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Autore: EffyLou    27/08/2017    1 recensioni
Johann Trollmann è un pugile, beniamino del popolo tedesco negli ultimi anni della Repubblica di Weimar.
Indisciplinato, imprevedibile, borioso. Non sono i suoi difetti più grandi. Johann Rukeli Trollmann appartiene ad un popolo scomodo: è uno zingaro. Conquista le platee di Germania e fa innamorare le donne tedesche.
Nella sofferenza che porterà il Nazismo, il suo unico punto fermo e pilastro incrollabile è Frieda. Johann tocca l'apice e il fondo, assaggia il successo e la disperazione, conosce la serenità e la guerra. La derisione nazista si scontra con l'orgoglio di uno zingaro, che proprio non vuole saperne di abbassare la testa a quelle umiliazioni.
C'è solo un modo per far tacere quell'anima in rivolta: ridurlo ad un numero e darlo in pasto al Porajmos, l'Olocausto del popolo zingaro.
- - - - - -
I veri combattenti non temevano la loro ultima battaglia, e se c'era una cosa che Rukeli aveva sempre fatto, era dimostrare di non temere neppure il Diavolo. Neppure il Nazismo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Novecento/Dittature, Olocausto
Capitoli:
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INTRODUZIONE
 
Sì, si tratta di un romanzo biografico. Sì, si parlerà di un atleta.
Prima di rischiare il linciaggio, vi dico che ho letto il regolamento e so che non si dovrebbero postare storie sugli sportivi. Ma io l'ho fatto comunque e non perché sono trasgressiva, ma perché:
1. Lo sportivo in questione è morto da un pezzo, non credo si offenderà.
2. Non è solo una storia sportiva: la vita da atleta riguarderà solo la prima parte. Il resto della storia sarà pressoché romantica e drammatica.
Scrissi un messaggio all'amministrazione, un mese o due fa, perché effettivamente è una storia a metà tra il "sì, si può pubblicare" e il "no, scordatelo", perciò volevo delucidazioni.
Alla fine ho deciso di farlo comunque, magari qualcuno la noterà e deciderà di tirarmi le orecchie perché non si fa oppure dirmi che va bene comunque. O la va o la spacca, se anche viene cancellata da qui, io continuerò ad aggiornarla su Wattpad.

In molti hanno raccontato la storia di Johann Trollmann: autori (uno a caso? Dario Fo), cantanti, attori teatrali. È stata raccontata mille volte. Ne parlano giornali, articoli su internet, video in spagnolo su youtube(?).
Giustamente si soffermano tutti sulla carriera sportiva di Trollmann e il gesto assoluto di scherno alla razza ariana. Io però volevo concentrarmi su un altro aspetto, perché sono romantica e melensa dall'inizio dell'estate: l'amore.
Trollmann rimorchiava tantissimo, non scherzo, però ci fu una donna sopra le altre e allora mi sono chiesta: perché? Cosa aveva di più rispetto a tutte le altre donne che ha avuto? 
Non ho trovato risposte, in quanto di quella che fu sua moglie non si sa niente. Mi sono rimboccata le maniche e ho montato su un personaggi, inventandomi ogni cosa di lei eccetto il nome e le origini cosacche.
Vedetela così: è la storia d'amore di due sub-umani durante il Terzo Reich.

Inoltre ho voluto scrivere questa storia per dare un contributo alla sua diffusione. Perché non è possibile che venga ignorata e sepolta solo perché Trollmann era uno zingaro, non si può. È disumano. È una storia carica di potenza e di sfida, e non ci abbozzo che venga ignorata.

