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Autore: Sameko    30/08/2017    1 recensioni
Una Genocide rimasta incompleta.
Una Pacifist che si prospetta essere quella definitiva, quella che assicurerà il lieto fine a lungo sperato.
Ma gli ingranaggi erano già stati messi in moto da tempo. Fili che dal passato tendono verso il presente aspettano di intrecciarsi con un futuro ancora incerto. Ed è ora che iniziano le sfide più difficili, in cui anche una mano amica in più può fare la differenza.
L’importante è non perdere mai la propria determinazione.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chara, Frisk, Sans, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 22: In pezzi
 




 
Quando il terreno tornò stabile sotto i loro piedi, la modesta abitazione del casato reale dell’Underground si profilava davanti ai loro occhi, una vista di duro e quasi marmoreo grigio, intoccato all’esterno da altri colori.
Chara si accasciò leggermente al fianco di Frisk mentre cercava di respirare e far così disperdere la fitta di dolore che le aveva trapassato l’anima.
L’altra ragazzina non aveva esitato a chinarsi per sostenerla in quel compito tutt’altro che semplice. Anche la sua amica ormai sapeva che il problema stava di nuovo nella sua anima instabile e nel fatto che il teletrasporto, per lei, era un’abilità che doveva essere usata con cautela, a causa dell’enorme dispendio di energia magica che il suo utilizzo richiedeva.
« Non dovresti sforzarti in questo modo… » Sentì la più piccola mormorare, una volta che i muscoli ebbero cessato di contrarsi e tremolarle.
Chara, rilasciando un ultimo respiro sbuffato, si raddrizzò e si rimise in piedi, mantenendo gli occhi chiusi per qualche istante. Quando li riaprì, fissò il soffitto in attesa che la vista smettesse di sfarfallare e distorcere il profilo dei pietroni che lo componevano. Il suo sguardo, a quel punto, agganciò immediatamente quello di Frisk, sempre preoccupata per le sue condizioni ogni qualvolta si sottoponeva a sforzi del genere.
« Lo so, ma preferisco questo al rischiare di incappare ancora in quella cosa facendo il giro lungo. » Rispose, cercando di mantenere l’irritazione ben fuori dal suo tono di voce – sospettò di non esserci riuscita completamente, visto il lieve rabbuiarsi dell’espressione di Frisk. « Non ti preoccupare. »
La più piccola abbassò gli occhi, evitando momentaneamente di guardarla in viso. Annuì solamente in risposta, mormorando un Ok moscio e poco convinto. E Chara non poté non sentirsi rammaricata per lei e per quello che era recentemente successo. Tutta quella situazione era solo una grande seccatura dal suo punto di vista, ma per Frisk… per Frisk era qualcosa di molto più personale.
Quando la minore le prese la mano, quasi come se non avesse nemmeno riflettuto troppo sul gesto, Chara comprese all’istante cosa la sua amica desiderava: vicinanza, sentire la sua presenza distintamente e senza barriere di mezzo. Il solo camminare fianco a fianco, probabilmente, non lo riteneva abbastanza.
La maggiore ricambiò immediatamente il gesto, prendendosi poi il difficile compito di condurre entrambe all’interno dell’abitazione.
L’intera casa era immersa nel silenzio, segno che forse nessuno si trovava al suo interno. Chara, in ogni caso, non intendeva andare a cercare suo padre per annunciare il loro arrivo; aveva portato lì Frisk per una ragione soltanto e se ne sarebbero andate una volta soddisfatto il motivo della loro venuta.
Camminare per i corridoi di quella casa, punteggiati qua e là dal giallo sfumato dall’oro dei ranuncoli, la inondò di una sensazione di antica familiarità, di una pace che aveva il retrogusto amaro della malinconia, e la giovane tentò in ogni modo di non associare a ciò che vedeva un ricordo, una memoria felice, una particolare frase custodita ancora nella sua mente. Era come spolverare un libro di ritagli e fotografie rimasto per troppo tempo sullo scaffale che gli era destinato. Questa impressione… questa impressione non le piacque per nulla, le fece contorcere leggermente lo stomaco da uno sconforto che si sforzò di tenere per sé.
Sulla porta della sua vecchia camera, della camera di entrambi, esitò solo un istante, un lungo istante in cui la voglia di deglutire era divenuta insostenibile. Ma entrò comunque, perché Asriel non c’era più, perché adesso aveva Frisk e aveva il dovere di proteggere lei sola.
La camera era esattamente come la ricordava e non un dettaglio fuori posto pareva indicare il suo mancato utilizzo nel corso degli anni: le coperte sembravano fresche e recentemente lavate, il pavimento era pulito, c’era persino quel suo vecchio ( oltre che orrendo ) disegno appeso sopra quello che era stato il suo letto. Lo scorrere del tempo sembrava essersi fermato a quel giorno maledetto in quel piccolo spazio dell’Underground, per non riprendere più il suo naturale corso. Non le fu semplice ignorare i dintorni, le richiese infatti un immenso sforzo di volontà concentrarsi solamente su ciò che doveva fare.
Lasciò quasi con riluttanza la mano di Frisk e si chinò per guardare sotto il suo letto, scostando le coperte che pendevano oltre il bordo e rivelare così la presenza di una scatola, chiusa accuratamente da un fiocco di un rosso sgargiante.
La tirò fuori e vi soffiò sul coperchio, facendo disperdere nell’aria la polvere che la ricopriva.
Capì dallo sguardo distaccato di Frisk che l’altra ragazzina doveva avere già un’idea precisa di quello che poteva essere il contenuto… e, per questo, Chara fu accorta nel sollevare il coperchio con la giusta calma e prendere l’arma al suo interno, senza tuttavia impugnarla; quell’arma era naturalmente il suo vecchio pugnale, consumato dopo anni di mancata manutenzione, ma di cui Chara non metteva in dubbio la ancora presente efficienza.
