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Autore: Black_Mad_Hatter    28/08/2017    2 recensioni
Questa storia è incentrata su Xerxes Break nei suoi anni più bui dopo essere stato accolto dalla famiglia Rainsworth. È in questo periodo che incontra Mr. Black, un gatto con il quale avrà un rapporto burrascoso. Il loro, infatti, è odio a prima vista.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sharon Ransworth, Shelly Rainsworth, Xerxes Break
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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«È proprio stupido quell'umano.» pensò mentre si trovava rannicchiato su un ramo di un albero «Si è aperto nuovamente quella ferita all'occhio.»
La sua coda ciondolava ritmicamente mentre lo guardava a debita distanza: il suo istinto gli diceva di stargli lontano nonostante lo stesse osservando da giorni a causa della curiosità che gli suscitava.
In quel momento, arrivò un bambino che provò a fermarlo, ma venne crudelmente spinto a terra dall'uomo che gli urlò contro. Il cucciolo d'uomo dalla fronte altissima e i capelli castani rimase paralizzato dalla paura. Quella era la conferma che era meglio non avvicinarsi. Pieno di sangue, il ferito cambiò stanza.
L'osservatore perse, di conseguenza, il suo interesse nel guardare dentro la finestra di quella casa, perciò saltò giù dall'albero atterrando elegantemente sulle sue candide zampine. Il sole stava ormai tramontando e il suo piccolo stomaco reclamava la cena. Le sue orecchie si rizzarono sentendo un fruscio e dei cinguettii tra i cespugli. Si nascose furtivamente dietro un albero per poi agguantare con gli artigli il piccolo uccellino. Dopo averlo addentato, camminò vicino al muro dell'immensa casa con la coda dritta e il passo fiero. Stava per girare l'angolo quando si trovò davanti ad un umano. Alzò lo sguardo facendo cadere la preda: vide l'uomo dai lunghi capelli bianchi, colui che si continuava ad aprire la ferita all'occhio. Lo sguardo di quest'ultimo si fece cupo, perciò il piccoletto scappò emettendo un flebile miagolio spaventato.
«Schifoso gattaccio.» affermò con disgusto l'uomo calpestando la cena del micio per poi andarsene.
L'animale rimase inizialmente scioccato da quell'azione, ma poi il suo pelo bianco si rizzò a causa della rabbia. Come osava?! Quello stupido essere umano non aveva alcun rispetto né per se stesso né per gli altri! Non lo avrebbe mai perdonato per aver calpestato il suo umile piatto, perciò decise di vendicarsi in qualche modo.
 
Passarono solo alcuni giorni prima che si incontrassero nuovamente. L'umano si era seduto sotto l'albero sul quale il gatto ero solito appollaiarsi. Quest'ultimo pensò che fosse il momento opportuno per vendicarsi, perciò aspettò che l'albino, come sua consueta abitudine, cadesse in un sonno profondo.
Quando successe, si sgranchì per bene le zampe e affiliò un po' gli artigli sul tronco della pianta poi, dopo essere sceso dall'albero, salì sul ventre di quell'umano. Un ghigno fece sollevare i suoi baffi mentre estraeva gli artigli dalle zampe anteriori. Stava per graffiargli il volto quando la sua vittima emise dei lamenti. Inizialmente non capì cosa stesse succedendo: non gli aveva ancora fatto niente e già soffriva? Lo fissò a lungo per comprenderlo. Ai suoi occhi, lui era sempre più strano: non solo si divertiva a ferirsi, ma si lamentava anche nel sonno.
«Alice...» sussurrò sempre con lo stesso tono.
Appoggiando le zampe sulla sua spalla, il gatto si avvicinò ancora di più al suo volto così da poterlo annusare. Il suo olfatto percepì il suo odore diventare più forte, perciò capì che stava sudando. La curiosità lo fece avvicinare al suo occhio sinistro. Sentì l'odore del sangue, perciò il pensiero riguardante la stupidità dello strano essere che aveva sotto le zampe si riaccese confermandosi nella sua mente.
