La via di selciato si
riempì di polvere quando una macchina
nera lucida e nuova di zecca sfrecciò in direzione del campo
di concentramento.
Al suo interno Ludwig Beilschmidt leggeva per l’ennesima
volta una lettera
ormai consumata. Il ragazzo in divisa militare di pelle nera fece
scorrere il
suo sguardo sulle righe scritte in bella grafia sulla carta,
accentuando sempre
di più la sua smorfia di disgusto.
Caro Ludwig,
sono molto fiero di te per la promozione che hai da poco ottenuto dal
nostro
adorato governo, sono sicuro che riuscirai a svolgere i tuoi doveri con
diligenza come hai sempre fatto, esattamente come tuo fratello.
Porta alto il nome dei Beilschmidt e continua a renderci fiero.
Vostro padre
Ludwig strinse le mani stropicciando
i bordi della lettera
leggendo la firma di suo padre, ma si calmò velocemente e
ripiegò con cura il
foglio infilandolo in una piccola cartellina poggiata al suo fianco sul
sedile.
Non poteva agire in modo impulsivo, non quando gli era stato conferito
un
compito così importante, anche se lo aveva odiato fin dai
primi istanti.
Con un sospiro il ragazzo si tolse il cappello tirandosi i capelli
indietro con
una mano guantata. No, doveva essere impeccabile, l’immagine
della perfezione,
perché lui era Ludwig Beilschmidt, figlio della prestigiosa
dinastia
Beilschmidt, rappresentazione vivente della perfetta razza ariana
tedesca, nonché
nuovo collaboratore dell’amministratore del campo di
concentramento del
territorio prussiano.
Quel pensiero fecero ribollire il
sangue del ragazzo mentre
cercava di calmarsi osservando il paesaggio che sfrecciava fuori il
finestrino.
In realtà, anche se era nato in una famiglia prestigiosa e
altolocata, ma
soprattutto grande sostenitrice del nazionalismo tedesco, Ludwig non
condivideva
gli ideali dei suoi famigliari. Egli era una persona diligente e
disciplinata,
con una solida morale che in molti avevano tentato di scardinare
indottrinandolo al credo nazista, ma lui aveva sempre rifiutato quegli
ideali
ritenendoli sbagliati e ripugnanti. Purtroppo però i suoi
genitori non la
pensavano allo stesso modo e per amor della sua famiglia era stato
costretto non
solo ad aderire al partito nazista ma anche ad operare come suo membro
attivo,
riuscendo a fare carriera e a ottenere una brillante promozione.
Carriera che
secondo il punto di vista di Ludwig si era basata principalmente sui
cadaveri
dei poveri innocenti che il nazismo stava perseguitando. Quel pensiero
lo
disgustava così tanto da non permettergli di guardarsi allo
specchio la
mattina.
Mentre la sua mente vagava cercando
di trovare un senso a
tutto quello che aveva compiuto nella sua vita da quando era arrivato
il
nazismo nella nazione, la macchina rallentò fino a fermarsi
davanti un grosso
cancello che racchiudeva un perimetro di edifici fatiscenti e mostruosi
da far
venir la pelle d’oca. Grossi altiforni fumavano senza sosta
alla fine dei
capannoni e mentre Ludwig si apprestava ad aprire la portiera e
scendere dalla
macchina pregò con tutte le sue forze che fossero elementi
indispensabili delle
fabbriche metallurgiche che il campo ospitava, e niente più.
Vicino all’enorme cancello
di ferro battuto lo aspettavano
due figure, una di loro troppo famigliare quanto sgradita che nel
vederlo
allungò un tagliente sorriso sul volto.
“Fratellino, da quanto
tempo! Sono così contento di
vederti.”
“Ciao Gilbert, si
è davvero tanto tempo” Rispose Ludwig
senza sbilanciarsi troppo.
Gilbert Beilschmidt era suo fratello
maggiore, anche se lui
non avrebbe voluto. Arrogante, presuntuoso, invadente ed esagitato, era
l’incarnazione del credo nazista sotto forma di un albino
dagli occhi rossi
come il demonio. Sinceramente Ludwig non capiva come Gilbert si fosse
sottratto
alle persecuzioni naziste a causa del suo aspetto dato che sapeva di
gente che
era finita nei campi di concentramento o era stata ammazzata per molto
meno.