Ho scritto questa storia cercando la verità dietro ogni fotografia di Trollmann, ho fatto ricerche e letto un sacco di documenti, alla fine sono persino riuscita a ricostruire - almeno in parte - la sua personalità. C'è un lavoro immenso dietro la semplice battutina di Trollmann, o dietro il semplice gancio destro.
Partiamo dal fatto che non sono nemmeno appassionata di boxe e non ci capivo nulla: mi sono dovuta far aiutare da mio fratello, pugile, per capire cosa significava la vittoria ai punti, il knock-out tecnico, il jab HAHAHA. Ho guardato gli incontri di pugilato di città e su internet, anche quelli degli anni '30, per cercare di capire l'ambiente e i vari ruoli (giudici, arbitro, secondi). Mi sono fatta una cultura, okay HAHAH



 
DISCLAIMER
Le informazioni su Trollmann sono reperibili su internet. Io come fonti ho utilizzato:
- Johann-trollmann.de
- fighstat.com / boxrec.com
- rukelitrollmann-it.wixsite.com
- "Buttati giù, zingaro" (Roger Repplinger, edizioni UPRE ROMA)

Spunti per ricostruire il suo carattere li ho presi dal libro di Repplinger, in cui riporta alcune testimonianze della cognata, dei fratelli e degli amici in merito alla personalità (o che la lasciano intendere) di Trollmann. Vengono riportate anche stralci di articoli della rivista sportiva di settore Box-Sport, ma è affidabile solo in parte in quanto verrà poi "arianizzata" e spargerà diffamazione sul pugile.
Questi pezzi di articoli li userò per cercare di descrivere e farvi capire lo stile e l'atteggiamento di Trollmann sul ring.

Ho scritto questa storia basandomi dunque su fatti reali, cercando la verità dietro ogni foto. Con l'aiuto di libri, di testimonianze, di musica e di immagini. Su internet è presente un video che include 10 secondi di uno dei combattimenti di Johann Trollmann.
 

* * *


Questa storia appartiene alla serie Gipsy Phanomen:
- Wie Blumen 
- Rukeli ( prequel ; inedita )



 



Atto primo:
Il pugile


Questa è la storia di un pugile impigliato
tra pezzi di memoria e filo spinato.
Nato 'zingaro da sterilizzare', 
la danza dei guantoni faceva innamorare.
Esplose ad Hannover la mia fama di campione:
per tutti Rukeli, l'albero, era il mio nome.

- C.F.F., "Come fiori"

 
 
 
1 - Himmel Augen

 
Tirava di boxe da quando aveva otto anni.
Aveva cominciato per gioco, nel fango di Tiefanthall ad Hannover, con gli amici di merenda e piccole scorribande di quartiere.
Ma dal gioco era nata la passione, e aveva cominciato a frequentare una palestra popolare che si appoggiava in una scuola elementare in via Schaufelder. Interruppe gli allenamenti solo a causa dello scoppio della Guerra, che l’hanno costretto a trasferirsi con la famiglia nelle campagne dello zio. Smise di tirare di boxe ma cominciò con la doma dei cavalli. E piccole lotte nel fango del pollaio. Il piccoletto aveva un’idea molto chiara della situazione politica della Germania.
Cominciò ad ammirare personaggi con la forte morale: il gladiatore Spartaco, da cui trarrà sempre ispirazione, e Rosa Luxemburg, politica rivoluzionaria. L’uno fu lo schiavo che si ribellò all’impero romano, l’altra la donna sostenitrice del marxismo che fu assassinata per aver raccontato la verità.
E poi?
E poi era tornato ad Hannover. Si era unito alla BC Heros, veniva allenato da un ebreo.
Era diventato campione regionale. Poi campione della Germania del sud. Poi campione della Germania del nord. Poi campione nazionale dei pesi medi dilettanti. Inanellava vittorie importanti.
Fresco dell’ultimo titolo di campionato, aveva partecipato alle selezioni per le Olimpiadi di Amsterdam. Era arrivato in finale e l’aveva vinta. L’avversario era un pugile che aveva sconfitto altre volte, una vittoria facile e già prevista. All’ultimo momento, prima della partenza per i giochi olimpici, lo mandarono via. Venne preso il perdente.
Era tornato ad Hannover, l’amaro in bocca. Era stato mandato via dalla BC Heros, insieme all’allenatore ebreo a causa del Mein Kampf.
Si era unito alla BC Sparta Hannover-Linden, l’associazione sportiva dei lavoratori più famosa di Hannover, grazie all’amico Paul Schubert.
Ed era stato trovato, finalmente, da un organizzatore del piccolo ring a Berlino. Un biondino con la cravatta, faccia grassa e precisa scriminatura laterale, la pancia gonfia da bevitore e la pipa sempre tra le labbra. Aveva guardato i corpi fumanti e scolpiti dei giovani pugili dilettanti, che si erano sfidati sul quadrato per farsi notare da lui.

