale gli sferzava il cappotto, sulla strada verso casa, lui si lasciava lentamente conquistare dal bisogno di ascoltare la sua voce.

La mano, tuttavia, pareva non voler rispettare la sua volontà, rimanendo a mezz'aria sopra lo schermo.

Cosa le avrebbe detto? Probabilmente niente.

C’erano tante cose che avrebbe potuto dirle, tanti pensieri che gli scorrevano per la mente, eppure niente di tutto ciò sembrava avere importanza.

Non c’era un solo valido motivo che avrebbe potuto riempire una telefonata tra lui e Sam, se non silenzi carichi di sospiri e parole prive di significato.

Era inutile mentire a se stesso: non sarebbe stato facile affrontare tutto ciò che lo attendeva. Un rapporto fondato su basi incerte, sentimenti repressi, un’amicizia fine a se stessa, cercata soltanto per attenuare il dolore.

La cosa giusta non è quasi mai quella più semplice.

Eppure, almeno quel pomeriggio, Freddie non voleva arrendersi così vigliaccamente. Sarebbe bastato trovare una scusa, una qualsiasi.

Pensa, pensa…”

Si sforzò, ma tutto quello che trovò fu il niente.

Lasciò che il display si rabbuiasse, prima di riporre il cellulare in tasca e dire “basta” a se stesso. L’ennesima menzogna.

Un immenso quanto vano desiderio che si scontrava con un capriccio del cuore.

Anche la sola idea di poterla disturbare, o di finire a parlare con Gabriel, gli fecero comprendere che non ne sarebbe valsa la pena.

Avrebbe semplicemente atteso il giorno successivo, dove lei avrebbe rappresentato l’aurora di una nuova alba.

Freddie chinò il capo e si lasciò percuotere da una folata particolarmente forte.

Non era sicuro che sarebbe mai riuscito a trovare le parole giuste con lei.

Non è mai importante cosa diciamo, se non esce direttamente dal cuore.

 

*****

 

Da soli al Franklin, Freddie pensò che fosse l’occasione giusta per chiedere a Beck tutto ciò di cui ancora non gli aveva parlato. Sapeva che doveva trattarsi di qualcosa che lo rendeva ogni volta pensieroso e taciturno, e proprio per questo voleva cercare di aiutarlo. Avrebbe fatto di tutto per liberarlo di quel peso, così com’era stato a Seattle due anni prima.

- Prima o poi dovrai raccontarmelo. – esordì il giovane Benson.

Beck lo guardò confuso. – Che cosa? –

- Quello che è successo negli ultimi sei mesi. –

- Te l’ho già detto. –

- Non di Jade. –

Il canadese si lasciò andare ad un forte sospiro. – Non è importante. –

- Non è quello che sembra. Da quando sono arrivato qui, ho visto soltanto che non riuscite a stare nella stessa stanza, e che continui ad evitare il discorso. –

- Dammi tempo. –

- Ne è passato un bel po’, Beck. – lo stava spronando a sfogarsi, lo stava spingendo oltre un limite che fino ad allora sembrava non voler superare. Forse stava esagerando, ma era sicuro che ce l’avrebbe fatta.

Beck lo fissò con aria cupa. Nemmeno Andre e Tori conoscevano i dettagli di ciò che era accaduto tra lui e Jade, nonostante avessero vissuto quei momenti accanto a loro.

Li avevano visti tornare insieme, litigare furiosamente, riappacificarsi, e infine rompere di nuovo.

Eppure la loro ultima rottura aveva colpito entrambi nel profondo. Li aveva cambiati, molto più di quanto mostrassero.

Avevano però fatto di tutto per non coinvolgere i loro amici, per non caricarli di ulteriori pesi e preoccupazioni, dopo quelle a cui avevano già dovuto assistere.

Ma forse, adesso, Freddie poteva essere la persona giusta per condividere il proprio demone.

– l’inizio della storia lo conosci. Quando sono tornato da Seattle, ho dovuto affrontare un difficile periodo d’assestamento. Le cose non sono mai state facili, ma dopo quel periodo trascorso lontano, il rapporto tra me e Jade aveva bisogno di essere resettato. Non potevamo continuare come prima, ma non potevamo nemmeno ripartire da zero da un giorno all’altro. Sono seguite settimane in cui facevamo fatica persino a parlarci, frenati dalla vergogna e dall’imbarazzo. Ma l’amavo, e sono sicuro mi amasse anche lei. Ci abbiamo pensato a lungo, ma alla fine abbiamo deciso di darci un’altra possibilità, l’ennesima. Abbiamo dato tutto per far funzionare questa storia, ci abbiamo provato davvero. A volte, però, per quanto possiamo combattere per certe cose, il destino ci costringe a cambiare strada. E noi non siamo più riusciti a tornare su quella giusta. E’ inutile stare a chiedersi di chi sia stata la colpa, il punto è che, dopo quello che è successo, non siamo più stati noi. –

Freddie lo stava ascoltando da buon amico, ma si era accorto che c’erano ancora delle parti di quella storia che Beck non voleva menzionare. Decise di non forzarlo ulteriormente, sapeva che ci sarebbe stato un tempo e un luogo per tutto.