Il ragazzo albino allargò
le braccia per salutarlo con affetto,
non ricevendone molto in cambio.
“Tutto d’un pezzo
come sempre, vero piccolo Lud? Avanti
vieni con me, ci sono molte cose che devi sapere e che devo mostrarti
prima di
iniziare questo lavoro. Che l’amministrazione Beilschmidt
inizi! Vedrai, sotto
la nostra guida questo campo di concentramento diventerà il
migliore in tutto
il mondo!”
Senza aspettare nessuna risposta,
Gilbert cominciò a ridere
con quella sua risata isterica quanto irritante per Ludwig, mentre fece
cenno
all’altra persona che era rimasta in disparte per tutto quel
tempo vicino al
cancello.
“Ehi tu, miserabile
pezzente, prendi la valigia del mio
adorato fratellino e portala nei nostri alloggi. Niente scherzi
altrimenti…” Il
gesto che seguì non promise nulla di buono.
Ludwig seguì con lo
sguardo la povera persona vestita di
cenci che con passo malfermo recuperava la sua valigia e la trascinava
all’interno, poi fu distolto dalla voce acuta di suo fratello
che iniziava il
tour dell’orrore tra i fabbricati del campo.
Quando il portellone del vagone si
aprì Feliciano Vargas si
sentì accecare dalla luce improvvisa proveniente
dall’esterno. Lui, insieme a
molti altri disperati nella sua stessa condizione, era stato caricato
su un
vagone per il bestiame in una stazione improvvisata vicino a un centro
di
detenzione in Italia, vicino il confine con l’Austria, e da
allora non aveva
più visto la luce del sole né respirato
dell’aria pulita.
Il viaggio era durato alcuni giorni,
non sapeva dire quanti,
ed era stata l’esperienza più terrificante che
avesse mai provato. I nazisti
avevano avuto la sadica idea di stipare centinaia di persone in un
piccolo
vagone da trasporto, pressando quei poveri corpi l’uno
sull’altro senza dargli
nemmeno la possibilità di potersi sdraiare a terra, ma solo
accovacciare. Feliciano
era stato spinto contro un angolo del vagone e contrariamente a quello
che
pensava non era rimasto schiacciato dalla calca, anzi aveva un ritaglio
di
spazio anche superiore a quello degli altri. Ma la fortuna finiva
lì.
Ben presto la fame, la sete e i bisogni divennero il problema
principale di
quelle persone. L’aria si impregnò subito di odori
nauseabondi e Feliciano era
sicuro che da qualche parte nel vagone qualcuno era morto a causa delle
precarie condizioni in cui stavano viaggiando. O almeno, sperava solo
qualcuno.
La notte nel vagone era gelida e si
riusciva a malapena a
prendere sonno accasciandosi gli uni sugli altri cercando di
riscaldarsi come
meglio si poteva. Feliciano si stringeva tra le sue braccia pensando al
fratello gemello che in quel momento si trovava nelle mani degli
americani,
perché era stato più fortunato di lui ed era
riuscito a scappare dalla retata
dei nazisti nella loro casa, lasciandolo indietro. No, no, non
lasciandolo
indietro, perdendolo nella fuga rocambolesca che ne seguì.
Si, Feliciano era
sicuro che suo fratello era scappato non riuscendo a portarlo con
sé soltanto
perché non poteva fare altro, ma gli incubi che da quel
giorno lo tormentavano
non sembravano essere d’accordo con la sua speranza.
Appena i suoi occhi si abituarono
alla luce, il ragazzo dai
capelli castani vide che alcune guardie con un accento strano
spronavano in
malo modo le persone a scendere dal vagone percuotendole con dei
manganelli,
spingendole e prendendole a pugni. Feliciano cercò di essere
il più veloce
possibile a scendere, ma questo non gli risparmiò una
bastonata sulla schiena
che lo mandò in ginocchio. Le altre persone intorno a lui lo
aiutarono ad
alzarsi mentre le guardie si schierarono di fronte a loro con fare
intimidatorio.
Rialzandosi, Feliciano
notò che il treno da cui era sceso
non era l’unico presente in quel vasto terreno pieno zeppo di
rotaie e che
altri stavano arrivando, mentre alcuni erano già stati
svuotati. Persone di
varie etnie, religioni e nazionalità si mescolarono e
raggrupparono davanti i
soldati nazisti che si erano disposti in fila.
