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Autore: queenjane    29/08/2017    1 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Dai quaderni di Olga “.. se gli avessi detto una balla sarebbe stato peggio, lo pensai quella sera quando si mise a piangere, di nascosto, dopo che lo avevano messo a letto, anche se sul momento era di scarsa consolazione. Mi era venuto il mal di testa, quindi volevo dormire presto e lo sentii. “Tesoro che c’è? Ti fa male qualcosa?” “No..”mi sedetti sulla sponda del letto, prendendogli una mano “Hai avuto un incubo..” “Sono triste..” A morsi e bocconi, capii che te lo aveva chiesto direttamente, dove andavate a stare e avevi detto la verità “Perché ..”  “Cosa..?” avevi risposto dicendo la verità, in automatico, se gli avessi detto di no e fossi sparita dopo pochi giorni a tempo quasi indeterminato (un anno per un bambino è un tempo infinito) lo avresti preso in giro e trattato da deficiente. E non era una grande consolazione, che piangeva .. Mi si spezzò il cuore, gli volevi bene e gli stavi dando un dolore. Riuscii a calmarlo e il giorno dopo non pareva, fu una bella festa, aveva nove anni, era raggiante. Come ai vecchi tempi rimanesti tutta la giornata, ridemmo rievocando quando Anastasia, al compleanno di Marie nel 1910, aveva messo una rana dentro la torta, facesti addirittura delle foto senza la solita riottosità. Eri tenera, divertente, affettuosa. Dimitri ti guardava in tralice, quando non era osservato, si sarebbe voluto proporre e tu avevi sparigliato le  carte molto bene, ad aprile. Non so se lo avresti accettato, quello che so per certo era che lui era innamorato di te, o pensava di esserlo. E comunque, di Saint Evit eri innamorata e ricambiata, fino a là ci arrivavo io pure. Quello che successe l’anno dopo .. oddio, Catherine, mi fa male ricordarmene anche oggi, andasti in tilt per la disperazione e il dolore, in totali frantumi. Da settembre 1914 ritornasti a dicembre 1915, un mutamento irreversibile, senza ritorno. Ed.. in quei pochi giorni, condensammo anni e rotti di lontananza. A proposito, di quel pomeriggio a San Pietroburgo, non certo una serata mondana ma un concerto a fini di beneficenza, mi arrivò una portentosa gomitata, sussurrasti “Andres” e controllai, ben di rado eri così istintiva. Avevi parlato di una persona affascinante, non di un ragazzo avventato, chissà perché mi venne in mente lui !! Alto, imponente e maestoso, vestiva l’uniforme del reggimento degli ussari a cavallo (come appurammo poi, una gentile concessione a R-R), riempiva tutta la stanza. Si girò e ci vide. Anzi, vide te, un sorriso gli sorse sulle labbra, come quando scorgi qualcosa di bello, amato e desiderato. Un cenno della mano, che la musica stava iniziando. Annotai che aveva gli occhi verdi, un colore scuro e profondo, come le foglie primaverili.. Piaceva, eccome, non fosse stato tuo fin da allora..“I miei omaggi, signore” Nell’intervallo era venuto con due bicchieri di limonata, ci eravamo spostate nel foyer, un angolo appartato per conversare meglio. “Vi piace il concerto?Vivaldi e Coroelli, compositori italiani, onde evitare situazioni spinose. “ era stato emanato il divieto di suonare i tedeschi, che spreco, che spregio. “Già. Io ..”Ci presentasti, in fretta, lui si inchinò, parlava bene il russo, con appena uno strano accento. “Andrej Fuentes, conte de la Cueva, figlio del principe Fuentes” come spiegasti poi, anche se era l’ultimo figlio, aveva un suo titolo personale, capii che era figlio di madre russa, nato in Spagna. Poi mi ricordai, che avevi partecipato con i tuoi a un matrimonio in Spagna, nel 1905, di lettere, di Granada e di tante descrizioni. Un cerchio che si saldava. In ogni caso, Andres  fu amabile, gentile e divertente, corretto. Come il ferro che è attratto dalla calamita, non potevate stare lontani l’uno dall’altra. Foste stati soli, vi sareste saltati addosso.. E non smettevate di sorridervi e guardarvi, e marcavate il reciproco territorio, tu sei mio, lei è mia..Mi augurai che riuscisse a renderti felice. E che non facessi troppe scemenze.. Ti volevo bene, te ne voglio, dicevo sei mia, tranne che non eri una personale proprietà della scrivente, vi era differenza e così sia, perché scrivo così lo sai. Ebbi la soddisfazione di vederti diventare color brace, quando lodai il tuo buon gusto, mormorasti grazie, io prego, mi esasperavi e facevi ridere come sempre, 40 anni in due, eravamo due ragazze, alla fine“


La sera del suo compleanno Alessio chiese la cortesia che lo mettessi a letto io, prontamente concessa. Era stanco ma non voleva dormire, teneva gli occhi aperti per puro sforzo di volontà, scendeva dal letto appena mi allontanavo, alla fine mi stesi sul fianco, accanto a lui, dopo averlo rimesso sotto le coperte per la quarta volta “Se fai così non è una buona idea” sarebbe stato meglio di no, che lo avessi salutato direttamente, via il dente e via il dolore, un taglio netto e via, lo presi tra le braccia
“Non voglio che vai via” chiusi le labbra, per evitare una rispostaccia, naufragando nel senso di colpa, ormai era andata, non si tornava indietro
“Alessio, ormai sei grande, non puoi sempre fare le bizze” con pazienza.
