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Autore: Shirokuro    27/08/2017    1 recensioni
{ vincent centric; implicit onesided!vincent/gilbert | one-shot di 2550 parole circa | angst; introspettivo | what if? }
Charlotte lo squadrò per un momento e poi guardò il fuoco. L'uomo allora inspirò. Portò le mani congiunte sotto al mento e con la voce un po' spezzata, per la seconda volta, cercò se stesso in qualcun altro facendo una domanda.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Echo, Gilbert Nightray, Lottie, Vincent Nightray
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Storia originariamente scritta per il contest L'oscurità prima dell'alba indetto da Ayumu Okazaki & AriaBlack sul forum di EFP.
Nickname su EFP e sul forum: Shirokuro, zbor liber.
Titolo: Oglindele din trecut-ul meu – e altre superfici riflettenti.
Fandom: Pandora Hearts.
Personaggi: Vincent Nightray.
Pairing: implicit onesided!Vincent/Gilbert.
Sentimento & Ending: servilismo & bad ending.
Introduzione: Charlotte lo squadrò per un momento e poi guardò il fuoco. L'uomo allora inspirò. Portò le mani congiunte sotto al mento e con la voce un po' spezzata, per la seconda volta, cercò se stesso in qualcun altro facendo una domanda.
Note dell'Autore: in fondo.
 
Oglindele din trecut-ul meu – e altre superfici riflettenti
Se c'era una cosa che senza motivo faceva spesso, la sera, sporgendosi dalla finestra in camera sua, era circondare con le mani la Luna, poggiarla sui propri palmi, sentirsene un po' padrone. Senza motivo la possedeva per qualche secondo, minuto, ora. E la Luna pareva quasi rispondergli, accarezzandolo in volto con una leggera brezza, una tenera tempesta o con l'afa estiva. Giocava un po' con le dita, per darsi da solo l'impressione di averla per davvero, poi sorrideva e restava immobile, seguendo silenziosamente i suoi impercettibili movimenti, permettendole di diventare per una notte la sua silenziosa compagna. La osservava, nell'arco di sedici lunghi giorni, divenire una sfera nera.
   Non attendeva fosse piena, come più romanticamente si sarebbe potuto pensare. Lui, sperando un giorno di abbassare la guardia e cadere da quella finestra, aspettava di poter tenere in mano un corvo grande e lontano, di poterlo chiamare Gilbert e poi vederlo rinascere, come fosse stato una tata che cresceva un signorotto, come fosse stato schiavo di quello di cui era padrone. Per questo la Luna doveva essere nuova.
   C'era una forte contraddizione nel suo desiderio, lo sapeva da sé. Però nella sua vita nulla aveva mai avuto un vero senso, nulla era mai stato quello che pareva. Tranne, per l'appunto, quell'angelo dalle grandi ali scure che volando nel nulla era andato a sbattergli addosso, per poi chiedergli scusa con un grande sorriso radiante ed infine trascinarlo per mari e monti alla ricerca di un posto per entrambi.
 
