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Autore: RedSonja    27/08/2017    0 recensioni
AVVISO:
La storia è già presente nella sezione "Troy, in quanto originariamente pensata sulla base dell'universo del film. Tuttavia, in seguito a revisione, ho scelto di attenermi al poema omerico dell'Iliade e ai miti ad esso correlati. Ulteriori informazioni, nel primo capitolo.
INTRODUZIONE
Qual è la costante di ogni guerra?
Uomini che combattono e si uccidono a vicenda.
Soldati che per le loro gesta vengono ricordati dal mondo come eroi; nomi che passano alla storia e leggende che si tramandano di generazione in generazione.
E, di tutte, la guerra combattuta sotto le mura di Troia per la bella Elena è stata la piú sanguinosa; quella che ha consacrato alla gloria i nomi eterni di coloro che l'hanno combattuta.
Di tutti, meno che di una donna.
Accompagnatemi, se vorrete, in questo viaggio alla scoperta dell'eroina di cui Omero non ha cantato.
E, forse, scopriremo un finale diverso da quello raccontato nell'Iliade.
Perchè, se è vero che il destino non può essere cambiato, di molte storie non conosciamo che una sola versione.
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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 Note dell'Autrice

Buonasera a tutti, come anticipato, questa storia è presente anche su un'altra sezione del sito, per i motivi che ho già spiegato.
Non sapendo se cancellarla e basta e pubblicarla qui, o mantenerla e dare modo agli altri lettori di sapere che la storia non è stata cancellata ma, semplicemente, spostata, ho optato per un compromesso.

Nel termine di una settimana, la storia presente nella sezione "Troy" verrà cancellata, così da non violare eventuali norme comportamentali del sito (di cui potrei non essere a conoscenza).


 

                       Proemio



Il sole splendeva, mentre tracciava il suo arco nel cielo; i raggi sottili che si infrangevano sulla superficie turchese del mare Egeo e accarezzavano le bianche coste di Creta.

Ad attraversare i cortili dai muri decorati con vivaci scene di festa, una ragazza; il passo ritmico e armonioso e un corpo agile e atletico: i sandali in cuoio che danzavano leggeri sul pavimento di ciottoli, in direzione delle stalle.

La giovane sorrise al contatto con la brezza fresco - sul viso il piacevole solletico di una ciocca ribelle - mentre si avvicinava ad una splendida cavalcatura dal manto nero e brillante, con una criniera lunga e intrecciata, dello stesso colore di una notte senza luna.

Con un buffetto al muso del superbo esemplare, saltò in groppa allo stallone, montandolo senza finimenti, i tacchi a sfiorare il fianco nudo,

La bestia si mosse docile sotto il comando esperto della padrona, gli zoccoli ferrati che percuotevano decisi la pietra.

Lo stalliere, un ragazzino di non più di dodici anni, si fece incontro alla fantina, abbandonando in un angolo il fieno che portava tra le braccia.
A passo svelto, si accostò al cavallo, il quale ebbe un brusco scarto verso destra, subito soppresso dalla mano sicura della giovane, i cui occhi cerulei si posarono indulgenti sulla figura mingherlina del piccolo servo.

"Mia signora, mi dispiace non averlo sellato. "

Le parole lasciarono le labbra del ragazzo in un unico suono, ingarbugliato dalla fretta di togliersi dalla scomoda possibilità di una lavata di capo per negligenza. Era abitudine della principessa uscire tutti i giorni a cavalcare lungo la scogliera appena dopo il sorgere del sole.

Tuttavia, le labbra della bella nobildonna si sollevarono in un sorriso comprensivo.

Quando parlò, le sue parole erano decise, ma non severe; la cadenza di chi pondera il significato di ogni sillaba, prima di pronunciarla.

"Non c'è nulla da perdonare: anche gli dei commettono errori ma, così come molti uomini, non hanno l'umiltà di ammetterlo. Al contrario, assumersi le proprie responsabilità è una qualità che ogni individuo dovrebbe possedere.
Sono sicura che in futuro, lo ricorderai."

Lo stalliere, rassicurato, annuì, scomparendo in uno dei lotti, mentre la principessa spronava il destriero ad un trotto leggero, lasciandosi il palazzo alle spalle.

Alinois, questo il nome della signora di cui si canterà, era una donna insolita, per i canoni dei greci, ma non per quelli cretesi: indipendente, abile nelle armi, fiera e giusta, era amata dal suo popolo per il rispetto che aveva nel rapporto con ognuno degli abitanti dell'isola.

Così, non era insolito vederla passeggiare per le strade di Heraklion, né fermarsi a parlare con degli umili lavoratori: al contrario di molti altri regnanti, preferiva ascoltare le necessità dei suoi sudditi direttamente dalle loro labbra e osservare con i propri occhi la loro vita.

