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Autore: Lilyburn    29/08/2017    0 recensioni
Gaia si era sempre ritenuta una ragazza equilibrata. Aveva una vita semplice: amici, scuola e sogni nel cassetto.
Eppure, affrontata la maturità, l'equilibrio cominciò a sfumare e con l'Università ebbero inizio tutti i suoi guai.
La causa di essi aveva nome e cognome, era alta 1.87, di sesso maschile e veniva amabilmente soprannominata lo Stronzo.
E Gaia, ritrovandosi il sabato sera in un locale fuori città a sorseggiare acqua tonica, rifletteva su quanto non le piacesse quella situazione. Quanto non le piacesse quella Causa. Quanto non le piacesse che in realtà le piacesse lui e- poiché di questo si trattava - quello Squilibrio.
Tratto dalla storia:
Con dolcezza mi spinse contro il suo petto e all'orecchio mi sussurrò: «Mi sei mancata».
Accidenti, perché faceva così? Perché non mi permetteva di mettermi l'anima in pace una volta per tutte e dimenticarlo?
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Buona lettura. Ditemi cosa ne pensate.
Un bacio,
Lily


SQUILIBRIO

Era tutto maledettamente sbagliato.

Ero seduta su un lurido divanetto dell'ultimo "esclusivo" locale scovato da Sofia qualche notte prima. Quando mi era stata proposta una serata in compagnia, non avevo certo immaginato questo.

Alla notizia Giulia, con il suo immancabile entusiasmo, aveva battuto le mani e lanciato un gridolino di gioia. Valentina - vile traditrice - si era defilata con la scusa del fidanzato bisognoso di attenzioni, mentre Francesco aveva avuto la brillante idea di ammalarsi. Sbuffai.

Annoiata feci vagare lo sguardo per il locale. La pista pullulava di corpi ammassati, ubriachi e grondanti di sudore. La musica era assordante e rimbombava in tutta la sala riversandosi all'esterno. Ti scuoteva penetrando sin nelle ossa.

Al suo interno aleggiava un'inconfondibile puzza di marcio e aria viziata. Diverse coppie si scambiavano effusioni piuttosto spinte senza alcun pudore, mentre i restanti annegavano i loro unici due neuroni nell'alcool. Agghiacciante.

E io mi godevo la splendida serata seduta su un divanetto scolorito sorseggiando acqua tonica e lime. Uno sballo.

«Gaaaiaaaaaaa» mi urlò nell'orecchio Giulia, probabilmente ubriaca, apparendo all'improvviso.

Sussultai per lo spavento.

Giulia scoppiò a ridere senza motivo. Si, era decisamente ubriaca.

«Mi sto divertendo un moondooooo» cantilenò continuando a ridere.

Si slanciò per abbracciarmi e nello stesso tempo quasi mi accecò e rischiò di farmi cadere per terra. Quella ragazza era un pericolo pubblico.

«Sono coooosì contenta di essere qui!» urlò sorridente.

Poi abbassando il tono di voce si avvicinò cospiratoria al mio viso: «Anche se mi viene un po' da vomitare. - attacco di ridarella - Tu però non dirlo a nessuno, eh. È un segreto. Shhh!» E si mise l'indice davanti alle labbra con il chiaro riferimento di stare in silenzio. Poi di nuovo giù a ridere.

Prima che potessi rendermene conto, come era arrivata, sparì nuovamente in pista.

Cosa avevo detto? Uno sballo, no?

Lanciai un'occhiata al telefono: erano le 24.37. Che strazio.

Decisi che sarai rimasta ancora un'ora, poi però avrei recuperato le altre due e ce ne saremmo andate.

La vibrazione del telefono mi distolse dai miei piani spingendomi a guardare lo schermo: "STRONZO" mi stava chiamando.

Digrignai i denti e nervosa mi passai una mano tra i capelli.

La domanda era: rispondere o non rispondere?

Dato che la mia vena masochista persisteva, accettai la chiamata.

«Pront-»

«DOVE SEI?!» ringhiò la sua voce.

Riattaccai.

Gli avevo sbattuto il telefono in faccia! Gongolai soddisfatta.

Ordinai una vodka lemon per festeggiare e cominciai a sorseggiarla. Aveva il sapore della vittoria.

Dopo neanche qualche secondo lo schermo si illuminò e il cellulare iniziò a vibrare di nuovo. Sempre lui.

Infastidita spensi definitivamente il telefono e lo ficcai nella pochette. Tó.