*
 
«Mi rispetti?»
   La voce di Vincent riecheggiò per qualche secondo, nella grande sala pranzo, mentre Echo, al suo fianco, inghiottiva il boccone che stava masticando. La ragazza attese qualche istante per metabolizzare la domanda e poi poggiò la forchetta sul tovagliolo rosso che stava alla sua destra.
   Si concesse anche qualche secondo per ammirare il piatto rifinito con decorazioni argentate e la carne lucente e bollita sopra di esso – che in presenza di un certo coniglio nero che conosceva bene sarebbe già stato sparito, divorato senza pietà. Era contornato da qualche fogliolina di rucola ed un paio di pomodorini interi, che nessuno mangiava mai ma che erano sempre aggiunti ad ogni piatto di carne; doveva ammettere che erano gradevoli almeno alla vista. Se alzava un poco lo sguardo, poteva scorgere con la coda dell'occhio anche un vaso di fiori quasi appassiti che entro l'indomani sarebbero stati sostituiti da altri più freschi. Sapeva che sulla tavola imbandita ce ne erano almeno altri due ed erano tutti a circa un metro l'uno dall'altro. Pensò che fosse uno spreco, un tavolo così grande per così poche persone e mai nessun ospite.
   «Non capisco la domanda» ammise infine, senza riprendere in mano la posata. «Non ti odio e non provo particolare affetto. Diciamo che non mi fai né caldo né freddo».
   «Eppure i servi non dovrebbero rispettare i propri padroni?» ridacchiò portando il calice di cristallo pieno di acqua alla bocca. Le labbra sottili lo sfiorarono e poi accolsero. Gli intagli riflessero la luce per un attimo e gli occhi della ragazza colsero il frangente. Nella sua mente, per qualche istante, fluttuò l'idea che Vincent Nightray fosse davvero un nobile.
   «Non sono una tua serva» provò a controbattere. «Be', lo sono, ma non sono emotivamente influenzata da questo» si corresse quasi subito. Ancora un po’, sussurrò curiosa la voce dentro il biondo.
   «Cosa ti spinge allora a seguire i miei ordini?»
   «Sono ligia al mio senso del dovere. E poi se mi allontanassi da te, lei sarebbe triste».
   «Capisco; sei troppo onesta». Vincent ottenne così la sua prima risposta.
 
«Vincent».
   «Lottie».
   Faceva caldo, nonostante si stesse avvicinando l'inverno, nella stanza della residenza in cui in quel periodo alloggiavano i Baskerville. Il motivo era da ricercarsi nel caminetto acceso, vicino al quale stavano due poltrone ed un tavolino. Una delle sedute era occupata dall'uomo. Sul suo viso, danzavano le fiamme che si increspavano sul suo sorriso divertito e stanco, che brillavano nel suo occhio rosso come il sangue e ricordavano alla donna nuovamente come lui fosse un'eresia, come la sua amica deviata e mal funzionante. Con la mano coperta dal guanto di seta bianco, invitò la figura ricoperta dal pesante mantello vermiglio, che distingueva il suo genere dal resto delle persone, a sedersi affianco a lui. Tienila buona solo qualche minuto.
   Gli sguardi dei due, incontrandosi a metà strada, non fecero altro che accendere un ulteriore fuoco nella stanza. Non c'era odio fra i due, ma una ingenua rivalità, la continua ricerca di rivalsa uno sull'altra e viceversa. Una guerra fredda per il piccolo potere che i due compari avevano già ma volevano comunque avere. Fang era forse l'unico ad averne davvero preso coscienza, ma se l'era tenuto per sé – e con questo, s'intendeva nemmeno i due interessati se ne fossero resi conto.
   La donna, assicurandosi il mantello sulle spalle, prese effettivamente posto.
   «Come mai qua?»
   «Echo è fredda con me, pensavo di venire a scaldarmi da te».
   «Che bel pensiero, peccato da me non otterrai nulla di caldo».
   Vincent rise. «Scherzi, sto per chiederti di darmi tutta la tua passione fiammante» disse.
   Charlotte lo squadrò per un momento e poi guardò il fuoco. L'uomo allora inspirò. Portò le mani congiunte sotto al mento e con la voce un po' spezzata, per la seconda volta, cercò se stesso in qualcun altro facendo una domanda – ma solo dopo che la voce dentro la sua testa parlò ancora; Distruggila. «Perché rispetti Glen Baskerville?»
   Un fruscio. Il mantello pesante era scivolato per terra, perché la donna si era alzata di scatto. «Che razza di domanda...!» sussurrò mentre le mani tremavano percettibilmente. La cosa lo divertì, ma cercò di trattenersi dal ridere ancora. Le ginocchia pallide ogni tanto facevano per alzarsi, altre per cedere tanta era la rabbia che scorreva in corpo alla giovane – giovane?
   Allora gli occhi incerti cercarono quelli dell'interlocutore, che facendosi trovare pronto la stava già fissando paziente, attendendo la sua risposta. Offesa e ferita, Charlotte parlò sottovoce.
   «Glen era... Glen è! Glen è la nostra famiglia ed il nostro signore. Noi abbiamo il dovere di rispettarlo, non è forse giusto così?!»
   Insoddisfatto e sentendosi attaccato dall'altra, il biondo provò ad incalzarla: «Echo dice di no».
   Lei strinse i pugni, si girò verso la figura illuminata dal fuoco ora più debole, trascinando col piede per un tratto anche il mantello ancora a terra, e trattenne l'urlo che tutti e due sapevano volesse liberare a tutti polmoni, dicendo solo: «Se hai litigato con tua figlia, non venire a cercare riparo da me».
   «Non abbiamo litigato però» negò subito. Charlotte ebbe un altro momento di esitazione.
   «Io...» tremò un'ultima frazione di secondo e poi rilassò ogni muscolo potesse permettersi di non muoversi restando in piedi. «Non lo so, ma è qualcosa che sento e che tutti noi sentiamo da dentro. È qualcosa che va oltre il rispetto ed il dovere, è la necessità più pura di farlo. È come quando la luce dorata ci portò tutti alla villa. È il nostro destino e la ricerca d'amore».
   «Amore?» Vincent si interessò improvvisamente, ignorando la voce che lo intimava di non darsi troppe libertà, ma il suo entusiasmo nascente venne comunque ucciso subito dallo sguardo fermo della donna.
   «Sì, ma un amore che non è quel sentimento contorto che prova Zwei per te o che provi tu per... ma tu puoi davvero provare emozioni?» si permise infine. «Che cosa stupida mi stai facendo fare, tu non puoi capire il senso di solitudine che noi Baskerville proviamo, l'essere persi e il voler essere stabili nel nostro mondo».
   Si chinò allora per raccogliere il mantello e girò i tacchi, verso le scale che una volta salite l'avrebbero condotta in camera sua.
   Il biondo strinse il pugno sinistro e lo avvolse con la mano destra, sorridendo. «Hai ragione, non capisco nessuna di quelle stupidaggini».
   Quella fu la sua seconda risposta.
 