Idea condivisa da suo padre, considerato un re giusto e benevolo dal popolo, ima che, purtroppo, a causa di una ferita di guerra, aveva dovuto delegare queste attività alla figlia.

Quella mattina, tuttavia, la ragazza scelse la via che portava direttamente alla scogliera, evitando di attraversare la città, animata da una profonda inquietudine; Morfeo, quella notte, non era stato clemente con lei, lasciandola preda di incubi spaventosi di cui, però non ricordava il contenuto.
Persisteva solo il senso opprimente di pericolo.

Mentre il passo cadenzato di Skià, la portava sempre più vicina alla costa rocciosa, i pensieri si succedevano in un pigro vortice: certo, era arrivata anche lì la notizia del rapimento della bella Elena, sposa del re di Sparta, così come l'intenzione del marito tradito di muovere guerra a Troia, con l'appoggio dell'avido fratello Agamennone, ma le dispute tra gli Atridi e Ileo non riguardavano la sua gente.
I Cretesi, così come i Teucri, erano marinai e, spesso, nei loro commerci, i due popoli si erano incontrati, andando a formare tra le genti un legame di solidarietà.

Legame rafforzato dal reciproco rispetto tra Priamo e suo padre.

Helios, sovrano di Creta, aveva da giovane conosciuto l'allora principe Priamo, che si era distinto per giustizia e moderatezza.

Quell'incontro, le ricordava sempre, era stata fonte di ispirazione per le sue azioni nel corso dei suoi anni come regnante e dunque, non l'aveva sorpresa il fatto che Creta fosse rimasta fuori dalla politica bellica che contraddistingueva il resto della Grecia.

Mentre smontava dal dorso possente di Skià, Alinois si ritrovò a pensare ad un altro re che, con la sua politica ponderata, aveva guadagnato l'amicizia di suo padre.

Odisseo, re di Itaca, era quello che molti uomini avrebbero definito troppo astuto per poter essere un buon amico.

Eppure, era subito nata un'intesa con l'arciere prodigio dell'isola scoscesa.

Alinois sorrise al ricordare le parole con cui il genitore descriveva l’Itacese: "Odisseo è come la sua isola: impervia, aspra, ma piacevole ed accogliente, per chi sa apprezzarla."

Tuttavia, l'uomo aveva dovuto cedere ai capricciosi ordini di Agamennone, non disponendo né di una terra florida, né di un esercito numeroso abbastanza da resistere all'attacco della milizia Micenea e Spartana congiunte.

 

Piegato, Odisseo avrebbe combattuto una guerra in cui non credeva, cercando di tornare vivo dalla sua sposa e dal figlio neonato.
 

Alinois provava pena per lui: gli dei sono sempre crudeli quando elargiscono un dono, perchè esso è un marchio apposto all’uomo, pagato sotto forma di isolamento o persecuzione.

Spesso tutte e due le cose, in diversi periodi della propria vita-
 

L'astuzia di Odisseo era anche la sua maledizione e aveva cominciato a svelare il proprio volto.

Cercando di scrollarsi la cupezza di tali pensieri di dosso, la principessa si sedette sulla sabbia incontaminata, lasciando che l'acqua le lambisse i piedi e le gambe nude, purificandola da quel senso di condanna.

Vivendo su un'isola che fondava la propria prosperità sul commercio navale, non era particolarmente strano che Poseidone e le sue ancelle, le Nereidi, fossero le divinità più adorate la popolo, insieme a Hermes, protettore dei viandanti
Per Alinois, al contrario, il fascino del Mare risiedeva nel mare in se stesso.

 

Sua madre, una donna dall'indole dolce e spirituale, ogni volta che, da piccola, faceva i capricci, la portava di fronte alle acque azzurre.

"Bambina mia” - diceva, mentre si sedeva sulla riva, aspettando che le si sedesse a fianco - " Quando sei triste o arrabbiata oppure, semplicemente, i pensieri si azzuffano nella mente" - e con questo, la regina, sfiorava la tempia della bimba, accoccolata al suo fianco, le lacrime quasi asciutte sulle guance e gli occhi un po' meno lucidi - "Vieni qui, sulla spiaggia a guardare il mare e lascia che le onde portino via la negatività, così."- e mentre parlava, distendeva le gambe snelle e nude, mentre l'onda s'infrangeva sulla battigia.

La principessina, a quel punto, la imitava, il pianto ormai dimenticato e si stringeva un po' di più nell'abbraccio caldo della donna.

Erano i ricordi più vividi che aveva di sua madre: quando le era stata portata via da una malattia, era troppo piccola per ricordare molto altro.