« Frisk… » Disse, costringendo la minore a guardare il suo viso – e non il coltello. « Ti… chiedo di prenderlo. »
Frisk allargò poco alla volta gli occhi, quasi atterrita da quella richiesta.
« Chara… non p-posso… » La ragazzina arretrò leggermente, la voce se possibile ridotta ad un sussurro. « Non posso. »
Chara la osservò con un lieve dispiacere nello sguardo. Rimise il pugnale all’interno della scatola, prima di poggiarla sul letto e voltarsi di nuovo verso l’amica, visibilmente meno tesa ora che l’arma era sparita dalla sua vista.
Si avvicinò, poggiandole saldamente le mani sulle spalle minute, fissandola direttamente in quei suoi bei occhi ambrati, uno spiacevole timore si dimenava ancora al loro interno. Per Chara fu tanto desolante da osservare, a maggior ragione sapendo che era stata lei la causa principale che lo aveva originato, ma si sforzò comunque di non indugiare troppo in quelle emozioni di rincrescimento.
« Frisk… so cosa ti sta passando per la testa in questo momento. » Disse, cercando di suonare il più comprensiva possibile, di imprimere un po’ di emozione nel suo tono di voce spesso e volentieri monotono. « Lo so benissimo… ma non permetterò che tu vada in giro disarmata d’ora in poi. Voglio che tu abbia la possibilità di difenderti… e vorrei che tu non esitassi a farlo, se fosse necessario. »
Frisk strinse nervosamente le labbra, palesemente tentata dal desiderio di guardare altrove.
« Chara… n-non posso davvero… i-io… »
« Frisk, te lo chiedo come amica. » Insisté, scuotendo delicatamente la più piccola per le spalle. Avrebbe voluto evitare di ricorrere ad un simile stratagemma per convincerla, ma riconobbe anche che non aveva altre carte in suo possesso da giocare. O questo, o lasciare la sua migliore amica indifesa in un possibile momento di pericolo. « Non voglio assolutamente che tu ti faccia del male. Non me lo perdonerei… »
Frisk la fissò con indecisione, la bocca socchiusa nel tentativo di dire qualcosa, ma tutto ciò che in questo momento avrebbe pronunciato sarebbe stato un altro rifiuto di fronte alla richiesta dell’amica. Il solo avere sotto gli occhi quell’arma faceva nascere in lei una sensazione di intimorita repulsione, di consistente e turbolento disagio. Il pensiero di far stare in ansia Chara le parve tuttavia più insopportabile di qualunque altro e fu in grado di prevalere, per ora, sull’angoscia dell’accettare un contatto troppo ravvicinato e costante con un oggetto che evocava orribili ricordi.
Tutto ciò a cui la maggiore teneva era la sua sicurezza e Frisk non se la sentiva di andarle contro.
« Ok… lo f-farò. » Bisbigliò, evitando senza volerlo di incontrare le iridi lattee dell’altra, troppo somiglianti agli unici occhi che non avrebbe voluto vedere in quel momento. Era riuscita a guardarla in viso fino ad adesso, ma ora non ne poteva più, e non trovò nemmeno il coraggio di rendere presente alla maggiore tutto questo.
Chara fece ricadere le braccia lungo i fianchi, un lieve sospiro confortato lasciò le sue labbra di nuovo distese.
« Grazie. »
Era sollevata di essere riuscita a convincere Frisk almeno a portarsi dietro un’arma, sperando in cuor suo che la minore ne avrebbe fatto veramente uso in caso di bisogno. Ci ripensò comunque due volte prima di mostrarle di nuovo il pugnale, perché aveva visto molto più di un normale disagio attraversare gli occhi della più piccola durante i secondi precedenti; tenerlo per ora nella sua collocazione originaria le era senz’altro preferibile al vedere Frisk cadere, di nuovo, in quello stato di profonda angoscia.
« Chara… » Udì la più piccola sussurrare esitando il suo nome. « Mi dispiace per quello che è successo… prima. »
Chara sentì le sue stesse spalle tendersi al solo ricordo della rabbia e dell’incredulità che le risposte di quell’idiota avevano suscitato in lei. Tutt’ora non si capacitava di come una persona, mostro, o chicchessia, potesse ragionare in un modo a suo parere tanto superficiale, immaturo e, soprattutto, contorto – un tipo di contorto con cui lei aveva, a malincuore, una certa familiarità.
« Tu non c’entri nulla, Frisk. È solo quell’ingrato che si dovrebbe fare uno stupido esame di coscienza. » Replicò a denti stretti, forzandosi a distendere le spalle tese e, di conseguenza, ad innervosirsi meno del dovuto. Quel mentecatto non valeva il suo nervosismo, non lo valeva assolutamente.
« Sono… sono delusa quanto te… » Mormorò l’altra ragazzina e la maggiore poteva quasi vederla, nella sua testa, con il capo chino e la frangia calata a nasconderle gli occhi.
« E fai bene. » Disse lei, il tono freddo che combaciava con l’impassibilità dei suoi occhi, di un bianco arido. « Ho paura che, seppur odi l’idea di mettere in pratica i consigli di quella canaglia, l’unica cosa che davvero ci resta da fare è ricavare le informazioni di cui abbiam bisogno da sole. E Undyne dovrà essere informata di tutto quello che sta accadendo. Non possiamo sapere se la pianta deciderà di prendere in ostaggio qualcuno solo per organizzare uno scambio. »
Frisk assentì in risposta, non aggiungendo altro perché condivideva ogni parola pronunciata dalla sua amica… però… c’era un però. Potevano davvero mettere da parte così Sans? Era giusto riservargli questo genere di trattamento che lei stessa difficilmente avrebbe riservato ad un nemico?
Sul momento, la rabbia aveva sì preso il sopravvento nel suo animo, scavalcando la pazienza e la fiducia che era solita nutrire nel prossimo… ma, a mente ora più lucida, si rendeva conto che escluderlo da qualsiasi loro piano d’azione futuro non sarebbe stato corretto. Per adesso, non se la sentiva di vedere Sans, né tanto meno di parlarci, ma non aveva intenzione di chiudere i rapporti con lui. Le persone non devono essere lasciate sole – lei lo sapeva bene. E voleva esprimere queste sue idee a Chara, cercare di insegnarle non solo a tollerare, ma anche ad essere più comprensiva.