*
 
Sotto al suo letto, non c'era nulla. Vincent però, ogni volta che si presentava l'occasione, controllava non ci fossero mostri. Non ne aveva paura, li desiderava. Voleva invitarli a far banchetto con le sue carni e con la sua anima, però i mostri sotto al letto non c'erano comunque.
   Lui ne era profondamente deluso. Ogni volta sentiva come che ci dovessero essere. Questa volta, senza dubbio, qualcuno mi mangerà, si diceva – o gli diceva, la voce. Perché una volta avvolto dalle coperte, la sua schiena veniva invasa da brividi molesti ed impazienti, cosa che lo portava a pensare che la causa scatenante fosse la presenza che sperava di incrociare per il suo cammino, in modo che ponessero fine a quest'ultimo.
   Vincent, respirando, idealizzava la sua morte. Pensava a quanto bello sarebbe stato seppellirsi da solo in un letto di spine, pregava affinché qualcuno gli togliesse il respiro e lo liberasse del sacco che trasportava sulle spalle – che gli sussurrava parole crudeli ed ordinava di ferire chi era amato da Gilbert, di farlo piangere. In fondo, o forse nemmeno tanto in fondo, Vincent odiava la voce che lo accompagnava ovunque. Il suo fardello e i suoi ideali lo convincevano che se Gilbert era triste, se era infelice di averlo come fratello, allora lui aveva ancora un motivo per inseguire la nera falciatrice e qualunque cosa ad essa connessa. Non poteva essere altrimenti. Se Gilbert mai gli avesse detto di essere felice di lui, allora lui non avrebbe più avuto motivo di obbedire alle sue delusioni.
   Ma la voce dentro Vincent, che stupida non era, sapeva che Gil lo adorava con tutto se stesso e per questo, prima di chiudere gli occhi ed abbandonarsi sulle spine, il giovane, chiese di nuovo al cielo di accoglierlo prima che il corvo potesse trasmettergli questo messaggio.
 