Uno di loro, un uomo con un’incredibile carnagione pallida,
occhi rossi e
capelli bianchi, fece un passo verso di loro allargando un sorriso poco
rassicurante sul suo volto.
“Signori, signore,
benvenuti al campo di concentramento
prussiano!” Esclamò con un fortissimo accento
tedesco.
Gli altri soldati rimasero in
silenzio ad osservare la folla
disordinata. Feliciano li guardò uno per uno cercando di
celare un certo
timore. Con le loro divise nere lucide di pelle, quei soldati erano
piuttosto
intimidatori. Il ragazzo italiano vide un uomo distinto con un paio di
occhiali
e i capelli bruni guardare in modo sprezzante verso di loro, poi il suo
sguardo
si fermò sull’altro soldato.
Era davvero la reincarnazione della
perfezione.
Alto, biondo, occhi azzurri come il
cielo, un fisico sportivo
invidiabile, quel soldato poteva mozzare il fiato a chiunque, e
Feliciano non
riuscì a resistergli. Rimase a fissarlo inebriato per alcuni
istanti ignorando
completamente il discorso del ragazzo albino finché una
gomitata su un fianco
non lo riportò alla realtà.
“Tu, si, tu, proprio tu!
Cosa diavolo stavi guardando? Ti
annoia così tanto il mio impressionante discorso?”
Chiese il soldato albino
puntando i suoi occhi rosso fuoco direttamente su Feliciano che si
trovava
quasi in prima fila.
Feliciano si guardò
intorno cercando di capire se il nazista
stava parlando proprio con lui, e quando notò che si era
formato una sorta di
cerchio intorno a sé comprese che era in qualche sorta di
guaio.
“I-io…
ecco… v-ve…” Balbettò
cercando di trovare qualcosa da
dire ma invano.
“Va bene, ho capito,
è inutile essere gentili con la feccia,
soprattutto con voi italiani traditori”
L’Albino si
avvicinò velocemente all’italiano impugnando un
manganello che portava appeso alla cintura. Subito intorno a Feliciano
si creò
un vuoto lasciandolo solo di fronte all’incombente minaccia.
“Che sia
d’esempio per tutti voi! Qui comandiamo noi, voi
non valete nulla, siamo noi che decidiamo della vostra vita e voi
dovete
obbedirci ciecamente se ci tenete alla pelle” E detto questo
calò il manganello
con forza sul ragazzo.
Feliciano cercò di
schivare il colpo ma il suo fisico
provato dal viaggio disumano sul vagone del treno si mosse troppo
lentamente,
tradendolo. La bastonata colpì con forza la spalla sinistra
del ragazzo
facendolo cadere in ginocchio. Gilbert non si fece impietosire e con un
sorriso
sadico sul volto continuò a infierire sul corpo del giovane
che cercava invano
di proteggersi il volto con le braccia urlando di dolore. Gli altri
prigionieri
distolsero lo sguardo impotenti e terrorizzati, alcuni addirittura
piangendo
silenziosamente impressionati dalla violenza del soldato.
Gilbert rideva come un indemoniato
riempendo l’aria con i
suoi striduli “kesesese” finché alzando
il manganello per la settima volta una
mano non lo bloccò proprio quando stava per infierire
nuovamente sul giovane
ormai mezzo svenuto a terra. Subito l’albino trafisse con lo
sguardo colui che
si era permesso di intromettersi in quella situazione, per poi
addolcirlo incredulo.
“Lud…?”
“Io credo che tu ti sia
divertito abbastanza, Gilbert” Disse
con uno sguardo serio Ludwig mentre strappava il manganello di mano al
fratello
“Ricordati inoltre che queste persone ci servono per il
lavoro in fabbrica. Se
li invalidi subito non saranno buoni a niente!”
In realtà Ludwig non
pensava minimamente alle fabbriche del
campo. Il suo unico scopo era quello di salvare quel povero giovane dal
sadismo
di suo fratello. Sapeva che trasferendosi in quel luogo avrebbe
assistito a
scene di violenza gratuita e senza senso e aveva cercato di prepararsi
psicologicamente a tutto ciò, ma in quel momento
capì che i suoi sforzi erano
stati vani e che per nessuna ragione al mondo avrebbe mai accettato
tali
avvenimenti. Finché lui sarebbe rimasto in quel luogo
avrebbe fatto di tutto
per salvare quelle povere persone dalla violenza di suo fratello e
degli altri.