« Forse, dopo quella discussione, Sans potrebbe… »
« Ne dubito. I tipi come lui sono testardi, devono sbattere la testa contro il muro parecchie volte prima di decidersi a mollare. » La interruppe Chara, ancor prima che lei potesse finire di parlare. « Una cosa positiva alcune volte, altre decisamente negativa. »
L’ultima affermazione della maggiore era suonata più come una concessione che una critica, un riconoscere con una certa fatica una qualità che, forse, la sua amica trovava… trovava apprezzabile a seconda dei casi? Non le sembrava una supposizione così assurda, Chara le aveva dimostrato più volte in passato che persino in persone che trovava detestabili era in grado di apprezzare una qualità in particolare, o anche più di una. Era su questa base che l’altra ragazzina sembrava costruire le sue relazioni, soffermandosi dapprima su una sola parte, per poi arrivare a vedere tutto l’insieme. Era un pensiero su cui Frisk avrebbe voluto volentieri riflettere ed indugiare, ma una faccenda a lei esterna e di grande importanza la stava attendendo. Malgrado l’interruzione, infatti, la più piccola non era disposta a chiudere la conversazione in quel modo tanto insoddisfacente, non quando non aveva ancora avuto l’occasione di esprimere alla sua compagna qualcosa che, per lei, possedeva un valore inestimabile.
« Chara, io… io non voglio lasciarlo solo, o abbandonarlo. Ha sbagliato, forse gli occorrerà un po’ di tempo per comprenderlo, ma non smetterò di essergli amica per questo… spero tu capisca... » 
La più grande sospirò brevemente, cercando di frenare la smorfia che tentò di intaccarle le labbra. Smise comunque di dare le spalle a Frisk, per non farle pensare nemmeno per un istante che la sua irritazione era dovuta a qualcosa che lei aveva detto.
« Lo capisco. »  Le disse. E Chara lo capiva davvero, nonostante i suoi sentimenti di indignazione; senza quel desiderio così intrinseco nella sua anima di essere sempre benevola verso chiunque, Frisk la avrebbe lasciata ad agonizzare e a pregare per un aiuto che non le sarebbe mai stato dato, sconfitta, sola e disperata nell’oscurità che era stato il suo tormento per decenni. « Puoi fare quello che vuoi con chi vuoi, Frisk. Non hai bisogno della mia approvazione... »
« Non... intendevo questo... » Obiettò a bassa voce la più piccola e Chara sbatté a quel punto le palpebre, non avendo proprio preso in considerazione l’idea di un fraintendimento tra di loro. « Spero tu capisca che… che ognuno di noi merita di avere più di una sola possibilità, una terza o una quarta persino, se è disposto a cambiare in meglio. Non ci sarebbe più amore, se tutti cominciassimo a voltarci le spalle al primo sbaglio. » 
Chara la fissò intensamente con la coda dell’occhio, le labbra appena un po’ strette dalla titubanza. Quelle parole la avevano colpita, la avevano colpita fin nel profondo, perché esprimevano un concetto innegabilmente somigliante alla motivazione che aveva spinto Frisk a salvarla, ad incoraggiarla a raccogliere i cocci della sua esistenza per ridare loro una forma nuova, più bella e dotata questa volta di vero valore.
« Tutti meritano di essere felici, se sono disposti a cambiare, a migliorare per gli altri. »
Messaggio identico, ma espresso in maniera differente: tutti meritano di avere una seconda possibilità, una terza, persino una quarta, se sono disposti a cambiare e migliorare per gli altri. Ma Chara trovava tutt’ora difficile capire la logica dietro a quel ragionamento. Perché dare anche solo una seconda possibilità a qualcuno che ti ha ferito, a qualcuno che ti ha fatto del male? Non riusciva a capirlo.
Per questa ragione, Chara si astenne dal risponderle. Frisk stava probabilmente sperando in vano, non per quanto riguardava lo scheletro – forse –, ma certamente su di lei, sul fatto che potesse imparare ad essere più compassionevole. Avevano ideologie opposte su certe questioni… e, questa, era una di quelle questioni. Chara non aveva mai creduto nel buono delle persone, non era a sperare nel genere di cose in cui sperava Frisk che era stata a lungo abituata. Era nell’indifferenza della gente che era stata abituata a sperare, perché era stata per tanto tempo l’alternativa migliore che avesse… e, quando qualcosa è così tanto radicato in te, si sa che è difficile cambiarlo.
Si diresse quindi verso l’altro letto presente nella stanzetta, vi poggiò sopra la scatola del suo pugnale e si chinò sotto di esso per controllare se fosse presente un’altra scatola. Aveva l’impellente bisogno di distrarsi da quelle riflessioni e quest’ultimo compito avrebbe potuto facilitarle lo scopo.
« Cosa stai cercando? » Le chiese Frisk, piegandosi leggermente sulle ginocchia per controllare i movimenti della sua amica.
Chara, messasi a pancia in giù sul pavimento per poter raggiungere il fondo del letto, poté nel frattempo scorgere ciò che stava cercando.
Si rialzò, pulendosi maglione e pantaloni con una mano, mentre con l’altra reggeva l’oggetto della sua ricerca: una scatola, molto simile a quella che conteneva il suo pugnale.
« Questa. » Replicò, pur sapendo che la curiosità della sua amica non sarebbe stata saziata con una risposta tanto vaga.
Nel momento in cui poggiò la mano sopra quel contenitore, le sue dita indugiarono qualche istante sul coperchio, quasi a spingerla a ponderare meglio le sue azioni attuali. Ma le aveva già ponderate abbastanza a suo parere… e, in ogni caso, avrebbe dovuto fare tutto questo molto prima.
