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Autore: TheDarkiti    27/08/2017    2 recensioni
Maka era come un temporale: rumoroso, seccante e dalla durata effimera, ma Soul si accorgerá presto di aver visto solo una parte della propria miester. Perchè lei non era un semplice acquazzone, no, lei era la pioggia stessa, con tutte le sue sfaccettature.
Ma alcune sono molto più oscure di quanto sembrano a chi non la conosce e Soul ha il compito di salvarla proprio da una parte se stessa.
Storia SoMa da un capitolo e 2.308 parole (nuovo record in questo fandom!) che spero possa essere di gradimento.
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maka Albarn, Soul Eater Evans | Coppie: Soul/Maka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pioggia

Si rigirò nuovamente nel letto, chiedendosi per l’ennesima volta in pochi minuti il motivo per cui quello stupido acquazzone estivo si fosse dovuto abbattere su Death City proprio in quel momento, alla bellezza delle tre del mattino. Al successivo rimbombo e ai consoni fasci di luci che penetrarono senza impedimenti nella stanza dalla trasparenza della finestra, Soul maledì per l’ennesima volta quel decerebrato di Black Star per avergli sfasciato le ante con la sua “entrata trionfale del Martedì pomeriggio”, che includeva, ovviamente, l’entrata plateale di “Tsubaki, guarda quanto la mia magnificenza sia grande ora che mi sono arrivati gli ormoni” dalla finestra della sua povera stanza, rendendo quei poveri cardini inutilizzati e le ante stesse un dolce ricordo, visto che, sempre pompato nell’autocompiacimento di saper far colpo sulla propria arma nel modo corretto -e qui Soul ne avrebbe da ridire-, il migliore amico le aveva lanciate chissà dove, facendole scomparire dalla faccia della Terra.
Maledetto rompipalle.

Non che fosse tutta colpa del turchino: in realtà l’insonnia di Soul era anche dovuta al suo udito finissimo, dovuto molto probabilmente agli esercizi sfiancanti che il padre gli aveva imposto di fare da bambino per migliorare il suo “orecchio d’artista” o cagate simili, cosa che faceva diventare il suono del tuono una sottospecie di bomba atomica che si ripeteva ogni tre minuti. Dio che odio, si potevano bandire i temporali dal mondo?

Allo “scoppio” successivo, Soul si tirò faticosamente su a sedere sotto il peso del sonno, due terrificanti borse violacee sotto gli occhi e una voglia matta di disintegrare la prima cosa che gli fosse capitata sotto mano. Si recò verso la cucina, pronto ad annegare il doloroso amore per il cuscino in una grande tazza di the, l’utopica speranza di non dover ricorrere direttamente al sonnifero, quando si fermò al centro del salotto, la propria meister seduta a gambe incrociate sul divano con un libro in grembo e la luce accesa al minimo per permetterle di leggere qualcosa senza disturbare.
Ma che cazzo? Che razza di fissata patologica avrebbe tirato quell’ora per leggere un libro che, Soul lo aveva notato, era minimo la terza volta che iniziava da capo nel giro di un anno? Beh...Maka a quanto pareva.

Soul non fece domande, era ancora troppo stanco per poter anche solo strascicare qualche parola di senso compiuto, nonostante la mente fosse già in funzione. Decise, quindi, di andare a prepararsi il the, ci avrebbe pensato poi a mandare a dormire quella scema che, tra l’altro, da stanca diventava ancora più nervosa e questo implicava, irrimediabilmente, Maka-Chop ancora più potenti, la ricerca dei muscoli necessari per infliggere tanto dolore ancora in corso e una voce ancora più stridula e seccante, tanto da poter essere comparata ai bombardamenti travestiti da innocui tuoni.
Seh, innocui ‘sto cazzo, accidenti se era stanco!

Mentre scaldava l’acqua al fornello, Soul si ritrovò a pensare che Maka fosse proprio simile a quel maledetto temporale e, l’arrivare a fare certi pensieri, lo convinse che il cervello non si fosse davvero svegliato come aveva creduto sino ad un secondo prima; non avrebbe di certo perso tempo a fare certi ragionamenti se fosse stato realmente in sé. Eppure, venendo trasportato dalla noia di vedere l’acqua cominciare a bollire, si rese conto di aver fatto un paragone piuttosto incalzante.