Quando il respiro dell'uomo cambiò, la bianca creatura sobbalzò capendo che lui si stava svegliando. Ebbe paura pensando a ciò che avrebbe potuto fargli se l’avesse visto. Doveva fuggire.
Arretrò tornando sul suo ventre, ma gli artigli si impigliarono nei suoi capelli. Il suo cuoricino iniziò a battere velocemente mentre muoveva le zampe in tutte le direzioni. Cercò in tutti i modi di liberarsi, ma non fece in tempo.
Quando lui aprì gli occhi, lo vide e subito un'espressione di disgusto coronò il suo volto. Lo prese per la collottola alzandosi per poi lanciarlo, senza pietà, nei cespugli. 
Nonostante lo sguardo dell’idiota gli fece gelare il sangue nelle vene, il piccolo predatore gli saltò addossò soffiando, perché non aveva affatto apprezzato il gesto. In quel momento riuscì anche a graffiargli la guancia destra poi scappò subito. Aveva il cuore a mille per la paura e l'adrenalina, ma era felice di essere riuscito a ferirlo. Pensava che in quel modo potesse far smettere le prepotenze dell'umano, perciò, dopo essersi allontanato, rizzò la coda e sollevò il mento camminando fiero nel bosco.
L'albino, scioccato dalle sue azioni, appoggiò una mano alla guancia ferita e notò che stava sanguinando. Un’altra smorfia disgustata apparve sul suo volto e lo maledisse, mentre tornava in casa per medicarsi.
Odiava i gatti, perché perse un occhio a causa di una ragazzina che voleva restituirli al suo gatto ormai diventato chain. Non li sopportava perché in tutti i gatti rivedeva quell'odioso chain che ormai aveva uno dei suoi occhi rossi. Inoltre, il gesto dell’innocente creatura bianca non aiutò a lenire il suo odio nei confronti dei felini, anzi, lo accentuò. In particolare aggravò il sentimento negativo che provava, per principio, per il micio.
Toccandosi i graffi, sussultò: bruciavano. Sospirò per poi sciacquarsi la guancia. Quando si guardò nuovamente allo specchio, notò che stava ancora sanguinando. La sua espressione divenne ancora più cupa mentre le labbra si contorcevano in una smorfia piena di odio. Il pensiero di andare a prendere quel gatto e ucciderlo lo sfiorò, ma fu fortunatamente interrotto dalla voce di una bambina che, correndogli incontro, lo afferrò per la giacca.
«Fratellone Xerxes! Vieni a giocare con me?» domandò la piccola dai lunghi capelli castani.
«S-sì... Signorina Sharon...» balbettò lui.
Il suo volto non esternava alcuna gioia anzi sembrava quasi che gli pesasse far compagnia a una persona. Quando fu preso per mano dalla piccola umana che iniziò a trascinarlo, un brivido gli percorse la schiena. I loro sguardi si incrociarono e, subito, quello di lei si rattristò.
«Cosa ti sei fatto, fratellone...?» domandò preoccupata vedendo i graffi sanguinanti sul suo volto.
«Niente...» rispose lui con poca voglia ritraendo la mano.
«Vado a chiamare la mamma!»
Sharon corse via scomparendo dietro la porta per poi ritornare poco dopo seguita da una donna. Quest'ultima aveva lunghi capelli castani che cadevano leggiadri sul vestito violaceo che indossava. Aveva già un sorriso calmo e dolce sulle labbra rosate per trasmettere tranquillità all'uomo che era stato nuovamente ferito. Si avvicinò a lui con la figlia aggrappata alla sua lunga gonna e gli sfiorò delicatamente la guancia non ferita. Questo gesto lo fece arretrare di un passo, perché non desiderava essere toccato. Il suo sguardo si abbassò sul pavimento mentre il suo desiderio di scappare diventò più forte, ma sapeva già che non sarebbe potuto scappare, perciò si arrese e si fece toccare un'altra volta dalla donna che gli sollevò il viso. Scrutò attentamente la sua ferita, ma non gli chiese nulla sul come avesse fatto a procurarsela. Si limitò solamente a medicarla.