*
 
«Gil». La sua voce un sussurro, la stanza buia un sogno. La luce della luna delicata e onirica poggiata come pensata sulla chioma scura e sul volto dolce, che veniva poi riflessa negli occhi magnetici e il biondo sussultò alla percezione di quella visione celestiale. Gilbert, per il figlio del demonio, era davvero una benedizione.
   «Sì?» rispose assonnato, tirandosi a sedere e scostando leggermente le coperte, il più grande.
   «Tu rispetti Oz?» domandò.
   «Che domanda stupida, Oz è il mio migliore amico, ovvio che lo rispetto».
   Vincent osservò il profilo in penombra per qualche altro secondo, prima di lasciarsi sfuggire un sospiro impercettibile e una risata flebile. «Non in quel senso», cercò poi lo sguardo del fratello, «non so nemmeno io in che senso ad onor del vero, però non in quel senso».
   Il corvo si tinse serio in faccia e fissò la sagoma nera in controluce, che si incastrava nella sua finestra, oscurando in parte la sfera bianca nel cielo che quella sera era piena e grande. Vincent non lo guardava negli occhi ma sapeva bene che sguardo lo stesse scrutando. E lo odiava. Era una ricerca di debolezze nella sua persona, era la ricerca di risposte a domande che Gil si stava facendo da solo e che non voleva fare a lui – perché il mostro viscido che greve si dimenava e pesava sulle sue spalle non divenisse ancora più grande, Gil non faceva mai domande importanti.
   «Vinc, vieni qua» lo invitò poi, porgendo la mano grande. L’interpellato osservò per qualche secondo le dita lunghe, le braccia magre e le spalle calme, rilassate, fino ad arrivare al collo e poi, sentendo una voce sussurrare da dentro la sua testa – dietro, in profondità, oserebbe dire dal fondo del cuore – Stai esagerando, riposò lo sguardo sul materasso. Poi prese la mano, debole alla tentazione del corvo, e quest’ultima lo trascinò con sé, fino a costringerlo a prendere posto vicino al fratello maggiore, che liberò poi la presa della mano e avvolse le spalle del biondo in un tenero abbraccio. Vincent sentì gli occhi farsi stranamente caldi, pieni.
   Gilbert avvicinò la manica della vestaglia da notte al suo viso, guardando fuori dalla finestra. Il più piccolo senza lamentarsi o fare domande affondò con tutta la fronte nel tessuto chiaro e lo bagnò con qualche rapida lacrima.
   «Sei il suo servo» sussurrò poi, in un breve respiro, deglutendo l’amarezza.
   «Non so cosa sia successo e so che non me lo dirai, ma per ora non pensare a niente». Vincent poté scorgere il contorno del viso del suo amato fratello maggiore illuminato dalla sua servitrice silenziosa. Pensò fosse bellissimo e che avrebbe gettato presto via la sua vita per quell’angelo nero. La sua priorità, d’altronde, era sempre stata seguire gli ordini di quella voce che in quel momento urlava e si agitava – nel suo essere mero rumore sullo sfondo – e il suo unico obiettivo era rendere la vita dell’esistenza paradisiaca che aveva offerto il suo giaciglio e il suo conforto al figlio del diavolo, come il biondo si riteneva, migliore.
   «Hai litigato con Echo?»
   «Deve sembrare che siamo molto in intimità se me lo chiedete tutti».
   Gilbert rise – e il cuore di Vincent per un attimo si fermò. «Non dai molte occasioni agli altri di litigare con te, lei pare l’unica in grado di farlo».
   «Vuoi litigare con me?»
   Gilbert sospirò, immerse il naso nella capigliatura del più piccolo e con le labbra sulla cute dell’altro disse: «Vorrei fare tutto quello che fanno i fratelli con te, sai?»
   Il fratello minore cercò nuovamente riparo nella manica larga del moro e anche se fra le lacrime stava sorridendo, la sua Coscienza gridò che non si meritava quella felicità, quelle parole gentili o la sola presenza di quella persona così onesta nel suo stesso Universo.
   Vincent si addormentò quindi senza la sua terza risposta.
 