Maka era come un temporale: rumoroso, seccante e dalla durata effimera. Perché lei scoppiava in fretta, era una ragazza che non aveva problema a passare alle mani -ai libri- già da subito se veniva stuzzicata in qualche modo, ma la rabbia durava poco, così come la sua presenza, lei era fatta così: come una tempesta scoppiava, ti tirava dentro al suo turbine lasciandoti persino qualche livido in testa e, con quella sua stessa velocità nell’iniziare, lei spariva, ritornando una silenziosa secchiona amante del silenzio e della solitudine. Però il dolore del Maka-Chop restava, come la pioggia sulle strade dopo una torrenziale inondazione e tu sapevi era tutt’altro che effimero quel colpo, l’emicrania ti avrebbe accompagnato per una settimana e, molto probabilmente, la tempesta in minigonna te ne avrebbe rifilato un altro ancor prima che ti fosse guarito il precedente. Una parte di lui gli fece ricordare un’altra particolarità che avevano in comune i due: il potere di tenerlo sveglio la notte contro la sua volontà. Ma a quel punto un imbarazzato Soul decise di non soffermarsi troppo sulla questione, riportando alla mente le tragiche notti passate a fare pensieri -e, sottolineò a se stesso, solo pensieri- alla chi più ne ha più ne metta sfumature di grigio -ma che superavano di netto il cinquanta, questo era sicuro- sulla ragazza che aveva etichettato lui stesso “priva di sex appeal”, mandando a quel paese coerenza, pudicizia e rendendosi consapevole del fatto che Black Star non fosse l’unico con qualche ormone di troppo, ma preferì saggiamente tenersi tutto per sé.

Con il the ormai fatto, Soul si rese conto di non sentire da un bel po’ nessun tuono e, ascoltando con più attenzione il silenzio della stanza, si accorse di non percepire altro che un quieto picchiettare sulle finestre del salotto; il temporale doveva essersi calmato. Effimero, appunto, eppure le tre e mezza del mattino gliele aveva fatte tirare il bastardo.

Si sedette sul divano decidendo che tanto valeva finire quel the prima di tornare a letto, stanco per stanco… Si ritrovò ad osservare la giovane seduta al suo fianco, tanto presa dalla lettura che probabilmente non lo aveva neanche notato o, e qui Soul sentì un silenzioso pugno allo stomaco senza comprenderne appieno il motivo, stesse facendo semplicemente finta di non vederlo. Non che avessero litigato o altro, semplicemente a Soul non piaceva essere ignorato, sopratutto da Maka e la cosa gli dava davvero molto fastidio. Che poi non è che avesse cercato in qualche modo di attirare la sua attenzione -nemmeno lo avrebbe fatto, per Dio, che motivo avrebbe avuto?-, quindi la giovane non aveva alcuna colpa se lui si stava rincitrullendo di pensieri futili sulla possibilità di non essere ancora stato percepito dai suoi radar mezzi dormienti.

Alla fine si abbandonò all’arrendevolezza che l’amica non lo avrebbe di certo cagato se non avesse fatto lui la prima mossa, cosa che, però, non sarebbe mai capitata, perché far percepire di voler avere un qualsiasi tipo di interazione senza mezzo motivo, in aggiunta al fatto che mancassero circa venti minuti alle quattro, nella mente piuttosto contorta del ragazzo, si avvicinava pazzamente ad un gesto davvero poco fico e quindi no, si sarebbe fatto i cazzi suoi senza intaccare la sua immagine. Certo che solo lui poteva avere un così grande talento nel tirarsi la zappa sui piedi da solo, era innegabile.

Stanco dei suoi stessi sproloqui inutili, l’albino si stravaccò meglio sulla sua parte di divano, godendosi il tenue rumore delle gocce che si infrangevano sulle ante chiuse della finestra, leggermente più accentuate di prima a causa della distanza ridotta. Infine, con i nervi leggermente più distesi rispetto alla mezz’ora passata, ricominciò ad osservare la meister, ancora intenta a divorare sillaba dopo sillaba intere pagine del manoscritto. Che ci fosse di così interessante in un libro -che già di per sé era piuttosto palloso secondo il punto di vista del compagno- di cui sapevi già come andava avanti e come terminava la vicenda rimaneva un mistero ai suoi occhi.