La sua gentilezza riusciva sempre a scuotere l'animo freddo di lui che, grazie anche a quel semplice gesto, si stava sciogliendo. Shelly stava provando a farlo aprire e, lentamente, ci stava riuscendo. Ci lavorava tutti i giorni anche perché non voleva più vederlo ferirsi da solo. Gli voleva bene come se fosse suo figlio, perciò vederlo pieno soltanto di rabbia e rancore, la rattristava. Voleva fargli voltare pagina, anche coi gatti e si imponeva a se stessa di riuscirci.
 
Una mattina, il giovane si ritrovò davanti a una scena che non avrebbe mai voluto vedere: Sharon e Shelly stavano giocando con "quell'odioso gattaccio", come lo definiva lui stesso, e sapeva che avrebbe dovuto unirsi a loro. Ormai si era avvicinato troppo al punto del giardino in cui erano le due per tornare indietro, ma ci provò comunque. Girò sui tacchi allontanandosi furtivamente e sperando che le due nobildonne non lo avessero notato.
«Xerxes! Vieni qui a vedere questo gattino.» esclamò Shelly vedendolo.
L'albino fece finta di non sentire e continuò a camminare, ma con più impazienza. Non voleva minimamente avere a che fare con l'essere che lo aveva graffiato. Poi era un gatto, uno di quegli esseri che odiava a morte.
«Xerxes.» ripeté la donna che aveva perfettamente capito che era stata ignorata.
L'uomo sospirò fermandosi e andò da loro. La sua poca voglia di essere lì si capiva perfettamente dal suo sguardo infastidito.
«Mamma, voglio dargli un nome!» affermò Sharon smettendo di sventolare la spiga che aveva in mano.
Il micio, che era tutto intento a cercare di afferrare quel filo erbaceo, si fermò di colpo. Chinò la testa su un lato cercando di capire perché la bambina avesse finito di giocare con lei, ma poi si voltò nella direzione opposta perché sentì una voce.
«Come lo vorresti chiamare?» domandò dolcemente Shelly.
L'animale la guardò, ma poi si accorse di quella figura vestita di verde accanto a lei: l'idiota autolesionista era lì. Scattò immediatamente su quattro zampe per poi gonfiare il pelo e soffiargli contro: si ricordava perfettamente della sua cena schiacciata e di quel crudele "lancio del gatto". Non lo avrebbe mai perdonato per tali crudeltà e non si sarebbe fidato di un essere tanto cattivo.
A causa del suo musetto distorto in una smorfia di disprezzo, l'albino non poté trattenere un'occhiata crudele e fredda rivolta proprio a quella creaturina che sembrava sul punto di saltargli addosso.
«Ha paura di Xerxes.» disse sorridendo Shelly che prese la mano dell'albino.
Quest'ultimo guardò la mano di lei quasi con ribrezzo: non riusciva ancora a sopportare il tocco altrui. Vide poi la sua mano avvicinarsi al gatto che stava soffiando sempre più, perciò provò a ritrarsi, ma si ritrovò con i canini del felino nella mano. Shelly allontanò il gatto prendendolo in braccio mentre l'uomo sbuffò alzandosi. Voleva andarsene e, forse, aveva trovato la scusa per farlo.
«Fratellone! Resta qui!» esclamò Sharon prendendogli la mano.
Per istinto lui ritrasse nuovamente la mano, ma guardandola, mentre era sul punto di piangere, decise di risedersi in perfetto silenzio: se si fosse messa a piangere, Shelly lo avrebbe costretto a consolarla e lui era il perfetto imbranato in quel campo.
Guardò la bambina poi il gatto che se ne stava tranquillo tra le braccia della donna. Era ancora restio a toccarlo, ma le incitazioni delle due lo stavano convincendo a farlo eppure non riesci a togliersi dalla mente il ricordo di quel gatto che aveva incontrato nel cuore dell'Abisso. Allungò la mano e gli sfiorò il pelo per poi allontanarsi subito quasi come se avesse paura di essere morso una seconda volta.