Aprì infine la scatola, rivelando il medaglione che brillava debolmente sul fondo: il medaglione di Asriel.
Le fitte di nostalgia e autobiasimo tornarono più pressanti di prima, ma Chara le scacciò via con la medesima insistenza. Il passato era passato, il presente era presente – ed era ciò su cui doveva sforzarsi di concentrarsi.
« È il tuo, giusto? » Le domandò innocentemente Frisk, occhieggiandolo dalla sua posizione. Non era probabilmente la prima volta che la ragazzina più piccola vedeva quell’oggetto, ma la minore non poteva conoscere la storia che si celava dietro. Solo lei la conosceva
« Sì… e no… » Disse, tirandolo fuori dalla scatola dalla cordicella per farglielo vedere. Il medaglione ruotò leggermente su sé stesso nell’aria, i bagliori sulla sua superficie lucida si inseguirono l’un l’altro durante quel placido roteare. « Io e Asriel, quel giorno, avevamo fatto a cambio. Io avevo preso il suo, lui aveva preso il mio. Era stato una specie di… di augurio, un rito di passaggio per qualcosa che, sapevamo, avrebbe cambiato le nostre vite per sempre. »
Lo fissò qualche secondo in contemplazione, lo fissò come in una sorta di stato di venerazione, perché quel medaglione rappresentava ciò che la aveva legata ed Asriel per anni… ed era un qualcosa che Chara non rimpiangeva di aver condiviso con il suo primo amico… adesso, rimpiangeva solo di non aver avuto la saggezza necessaria per proteggere il loro legame e continuare a farlo prosperare nel tempo a venire – era lei la più grande, lei avrebbe dovuto prendersi cura di Asriel ed insegnargli il buon senso, non il contrario. Se lo avesse fatto, se solamente lo avesse fatto, a quest’ora sarebbero stati entrambi adulti responsabili e giudiziosi, pronti ad indossare la corona e regnare sull’Underground con la stessa benevolenza dei loro genitori. E sarebbero stati ancora una famiglia, una famiglia felice ed unita, nel bene e nel male della vita.
Sospirò internamente Chara, riconoscendo da sé che perdendosi in quelle fantasie non avrebbe potuto riavere indietro quei tempi lontani… e ben sapeva chi non avrebbe avuto se uno qualsiasi di quegli scenari si fosse mai realizzato.
Si mise il medaglione al collo e preferì allargare il colletto del suo maglione e farlo scivolare all’interno invece che lasciarlo in vista. Il passato era passato, andava seppellito se si voleva guardare al futuro… ma non doveva essere, per questo, dimenticato.
Una volta che ebbe sentito attraverso il dolcevita che indossava il peso familiare del medaglione, si accinse a terminare di spiegare alla sua amica ancora in attesa.
« Asriel pensava che, avendo l’uno il medaglione dell’altra, saremmo stati sempre assieme, anche se il futuro ci avesse portato ad allontanarci. »
Ironia della sorte, fu esattamente ciò che successe. Il futuro li aveva separati forse irrimediabilmente e Asriel non poteva sapere, ai tempi, di aver in un certo senso previsto la tragedia che sarebbe a breve accaduta… la tragedia che aveva rivelato al mondo le vere nature dei due principi dell’Underground, una natura vendicativa ed inclemente da una parte, ed una natura buona e misericordiosa dall’altra. E queste due nature tanto opposte si erano ferocemente scontrate, ma nessuna delle due aveva prevalso… avevano entrambe perso – e avevano perso ogni cosa.
« L’altro medaglione… quello che prima apparteneva a te… Sai dov’è? » Le domandò Frisk, con un’accorta cautela, perché ben sapeva quanto questo genere di conversazioni necessitavano di un'attenta delicatezza. Erano pezzi di vita che erano spiacevoli da ricordare per la sua amica e meritavano di essere trattati con riguardo e poca intromissione.
Chara si riscosse dal rinvangare di quei pensieri, almeno per rispondere a quella nuova domanda.
« Non ne ho idea. Sarà andato perduto da qualche parte. » Replicò distrattamente, mentre riponeva la scatola sotto il letto di Asriel per riprendere con sé quella contenente il suo pugnale. Stava cercando di proposito di chiudere quella scomoda conversazione ora, prima che potessero avventurarsi in territori che lei non se la sentiva di percorrere – e sapeva che Frisk avrebbe colto senza difficoltà il messaggio. « Possiamo andare. Non c’è altro da fare qui. »
Frisk fece a malapena in tempo ad assentire che due voci, provenienti dall’altra parte della casa, filtrarono udibili attraverso le pareti. Una parlava con una modesta urgenza, esitando tuttavia a causa dell’altra voce, glaciale e tendente ad una silenziosa aggressività.
« Che succede? » Domandò rivolgendo uno sguardo a Chara, accigliata quanto lei. « Sembrano… Toriel… Asgore? »
La più grande allargò un poco gli occhi, avendo riconosciuto le voci dei due reali nel momento stesso in cui la sua amica li aveva nominati.
Senza attendere oltre, uscì nel corridoio, dirigendosi verso la fonte di quello che pareva essere un battibecco in corso. Non poteva credere che stessero litigando di nuovo in così poco tempo – cavolo, tre settimane ed era già la quarta volta come minimo! E, nonostante sua madre si fosse sforzata di mascherare i postumi di quelle litigate con il suo normale buonumore, sia lei che Frisk erano sempre state più che in grado di vedere attraverso quella maschera non così perfetta ed intuire quando era avvenuto uno di quei litigi. Oh, ma questa volta le cose sarebbero andate diversamente.
« Chara, aspettami! » La rincorse Frisk, non comprendendo appieno il motivo che aveva spinto la sua migliore amica a reagire in modo tanto impulsivo.
Fu sufficiente lasciare la stanza per permettere loro di distinguere parti sempre più estese del discorso.