Ma Ernst Zirzow era lì per trovare lui. Non aveva idea di che aspetto avesse, sapeva solo che picchiava così veloce che neanche lo vedevi.
E l’aveva trovato, infine, quel dì di giugno del 1929.
Johann Trollmann, ventuno anni. La pelle calda e ambrata, i ricci neri, gli occhi neri e dal taglio famelico come quello dei lupi, le labbra carnose, i lineamenti decisi. I muscoli scolpiti, le gambe lunghissime ed agili, veloci. Johann Trollmann in quella palestra brillava come il sole, dotato di luce propria.
Ernst Zirzow l’aveva guardato, aveva capito che la boxe, dopo di lui, non sarebbe mai più stata la stessa: quel pugile avrebbe rivoluzionato quello stile di combattimento statico e violento, con uno stile movimentato, agile, leggero. Era bravo e lo sapeva lui stesso, ma probabilmente quel ragazzo non immaginava il potenziale che aveva.
Aveva visto anche che dopo aver vinto l’incontro con lo sparring partner aveva lanciato i guantoni e fatto un urlo di gioia, con tanto di linguaccia giocosa al perdente. Zirzow aveva arricciato il naso. Gli altri erano rimasti calmi e disciplinati anche se avevano vinto. Sembrava che non gli importasse del giudizio che quel manager si sarebbe fatto su di lui, come se volesse fargli capire che: “O mi prendi per come sono, oppure quella è la porta”. E Zirzow, un talento del genere, non se lo sarebbe lasciato sfuggire, a prescindere da ogni presunta complicazione caratteriale.

«Come si chiama quello lì?» aveva domandato all’allenatore.
Quello sembrò quasi scoppiargli a ridere in faccia. «Perché, vuoi allenare lui?»
«Diavolo, dimmi solo come si chiama!»
«Johann Trollmann, ma lo chiamano Rukeli. Zirzow, quello ti farà dannare. E poi è sinti»
«Uno zingaro?»
L’allenatore si strinse nelle spalle. «Tra i zingarelli il pugilato va forte, Rukeli combatte da quando aveva otto anni».

Zirzow non aspettò un momento di più. «Ehi, tu! Trollmann!»
Rukeli si voltò appena, lanciandogli un’occhiata oltre la spalla, con la coda dell’occhio. Le labbra tradirono un sorrisetto compiaciuto. Il manager, a vederlo con quell’espressione soddisfatta, boriosa, capì da subito che sarebbe stata dura gestirlo. «Vuoi diventare pro?» 
Stavolta il ragazzo si girò del tutto, le mani sui fianchi. «Io ci vengo con te, so fare solo questo. Ma ad una condizione» gli disse, un sorriso da mercante si aprì sul suo bel viso.
«E sentiamo, cosa vuoi?»
«Una moto.» allargò le braccia «E poi passo al professionismo».
Zirzow si era passato una mano sulla faccia. Ad uno così, che tirava i guanti, urlava, faceva le smorfie, che si dimostrava da subito un ribelle… come poteva infilargli in testa la tecnica che volevano i tedeschi?
Johann Trollmann aveva la testa dura, non teneva la disciplina. Ma il suo più grande difetto era un altro, apparteneva ad un popolo scomodo: era un sinti, uno zingaro.