Il gatto era stato calmo solo perché si trovava tra le braccia di Shelly che le aveva offerto da mangiare per una settimana e l'aveva trattato sempre con amore. Si fidava di lei, ma di sospettava ancora di lui, però il senso di protezione che le dava essere tra le sue braccia gli faceva dimenticare quell'insicurezza. Lo guardò attentamente nelle sue azioni, nei suoi sguardi e notò l'insicurezza che stava provando disperatamente a nascondere. Si sentì ancora più al sicuro, perché sapeva che avrebbe potuto sopraffarlo sfruttando quel sentimento se fosse stato necessario.
Quando si sentì più al sicuro si avventò sulla spiga con la quale stava giocando prima. Sharon la prese nuovamente in mano e cominciò a muoverla qua e là per far giocare il micino.
Quando Sheryl si affacciò alla finestra per farli rientrare in casa, Xerxes si sentì sollevato e fu il primo ad alzarsi e a dirigersi verso la casa. Le due donne salutarono affettuosamente il gattino che si godette le coccole, ma, vedendole allontanarsi e non capendo cosa stesse succedendo, provò a seguirle. Capì solo alcuni passi dopo che non sarebbe potuto andare con loro, perciò tornò sul suo soluto albero a riposarsi.
 
Questo rapporto continuò per un po' di tempo finché il gatto non fu accolto in casa. Lui era ormai un membro della famiglia e sfoggiava fieramente il suo fiocco viola che portava al collo e il suo nome, Mr. Black, dato per via del suo simpatico orecchio nero che contrastava con il resto del pelo candido. Adorava farsi coccolare da tutti quelli che si trovavano nella casa, anche dagli ospiti, e poteva mangiare tutti i giorni. Questo lo rallegrava e gli bastava. Nonostante ciò iniziò a provare pena per quell'idiota: ancora quell’uomo non si avvicinava a lui. Non riusciva nemmeno a capire perché lo guardasse con disprezzo. Non lo aveva più morso e graffiato, inoltre, solitamente, lo evitava, perciò per quale motivo era tanto odiato da quel masochista? Eppure le altre sue due padrone gli volevano così bene e tentavano tutte le volte di farlo giocare con il micio.
Soprappensiero, una notte mentre si aggirava per la magione, sentì un singhiozzo provenire dalla terrazza, perciò uscì. Vedendo l'albino rannicchiato in un angolo, si preoccupò e andò da lui. Sì strofinò sulle sue gambe e gli leccò una mano per poi provare a salire sul suo grembo. Aveva capito che qualcosa non andava e voleva proteggerlo al posto di Shelly.
Xerxes lo scostò non accogliendo la gentilezza dell'animale e gli disse di andarsene. Sospirò e provò nuovamente a farsi del male: quel suo brutto sogno lo aveva perseguitato anche quella notte. Rivedere quella ragazza tutta bianca che gli cavava l'occhio per poi ballare con il suo gatto lo faceva star male. Anche il ricordo della realizzazione di quel desiderio che portò alla morte di tutte le persone a lui care lo distruggeva. Non riusciva nemmeno a sopportare la sensazione delle dita di lei nella cavità oculare, perciò si conficcò nuovamente le dita nell'occhio per graffiarsi e provare a togliere quell'orribile ricordo che era impresso nel suo corpo.
Il gatto gli prese la manica con i denti e gli fece allontanare la mano dalla faccia. Si era preoccupato: ormai lo vedeva come il padrone idiota che doveva difendere a causa dell’amore che gli riservavano le altre due proprietarie. Xerxes lo guardò confuso e, quando provò a rimettersi le dita nell'orbita, fu nuovamente fermato dal gatto. Sospirò lasciando perdere l'idea che aveva poi si trovò il gattino sul ventre che lo osservava mentre tratteneva le lacrime.
«Vattene...» disse prendendolo per la collottola e appoggiandolo per terra accanto a lui.