*
 
Ehi, Gil. Vincent portò le mani al viso e iniziò straziare le guance, le compresse e le torturò ancora, raschiando lentamente via la pelle ed occasionalmente qualche cappello biondo. Ho sempre pensato di agire nel tuo bene, parlava con se stesso, gli occhi tormentati rossi e lucidi, incapaci di piangere ancora.
   Vincent era un uomo caparbio, intelligente, furbo, rideva dell'incapacità degli altri inclusi i suoi compagni, ma aveva un animo piccolo e fragile, rivestito da uno strato sottile di vetro, che racchiudeva una nuvola di zucchero filato. Il suo corpo era carne e tristezza, un contenitore per quella dolcezza che anni prima aveva represso e nascosto. E ora era stato, infine, schiacciato dai suoi desideri che lo avevano condotto fino ad allora solo in posti bui, in luoghi sconosciuti e di certo non fra le braccia di Gilbert. I Nightray lo disprezzavano, i Baskerville lo ripudiavano in quanto anomalia e nemmeno lui stesso si voleva più.
   Vincent aveva stretto a sé solo il nulla e un Chain che odiava, che lo aveva accompagnato fino a lì, lo aveva condotto fin nell'oblio e anche quel Chain non lo amava.
   Il suo solitario desiderio di rendere il mondo di Gilbert un mondo migliore lo aveva schiacciato e costretto fra le braccia di una morte che aveva bramato per oltre un secolo. C'era una spada che attraversava il suo corpo, la figura del suo padrone – quello che lo possedeva di diritto però – che lo contrastava e la speranza che finalmente si fosse liberato delle sue agonie veniva rilasciata nell’aria, mischiandosi all’odore del sangue.
   Prima della morte e di Abyss, Vincent poté constatare, mentre Miranda lo trascinava nell’inferno, che quando si trovava la pace, i rumori tutt’attorno si attutivano. Il nome di padron Leo urlato dai quattro lati della stanza e il suo, che veniva urlato da tre persone. Zwei, Ada e… la terza… ah, non era sicuro, però si stava avvicinando in gran fretta. Avvertì un calore piacevole avvolgergli le spalle e il respiro uscire dal petto. Finalmente la voce si era calmata e discutendo da solo con lei, Vincent realizzò una cosa.
 
Forse la domanda da farmi non era se “lo rispettavo”, ma se “lo amavo abbastanza”. Era finalmente caduto dalla finestra, uh?


 
Soundtrack(s); mede:mede (reol), alice in wonderland (orangestar / ia), datsuraku jinsei e youkoso (mafumafu)perché vincent vuole il perdono ma io che lo amo più di qualunque altro personaggio di pandora hearts gli tolgo sia il perdono che la vita!
WAAAAAAAAAAAAAAAAAA torno sempre, anche non volente, torno. in genere per colpa dei contest uhmm ok. non scrivo più tanto quindi questa one-shot è un miscuglio di stili e scelte molto diverse fra loro che non sono sicura si amalghimino o meno MA EHII la vita è una e non scriverò mai più una sfw su vincent e gilbert al 100% (o 99.9% uhh). eeeuhm penso lascerò qua le note che ho inviato con la mail alle organizzatrici perché scrivere queste note è imbarazzante per qualche motivo.

prima di tutto, non so se vada bene così, ma ho inteso il servilismo di Vincent come la sua necessità di rendersi sacrificabile. il tema della relazione fra padrone e servo, nel manga, è ripetuto spesso ed è affrontato in maniera relativamente soddisfacente. quindi, in un mondo in cui padrone e servo sono migliori amici, ho pensato che l'unico padrone malvagio, per Vincent, è se stesso. il titolo (letteralmente dal rumeno, "gli specchi del mio passato") si riferisce alla ricerca di altri schiavi come lui negli altri personaggi – che però non trova – e al fatto che nella one-shot Vincent è descritto come il vecchio Vincent (il giovane, quello che era felice di essere al fianco di Gilbert, prima della tragedia di Sabriè), a confronto con il nuovo che lo costringe a rendersi detestabile ed odiarsi. c'è, inoltre, un pesante what if? che prevede la morte di Vincent durante lo scontro nei capitoli 141/142 (SE RICORD BENE RIP).
spero abbiate gradito la lettura, grazie mille!

 
   
 
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