 

Da quel momento in poi, ogni volta che si sentiva smarrita o travolta dagli eventi, si sedeva in quello stesso punto, vicino alle acque cristalline, rilassandosi nel loro abbraccio.
 

Il mare, per lei, aveva il tocco gentile della madre perduta; la brezza, il suo profumo.
 

La dolcezza nostalgica e malinconica del momento fu spezzata dal rumore inconfondibile di un drappello di soldati in marcia.

In quanto unica erede al trono, Alinois era stata addestrata all’arte della guerra, per volere del suo stesso genitore: a giudicare dal rumore prodotto dall’avanzata, il gruppo doveva essere composto da una cinquantina di uomini, dotati di un armamento leggero, per limitare il clangore del bronzo contro le rocce.

Troppi per una semplice scorta e troppo pochi per essere una reale minaccia.

Gli anni passati a studiare le strategie militari le avevano insegnato che, il modo più veloce ed efficace per ottenere qualcosa era convincere coloro che si trovavano tra sé e il proprio obiettivo della propria superiorità, dissuadendoli da un’eventuale contromossa.

 

Nel caso specifico, non era difficile indovinare le intenzioni del mittente: cinquanta uomini, troppo pochi per attaccare un esercito, ma abbastanza da causare delle perdite.
 

Un avvertimento.

E gli anni presso le Amazzoni le avevano mostrato quanto una giusta azione intimidatoria fosse la via per una vittoria rapida e pulita.

 

E per questo, doveva ringraziare la lungimiranza di suo padre.
 

Helios, nonostante il dissenso e lo stupore che si era diffuso di bocca in bocca tra gli altri sovrani, aveva deciso di iniziare sua figlia all’arte della guerra e, per farlo si era rivolto alle Amazzoni, le donne guerriere, discendenti della leggendaria Ippolita.

La ragazza, come d’accordo tra le due parti, avrebbe trascorso un periodo di tempo come suddita della regina Orzia, crescendo come le altre fanciulle del suo popolo.

Di quel periodo così duro della propria vita, la principessa cretese conservava un ricordo speciale; quasi nessuna delle sue coetanee aveva l’opportunità di diventare donna sotto la guida di altre donne, senza tabù né lo spettro dell’oppressione maschile.

 

La sua vita con le Amazzoni era stata un’esperienza formativa non solo per le battaglie che l’attendevano, ma per la sua stessa vita di regina indipendente in un mondo dominato da uomini; una donna libera, in una società che l’avrebbe voluta schiava.
 

Oltre a ciò, nel corso degli anni, aveva appreso anche la disciplina più difficile da padroneggiare: la prudenza.

Non avendo i mezzi per affrontare un’avanguardia,l’unica soluzione possibile era aggirarla, sfruttando il vantaggio dato dalla conoscenza del territorio.
 

Una volta fuori dal loro campo visivo, avrebbe dovuto spronare il cavallo al galoppo e raggiungere il più in fretta possibile il palazzo, sperando di riuscire ad organizzare una difesa sufficiente ad intimidire il nemico prima che questo arrivasse alle loro porte.

Facendo un respiro profondo, rivolse una muta preghiera ad Atena, prima di saltare in groppa al destriero nero, affondando i talloni contro la pelle dura dell’animale e costringendolo ad un galoppo sfrenato lungo la costa.

C’erano due vie che portavano alla reggia, direttamente dalla costa: la prima, era quella che aveva percorso all’andata e, quella usata solitamente.

 

La “treccia della Naiade” costeggiava Heraklion fino ad un certo punto, per poi addentrarsi in un piccolo boschetto che, infine, si diradava, lasciando posto alla vegetazione brulla dei promontori.
Da lì in poi, si riduceva ad un sentiero battuto secoli prima dagli abitanti del villaggio per poter accedere più facilmente al porto. Proseguendo per qualche centinaio di metri sulla destra, infatti, ci si ritrovava sulla banchina dello scarico merci

Il nome, la strada, lo doveva ad una vecchia leggenda che voleva un marinaio innamorato di una Naiade.

 

I due, divisi dai rispettivi mondi, si incontravano in segreto nel bosco; ma, una sera, mentre scendeva lungo la scogliera, il giovane cadde e sbatté la testa contro una delle rocce, morendo sul colpo.
 

Il giorno seguente, la sua amata, non vedendolo arrivare, decise di avventurarsi al villaggio, domandando di lui a chiunque incontrasse.
 

Nonostante venisse ignorata dalla maggior parte degli esseri umani un’anziana signora le rispose che avevano ritrovato, la sera precedente, il corpo di un ragazzo, presso il promontorio.
 

La testa fracassata dalla caduta.