Il micio si rannicchiò lì e continuò a tenerlo d'occhio finché l'uomo non andò a dormire. Non poteva permettere che si facesse nuovamente male. Era suo dovere in quanto protettore della sua famiglia.
Da quella sera, lui diventò l’ombra dell’albino: lo teneva sott’occhio e gli impediva qualsiasi azione autolesionista. Lo doveva alle due nobildonne che lo avevano accolto in casa. Ogni singolo tentativo di autolesionismo veniva interrotto da Mr. Black che accorreva per fermargli le mani e fargli qualche fusa. Accorreva anche quando lo vedeva piangere per tentare di consolarlo con qualche affettuoso bacetto che, inizialmente, non furono molto apprezzati da Xerxes, Quest’ultimo, infatti, non gradì molto la presenza del gatto nel primo periodo di quel pedinamento, perciò diventò piuttosto irritabile.
Prese il vizio di urlargli dietro e di lanciargli addosso i cuscini o altri oggetti che non avrebbero potuto ferire accidentalmente l’esserino così da evitare eventuali sgridate. Poiché si sentiva osservato, sfogò la rabbia sulle persone attorno apparendo sempre più scorbutico a tutta la servitù e a tutti gli ufficiali di Pandora. Non poteva più provocarsi del dolore e ciò servì solo a colorire ancora di più gli insulti rivolti a tutti quelli che osavano rivolgergli la parola.
Stava patendo un momento di forte stress dovuto all’astinenza di dolore fisico, ma, giorno dopo giorno, riuscì ad accettare la presenza del piccolo animale e la sua affettuosità. Ciò fece mutare il suo comportamento: si addolcì. Tutte le frasi ricolme d’odio che rivolgeva per vizio alla maggior parte delle persone che incontrava iniziarono a diminuire, mentre la sua mente iniziò a trovare del sollievo.
Col tempo, riuscì anche ad apprezzare la presenza del gatto nei suoi momenti di crisi. Anzi, lo andava a cercare quando faceva il suo solito incubo così da poterlo abbracciare e piangere sotto la sua amorevole protezione. Poterlo accarezzare e sapere che c’era qualcuno pronto a consolarlo lo rallegrava. Grazie alle fuse e ai baci dell’animale da compagnia, la sua espressione mutava da triste a felice.
Ciò fece rinascere quell’amore innato che aveva da piccolo per i gatti e che quella ragazza tutta bianca era riuscito a spegnere. Fu felice di essere riuscito a voltare pagina, tanto da iniziare lui stesso a prendersi cura di Mr. Black. Ormai lo lasciava addirittura dormire nel suo letto.
Anche il micio si era affezionato al suo padrone e adorava il suo nuovo lato più allegro e vivace. Nonostante le sue insicurezze e le sue crisi continuarono a presentarsi, l’uomo riusciva a superarle con più facilità e ciò rendeva fiero l’animaletto che lo aveva protetto.
Il loro legame, così, si trasformò: da odio a prima vista a una forte amicizia destinata a durare negli anni.
Trascorsero anni con un conseguirsi di eventi che accompagnarono la vita dei due che invecchiavano insieme.
Una sera, Xerxes, appena tornato alla magione, dopo che si era trovato ad avere a che fare con un duca dal capello pazzo e un gruppo di ragazzini che si erano autoproclamati suoi amici, si rifugiò nella sua stanza per riposarsi. Un miagolio lo colse di sorpresa, ma si rallegrò nel vedere quel vecchio gattino saltargli in grembo.
«Sei tu, Black? Eh… Tu ed io siamo troppo vecchi per giovani come loro.» sospirò l’albino «Ho dovuto raccontare quella storia… Fa ancora male…» disse con amarezza toccandosi l’orbita ormai vuota.
A quel punto, il micio gli leccò il volto e cominciò a fare le fusa come aveva sempre fatto, perciò Xerxes riuscì a rallegrarsi e, poi, ad addormentarsi nonostante i brutti ricordi.
  
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