 

 

Baracche e burattini, Johann aveva seguito Zirzow a Berlino e se ne stava in una brandina sul retro della palestra. Gli andava bene, si adattava senza problemi in fondo. E poi, la mattina poteva cominciare subito con gli allenamenti.
In palestra aveva avuto piccoli incontri con alcuni compagni, ancora non lo accettavano. Per alcuni era sempre lo “zingaro campagnolo”, il pugile “ballerino” che si muoveva come una scimmia. Poi aveva messo al tappeto uno che pesava sei chili di più, e aveva avuto la considerazione di tutti.
Walter Leyendecker, l’allenatore, gli insegnava molte cose. Gli dava un indirizzo specifico.
I suoi allenamenti erano estenuanti: corda, sacco, sparring, vuoto. Due volte alla settimana li portava in un centro di autobus e camion, e li faceva allenare con gli enormi pneumatici. Altre due volte la settimana gli esercizi si concentravano sul saper incassare.
Ma aveva visto che Johann non era un ottimo incassatore, pur essendo forte fisicamente.
«Sentimi, ragazzo» gli aveva detto un giorno, «tu sei una scheggia. Mi hai capito? Perciò fai una bella cosa: anticipa».
E non gli erano servite altre parole. Anticipava l’avversario. Manteneva il contatto visivo e non distoglieva lo sguardo. E poi lo sentiva, sentiva quando stavano per partire i colpi, li vedeva prima.
Si muoveva velocissimo ed entrava nella zona d’ombra dell’avversario. I suoi allenamenti si concentrarono su quella tecnica basata sulla velocità e la potenza, e sul fiato. Se voleva essere veloce e potente, doveva allenare il fiato. Johann non si stancava, aveva i polmoni d’acciaio.
 
 
Il suo primo incontro da professionista, contro Willy Bolze, si disputò il 18 ottobre 1929 alla Spichernsaele di Berlino.
Johann considerava Bolze un pugile scadente, visti i risultati precedenti. Combatteva tra i professionisti dal 1926 eppure non aveva vinto nemmeno una volta. Inanellava pareggi e sconfitte.
La notizia che uno zingaro combatteva tra i professionisti di Germania, fece il giro di tutti i giornali del Paese. Cartelloni che annunciavano l’incontro erano in ogni angolo della città. Non si parlava d’altro.
Venne il grande giorno.
Fuori la Spichernsaele c’erano ammassati giornalisti in attesa di vedere questo famigerato zingaro.
Johann era nello spogliatoio, sentiva la folla sugli spalti fare un gran chiasso. Aveva vinto quattro campionati, forse qualcuno lo conosceva pure a Berlino, ma non aveva mai combattuto in una grande città come quella, e nemmeno di fronte a tutta quella gente.
«Ora rilassati e pensa di stare in palestra, a prendere a pugni la tua dannata ombra» gli aveva detto Leyendecker con un sorriso. Era un uomo possente, in passato era stato un pugile anche lui, dei pesi massimi. E ora si era ritrovato a gestire un indisciplinato peso medio.
«Magari Bolze va al tappeto prima» commentò con un sorrisetto sardonico.
«Ascolta, ragazzo. Al tappeto potresti andarci tu, se quel Bolze è indiavolato. Non sottovalutarli gli avversari» lo rimproverò stringendogli le fasce attorno agli avambracci.
«Non lo sto sottovalutando.» replicò Johann «Parlo in base ai risultati precedenti. Dal ’26 ad oggi».
E di fronte a quegli occhi neri, profondamente intelligenti, l’allenatore lasciò cadere il discorso.
Accompagnò, insieme a Zirzow e l’aiutante Kaspar, il ragazzo alle bilance per misurare il peso.
L’arbitro misurò Johann. «Centocinquantasei libbre! Settantuno chilogrammi».
Qualche giornalista si accanì sul ragazzo, tempestandolo di domande. Zirzow si adoperò prontamente per scansarli.