“Se mi dovessi sentire male come a Spala, verresti? “
“Alessio!!” inorridita, lo strinsi addosso, baciandolo a caso sulla fronte, il mento, le guance “Verrei sì, te lo prometto, e non sia mai che ti senta così male..” cercando la calma “Ma se non succede nulla è per l’estate prossima, se posso cerco di anticipare”
“Promesso?”
“Promesso.”
“Starò attento, comunque” 
“Lo so, zarevic,..per favore.. sei stato malissimo, prego che non si ripeta mai più” soffriva così tanto che la morte sarebbe stata una liberazione e di rado, Dio, per me, ascoltava le preghiere di qualcuno,  e si fosse sentito male in maniera devastante e repentina potevo anche non arrivare in tempo.
” E   ti devi addormentare con il sorriso, senza pene.. Oggi hai avuto tanti bei regali” era la verità, senza fallo, riuscii a farlo ridere, alle nove e mezzo dormiva, però rimasi ancora, tenendolo  stretto, la sua testa contro l’incavo del gomito, sussurrando mille parole e stupidaggini affettuose  come facevo con mio fratello Alexander, dandogli un bacio ogni tanto. Per me rimaneva un mistero come mi amasse, volesse e preferisse in quel modo. Alle dieci si svegliò, annaspando “ .. Cat .. “
“Sono qui, zarevic.. stai giù.. o devi andare in bagno..”
“No..”
“Giù, tranquillo. “ alla fine rimasi con lui fino alla mattina, dormicchiando su una poltrona, Luois se lo immaginava e mi aveva dato il permesso, una mano posata vicina alla sua, ogni tanto gli davo un bacio sui capelli o la fronte, aggiustando le coperte, era irrequieto anche nel sonno ( con Andres il permesso me lo davo da sola, ma la storia è un’altra) Una deroga alla regola generale, per una volta andava bene.
“Alessio” un sussurro verso le sei, mi ero tolta il busto, che sennò sarei stramazzata “Facciamo una cosa che non abbiamo mai fatto” lo presi in braccio, delicata, le sue gambe intorno ai fianchi, lo tenevo raccolto contro il busto, si incuneò contro di me “Cat..” assonnato
“Solo un momento” scostai la tenda, ecco l’alba che sorgeva, il cielo virava dallo scuro nel turchese, con rapide pennellate rosa e arancione, delicate come il centro di una rosa tea, lo raccolsi sul fianco “Ti piace ?”
“Sì” Poi “Hai dormito qui?”
“Sulla poltrona”
“Allora non era un sogno” riportandolo a letto “
Ti è piaciuto,”
“Sì..Tutto”
Dai quaderni di Olga “..conoscendolo come lo conoscevi, il 13 agosto eri sulla banchina del molo per un saluto, mentre ci imbarcavamo per la crociera. O conoscendoci, che fece piacere a tutti e ..  Saluti lievi e frizzanti, al bando la malinconia, a presto.. O così pareva. E tanto avevamo finito”
Here without you is very hard, my Prince. I need You, I hope that You are well, no pains, no sorrows.

Luois era nato nel 1888, da una coppia appassionata e litigiosa, il primo di tre fratelli, rimasti presto orfani.