Gilbert rimase a fissarlo con uno
sguardo indecifrabile per
alcuni istanti, poi si ricompose allontanandosi dal fratello.
“Va bene lo spettacolo
è finito. Roderich, raduna le altre
guardie e scortate i prigionieri al fabbricato delle docce. Seguite la
solita
procedura di divisione dei prigionieri e mi raccomando bruciate tutti i
loro
vestiti, averi e numerateli”
Il soldato annuì
leggermente mentre si aggiustava gli
occhiali e passava in rassegna con uno sguardo schifato la moltitudine
di
prigionieri davanti a lui.
“E per quanto riguarda
quell’italiano sordo, portatelo o
trascinatelo al lavaggio non m’interessa. Se riesce a
sopravvivere scortatelo
in infermeria da quella cagna di Francis, vedrà lui cosa
farne. È tutto”
Nell’infermeria del campo
di concentramento prussiano
Francis Bonnefoy, prigioniero di guerra ed ex soldato volontario
francese, si
stava dedicando alla fasciatura di una bruciatura da metallo
incandescente con
delle bende piuttosto rozze e sporche quando la porta dello stabile si
aprì di
scatto seguita da un lamento e un grido dal forte accento tedesco.
“Oui, sono subito da
voi!” Rispose con la sua voce
zuccherina francese.
Finì frettolosamente di
fissare le bende sul povero
malcapitato e si precipitò alla porta dove trovò
un soldato tedesco mai visto
prima che sosteneva con un braccio un giovane messo piuttosto male.
“Mon dieu, che
cos’è successo a questo poverino?”
Francis lì
scortò fino a un letto vuoto e piuttosto
malridotto dove il tedesco appoggiò l’italiano con
cura.
“Si è distratto
durante il discorso di Gilbert appena sceso
dal treno. Tu sei Francis vero? Vedi cosa puoi fare per lui, non
è messo molto
bene”
Francis diede una lunga occhiata al
tedesco apprezzandone la
bellezza, poi si interessò al giovane italiano che si
lamentava debolmente sul
letto.
“Oui, c’est moi,
ma non sono io il medico, io sono solo un
infermiere. Il medico dovrebbe tornare a breve, lo farò
visitare appena sarà
possibile”
Vedendo che il ragazzo biondo dallo
sguardo di ghiaccio non
accennava ad andarsene, Francis prese alcune boccette contenenti uno
strano
liquido e ne versò qualche goccia del contenuto su delle
bende di cotone.
“Signore non può
rimanere qui, molti di questi malati hanno
malattie infettive facilmente trasmissibili, non è salutare
per lei rimanere a
contatto con loro. Non vorrei che vi si sciupasse il
bell’aspetto che ha!”
L’infermiere gli
lanciò un occhiolino mentre cominciò a
tamponare le parti colpite e lacerate dell’italiano con la
benda. Il giovane
mugugnò un po’ forte ma si
tranquillizzò poco dopo.
Ludwig rimase a fissare incredulo il biondo infermiere. Aveva sentito
parlare
di Francis Bonnefoy da suo fratello durante il tour nel campo. Un uomo
biondo,
francese, raffinato, molto seducente e incredibilmente libertino. Molte
guardie
del campo avevano dubbi circa il suo sesso e altri erano convinti che
fosse
moralmente scorretto (un modo articolato per dire omosessuale, pratica
vietata
nel campo), ma tutti concordavano sul fatto che probabilmente si
intratteneva
in atteggiamenti intimi e immorali con altri detenuti del capo. Non vi
erano
prove a riguardo ma tutti lo sospettavano e nonostante lo sapesse
Francis non
faceva assolutamente nulla per discolparsi.
Ludwig arrivò alla conclusione che probabilmente
l’unico motivo per cui il
francese era ancora vivo era per via della sua utilità
nell’infermeria ma
soprattutto per le sue doti culinarie, che spesso venivano sfruttate
dalla
mensa del campo quando gli chef non avevano voglia di lavorare.