«All’angolo destro, in calzoncini bianchi. Ventiquattro combattimenti dal ’26. Willyyyy Bolze!» annunciò lo speaker «All’angolo sinistro, calzoncini neri. La novità di Berlino e il novellino del professionismo, signore e signori, lo zingaro. Johaaaaaann Trollmaaann!».
Entrambi gli atleti erano ai loro angoli.
Johann si tolse l’accappatoio nero, sfoggiando il corpo statuario. Le donne tra il pubblico esplosero in grida ed applausi d’apprezzamento. Il ragazzo si voltò a guardare l’allenatore e il manager, piacevolmente sorpreso, poi i suoi occhi tornarono sulla platea. Fece un timido cenno di saluto, e le acclamazioni si fecero più forti.
«Ma per me?» si domandò, indossando i guantoni, incapace di distogliere lo sguardo dal pubblico. Non importava più se i flash delle macchine fotografiche gli dessero fastidio agli occhi.
«E per chi sennò?» gli fece Leyendecker «Ma ti sei mai guardato allo specchio, ragazzo?»
Non era la prima volta che le donne facevano quel baccano vedendolo. Gli capitava anche quand’era ragazzino e combatteva per i titoli regionali. Le ragazze della sua età lo osannavano, lo aspettavano dopo gli incontri, spesso andavano a cercarlo in palestra o a scuola. Una volta una di loro gli disse che aveva litigato col fidanzatino per Johann. E lui ci parlava con loro, scambiava due parole con chiunque volesse, parlando del più e del meno per una decina di minuti e poi si salutavano.
Già a quindici anni mostrava un fisico da apollo, figurarsi ora che ne aveva ventuno ed aveva intensificato gli allenamenti. Pettorali e addominali scolpiti, il trapezio possente, i deltoidi perfettamente disegnati, le spalle larghe e il bacino stretto; le gambe lunghissime ed agili, muscoli elastici per un combattente che puntava all’agilità. E poi quel viso. Quel fascino tenebroso e selvaggio, così diverso dall’uomo tedesco tipico che aveva annoiato le donne di Berlino.
«Te l’avevo detto che ti avrebbero ricoperto di attenzioni, qui» rise Kaspar, un compagno di palestra, un peso massimo, che gli faceva da aiutante.
Johann indossò il paradenti e si fece aiutare a mettere l’altro guanto.
Suonò il gong.
Fu un incontro lampo. Lo proclamarono vincitore dopo solo un round. Johann ci rimase quasi male per averlo messo al tappeto così in fretta. Era stato preso dalla foga di dimostrare qualcosa a quegli sguardi di scherno. Nessuno dava un soldo di fiducia allo zingaro di Hannover, cresciuto tra scorribande e vicoli malfamati. Invece aveva buttato al tappeto Bolze.
Al pubblico era piaciuto. Era piaciuto quello zingaro scherzoso, che tuttavia boxava con intelligenza. Gli appassionati e i giudici se n’erano accorti, ed era piaciuto.