Solo in quel momento, dopo essere partito e ritornato minimo quattro volte dai suoi sconclusionati pensieri assonnati, perché sì, era senz’altro colpa del sonno se si stava facendo quelle trippe mentali assurde per ogni cosa che si collegava a Maka, Soul si diede dello stupido per non essersene accorto prima, per non averla guardata con occhio critico ma con la semplice pacatezza che il desiderio di dormire unito alla bevanda calda gli avevano dato. Maka non era come i temporali, come aveva pensato lui poco prima, non era così semplice, no, Maka era come la pioggia, in tutte le sue sfumature e il temporale ne era una minima parte, un colossale nulla se comparato al resto. Lei era anche silenziosa, lei era anche dannatamente monotona, proprio come lo era ora, mentre si chiudeva nel suo silenzio a leggere un libro, i grandi occhi verdi puntati sulle pagine, ma in realtà molto più lontani di quanto sembrasse. La pioggerella leggera era noiosa, la pioggerella leggera era malinconica e lei incarnava perfettamente il paragone con le due cose. Ed era un male, era dannatamente sbagliato. Perchè quando scorreva lo sguardo su un libro, in lei succedeva qualcosa, veniva come inglobata in una bolla riempita della sua stessa malinconia, ma pian piano questa si restringeva attorno a lei, togliendole il respiro, schiacciandola nei ricordi che le appartenevano ma che tendeva a dimenticare per non ferirsi ancora e ancora, per non rendersi sempre più vulnerabile e debole. Soul si immaginava perfettamente quel globo intriso di follia, come se fosse percorso da spiragli scuri e serpeggianti che la stringevano fino a comprimerla e a distruggere la ragazza che vi era all’interno. Una parte dell’artigiana, lui lo sapeva, ogni volta che incominciava sfiorare con lo sguardo quelle pagine la portava a ricordare la se stessa bambina, quella che scoppiava in un pianto silenzioso nascosta dietro ad un libro per non sentire le urla dei genitori, quell’impotente piccola Maka che non aveva fatto nulla per tenere uniti i due adulti e che nulla avrebbe potuto fare in ogni caso. Lei quando si chiudeva in quel modo ritornava dieci anni più indietro, alla se stessa che teneva tra le manine ancora un po’ tozze il biglietto di addio che la madre le aveva lasciato senza una minima spiegazione prima di abbandonarla, non che ce ne fosse bisogno, a lei non servivano spiegazioni di alcun tipo, era stata costretta a crescere in fretta a causa loro. Non odiava la madre, aveva sempre provato grande stima e rispetto verso la donna, ma una piccola parte della bionda l’avrebbe voluta dimenticare per il suo ignobile abbandono, per averla lasciata lì con Spirit solo per farla andare alla Shibusen e proprio perché non riusciva ad odiarla quando avrebbe meritato tutto il suo astio. Poi pensava anche allo stesso padre, quello a cui aveva addossato tutta la colpa nonostante fosse l’unico ad essere rimasto con lei, perché era colpa sua se la madre non era più con loro, sua e dei suoi continui tradimenti. E lei lo odiava tanto perché lo aveva amato ancora di più, perché aveva sempre preferito lui, anche se in segreto, alla stessa madre, perché aveva tradito la fragile fiducia di una bambina a cui il mondo si era spezzato ancor prima di aprirsi.

La giovane veniva distrutta psicologicamente ogni volta, veniva sempre battuta dal proprio passato che la faceva volare in un viaggio turbolento e doloroso che la sconquassava e che le faceva sentire un grande peso sul petto, come se, ogni secondo che passava, un piccolo e tondo sassolino andasse ad aggiungersi agli altri dentro di lei, facendola pesare sempre di più. La sua ascesa sarebbe, così, continuata finché non fosse stata troppo pesante e, a quel punto, non avrebbe potuto fare altro che precipitare e precipitare, continuando a farsi sferzare il viso dal vento e dalla pressione in quella quasi infinita caduta nel vuoto, finendo con scontrarsi col terreno in un violento tonfo.