« Sono qui solo per prendere alcune cose per le bambine, Asgore. Non per discutere con te, tra tutti i mostri del regno poi. »
« Toriel, ti chiedo solamente un minuto della tua attenzione… solamente un minuto… »
« Asgore, no. Non dovresti aver nulla da dirmi, esattamente come io non ho nulla dirti. Non voglio ci sia più niente tra di noi. »
« Tori, per favore... »
E, proprio quando raggiunsero il salotto e rivolsero lo sguardo verso l’angolo in cui era posizionata la libreria, videro Toriel spingere via un implorante Asgore con un gesto veemente del braccio e un mezzo ringhio sul suo muso caprino, che le ragazzine erano tanto abituate a veder invece contornato da un socievole sorriso… di quel sorriso, adesso, non vi era traccia.
« Non chiamarmi così, Dreemurr! »
Per tre secondi netti, l’unico suono presente nel locale furono i respiri adirati di Toriel e l’ansimo di sorpresa che Asgore rilasciò… e, quando si accorsero della loro presenza, i loro volti sbiancarono dallo smarrimento e all’unisono. Fu chiaro ad entrambe che non avrebbero dovuto trovarsi lì, che nessuno si aspettava fossero lì, e tantomeno che avrebbero dovuto indagare in partenza sulla natura di quel litigio.
Toriel fu la prima a mettere su uno dei suoi sorrisi più calmi e, soprattutto, abbandonare per il momento le sue ostilità con l’ex marito.
 « Mi dispiace che abbiate dovuto assistere ad uno spettacolo tanto degradante. Non sapevamo foste… »
Chara non le permise di finire.
« Asriel non avrebbe mai voluto questo da voi. »
La tensione, il disagio che quelle poche parole generarono, fece raggelare l’aria, le espressioni dei due reali e le loro rispettive anime.
Asgore abbassò il capo, in un gesto che di dignitoso non aveva nulla, assolutamente nulla – suo padre era un’ombra del re che ricordava, solo un’ombra in mezze alle tante altre del suo passato in frantumi.
Gli occhi di sua madre erano divenuti umidi, opachi. Erano occhi feriti, che avevano impiegato tanto per guarire, ma che ora erano stati di nuovo attaccati dal dolore.
« Chara… bambina mia… »
La ragazzina strinse il pugno della mano libera, il labbro inferiore prese a tremarle nel momento in cui vide quella sofferenza sul muso dell'amorevole capra. Ne aveva abbastanza di questa giornata in cui non una singola cosa voleva saperne di stare al suo posto, dove troppo del suo passato stava continuando a bussare alle porte della sua sempre presente colpevolezza, premendo per tornare a risiedere nel suo cuore, che pretendeva solo un po’ di pace e cecità. Si stava sforzando più che poteva per costruirsi una vita migliore, per onorare la decisione di Frisk di darle un’altra chance, per non lasciare che l’autocommiserazione arrivasse a condizionare di nuovo e gravemente i suoi pensieri … e, ora… o-ora questo?
Era venuta lì per farli smettere di litigare, ma tutto ciò che aveva fatto era stato ferire ed addolorare.
Arretrò di fronte alle braccia aperte di Toriel, arretrò fino a che non sentì il muro sfiorarle le spalle, quasi inorridita dalle sue stesse azioni. A quel punto, imboccò il corridoio, intenzionata solamente a raggiungere la porta di casa e ad uscire di lì.
Frisk aveva osservato con una fitta di intenso dispiacere quell’ultima, avvilente scena, lo sguardo rattristato dell’ex regina, l’indietreggiare della sua amica davanti a quell’abbraccio implorante, il suo lasciare il locale in modo tanto frenetico. Nel momento in cui Toriel, dopo aver lasciato ricadere le braccia lungo i fianchi, sembrò cercare in lei una spiegazione, un qualcosa che potesse risanare almeno marginalmente la ferita che Chara aveva riaperto, la giovane non trovò parole che potessero spiegarle il delicato stato emotivo in cui Chara si trovava, né tantomeno parole che potessero rinfrancare l’anima dell’ex regina. O, almeno, non parole che non suonassero ridondanti e vuote della consolazione che avrebbero bensì voluto portare.
Persino lei, a quel punto, sentì l’impulso di lasciare l’abitazione dei reali al più presto possibile.
« Scusateci… n-non volevamo intrometterci. » Bofonchiò, sperando che nessuno le impedisse di seguire l’esempio di Chara – una seconda volta, nello stesso giorno, non sarebbe stata capace di sopportarla.
Con suo immenso sollievo, né Toriel, né Asgore fecero nulla di tutto ciò.
Si strinse sconsolata nelle spalle quando svoltò l’angolo e fu al di fuori del loro campo visivo, il cuore che prese a dolerle leggermente nel petto, a farle piegare le labbra in una smorfia triste e amareggiata.
Una giornata che era iniziata nel più normale dei modi si era, invece, trasformata in… in questo, questo spettacolo di desolazione, dove ogni cosa sembrava essere destinata a sfasciarsi e a cadere miseramente in pezzi. Era come se i precedenti giorni di pace fossero stati solamente un campanello d’allarme, un segnale, che avrebbe dovuto essere monito di quanto tutta quell’apparente spensieratezza non sarebbe durata ancora a lungo. Frisk, in fondo, ne era stata consapevole fin dall’inizio… ma, pur avendo questa consapevolezza, la ragazzina non riuscì a scacciare via l’amarezza di aver visto quel periodo di tranquillità finire così, in questo modo, troppo presto e troppo bruscamente.
Chara le stava dando le spalle quando raggiunse il cortile, il suo intero corpo percorso da visibili tremolii si era raccolto attorno alla scatola del pugnale, che stava ora premendo contro il suo petto fino a farsi sbiancare le nocche delle mani.
Frisk si sentì male, tanto male per lei e per quello che Chara, nonostante i suoi ammirabili sforzi, stava ancora passando. Non poteva vederla in un simile stato… aveva già sopportato tanto e aveva già sofferto tanto… e non era giusto che continuasse a soffrire così.