Per festeggiare, Zirzow e Leyendecker lo lasciarono stare tutta la serata, affidandolo a Hans e Kaspar.
Il primo aveva ventitré anni, era alto, non particolarmente muscoloso, riccio e castano, aveva anche le gambe leggermente storte; il secondo aveva l’età di Johann, era un peso massimo, con la testa rasata e gli occhi piccoli, che gli aveva fatto da aiutante. Inoltre, con Kaspar si conoscevano già poiché ai campionati regionali amatoriali partecipò anche lui.
«È ora di goderti la nottata, fratello.» gli disse Hans «Conosciamo un pub dove ci sono Fräulein niente male! E vista la tempesta di ormoni che hai scatenato lì dentro con un semplice saluto, direi che se scambi due parole con una donna la mandi in tilt!».
Il locale si chiamava Der Blume. Era un pub alternativo, con musica jazz, manifesti femministi e marxisti. Sembrava ricavato dal vagone di un treno, le luci erano soffuse e morbide.
Si accomodarono al bancone principale per ordinare delle birre. Signorine con aderenti abiti grigio antracite e cappellini giravano come ballerine tra i tavoli a prendere ordinazioni.
La ragazza che servì Johann, Hans e Kaspar doveva avere venticinque anni. Era bella, riccia e mora, le labbra dipinte di rosso e le ciglia truccate di nero a risaltare gli occhi verde scuro. Fece un sorriso a Johann, che lui ricambiò con uno dei suoi.
Kaspar gli mollò una gomitata. «Hai visto? Basta poco. Gli fai uno dei quei tuoi sorrisi da latin lover di Hollywood e ti cascano ai piedi»
«D’accordo, d’accordo» rise.
Quando arrivarono le birre ordinate, il fazzoletto di Johann aveva sopra stampato un bacio e c’era scritto un indirizzo. I suoi due amici esplosero in applausi scroscianti e pacche sulla schiena.
Il ragazzo invece, era rimasto un tantino basito da come le donne berlinesi fossero aperte ad avances. Si allargò il colletto della camicia.
Ci avrebbe pensato poi, ora doveva ingurgitare birra.
Un’ora e mezza più tardi, i tre erano quasi ubriachi marci. Hans se ne andò a casa prima di far precipitare la situazione, Kaspar uscì per vomitare ma poi restò accasciato ad un palo della luce.
Johann era rimasto dentro, la testa abbandonata sul bancone. Voleva riprendersi un attimo prima di andare a far visita alla cameriera con i capelli ricci. Chiese diversi bicchieri d’acqua.
Si strofinò il naso, abbastanza soddisfatto di come si stava riprendendo in fretta e fosse piuttosto lucido.
Si voltò, afferrando il cappotto per andarsene. Nell’esatto momento in cui si girò, vide quella scena.

Un uomo sui quarant’anni, totalmente ubriaco e ben vestito, aveva allungato una mano sotto la gonna di una cameriera sui diciotto anni. Ma prima che potesse sghignazzare con il suo amico, la ragazza si era voltata per istinto. E per istinto gli aveva mollato un gancio destro in pieno viso, facendogli girare la testa dall’altro lato. Fu fulminea e lapidaria.
L’uomo si alzò per metterle le mani addosso. Johann scattò in avanti, piazzandosi davanti a quella ragazzina.
