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Autore: Sospiri_amore    26/08/2017    1 recensioni
❤️SECONDO LIBRO DI UNA TRILOGIA❤️
Ritorneranno Elena, Kate, James, Jo, Adrian, Stephanie, Lucas, Rebecca, (Nik ??).
Ci saranno nuovi intrecci, guai, incomprensioni e amori.
Elena avrà dimenticato James?
Chi vivrà un amore proibito?
Riuscirà il Club di Dibattito a sconfiggere la scuola rivale?
Nik sara sempre un professore del Trinity?
Elena andrà al ballo di fine anno?
IL FINALE di questo libro corrisponde alla fine del liceo, il terzo libro sarà incentrato sulla vita adulta dei personaggi. Più precisamente quattordici anni dopo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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IERI:
Le chiavi dei ricordi



È un freddo novembre, sta piovendo da diversi giorni. Indosso una grossa sciarpa calda, l'ho avvolta intorno al collo. Mi piace tuffare il volto in tutta quella lana. Papà ha insistito per accompagnarmi dalla McArthur, non c'è stato verso di convincerlo del fatto che avrei potuto prendere il bus. So che è preoccupato, non sono stupida, ma non ho il coraggio di confessare nulla di quanto mi è successo.

 

New Heaven sembra più grigia del solito. Miliardi di gocce d'acqua e grosse pozzanghere la ricoprono. Il cielo bigio si riflette in esse rendendo il paesaggio uniforme, tutto ha lo stesso colore. Grigio. È come se anche io avessi l'anima piena di pioggia, come se anch'io fossi grigia dentro.

Con la macchina lasciamo il centro città per andare nella zona ricca, dove le famiglie più importanti vivono. Mi sono sempre sentita una esclusa qui. I giardini perfettamente curati, le case enormi, le auto lussuose sembrano usciti da una rivista. Niente è fuori posto, tutto deve essere perfetto. Io non lo sono mai stata.

 

«Chiamami quando vuoi tornare a casa», mi dice papà mentre imbocca il vialetto di villa McArthur.

«Va bene», rispondo mogia.

«Cerca di... Di... Insomma, parla, sfogati con la Signora se questo ti è utile. Vorrei che...». Papà ha usato tante di quelle parole in questi giorni che non sa più cosa dire. Mi si stringe il cuore a vederlo in quello stato.

«Devo solo lavorare per lei, ho una punizione da finire», gli dico senza espressione.

«Certo, ma...», prova a ribattere.

«Geltrude non è una donna molto affabile, va dritta al sodo. Non mi ha chiamato per chiacchierare».

«Potresti però...», mi dice papà guardandomi preoccupato.

«Sono stanca di parlare. Non c'è niente da dire», chiudo la discussione seccamente. Esco dalla macchina e corro verso il portone d'ingresso. Sento la macchina di papà smuovere i sassolini bianchi del vialetto ed andare via. Non ho il coraggio di guardarlo, mi sento uno schifo, sono una pessima figlia.

 

«Buongiorno Signorina. La voce monotona della domestica mi coglie alla sprovvista.

«B-buongiorno. Ho un appunt...».

«Miss McArthur l'aspetta al piano superiore», mi dice freddamente aprendomi la porta d'ingresso.

«Grazie». Senza attendere oltre percorro la scala e salgo in cerca della vecchia.

 

Ogni gradino che percorro è un ricordo. Il profumo di quella casa mi riporta a così tanti momenti che mi sembra aver vissuto dieci vite lì dentro. Le emozioni si sovrappongono come tante coperte che riscaldano, ma che allo stesso tempo soffocano. Non so perché abbia ascoltato l'anziana, non so neanche perché non la mandi a quel paese definitivamente. È come non potessi fare a meno di lei e di quello che rappresenta, il mio passato recente, quello reciso dal momento della morte di Demetra.

 

Pochi gradini e sarò al primo piano. La stanza che io e James dobbiamo svuotare è ancora piena. Ci sono ancora i mucchi che abbiamo fatto, nulla sembra cambiato. Mi affaccio alla porta dello studio che ormai ho imparato a conoscere così bene, quasi sicuramente troverò lì la donna.

Infatti, Geltrude è intenta a leggere dei fogli appoggiata ad uno striminzito tavolino da caffè stracolmo di oggetti. Riconosco il portagioie in legno laccato di verde di Demetra, le lettere d'amore tra i due coniugi, un paio di raccoglitori colmi di documenti e diversi ninnoli recuperati da me e James.

 

«Buonasera. Posso cominciare a lavorare?», chiedo con voce neutra, non voglio interrompere le sue letture.