Non poté astenersi dall’allungare le braccia verso di lei, per abbracciarla da dietro con tutta la dolcezza che potevi imprimere in un simile gesto. Voleva ricordarle che non era sola in questo dolore, che erano in due a condividere almeno in minima parte quel dolore, e che per questo dovevano restare insieme.
La maggiore non sussultò sotto il suo tocco – non più come durante i primi giorni – e accettò silenziosamente quell’abbraccio consolatorio, di cui forse aveva avuto bisogno sin dall’inizio, ma che purtroppo non era stata capace di chiedere.
Frisk, poggiata con la guancia contro la schiena dell’altra, ne percepì i tremori del corpo calmarsi pian piano, fino a sparire del tutto. Ciò che sentì sotto il proprio orecchio, a quel punto, fu solo l’anima di Chara, un battito che seguiva dolcemente l’altro, senza rincorrere stremato il successivo.
Le dita dell’altra ragazzina salirono timidamente a sfiorarle il polso, come a voler cercare un contatto con lei. Frisk non esitò a darglielo. Le loro mani si strinsero, dandosi forza l’un l’altra, completandosi l’un l’altra, delicatezza e decisione assieme, due determinazioni diverse eppure tanto simili.
« G-grazie, Frisk. »
Era stato un sussurro da parte di Chara, basso, roco dai singhiozzi che la maggiore aveva continuato a reprimere, ma la riconoscenza di cui era stato carico non le sarebbe mai potuta passare inosservata. Si avvicinò maggiormente a Chara, facendole comprendere che aveva capito, che aveva sentito, ancora prima di risponderle con un sussurro non meno basso.
« Io ci sono, Chara… ci sarò ogni volta che avrai bisogno… »
E non era necessario aggiungere altro. Perché ulteriori parole, dopotutto, sarebbero potute risultare superflue, se confrontate al silenzio confortevole in cui avevano scelto di rimanere e di cui avevano imparato a conoscerne il linguaggio. Perché le parole, a volte, esprimono solo una minima parte di ciò che siamo, di ciò che vorremmo essere; entrambe lo avevano ormai compreso.
 
 
Aveva combinato un disastro, questa volta.
Se era stato in grado di far alterare persino Frisk, che aveva tentato sempre di aiutarlo, che aveva sempre tentato di sostenerlo, che non aveva mai alzato la voce con lui una singola volta senza scusarsi immediatamente, allora aveva combinato un vero disastro. E credeva di averlo saputo fin dall’inizio di aver commesso un errore madornale sottovalutando Gaster e le sue capacità, ma ciò che forse non aveva realizzato era quanto madornale fosse stato realmente il suo errore. Tanto madornale che, senza l’intervento di Frisk e Chara, sarebbe stato ora nelle grinfie di Gaster. Tanto madornale, che suo fratello aveva finito col pagarne le conseguenze al posto suo. Aveva dovuto ucciderlo, aveva dovuto ucciderlo con le sue s-stesse mani per salvarlo… aveva ucciso suo fratello, e non avrebbe mai smesso di tormentarsi per questo, sapeva che la sua testa non avrebbe mai smesso di tormentarlo per questo.
E non pensava che tutta quella situazione non fosse colpa sua, tutt’altro. Il problema era che la causa primaria non era stata un suo errore di valutazione, come aveva continuato ad insistere lui, e le due ragazzine avevano strenuamente tentato di fargli vedere la vera causa, scavalcando con fatica il muro impenetrabile che erano le sue convinzioni. Lui non aveva ascoltato fino all’ultimo, quando quella parola era stata una scheggia di ghiaccio fredda e ustionante assieme nel momento in cui, violenta, era penetrata nella sua anima.
Bugiardo.
Bugiardo, come suo padre.
Bugiardo, come Gaster.
Le sue bugie erano state la causa di tutto… solo le sue bugie. Senza di esse, forse quell’errore di valutazione e molti altri, che avevano radici più lontane nel tempo, avrebbero potuto essere evitati. Perché non era stato soltanto durante quelle settimane che aveva continuato a dire menzogne, lo aveva fatto per quasi tutta una vita, nascondendo a suo fratello verità che credeva scomode, al solo scopo di proteggerlo e mantenerlo sereno… o, almeno, era questo che si era sempre raccontato, persino quelle volte in cui l’unica persona che aveva tentato di proteggere era sé stesso, l’indegno e deludente sé stesso. Credeva di non avere mai avuto un particolare interesse a mostrare un’immagine di sé piacevole e, soprattutto, diversa da ciò che era veramente – un mostro pigro, lavativo, dall’umorismo pessimo quasi quanto la sua abituale scelta d’abito. Ma, evidentemente, si era sbagliato anche su questo. Quale persona che si ritiene disinteressata alle apparenze mentirebbe sia a coloro a cui vuole bene, sia al suo stesso cuore, per preservare la già noiosa immagine di un completo buono a nulla? Un bugiardo, appunto, che sapeva di avere lati di sé persino più indegni che doveva nascondere, per i quali temeva di venir rifiutato dal suo stesso fratello, oltre che dal mondo intero. E, ancora peggio, un egoista, che non era disposto a dire la verità perché non avrebbe potuto sopportare l’abbandono dell’unica persona che non si era mai persa d’animo con lui fino ad allora.
Gli altri non lo conoscevano veramente… e nemmeno lui, a quanto pareva, aveva mai conosciuto veramente sé stesso, ogni volta che scopriva lati sempre più bassi e disgustosi del suo essere se ne convinceva sempre di più, sempre più inesorabilmente.
Non aveva raccontato a Papyrus di alcune ricerche che lui e Gaster avevano condotto, del motivo per cui solo il suo fratello maggiore si prendeva cura di lui, della ragione per cui certe notti si svegliava urlando, pregando disperatamente perché urla più forti delle sue riecheggianti all’infinito nei suoi sogni si placassero. Non gli aveva raccontato dei reset, del suo rinunciare al sogno della superficie e del suo ignorare qualunque occupazione ritenesse inutile e priva di senso se non fosse sopravvissuta ad un reset… e di quante, terribili volte aveva ritrovato la sua sciarpa e il suo body immersi nella neve e nella polvere. Non gli aveva raccontato nulla di tutto questo e altro ancora.