«Ehi, amico! Da quanto tempo che non ci vediamo, come ti vanno le cose?» improvvisò.
«Non so chi sei, ma ti consiglio di toglierti di mezzo, ragazzo» biascicò.
«Non credo sia possibile, mi spiace» allungò un braccio indietro, quasi volesse proteggere meglio quella ragazza.
L’uomo gli sferrò un pugno al volto, ma lo prese male perché Johann fu più svelto e si spostò di lato. Entrandogli nella guardia, gli mollò un montante allo stomaco e lo mandò a terra.
La cameriera fece capolino con la testa oltre le spalle del pugile, per sbirciare. Alzò gli occhi al cielo.
«Tu, vieni con me» mugugnò al suo salvatore.
Johann non fece domande e scavalcò il corpo agonizzante dell’uomo per seguire la ragazza. Non era tanto più piccola di lui, ma era senz’altro bassa. Non arrivava ai centosessanta centimetri probabilmente, e a lui, dall’alto dei suoi cento ottantatré centimetri, sembrava una bambina.
Lei lo portò sul retro del locale, nella cucina ormai deserta. Aprì la cella frigorifera e ne estrasse un cubetto di ghiaccio. Gli fece un cenno distratto per farlo sedere.
Lui saltò sopra uno dei sgabelli ai lati delle pareti e quando lei si voltò, la guardò per la prima volta.
I capelli biondi come l’oro, leggermente arruffati e lunghi fino alle spalle. Ma gli occhi. Quegli occhi di cielo, infiniti e limpidi. Per Trollmann, fu il primo knock-out.
La ragazza gli si fece vicino, ora erano alla stessa altezza, gli passò il cubetto di ghiaccio sullo zigomo arrossato. Poté ammirare il calore di quella pelle d’ambra, quella piccola cicatrice a forma di mezzaluna appena sotto l’occhio, e l’altra sulla parte finale della palpebra.
«Almeno non ti viene il livido» gli spiegò, senza dargli troppa importanza.
«Per un attimo ho temuto che mi rifilassi una busta di piselli o una bistecca»
La cameriera sbuffò un sorriso sardonico. «Ti sei divertito stasera, svenuto sul bancone tre quarti del tempo?»
«Mi sono divertito di più a vederti mollare quel destro al maniaco» le strizzò l’occhio.
«A proposito, grazie. Quello viene qui tutte le sere e mi mette sempre le mani addosso»
Johann si rabbuiò. «In che senso?»
«Mi tocca dove non deve. Stasera ho infranto una bella regola» arricciò il naso.
«Se mi dici i tuoi turni, vengo e te lo tengo lontano»
Lei scoppiò a ridere, in una risata limpida e melodica che lui trovò molto bella. «Sei un buttafuori per caso?».
Soddisfatta del lavoro con il cubetto di ghiaccio, diede un’ultima occhiata e lo posò di nuovo nella cella frigorifera. Si pulì le mani sulla gonna, senza badarci troppo.
L’aveva guardata tutto il tempo: il suo viso dolce tradito dai sorrisi furbetti, quelle occhiate che gli lanciava di tanto in tanto da sotto le ciglia, l’atteggiamento scherzoso con cui si rivolgeva, la spontaneità nei gesti e negli sguardi, le curve dolci, quegli occhi infiniti. Aveva deciso che gli piaceva, gli piaceva quel fare sfrontato che mai aveva visto in altre gagé tedesche. Non aveva quel fare da chi ha voglia di una sveltina e non era ingessata.
Lei sparì nel retro del locale, mentre la sala si svuotava.