La vecchia finisce di leggere una frase, poi mi guarda scostando gli occhiali dal naso. Sembra abbia appena visto un orrendo ragno peloso, la smorfia sulla sua bocca non promette nulla di buono: «Che fretta, cara ragazza. Accomodati qui vicino a me».

 

Obbedisco, non ho voglia di discutere. Mi siedo su una poltrona in pelle rossa molto dura, anche se sono scomoda non dico nulla. Cerco con gli occhi la finestra più vicina, fisso la pioggia che bagna i vetri, in quel modo non ho l'obbligo di parlare con la vecchia.

I rintocchi dell'orologio a pendolo segnano le undici del mattino. Lo scricchiolio dei fogli di carta è l'unico rumore che risuona nella stanza. Passo diversi minuti senza far nulla, sento il vuoto dentro. Geltrude sembra assorta nelle sue letture.

 

«La dedizione che mia nuora aveva per mio figlio ha dell'incredibile. Gli ha scritto molte lettere durante i suoi tour, sono molto romantiche, struggenti. Anche se volevo bene a Demetra non riesco proprio a capire come quei due potessero andare d'accordo. Hanno sempre avuto un carattere e indole diversa, eppure...». La Signora McArthur si toglie gli occhiali dal naso e gioca con la catenina appesa alle stanghette.

«Dicono che l'amore sia cieco», le rispondo senza pensarci troppo, in automatico.

«Cieco? Hmm... Sarà così, eppure io ci vedo benissimo. So come sono quei due. Mio figlio è così introverso che è scappato da New Heaven pur di non affrontare la perdita della moglie. Mio nipote ha preso da lui, sono due teste dure. Demetra no. Non avrebbe mai fatto nulla del genere», dice mentre si alza in cerca di qualcosa. Guarda per terra, in mezzo alle buste, tra i soprammobili sul tavolino da caffè.

«Ha bisogno d'aiuto?», le chiedo.

«Cercavo la chiave per aprire questo portagioie verde», mi dice mentre lo scuote con poca delicatezza. Non risuona nulla, sembra vuoto.

«Non so dove sia, ma abbiamo trovato un cestino pieno di chiavi, non sappiamo cosa aprano». Di scatto mi alzo e vado fuori dalla stanza a cercare tra i mucchi divisi da me e James le settimane passate. Recupero la piccola scatola metallica, ci saranno dentro una cinquantina di chiavi di tutte le fogge.

«È queste da dove spuntano?», mi chiede la vecchia sinceramente sorpresa.

Alzo le spalle, non ho idea di come mai Demetra le abbia conservate: «Le ha trovate suo nipote un pomeriggio. Le abbiamo tenute per capire se potessero servire o meno».

Geltrude prende una chiave, la osserva con attenzione mentre prova a leggere la scritta incisa sopra: «Hotel Praga», dice inforcando gli occhiali. Riflette un attimo, poi scoppia a ridere.

«Che c'è?», le chiedo curiosa.

La signora McArthur ride sempre più forte, ha le lacrime agli occhi.

Anche se non so il perché della sua risata non posso fare a meno di sorridere anch'io. 

«Demetra era una donna molto particolare», mi dice la vecchia mentre si asciuga gli occhi con un fazzolettino, «Ogni volta che abbiamo viaggiato insieme le capitava di perdere le chiavi dei vari Hotel in cui pernottavamo. Ogni viaggio. Ogni Hotel. Pensavo fosse terribilmente distratta, invece lei lo faceva apposta. Le intascava lei».

«Perché faceva così?», chiedo infilando la mano nella scatola piena di chiavi.

«Ribellione. Sfida. Ossessione. Chi lo sa. Di certo si divertiva un mondo a prendere le chiavi. Probabilmente era il suo modo di trasgredire alle regole. La vita con George doveva essere dura per uno spirito libero come lei. Immagina una artista sposata ad un avvocato in ascesa, ambizioso e determinato. Senza contare la sua malattia che le ha impedito di vivere il proprio talento fino in fondo. Stare in un ambiente diverso dal proprio crea scompensi. Un po' come se un pinguino vivesse nel deserto del Sahara».

 

L'immagine rende bene l'idea.

Sorrido al pensiero di Demetra che, con i suoi grandi occhi verdi, inscenava la perdita delle chiavi al concierge d'albergo. Una donna, come lei, che emanava tanta dolcezza non poteva attirare le ire di nessuno. Forse George sapeva, forse no. Non importa, lui la lasciava libera con questi piccoli gesti.

 

«Crescere in un mondo e trovarsi in un altro a volte può essere destabilizzante. Mi ricordo la prima volta che George ha portato a casa Demetra. Io ero determinata a non accettarla, del resto veniva da una famiglia di un ceto sociale inferiore. Volevo che mio figlio si fidanzasse con... Con... Con una ragazza talmente scialba che non mi ricordo neanche più il nome. E pensare che allora credevo fosse quello l'importante... Che stupida... Cosa stavo dicendo cara?», mi chiede Geltrude con aria stralunata.