Piangendo disperata, la ninfa si rifugiò nel bosco, dove recise la lunga treccia di capelli che portava sempre per il piacere del giovane marinaio, incantandola in modo da trasformarla in una scalinata naturale che levigasse le rocce aguzze degli scogli, così che nessun’altra donna dovesse mai più perdere il proprio amato a causa loro.

Di quella vicenda, perduta nel tempo, non restava altro che il sentiero.

Di tutt’altro stampo era il percorso attraverso il quale galoppava a velocità invidiabile la giovane amazzone.

Esso, infatti, era composto di scogli e insenature, in un labirinto di rocce che si apriva tutto intorno a lei.
 

I Cretesi, nonostante l’indole pacifica, avevano fronteggiato e respinto diversi attacchi da dominatori esterni ed erano riusciti a resistere perchè, sotto la città e il palazzo stesso, esistevano dei tunnel naturali che conducevano direttamente alla spiaggia e viceversa, permettendo così di dislocare agilmente le forze dell’esercito in tutti i punti dell’isola, chiudendo il nemico all’interno di una morsa invisibile.

Al momento, nonostante fossero vie poco agevoli, erano l’unica speranza di Alinois per poter arrivare all’interno delle mura in breve tempo senza farsi catturare dal drappello.
Rallentando il passo di Skià ad un trotto, si lasciò alle spalle il bagnasciuga, inoltrandosi in una delle grotte naturali, simile nell’aspetto a molte di quelle che aveva già sorpassato.

 

La particolarità di queste vie segrete, infatti, era l’impossibilità di distinguerle, almeno che non si fosse nativi dell’isola: da bambini, infatti, gli abitanti erano divisi in piccoli gruppi, ai quali erano mostrate le vie di accesso alle gallerie sotterranee, fino ai punti di raccolta, dove li avrebbero accolti le guardie.
 

Solo la famiglia reale e il secondo in comando dell’esercito, infatti conoscevano il resto dei percorsi a memoria, mentre alle guardie era assegnato un settore specifico da memorizzare e pattugliare.

Alinois non fu quindi sorpresa quando avvertì una lancia sfiorarle il petto e una voce cupa intimarle di arrestarsi:

 

“Chi sei, cosa ci fai qui?”
 

Con il sole alle spalle, il volto della giovane era avvolto nell’ombra, impossibile da identificare.

“Abbassa la picca, soldato. La città è in pericolo e non c’è un  momento da perdere. Manda uno dei tuoi uomini ad allertare la caserma e il palazzo.

Il re, mio padre, deve essere avvertito.”

La guardia, un uomo sulla trentina,ritirò la lancia contrito; un lieve rossore ad assalirgli le orecchie nel realizzare che aveva appena minacciato la figlia del suo sovrano.

 

Cercando di ricomporsi, si mise sull’attenti, ritirando l’asta e abbassando lo sguardo.
 

“Mi dispiace, mia signora, non potevo sapere foste voi.”
 

Al gesto noncurante della ragazza, sospirò di sollievo, pensando che quella sera, se fosse sopravvissuto, avrebbe dovuto fare un’offerta a Zeus, che aveva fermato la sua mano.
 

Poi, ricordandosi degli ordini appena ricevuti, intimò ad un giovanotto lì vicino, probabilmente una matricola della caserma, Hermos, Hosios, o qualunque fosse il suo nome, di eseguire il comando della loro signora.
Non fece in tempo a voltarsi verso di lei che l’amazzone si era già allontanata in sella a quella furia nera di un cavallo.

Nonostante l’aria impregnata di umido, Alinois era grata di essere nelle gallerie: probabilmente il soldato inviato alla caserma sarebbe arrivato dopo di lei ma, in ogni caso, avrebbero avuto tutto il tempo di organizzare un piano per disporre un plotone di guerrieri da presentare all’arrivo della spedizione sconosciuta, mentre lei avrebbe discusso con suo padre le implicazioni di un gesto simile nei loro confronti.

 

Aveva un’idea al riguardo di chi potesse essere il mittente di un simile atto di arroganza ma, non essendosi avvicinata agli incursori, non poteva essere certa che vestissero i colori Micenei o Spartani, anche se difficilmente un altro sovrano avrebbe osato mostrare una simile mancanza di rispetto
 

Certo, non erano in numero neppure sufficiente a conquistare il porto, ma una truppa straniera, non invitata, sul proprio territorio, era qualcosa che un regnante non poteva tollerare.
 

E lei sapeva perfettamente che suo padre non lo avrebbe fatto, pur non essendo in grado di risolvere la faccenda personalmente.
In un moto di frustrazione, spronò ulteriormente il destriero, il quale emise un nitrito di impazienza che risuonò come un corno di guerra nella cavità rocciosa.

Nemesi era approdata a Creta.

 


 
  
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