Ma lei non aveva mai incontrato il pavimento, perché ogni volta la propria buki era lì, ogni volta lui bucava quella maledetta e gelida bolla soffocante e la tirava fuori, facendola smettere di precipitare e portandola via dal quei dannati pensieri, portandola da lui, dove sarebbe stata al sicuro. Perchè lui voleva riportarla al presente tutte le volte, come era suo compito come arma fare.

Così anche questa volta Soul compì il suo dovere, le si fece vicino fino ad avvolgerla da dietro e, posando le mani -calde, tanto calde da farla tremare leggermente in confronto alla morsa fredda che lei si sentiva addosso- sulle sue, le fece chiudere il libro in uno scatto, facendola sobbalzare leggermente ora che finalmente si trovava di nuovo nel suo salotto. La morsa fredda scomparve mentre il ragazzo posava il libro sul comodino, i sassolini poco alla volta si sgretolarono facendola respirare nuovamente e poi si dissolse anche tutto il resto, mentre lui posava lo sguardo sul suo, facendola annegare in quel rosso che le fece capire che sì, ora era finalmente salva.

“Andiamo a dormire, tra poco farà l’Alba. Non è per nulla fico avere le occhiaie la mattina” disse la falce alzandosi dal divano.

Ogni volta che ritornava, Maka si stupiva di quanto fosse profonda la voce di Soul e di quanto potere avesse su di lei, spogliandola da ogni paura e svuotandola anche dalle briciole di quel peso che prima sentiva tanto ingestibile e che ora per lei è solo un brutto ricordo.

Gli sorrise, in una tacita gratitudine che lui colse, nascondendo un poco d’imbarazzo per quel loro patto silenzioso che si erano fatti anni prima, al loro primo incontro.

Sta per dirigersi in camera, Soul, quando si fermò a guardarla, ancora seduta sul divano, una domanda non bisognosa di parole ma ricca d’impaccio e, perché no, anche d’aspettativa dipinta sul viso. Erano fatti così loro due, l’orgoglio aveva sempre impedito di aprirsi del tutto, eppure si erano sempre capiti, decidendo che quelle domande silenziose fossero una buona via di mezzo per non trovarsi sommersi dal disagio di ciò che avevano iniziato a coltivare l’un per l’altra. Maka allargò leggermente il sorriso, ora completamente serena, si alzò, sentendosi cadere addosso la stanchezza derivata dall’essere ancora in piedi alle quattro del mattino e lo affiancò, mentre acconsentiva leggermente, grata più che mai.

Arrivati nella stanza del ragazzo, lui le fece posto e lei si sdraiò al suo fianco facendosi stringere dalla buki, come a far finta che ci fosse ancora il rischio che volasse via, ma lei non aveva paura, sapeva che Soul la riporterebbe indietro se accadesse.

[2.308 parole]

Mh...Non so, provo pensieri contrastanti riguardo questa one-shot (perché questa è una one-shot, bitches, supera le 500 parole YEAH). Da una parte mi piace, ho scritto quello che volevo dire e non mi sembra sia uscita neanche troppo male (poi vabbhe, fate voi), ma...credo ci sia qualcosa che non va…

Forse è perché non ho ucciso nessuno...Sì, magari è per quello che mi fa strano questa storia, è partita con l’essere una sorta di minestrone di parole a caso demenziali (e perdonatemi, ma non riesco a rimanere seria quando mi metto nei panni di Soul, io so che dentro di lui c’è tanta di quella ironia da annegarci dentro), poi ha sfiorato leggermissimamente (parola inesistente ma che approviamo) l’angst con Maka (ma neanche tanto...ce la farò prima o poi a farne una decente che vi faccia piangere tutti, preparatevi psicologicamente) ed è finita nel fluff più assoluto, con perfino un Soul lievemente imbarazzato (e non venitemi a dire che lui non si imbarazza mai perché, non soltanto è canonico che lui si tenga tutto dentro, ma con certe occhiate dolci/preoccupate/da “ommioddio vi shippo” deve per forza provare anche imbarazzo, l’avete vista tutta la sua anima, quindi ce ne ha una). In conclusione: hey ho postato una storia lunga! Ma non è morto nessuno e quindi gne.

Credo di aver detto tutto...emh...spero vi sia piaciuta!
Darky

   
 
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