Con un grugnito Ludwig
lasciò l’infermeria fermandosi
qualche istante sulla porta per dare un’ultima occhiata al
ragazzo steso sul
letto, per poi andarsene.
Una volta rimasto solo Francis si passò una mano tra i
lunghi capelli biondi
fissando pensieroso la porta da cui era appena uscito il soldato.
“Quell’uomo non
l’ho mai visto prima, sicuramente è la guardia
su cui hanno tanto spettegolato gli chef nelle cucine… il
fratello minore di
Gilbert! Ma contrariamente a quella carogna lui sembra molto
più umano” Pensò.
Spostò il suo sguardo sul
giovane sdraiato sul letto che
intanto aveva aperto gli occhi e si stava guardando intorno.
“D-dove…
sono?” Sbiascicò con la bocca impastata.
“Oh là
là, ma tu sei italiano! Sono Francis Bonnefoy e ora
ti trovi in infermeria pieno di lividi sul corpo, devi averla fatta
grossa
ragazzo! È davvero un peccato che ti abbiano rovinato un
così bel faccino, ma
sono sicuro che con le mie premure guarirai presto” Il
francese gli fece
l’occhiolino mentre gli mandò un bacio con le
labbra “Come ti chiami?”
“Feliciano… ve,
ho fatto arrabbiare una guardia perché mi
sono distratto durante un suo discorso, sembrava indemoniato. Non
voglio stare
in questo posto…ve, ho paura!”
Feliciano cominciò a
piagnucolare mentre si grattava vicino
al polso con insistenza. Francis gli bloccò subito la mano
tirandola dal polso.
“Non farlo, è
ancora fresco, potrebbe prendere infezione”
“Ve ma… ma
cos’è?” Chiese mentre guardava un numero
che
sembrava scritto direttamente nella sua pelle.
“È il tuo numero
di identificazione, una sorta di marchio
per riconoscerci ovunque noi andiamo. Guarda questo è il
numero che equivale al
tuo nome… e questo è il codice del dormitorio in
cui alloggerai d’ora in poi.
Oh, sei capitato nel mio dormitorio, che fortuna!”
Ma feliciano non si sentiva
fortunato, anzi si sentiva alla
stregua di un capo di bestiame appena marchiato a fuoco. Si fece via
via più
piccolo mentre gli occhi si riempivano di grosse lacrime che
velocemente gli
rigarono le guance mentre le sue braccia si stringevano a lui.
Un incubo, era soltanto un incubo quello, esattamente come gli incubi
su suo
fratello Romano che lo tormentavano di notte. Era stato stipato in un
vagone
per il bestiame, malmenato brutalmente appena arrivato al campo, gli
avevano
bruciato ogni suo avere e lo avevano marchiato come una
bestia… si, quello era
senz’altro solo un brutto incubo.
L’espressione di Francis si
fece dolce e triste allo stesso
tempo mentre abbracciava stretto il ragazzo in lacrime.
“Oh pauvre
garçon, anch’io quando sono arrivato circa un
anno fa ero spaventato come te. Devi essere forte e cercare di andare
avanti in
ogni modo possibile. Fallo per te, e soprattutto fallo per quelle
persone a cui
vuoi bene che vorresti rivedere e che probabilmente ti stanno
aspettando a
casa”
E mentre diceva queste parole per
consolare il ragazzo,
nella mente di Francis comparve un bellissimo paio di occhi verde
smeraldo
sormontato da sopracciglia foltissime.
Ed ecco il primo capitolo di questa ff, spero vi sia piaciuto! Perdonatemi il personaggio di Gilbert che qui è piuttosto sadico, prometto che a lungo andare ritornerà cone il nostro Gilbert di sempre.
Perdonate se ci sono errori di scrittura/vari, o se la storia sembra inconcludente, in fondo è la mia prima ff ><
La storia presenta scene di violenza ma è soprattutto incentrata sui sentimenti dei personaggi, lui legami che stringeranno e sull'amore che proveranno (perché io sono un'inguaribile romanticona).
La ff non sarà aggiornata regolarmente, ciò significa che potrei aggiornare molto in poco tempo oppure poco in molto tempo, dipende dagli impegni nel real che avrò! Ma sicuramente sarà lunga e soprattutto avrà una fine. Spero che possiate amarla tanto la sto amando io nello scriverla :)
Grazie mille!!