Johann l’aspettò fuori la porta, appoggiato ad un palo. Si accese una sigaretta, gliel’aveva passata Kaspar durante la sfrenata bevuta. Guai a loro se Leyendecker l’avesse saputo.
Si guardò intorno, scrutando i visi di coloro che uscivano dal locale, in cerca della cameriera dai capelli ricci. Ma forse era a casa ora, e lo stava aspettando. Fece un passo verso la strada, ma poi si ricordò di quegli occhi di cielo.
Non stasera. C’è qualcuno che voglio conoscere sul serio, prima.
La ragazzina era uscita dal locale e si era fermata in mezzo al marciapiede. Indossava un paio di pantaloni scuri e una camicia con le bretelle, i capelli legati e un Borsalino grigio sulla testa.
Johann la guardò interrogativo.
«Sei ancora qui?» lo incalzò.
«Ti aspettavo… ma come ti sei vestita?» indicò i suoi abiti, sbuffando il fumo della sigaretta.
«Non sono affaracci tuoi.» gli puntò il dito contro «Perché mi aspettavi?»
«Volevo salutarti. Non ti arrabbiare, biondina.» si difese, alzando un sopracciglio «Vuoi fumare?».
Lei annuì, guardandolo in tralice. Johann le passò la sigaretta e la ragazza prese una boccata senza staccargli gli occhi di dosso, indagatrice.
«Non sei tedesco.» commentò, sbuffando il fumo dalle narici «Sei un arabo?» domandò, riferendosi ai suoi lineamenti, mentre gli passava di nuovo la sigaretta. Sembravano aver stretto il tacito accordo di una boccata a testa.
«Sono tedesco» la corresse, «e sono sinti».
Temette di bruciarsi, rivelandole di essere zingaro. Capitava che qualcuno si allontanasse per paura di essere derubato o ché. Ma quegli occhi di cielo gli proibirono di mentire, se anche avesse voluto.
«Ah, come il pugile che ha combattuto stasera» disse invece lei, inaspettatamente su di giri a quella notizia.
Lui contenne una risata. «Hai seguito l’incontro alla radio? Ti ci vedo come appassionata di boxe, spiegherebbe molte cose, come il gancio destro»
«Simpaticone, in città non si parlava d’altro, tutti parlano di questo pugile sinti, quindi stasera abbiamo seguito l’incontro dalla radio del pub. Non ci capisco molto di pugilato, ma deve essere proprio bravo.» gli sorrise «Un cliente abituale del locale, stasera è andato a vederlo prima di venire al pub. Ha detto che un pugile così non si era mai visto in Germania. E se lo dice quello lì, che gli incontri di boxe li ha visti tutti…!»
«Non so il tuo nome» se ne uscì lui, guardandola di sbieco.
«Nemmeno io so il tuo» replicò, con un sorriso di sfida. Johann alzò gli occhi al cielo.
«Mi chiamo Johann»
«Io sono Frieda. Beh in realtà mi chiamo Olga, Frieda è il secondo nome. Ma Olga non mi piace. Quindi Frieda.» gli regalò un sorriso da squalo «Aspetta, ma ti chiami come il pu… Oh, aspetta un momento!»
Johann scoppiò a ridere, una risata profonda e roca, rumorosa e contagiosa.
Le schioccò le dita sui bordi del cappello, spostandoglielo leggermente. «Non sei una tipa molto sveglia, eh, biondina?».
Per tutto il tragitto verso casa, Frieda lo tempestò di domande sull’incontro A lui piacque come lei non disse mai zingaro, ma sinti. Gli scaldava il cuore, gli faceva sentire come se essere nomade fosse la cosa più bella del mondo e non esistessero pregiudizi o discriminazioni.
Johann le confidò che quello era il suo primo incontro da professionista, ma le disse anche che era parecchio tempo che combatteva e che aveva già vinto campionati dilettantistici e regionali. Le disse che aveva partecipato alle selezioni per le Olimpiadi di Amsterdam ma, pur avendo vinto, non era stato preso perché zingaro.
Lei non gli disse niente di sé, solo che viveva con il padre e che si vestiva da uomo perché aveva paura di camminare in strada da sola la notte, con la gonna. Le aveva dato ragione.
Si fermò davanti a un portone, Johann l’aveva accompagnata a casa ma non si avvicinò.
«Abiti qui?»
Lei gli rivolse un’occhiata sarcastica, dando uno scossone al portone per aprirlo. «No, in realtà ho una vita segreta e vado a derubare condomini passando dall’entrata principale»
«Dunque ora ho una rivale eh» ammiccò.
Frieda sorrise, cogliendo la battuta stereotipata sugli zingari. «È stato un piacere conoscerti e grazie ancora. E… Trollmann. Buona fortuna per tutto. Ci si vede».
Ma sapevano entrambi che, probabilmente, in una città come Berlino non si sarebbero più visti. Due vite che si incontravano senza promesse per il futuro, come le linee rette incidenti.
A Johann questo non stava bene.
«Aspetta.» bloccò il portone con una mano prima che lei potesse chiuderlo «Ti trovo sempre lì?»
«Sempre… Un parolone.» gli sorrise «Lì, qui, oppure in nessuno dei due posti»
Sospirò rassegnato, pur non perdendo il sorriso. «Ci si vede, allora. Buonanotte».

Frieda ripensò a quell’incontro con un che d’orgoglio: Johann Trollmann aveva parlato con lei, non con le altre cameriere; aveva accompagnato lei, aspettato lei. Frieda non era tipa da perdersi in fantasticherie adolescenziali, seppur avesse appena diciannove anni, sapeva che probabilmente non l’avrebbe incontrato più quel Trollmann. Al massimo l’avrebbe visto sui giornali, ma parlarci di nuovo così? Non erano in un film o in un romanzo, che tutto andava sempre bene.
Aveva la sensazione di averlo già visto, eppure era la prima volta che lo vedeva e non c’erano sue foto in giro per Berlino. Forse in un sogno.

 

 
   
 
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