È per il suo bene, si era continuato a ripetere. Ma quante volte era stato davvero così? Quante volte era stato per il bene di suo fratello – e non per evitare discorsi e rivelazioni scomode che lo avrebbero messo in cattiva luce? Non lo sapeva più. Non lo aveva mai saputo.
Tutte le occasioni in cui aveva visto Papyrus guardarlo con un’espressione impensierita, impensierita per lui, gli si stavano parando davanti agli occhi, come per ricordargli quante volte doveva averlo fatto stare in ansia, quante volte doveva averlo lasciato con l’amaro in bocca, quante volte doveva averlo fatto sentire inutile quando, invece di ammettere qualsiasi cosa, aveva preferito mentire. E suo fratello era la persona più in gamba che conosceva, che non avrebbe mai dovuto sentirsi sfiduciata o inapprezzata una sola volta nella sua vita, figuriamoci a causa sua, a causa di uno come l-lui
Un guaito, proveniente dai piedi del suo letto, interruppe inaspettatamente lo scorrere di quei pensieri di sola autocommiserazione.
Gettò uno sguardo assente al piccolo cane bianco seduto vicino al suo vecchio materasso, il quale lo guardò con la testa leggermente inclinata, come a chiedergli perché se ne stava tutto solo nella sua stanza, come un recluso.
Perché, quindi? Forse, perché si meritava di stare lontano dagli altri, di essere allontanato da tutti gli altri.
Il cagnolino non si perse d’animo di fronte alla sua mancanza di reazioni. Salì con le zampe anteriori sul suo letto e prese tra i dentini la manica della sua felpa per tirargliela insistentemente.
Sans aggrottò un poco le arcate sopraccigliari, cosa che spinse il cane ad emettere un nuovo, ostinato guaito.
« E-ehi… cosa c’è, bello? » Si decise a chiedergli, voltandosi col resto del corpo verso l’animaletto.
Questo spinse il cagnolino a lasciargli la manica e trotterellare verso il suo comò, i suoi piccoli occhietti neri lo fissarono carichi di aspettativa.
Lo scheletro emise un sospiro pesante mentre si alzava dal materasso per volere esclusivo di quel cane e lo affiancava vicino alla cassettiera.
« Cosa c’è qui? » Ripeté, cercando in quello sguardo sveglio un altro suggerimento.
Il cagnolino puntò immediatamente il muso verso l’alto, tornando poi a guardarlo con la medesima attesa.
Sans lasciò gli occhietti del cane per controllare l’oggetto che gli era stato indicato di prendere: il suo cellulare.
Un’ultima occhiata in direzione del cucciolo, un’ultima occhiata che gli servì da conferma, e prese finalmente il telefono in mano. Sul display comparvero solo gli avvisi delle chiamate di Toriel, che già in precedenza aveva scelto di ignorare. Non ce la avrebbe fatta a conversare normalmente con lei, non dopo che aveva mancato più imperdonabili volte in poche ore alla promessa fattale anni prima. Non era stato in grado di proteggere né Frisk, né sua figlia, non ne era stato minimamente in grado… e, come se ciò non bastasse, aveva deluso la piccola, la aveva tanto delusa, al punto da spingerla ad andarsene via
E si maledisse Sans, perché una parte di lui aveva persino osato sperare di trovare, fra quelle chiamate, anche una da parte di Frisk.
Riappoggiò il telefono sopra la cassettiera, facendo fatica a contenere il tremare delle sue spalle. Non se la meritava una chiamata da lei e ne era dannatamente consapevole… ma non poteva impedirsi di sentirsi male per questo, più male del dovuto.
« Cagnaccio impiccione! Come sei entrato ancora in casa nostra?! »
La voce di suo fratello gli fece alzare la testa di scatto, a fissare ad orbite sgranate la porta spalancata della sua camera.
Papyrus era lì, fermo sulla soglia con un’espressione di rara irritazione in volto, e non fece nemmeno in tempo a tentarne la cattura che il cagnolino era già bello che schizzato verso l’uscita, passandogli come un fulmine tra le gambe divaricate.
Suo fratello emise un verso seccato, prima di incontrare i suoi occhi ancora leggermente più larghi del normale a causa dell’apparizione dell’altro scheletro. Sans, in quel momento, non provò nemmeno ad ostentare il sorriso quasi plastico che lo contraddistingueva, perché farlo – sapeva – lo avrebbe fatto sentire persino peggio.
« Sans, va tutto bene? » Gli chiese prevedibilmente il minore, ogni traccia della sua irritazione sparita sotto un primo sorgere di apprensione nelle sue.
Sans abbassò esitando lo sguardo, voltando la testa da un lato, le dita gli tremavano leggermente lungo i fianchi.
« Paps… non preoccuparti… »
Si sentì immediatamente studiato da suo fratello con uno straripante scetticismo.
« Stai scherzando, fratello? Come faccio a non preoccuparmi per te, se quando esco di casa sei in un modo e quando torno a casa sembra sei appena stato ad un funerale? »
Il maggiore abbassò le palpebre, cercando di impedirsi di vedere qualunque traccia della figura di suo fratello persino con la coda dell’occhio. Non ce la faceva neanche a guardare come il linguaggio del corpo di Papyrus continuava ad irradiare preoccupazione ad ogni piccolo gesto.
« È successo qualcosa mentre ero via? » Lo udì domandare, non più così duro come era suonato in precedenza.
Sans scosse appena il capo, in una risposta quasi distratta.
« Sans… »
Dispiacere, nella sua voce – dispiacere che lui non voleva sentire.
« Non ti devi preoccupare, Paps. Va tutto bene… » Ribadì, prima che suo fratello potesse chiedere altro, prima che suo fratello potesse rendere le cose ancora più difficili.
Si diresse verso la porta della sua camera, sperando con un po’ di fortuna di riuscire a lasciare incolume il locale esattamente come il cagnolino.