La sua innata ironia lo salvò dal clima di tragedia, pure se divenne più chiuso e freddo.
La sua famiglia risaliva al re francese Luigi XII, erano sopravissuti alla Rivoluzione e a Napoleone, con vaste rendite e proprietà.
Dotato di una bellezza disarmante, il mio futuro marito fece l’accademia militare a Saint-Cyr, dimostrando una innata propensione per le lingue.
Scelse la via diplomatica e dal 1909 in avanti fu membro dell’ambasciata francese a San Pietroburgo, dove conquistò stima e meriti, oltre che il cuore di una principessa.
Non voglio scadere nella retorica, con il senno di poi quei mesi a Parigi con mio marito furono splendidi, smaglianti …
Una gioia, continua, nonostante i segni del mondo esterno, la brama di guerra, la Germania che potenziava le sue armate, Luois, oltre a essere un diplomatico, era un capitano dell’esercito francese, al momento in congedo.
 Fosse scoppiata una guerra, sarebbe partito, al contrario del principe Raulov, che era salito nei ranghi dell’esercito russo, ma aveva perso fortune immense al tavolo verde e se avesse potuto non avrebbe mai lasciato la capitale.
Non aveva importanza, ormai, ero giunta a patti con quella realtà, come a considerare mia madre non una divinità infallibile, quanto una donna con i suoi egoismi e le sue passioni .. che tuttavia aveva saputo pensare in grande, fondando scuole, ospedale e orfanotrofi nelle varie zone dell’impero. La carica nominale spettava alla zarina madre, nei fatti dirigeva tutto lei, smagliante e carismatica, una vera principessa che sapeva svolgere il mestiere del noblesse oblige con il cuore, la carità verso i poveri senza fronzoli o però.
Il telefono portava la sua voce sotto i cieli di Parigi, parlavamo del più e del  meno, festose, mio fratello diceva ciao, che aveva giocato con Alessio e che mi salutavano tutti.
Alla fine, ero cresciuta e dovevo accettare le fragilità ..Così tornando in Russia, forse non ero più solo una ragazzina viziata, ma una giovane donna che andava incontro, senza ancora saperlo, alle tragedie e alla maturità e alle perdite,le cerimonie degli addii,  il passato non l’ho lasciato indietro, lo ho tenuto con le unghie e con i denti.
Non mi è mancato nulla, davvero, tanto ho avuto e tanto ho perso. 


.. che era cambiato? Tutto e nulla, valutò Olga, seguivano la stessa ruotine di sempre, le vacanze a Livadia, il ciclo di lezioni, visite a comitati organizzativi e beneficenza, la presenza costante della Vyribova, presso la cui “augusta “ dimora (o meglio angusta, chiosava la ragazza, tra sé, era un microscopico villino con le fondamenta fatte male, vi era un freddo perenne) la zarina riceveva le visite di Rasputin e spesso loro passavano la serata, se non era Anya a venire da loro.
Lo zar, dopo cena, leggeva ad alta voce, libri in russo o in inglese, loro ragazze leggevano, ricavano o lavoravano a maglia, la domenica la zia Olga, se erano a Carskoe Selo, le portava con Alessio a pranzo dalla nonna paterna e poi a un tè, un giro per i negozi.
Senza fallo, il tea time delle 17 era servito su candide tovagliette, squisite le argenterie e le porcellane, burro e pane caldo o i biscotti inglesi che adorava la zarina.
“.. Altezza Imperiale! Auguri di buon compleanno“
“Ciao, grazie!! Bella invenzione, il telefono!”
“Ti ho mandato il regalo e una lettera, tranne che gli auguri preferivo farteli a voce.. già 18”
“E tu 19 a gennaio, vecchietta! “Ridendo, anche se non era una grande spiritosaggine “Per il resto, tutto a posto, Catherine? Qui nulla di particolare..”
“Tutto a posto, Olga le linee telefoniche non sono un granché, ti saluto ora prima che cada la linea. Un abbraccio”
“Un abbraccio anche a te, sono contenta di averti sentito “
“Ciao”
Mancava lei, ecco tutto, e tanto doveva farsela passare. E mancava a tutti loro fratelli, soprattutto allo zarevic. Poteva averlo avvisato, di Parigi e che avrebbe vissuto lì, ma per il bambino era dura. Era capitato che si svegliasse, di botto, chiamandola a gran voce, confuso sul momento, salvo rimanerci male, che non vi era. E non la potevano chiamare al telefono, in continuazione, anzi, che la piantasse, sarebbe stato meglio, la tua maledetta amica, come diceva Alessandra, la ama anche a distanza.