«Mi stava raccontando di quando Demetra è venuta a casa sua per la prima volta».

«Giusto. Giusto... Mia nuora mi ha fatto una buona prima impressione, era una ragazza molto carina nei modi, a tratti fragile. Garbata e molto attenta alle persone. Quello che mi ha colpito di lei è stata la sua impulsività. Non teneva a freno la lingua e...». 

Interrompo la vecchia: «Demetra impulsiva? Non è possibile, l'ho vista quasi sempre calma e controllata», le dico.

«Cara ragazza, quando si è giovani si è molto diversi. Il tempo e l'esperienza limano gli spigoli del carattere. La vita di Demetra è stata molto, come dire, vivace. Lei è George ne combinavano di tutti i colori. Nel periodo in cui mio figlio studiava a Yale hanno organizz... Ma... Ma lasciamo perdere, non è niente di importante». La Signora McArthur liquida il resto della frase cercando di cambiare discorso.

«Hanno organizzato cosa? Non può interrompersi proprio sul più bello», gli dico curiosa.

«Ti dico solo che due poliziotti li hanno riaccompagnati a casa. Non puoi immaginare la mia faccia quando ho visto George con le manette ai polsi. Allora è stato un incubo, ma se ci ripenso adesso mi viene da ridere». La vecchia sghignazza mentre si risistema gli occhiali sul naso in cerca della chiave per aprire il portagioie verde.

«Non credevo fosse una ragazza così scatenata, mi sembrava più una brava ragazza», le dico pensosa.

«Ma Demetra era una brava ragazza. Il fatto che abbia commesso uno o più errori l'hanno resa quella che era. Tutti sbagliano, cadono e si rialzano. A volte si ricade, ma non si può stare a terra per sempre. Si deve trovare la forza di reagire. Demetra ha trovato il canto lirico e l'amore di mio figlio. Ognuno deve cercare la propria motivazione e continuare la propria vita, quella di tutti i giorni». Geltrude mi guarda fissa negli occhi con un po' troppa insistenza.

 

Sono disorientata, le sue parole sembrano rivolgersi a me.

 Possibile che la vecchia abbia pianificato tutto per dirmi qualcosa?

Non posso credere che possa essere così diabolica da inscenare tutta questa pantomima.

La guardo di traverso con la bocca spalancata, non so se stare al suo gioco o meno.

 

«Parlando ipoteticamente... se Demetra avesse commesso un grande errore che coinvolgesse altre persone, che cosa dovrebbe fare?», le chiedo guardinga.

«L'unica cosa che avrebbe senso. Andare dalla persona di cui più si fida e chiedere un consiglio. Anche un bambino lo saprebbe. Inoltre non dovrebbe fare sceneggiate plateali, tipo smettere di andare a scuola o smettere di uscire di casa. Attirano troppo l'attenzione. In questo caso fingere che tutto vada bene è la soluzione migliore, così da poter cercare di risolvere il grande errore», mi dice a un palmo dal mio naso con una certa durezza.

«Ma se Demetra non riuscisse? Se si sentisse troppo sopraffatta?», insisto.

«Scempiaggini! A tutto c'è una soluzione, sempre. A volte può essere doloroso, ma è inevitabile. La vita è questo e non si può scappare», mi dice rimettendosi seduta composta.

«Ma...», provo a controbattere.

«Niente ma. Se Demetra avesse voluto sconfiggere qualcuno avrebbe lottato, soprattutto se fossero coinvolte altre persone», mi dice mentre legge un foglio appoggiato sul tavolino da caffè.

«Io... Io... È solo che...», balbetto alla vecchia parole a caso. Mi chiedo se sappia qualcosa di quello che mi è successo con Andrew, oppure stia solo tirando a caso. L'unica cosa certa è che sembra capirmi meglio di come credevo.

 

All'improvviso sento un rumore di passi alle mie spalle.

 

«Ciao nonna. Sono tornato», dice James.

Mi si ghiaccia il sangue nelle vene. Com'è possibile che sia a casa, non dovrebbe essere a scuola?

Guardo la vecchia con una certa inquietudine, sempre più convinta che abbia calcolato tutto. Sta sorridendo soddisfatta, come quando affonda il cucchiaino nella sua coppa di gelato. Sbattendo le ciglia allunga le braccia: «Caro nipote, che bello rivederti. Ho una sorpresa per te. Abbiamo un ospite», mi dice indicandomi.

Rigida nella poltrona rossa mi impongo di non dire una parola.

La vecchia sghignazza.

James mi fissa senza espressione.

 

Vorrei sparire.

 
   
 
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