I suoi piani andarono già in fumo quando due braccia si poggiarono sulle sue spalle, fermandolo efficacemente sul posto. Sans si paralizzò per un lungo istante, il suo corpo ebbe la reazione sbagliata in risposta a quel tocco.
Credeva… aveva creduto che fosse… la sua mente lo costrinse a razionalizzare, a riconoscere quello che era il profilo ammorbidito dai guanti delle falangi di Papyrus, così come la sua presenza alle sue spalle completamente priva dell’aura oppressiva che avrebbe dovuto accompagnare quel gesto, se solo fosse stato qualcun altro a compierlo. Non aiutava, tuttavia, il fatto che suo fratello fosse ormai cresciuto in statura e che l’inclinazione con cui le sue mani gli raggiungevano le clavicole stesse ormai divenendo immancabilmente simile alla sua. Ma quello era suo fratello, sapeva che era solo suo fratello, non doveva scambiare il suo fratellino per nessun altro.
« Non va tutto bene… vero? » Gli domandò Papyrus, la voce di solito squillante stemperata da un malinconico sconforto.
Sans percepì il suo stesso sorriso tremolare. Non ci riuscì, non riuscì a mentire di nuovo, a ripetere ancora la stessa azione che aveva rischiato di portargli via suo fratello solo quella mattina – era stato difficile la prima volta, ma adesso gli era praticamente impossibile.
Si coprì il volto con mani tremanti, facendo appello a tutta la sua volontà per ricacciare indietro le lacrime che erano affiorate nelle sue orbite. Perché doveva essere un tale bugiardo, al punto da negare persino l’evidenza finché non veniva messo all’angolo? Perché loro dovevano essere così simili, perché non poteva essere una persona diversa da lui?!
Tanto più tentava di impedirlo, tanto più i suoi occhi si stavano inesorabilmente inumidendo. Non aveva più controllo, non aveva più un misero briciolo di autocontrollo.
Le braccia di suo fratello lo raccolsero in un abbraccio che voleva essere per lui rassicurante, amorevole… un abbraccio di cui lui era assolutamente immeritevole.
« Sans… sfogati, se ne hai bisogno… ci siamo solo tu ed io. » Gli disse Papyrus, attirandolo a sé, contro il proprio petto, permettendogli di lasciar cadere le lacrime più gelide che avesse mai versato, perché da esse non riusciva a trarre alcun conforto. Sapeva che non era nemmeno degno di ricevere nessun tipo di conforto, non era degno di essere abbracciato, non era degno di stare nella stessa stanza con suo fratello. E la lista continuava, continuava, continuava
Eppure, nonostante quella consapevolezza, il conforto non gli era ancora venuto a mancare, non aveva ancora lasciato quella stanza, non aveva ancora smesso di abbracciare Papyrus. Anche se sapeva di non essere all’altezza di quelle cose, le stava comunque ricevendo – e senza fare nulla per rifiutarle.
Era un egoista.
« P-Papyrus, scusami s-se sono un fratello orribile, s-scu-scusami... »
La voce lo abbandonò dopo solo quelle poche parole, tramutandosi in un susseguirsi di singhiozzi. Era un fratello orribile, e tutto quello che aveva da offrire erano soltanto patetiche scuse e pianti.
« Shhhh… non è vero, Sans… non è assolutamente vero… calmo... » Gli sussurrò Papyrus, la mano guantata dell’altro sulla schiena era un peso che voleva essere confortante, ma che si stava sfortunatamente rivelando tutto l’opposto… eppure, Sans non voleva rinunciare nemmeno a quello, alla sensazione del tessuto familiare di quei guanti che tentavano di alleviare il suo dolore.
E non poteva non chiedersi perché suo fratello continuava a stargli vicino, perché ancora si ostinava a volerlo tranquillizzare, a dispetto di tutte le bugie che gli aveva detto. Perché lo stava facendo? Doveva lasciarlo in pace, doveva stargli lontano, perché tutto questo allora?!
Perché lui non sapeva, gli suggerì giustamente la sua mente e Sans non ebbe il potere di contraddirla.
Non aveva mai saputo niente, suo fratello. Altrimenti, si comporterebbe come Chara. Altrimenti, si comporterebbe come Frisk.
Bugiardo, gli aveva detto – gridato.
Ed era tutto ciò che era sempre stato… solo un bugiardo






Sameko's side
Dovevi chiamarla tu baka, non aspettare di essere chiamato.

Questo capitolo è talmente depresso che, boh, chiedo tanto venia, ma tutta questa depressione era assolutamente necessaria. ^^" 
Mentirei se dicessi che ne sono completamente soddisfatta ma, ad essere sincera, l'ho letto così tante volte che posso recitarlo a memoria
– e ogni volta non mi sembrava mai abbastanza. Rimandando l'aggiornamento avrei tenuto fermo questo capitolo ancora una settimana e non mi sembrava il caso. :/
Parlando del capitolo in sé, ero parecchio indecisa se inserire questa piccola sottotrama con i Dreemurr, ma riflettendo ho realizzato che più avanti non avrei avuto il tempo materiale tra una vicenda e l'altra di farlo. Siccome ci tenevo a rispondere ad una domanda che qualcuno probabilmente si sarà posto, ovvero come si organizzeranno Toriel ed Asgore ora che è Chara è di nuovo in vita?, ho optato per inserire la loro sottotrama in questo capitolo e continuare a svilupparla nei prossimi, senza staccare troppo con la trama principale ed ecco spiegato il motivo di tutto questo dramma XD.
Vi anticipo già che il prossimo non sarà un aggiornamento lampo, poiché mi trovo in difficoltà tutt'ora sul come far procedere alcuni punti in maniera soddisfacente e, soprattutto, funzionale al proseguire della vicenda. Il capitolo arriverà comunque il prima possibile, abbiate pazienza! ^^
Buona serata e baci!


Sameko

 
   
 
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