Lei aveva la sua vita, come loro. Il legame non si era spezzato, era diventato diverso, una specie di mutamento, una alchimia, che, in sincerità, se non avesse avuto dei problemi su questioni basilari con la madre, Catherine non lo avrebbe combinato, quel casino. E giustamente non lo aveva detto, che in fondo erano affari suoi, come lei, Olga,  non le diceva tutto.
Solo che lei ci arrivava, alla lunga, spiegarlo allo zarevic era un duro affare. Per tante cose era ancora un bambino, come aveva rilevato, che non si aspettava cambiamenti nel suo piccolo mondo, si era abituato ad averla sempre con lui, lo faceva ridere e aveva una grande pazienza, a livelli epici, per farlo mangiare e nel sopportare le sue monellerie, che si erano acuite e moltiplicate, con la complicità di Anastasia.
Si scrivevano, lettere singole, oltre che collettive, indirizzate da e per OTMA (acronimo formato dalle iniziali delle figlie delle zar) a e per Catherine De Saint-Evit.
“Cara Olga..”
“Cara Catherine …”
Scriveva in fretta, in francese, annotando qualche riflessione sui libri che andava leggendo, descrizioni sui cicli delle stagioni, qualche potin (pettegolezzo mondano) o annotazioni sulla moda, a volte metteva dei fiori pressati di Carskoe Selo o altri posti.
Catherine ricambiava, sul medesimo stile, botta e risposta, le mandava rose prese a Versailles, ove era stata in visita, e descrizioni dei quadri del Louvre, mentre lei Olga, guardava con occhi nuovi le squisite collezioni del Palazzo d’Inverno e dell’Ermitage. E riflessioni, aneddoti brillanti o salaci.
Sapendo che Tatiana e Marie erano appassionate di moda, si premurava di mandare riviste sull’argomento, per avere i vari aggiornamenti senza aspettare troppo.
“Giusto te e lei vi potete divertire con questi argomenti pesanti” brontolò una volta Anastasia, che era stramazzata dopo mezza pagina in cui disquisivano di Achille e Ulisse, peraltro in francese, che la ragazzina scriveva veramente malino. “Siete veramente pesanti” rincalcò il termine.
“Buon per te, che non ti astio allora con l’argomento..”
“Meno male.. le socie del club della mitologia e della storia e delle lingue, che noia, sei Olga” facendole una linguaccia “ E a te che dovrebbe mandare, sentiamo? Un nuovo tipo di lombrico da impiantare nelle soffitte del palazzo?” la più giovane delle granduchesse a volte aveva passatempi poco imperiali, come allevare vermi, tentativi che causavano l’irritazione dei genitori e l’altrui ilarità.
“Anche”
“Anche no, fila a studiare va”
“.. mi manchi, accidenti a te.. manchi a tutti Cat, ogni tanto Alessio piange e chiede di te, mica gli va giù.. eri la persona che gli stava meno addosso, che cercava di lasciarlo libero, quello che poteva fare e NON il proibito” scancellò la frase “…noi vediamo i limiti dell’emofilia, che non può fare nulla.. e tu cercavi di lasciarlo fare..”
“ Sai, Zarevic, …. quando il re era assente, invasero il regno, ma il principe combatté, trasformandosi in un drago possente, verdi come smeraldi le scaglie, occhi rossi, lunga venti metri la coda, ringraziando la principessa sua sorella, che aveva trovato l’incantesimo, lui la proteggeva, però almeno a quelle cose badava lei.… alla fine, lo chiamarono dragone, tanto era intrepido e potente. La principessa, all’occorrenza poteva diventare il dragone della leggenda, non era un maschio mancato, semmai era una Amazzone, per combattere, fosse successo qualcosa al principe, ma anche no, in caso contrario, era brava- Sai,  il principe diceva che doveva combattere sempre, con onore, per proteggere chi amava, senza arrendersi mai, e non mi devi dire diventerai il drago della leggenda Catherine.. o un lupo che canta nelle albe” Catherine gli aveva sussurrato quella fiaba prima di andarsene.
 
   
 
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