Il ricordo di lui con la lingua ficcata nella gola della tettona alla festa di sabato scorso mi si affacciò alla mente rivoltandomi lo stomaco. Turbata buttai giù tutto d'un fiato la vodka. Serrai gli occhi e il bruciore alla gola dissipò leggermente quell'immagine che minacciosa sostava davanti ai miei occhi.

Fortunatamente arrivò Sofia a distrarmi. La mia amica si sedette accaldata al mio fianco. Si pettinò la bionda frangia con le dita per poi rivolgersi a me: «Ehi ragazza, non siamo venute qui perché tu te ne stia in disparte a ubriacarti»

«Non mi sto ubriacando» protestai.

Sofia mi ignorò: «Siamo qui per divertirci e ballare fino ad avere i piedi doloranti. Quindi ora alzati e vamos a bailar, chica!» mi fece l'occhiolino improvvisando un balletto da seduta.

Scossi la testa sorridendo: «Tu sei matta».

«Ed è per questo che mi vuoi così bene. Dai, andiamo»

Sospirai: «Non so se me la sento»

Sofia mi lanciò uno sguardo preoccupato e posò la mano sul mio ginocchio come conforto. «Gaia, non puoi lasciarti influenzare da lui. Lascialo perdere almeno per una sera. Così ti fai solo del male. Guarda come sei finita: da sola ad aspettarlo.»

«Cosa? I-io non...» ma era vero. Aveva ragione lei.

Per questo motivo decisi di cambiare atteggiamento. Io non avevo bisogno di lui.

Sospirai.

«Okay, andiamo a ballare»

«Ottimo. Così ti voglio, ragazza!» sorrise Sofia.

La bionda ed io ordinammo due shottini veloci prima di andare a scatenarci in pista.

Il cuore pulsava a ritmo con la musica e il sangue ribolliva scaldandomi. Mi sentivo elettrica.

Dopo poco mi accorsi dell'assenza di Giulia. Mi avvicinai a Sofia e urlando per sovrastare il chiasso le chiesi se l'avesse vista.

«È con Leo» mi gridò nell'orecchio.

Annuii. Leo - il suo quasi ragazzo - l'avrebbe controllata.

Però la consapevolezza che lui fosse al locale mi raggelò il sangue. Se c'era lui, allora era probabile che ci fosse anche suo fratello..

«Michele non c'è.» mi rassicurò Sofia «Leo ha detto che aveva un impegno».

Il sollievo mi si riversò nelle vene. «Okay» gracchiai. Eppure a pelle avevo un brutto presentimento.

Scossi la testa e tornai a ondeggiare sulle note che mi sommergevano alimentando la mia elettricità. Sollevai le braccia e dondolai i polsi sopra il capo. La testa mi girava, ma non smisi mai di ballare.

Mi sembrava di fluttuare. Avevo la mente svuotata da ogni pensiero: era quanto di più vicino alla libertà.

Non so bene quanto tempo passò, ma ero impegnata a ballare quando percepii uno sguardo fisso accarezzarmi la pelle imperlata e scavarmi l'anima.

Tutto mi urlava il suo nome. Con una mossa studiata buttai i capelli dietro la spalla e sbirciando incrociai i suoi occhi.

Era bello. Dio, se era bello.

Era appoggiato al bancone del cocktail bar e mi osservava attento.

I riccioli castani gli ricadevano morbidi sulla fronte e i suoi verdi occhi erano immobili sulla mia figura. Indossava una camicia nera con le maniche arrotolate sui gomiti, che sembrava essergli stata cucita addosso.

Distolsi lo sguardo.

Lui era qui. Le mie terminazioni nervose si incendiarono, consce della sua presenza. La consapevolezza serpeggiò dentro di me mozzandomi il respiro. Il mio corpo era fuoco sotto ai suoi occhi.

Non lasciarti influenzare, Gaia.

Chiusi gli occhi e buttai la testa all'indietro ridendo. Il mondo vorticava intorno a me e io continuavo a ballare rivendicando l'apatia tanto agognata. Quando sentii due mani afferrarmi i fianchi, mi girai ritrovandomi un bel ragazzotto biondo dal sorriso compiaciuto. Stavo per allontanarlo, ma indecisa sbirciai di nuovo all'indirizzo di Michele. Mi scrutava ancora da lontano.

Al diavolo, mi dissi. Sorrisi civettuola al biondino e incrociai le braccia dietro al suo collo riprendendo a ondeggiare.

Guarda stronzo, non dipendo da te.

Ballando sensuale ridiedi le spalle al mio compagno di ballo e lui aderì la mia schiena al suo petto. L'alcool e la rabbia che avevo in circolo mi permettevano di accettare che i miei fianchi fossero inesorabilmente premuti contro i suoi.