- Ci siamo lasciati poco più di sei mesi fa. – continuò Beck, con lo sguardo languido. – Probabilmente, entrambi sapevamo come sarebbe andata a finire, solo che ci rifiutavamo di vederlo. –

Beck fu costretto a tornare con la mente a quel periodo. Ricordava di aver trascorso notti intere a chiedersi perché la loro storia non potesse funzionare, perché per quanto provassero a costruire qualcosa di importante, finivano per distruggersi e farsi male a vicenda.

- Da allora, ho scoperto che era altrettanto complicato andare avanti. Jade non era scomparsa dalla mia vita, e magari nemmeno volevo che lo fosse. Non mi è più interessato avere relazioni serie, perché sentivo di non avere niente da condividere con le ragazze che conoscevo. Storie di una notte, senza alcuna importanza. Erano semplicemente ragazze da sedurre, portare a letto e non chiamare più la mattina successiva. –

Freddie vide l’ombra che si aggirava dietro gli occhi dell’amico. Beck non aveva superato un bel niente, ma era il primo ad esserne consapevole. Era sincero il modo in cui la guardava tuttora, ogni volta che la incontrava.

- Non volevo un’altra Jade. L’amavo, e forse l’amo ancora. –

 

*****

 

Erano passati tre giorni da quando Tori e Thomas si erano baciati per la prima volta, sotto la luna.

Le emozioni erano state liberate dalla gabbia, e soprattutto lei, sembrava vivere all’interno di una favola. La felicità le si poteva leggere chiaramente in viso, in ogni espressione, in ogni sorriso sognante che rivolgeva al mondo.

Thomas, dal canto suo, mostrava più autocontrollo e dei ragionevoli dubbi. Sapeva quanto la loro situazione potesse essere delicata, specialmente sul posto di lavoro. L’aveva invitata a considerare che le relazioni tra colleghi non erano ben viste, e potevano essere soggette a scherni e pettegolezzi che avrebbero finito per portare frizioni tra loro.

All’inizio, alle orecchie di Tori queste sembravano preoccupazioni infantili e inutili, ma più lui ne parlava, più si convinceva che avesse ragione.

Avevano dunque deciso di fare, almeno al supermarket, come se non fosse successo niente. Ovviamente, l’attrazione tra loro era troppo intensa per essere ignorata, e spesso si ritrovavano a fissarsi con occhi carichi di desiderio. Desiderio che si manifestava solitamente alla fine del turno quando, nel parcheggio, si lasciavano andare a baci appassionati.

Una sera, vinta dalla voglia di rivederlo, Tori saltò in macchina e si diresse verso la zona ovest della periferia. Non era mai stata a casa di Thomas, e nonostante conoscesse vagamente i dintorni, ci mise un bel po’ per trovarla.

Controllando l’indirizzo, fermò l’auto quasi in fondo alla via, di fronte a un condominio di quattro piani. Accostò sul lato opposto, spense fari e motore e si mise a osservarlo. La strada, a fondo cieco, era larga ma non molto illuminata, con solo una mezza dozzina di lampioni. Il quartiere non era dei più ricchi, e la facciata della palazzina sembrava avere parecchi decenni sulle spalle. Aveva due file di appartamenti, divise dalla colonna centrale riservata alle scale e all’ascensore.

Tori si sentiva elettrizzata, la stessa sensazione che aveva provato quando era salita sulla Toyota di Thomas tre giorni prima.

Scese e attraversò senza guardare, consapevole di come quel tratto fosse poco trafficato, specialmente la sera. Arrivò a suonare il campanello con un nodo allo stomaco, che si allentò solo quando sopraggiunse la voce di Thomas.

- Chi è? –

- Sono io! – era felice di annunciarsi. Lo fu un po’ meno, però, quando dall’altro capo iniziò a sentire una certa agitazione e frenesia.

- Accidenti… - mormorò Thomas in sottofondo, per poi di tornare al citofono parlando a bassa voce. – Resta lì, scendo io. –

Il silenzio si abbatté su Tori come una scure. Rimase fuori dalla porta, confusa dall’incoerente comportamento di Thomas, e dal tipo di reazione che certo non si aspettava.