Ridendo maliziosa afferrai i capelli con le dita e li sollevai dondolando il capo. Senza pensarci in questo modo scoprii il collo e il biondino, prendendolo come un invito, stampò un umido bacio su di esso. Rabbrividii. Cosa stavo facendo?

Prima che potesse continuare però, il ragazzo venne distanziato da me a forza.

Mi fischiavano le orecchie e sentivo le gambe instabili mentre la terra mi turbinava sotto ai piedi. Mi voltai e vidi l'espressione minacciosa di Michele, mentre afferrava per il colletto il biondino con cui stavo ballando. Michele era nero per la rabbia e la vena sul collo gli pulsava pericolosamente. Muoveva rapidamente la bocca, mentre l'altro ragazzo deglutiva spaventato.

Il mondo scorreva a rallentatore. Il tempo era scandito solamente dai miei profondi respiri. Mi sembrava di essere sotto acqua.

Confusa strizzai gli occhi. Velocemente riacquistai il senso dell'udito e il mondo smise di girare.

«..non osare più toccarla. Se ti vedo ancora ronzarle intorno, non rispondo di me. Mi hai capito? Lei è già impegnata» ringhiava furioso Michele.

Il ragazzo biondo tremava di fronte al suo sguardo. «I-io..»

«Ora vattene» gli intimò Michele mollando la presa e barcollando l'altro se ne andò.

Michele mi raggiunse e mi prese il viso tra le mani. «Stavo impazzendo» mormorò.

Una piccola parte di me non poteva evitare di essergli riconoscente, ma la stragrande maggioranza delle mie cellule gridava a squarciagola che lui non aveva il diritto di assumere quel comportamento. Come aveva detto a suo tempo, io non ero niente per lui.

Allontanai il mio viso dalle sue mani come scottata e ristabilii una certa distanza tra noi.

Gli puntai un dito al petto irritata. «Non sono una tua proprietà, Michele. Ficcatelo bene in testa».

Cercai Sofia con lo sguardo. Volevo andarmene, ma la mia amica pareva essersi volatilizzata.

Poi la mano inattesa di Michele si appoggiò sulla mia schiena lasciata scoperta dal profondo scollo del vestito. Piccole scariche elettriche si propagarono, conseguenti al suo tocco. Con dolcezza mi spinse contro il suo petto e all'orecchio mi sussurrò: «Mi sei mancata».

Accidenti, perché faceva così? Perché non mi permetteva di mettermi l'anima in pace una volta per tutte e dimenticarlo?

Socchiusi le palpebre irritata. «No. Finiscila. Ho smesso di credere alle tue frottole diverso tempo fa».

Con passo malfermo sgusciai fuori dalla pista allontanandomi da lui e mi diressi verso il cocktail bar.

Mi arrampicai su uno sgabello traballante, mentre mille pensieri mi turbinavano nella mente.

Chiamai il barman e, quando mi domandò cosa volessi ordinare, gli risposi decisa:«Qualcosa di forte». Ne avevo impellente bisogno.

Dopo poco, il barista mi mise davanti al naso un drink dall'aria esotica. Annusai il contenuto curiosa: il forte odore di alcool era accompagnato da un sentore fruttato, forse pompelmo.

Scrollando le spalle, lo scolai velocemente. Dio, come mi stavo riducendo per colpa sua.

Il sapore del drink non era male, ma il successivo bruciore mi piacque ancora di più.

L'alcool mi stava annebbiando la mente oscurando così un po' alla volta gli spiacevoli ricordi.

Ne richiesi subito un altro.

Stavo sorseggiando il secondo, quando lo vidi con andatura determinata venire verso di me.

Si preannunciavano guai.

Poiché ero conscia di non essere nella condizione di affrontarlo di nuovo, come un fulmine scesi dallo sgabello, pronta a darmi alla fuga.

Peccato che una mano asciutta mi avvolse il polso prima che potessi anche solo fare un passo. Dannazione.

Con una presa ferrea, mi fece voltare e mi trovai il suo viso a un palmo dal naso. Occhi negli occhi.

«Non mi scappi più» disse serio.

Mi venne da ridere, così mi misi una mano davanti alla bocca per camuffarlo.

«Non mi scappi più» lo scimmiottai continuando a ridere.

Michele aggrottò le sopracciglia. «Sei ubriaca».

Mi sfuggì un singhiozzo.

«Anche se fosse non sono affaracci tuoi».

Michele si risollevò, dato che era più alto di me di due spanne e si era piegato per essere alla mia altezza, privando i miei occhi di quello splendido volto. Mi sfuggì un mugolio di protesta che fortunatamente il cretino non sentì o ignorò.

Michele si guardò intorno e poi tornò a rivolgermi attenzione. «Andiamo, ti porto a casa» asserì iniziando a trascinarmi verso l'uscita.

Chi si credeva di essere per dirmi cosa fare?

«No» impuntai i piedi.

«Smettila di fare la bambina» mi ammonì con lo sguardo.

Gli feci la linguaccia e mi divincolai per liberare il polso. «Io non vengo da nessuna parte con te».

«Non obbligarmi a portarti fuori di peso».

«Non ci provare, stronzo».

«L'hai voluto te» disse e mi agguantò i fianchi con le mani per issarmi sulla spalla.

Ma io con una mossa repentina gli pestai un piede e lui - è più probabile per la sorpresa che per la pestata in sè - allentò la presa imprecando. Sfuggendogli tornai spedita al bancone dove ancora sostava indisturbato il mio drink.

Lo impugnai e seccata lo finii in un sorso.

«Gesù, sei impossibile» mormorò Michele alle mie spalle.

Percepii il suo respiro caldo, mentre innumerevoli brividi si ramificavano lungo la mia spina dorsale. Chiusi gli occhi malinconica e in un momento di debolezza mi lasciai avvolgere dal suo profumo. Rammentai il suo abbraccio, subito dopo che avevamo fatto l'amore, e il suo petto solido che cauto si alzava e abbassava sotto le mie dita. Ricordai anche i baci che mi dava sui capelli e la mia pelle incendiata dalle sue lievi carezze, una melodia composta da mani esperte.

Un sorriso amaro mi increspò le labbra. Che sciocca ero stata.

Ingoiai la delusione, scacciando quei pensieri nostalgici. Ora basta.

L'alcool che fluiva nelle mie vene, mi diede il coraggio sufficiente per fronteggiarlo. «Cosa vuoi?»

Michele mi osservò intensamente in silenzio.

«Cosa vuoi, Michele?»

Scandagliando le mie iridi rimase zitto e il mio cuore perse un battito. Possibile che...no, non poteva essere. Mi ritornarono prepotenti alla memoria le sue parole divertite, mentre sottolineava quanto fosse inconcepibile che lui provasse qualcosa per me. Aveva riso con i suoi amici quella volta. Riso di me.

Io, per lui, ero solo un divertimento. Un dannatissimo diversivo alla noia.

Risi sardonica. «Sei solo un bambino viziato e capriccioso ed io ho chiuso con te» gli indicai la porta «Ora puoi anche andartene».

Michele mi fissò. Poi le sue labbra si piegarono in un sorrisetto malandrino. Lentamente si avvicinò a me e si appoggiò al bancone con le braccia incastrandomi. Incurvò il busto in avanti e posò delicatamente le labbra sul mio collo. Lasciò una scia di baci roventi dalla clavicola alla mascella fino al punto sensibile dietro l'orecchio. Mi sfuggì dalle labbra un debole gemito di piacere.

«Sei così sexy quando ti arrabbi» soffiò roco la mia disgrazia. Deglutii nervosa.

Mi circondò il viso con quelle sue mani grandi e forti, ma capaci di una delicatezza infinita. Mi accarezzò la pelle con i pollici e io annegai in quel suo sguardo magnetico. Quegli occhi erano un'arma letale.

Dischiusi le labbra incantata e lui si chinò su di me.

Il pensiero che quelle stesse labbra avessero baciato un'altra ragazza soltanto cinque giorni fa mi riscosse dal tepore in cui ero caduta.

«Non ti permettere» lo allontanai con una spinta.

Michele schioccò la lingua scocciato.

«Non permetterti, Michele. Ascoltami bene: non osare neanche toccarmi. Mi devi stare lontano. Mi hai capito? Lontano. Non ti voglio proprio vedere. Sai cosa? Tu non esisti per me. Non sei mai esistito. Per quanto mi riguarda tu non sei nessuno»

Michele sollevò le sopracciglia e si espresse in una sbuffata ilare: «Ma per favore! Non è la prima volta che lo dici. E dimmi cosa è cambiato? Nulla.

Siamo attratti l'uno all'altra e lo sai anche tu. Tu vuoi-»

«Tu non sai cosa voglio io» lo additai furiosa. Aveva sempre avuto questo cazzo di vizio di sapere tutto di tutti.

«Oh, eccome se lo so. È esattamente la stessa cosa che voglio io»

Risi sarcastica: «Cosa? Che la terra ti risucchi seduta stante. No perché se è questo che vuoi siamo sulla stessa lunghezza d'onda».

«No. Questo» disse e mi baciò.

   
 
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