Quando finalmente Thomas uscì, lei lo accolse con un ampio sorriso. – Ciao! –

Ma avrebbe dovuto accorgersi che qualcosa non andava. Trafelato, nervoso, con indosso una tuta dei grandi magazzini, non assomigliava nemmeno al ragazzo che conosceva. E soprattutto, sembrava piuttosto turbato dalla sorpresa che gli aveva fatto Tori.

- Tori! Che… che ci fai qui? –

- Sono passata a salutarti… -

Lui iniziò a guardarsi intorno, come se volesse accertarsi di non essere né visto né sentito. – Come hai fatto a sapere dove abito? –

- Il direttore l’ha detto a Mary, e Mary l’ha rivelato a me. – rise. – Devi stare attento, quella ragazza è una gran pettegola, sai? –

Gli andò incontro per abbracciarlo, ma lui la respinse e fece un passo indietro. Tori aggrottò la fronte, sempre più perplessa. – Che sta succedendo? –

- Non puoi restare qui. – suonava quasi come un ordine.

- D’accordo, perché allora non andiamo su? –

- No. – Thomas stava per esaurire il fiato, tra la fatica e la tensione. – Torna a casa. –

Lei continuava a non capire. – Perché non puoi farmi salire? –

- Devi tornare a casa, Tori. – ripeté. – Ti prego. –

Provò a metterle una mano sulla spalla, ma stavolta fu lei a ritrarsi. – Non mi vuoi in casa tua? Ho fatto qualcosa di sbagliato? –

Thomas scosse il capo e sospirò. – No, ma… -

- E allora perché? –

- Ora non posso spiegarti… -

- Thomas! – lo richiamò alterata. Non se ne sarebbe andata senza una risposta.

Risposta che lui non avrebbe voluto dare, e lei, se avesse saputo, si sarebbe rifiutata di ricevere.

Alla fine Thomas le si accostò a muso duro, guidato da un impulso di pura frustrazione, e sputò il suo segreto. – Perché su c’è la mia famiglia! –

Tori sbarrò gli occhi, mentre il cuore accelerava il battito all’impazzata. Quelle parole non appartenevano al ragazzo che aveva conosciuto, o che almeno credeva di conoscere. Nello sguardo di chi aveva davanti vedeva soltanto un estraneo, un mostro.

- Tu-tua moglie? – balbettò. – Sei sposato? –

Thomas si vergognava delle sue stesse parole e non fu capace di replicare. O più probabilmente, non voleva.

- E quando pensavi di dirmelo? – gli urlò in faccia.

Lui, di contro, abbassò gli occhi. – Non credevo di doverlo fare. –

- Sul serio? - Il mondo le stava crollando addosso, e la prima cosa a spezzarsi fu la voce. - Quindi prendermi in giro e usarmi come un giocattolo faceva parte del tuo piano fin dall’inizio? –

- No! Io non avevo programmato un bel niente! – Thomas fu preda di un sussulto, ma subito dopo il suo tono acquistò uno strano effetto, dolce e amaro allo stesso tempo. – Te lo giuro. Tra noi è successo tutto così in fretta, non lo so nemmeno io che… -

Lui le si avvicinò nel disperato tentativo di confortarla, ma Tori arretrò ancora, rischiando di inciampare su uno scalino. – Stammi lontano! –

- Fammi spiegare, ti prego. –

Ma Tori non era più disposta ad ascoltare una sola parola da lui. - Mi fai schifo! –

Il silenzio e l’addio seguirono la rabbia e il dolore, come la quiete dopo la tempesta. E mentre Thomas rimaneva inerme sulla soglia, a guardarla scappare, Tori si gettò in macchina e sbatté la portiera. Fece una repentina e pericolosa inversione e, combattendo contro la lacrima che stava per cadere sul volante, affondò il piede per correre verso casa.

Ma quella sera, Andre non la vide tornare.

Alle sue chiamate, il telefono continuava a squillare a vuoto.

Quello che non poteva sapere era che, a pochi chilometri da lì, Tori avrebbe trascorso la notte in auto, a piangere disperata sull’inganno di un amore perduto.





Angolo dell'autore:
Per prima cosa, un saluto e buone vacanze (praticamente a fine, purtroppo) a tutti!
Mi sono poi accorto di non aver inserito note in nessuno dei capitoli precedenti, per cui voglio recuperare il tempo perduto: un ringraziamento di cuore a chi mi sta accompagnando in questo nuovo e lungo viaggio, a chi ha inserito questa storia tra le preferite/ricordate/seguite, e a chi ha utilizzato un po' del suo prezioso tempo per recensire.
Detto questo, vi invito tutti, vecchi e nuovi lettori, a farmi sapere cosa ne pensate di questo racconto, se avete domande o considerazioni.
A presto!


S.o.J.

 
   
 
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