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Autore: Chiharu    30/08/2017    3 recensioni
"Quando rimaneva da solo a pensare, quando cercava di affrontare la sua coscienza, le sue paure, c’era qualcosa dentro di lui, una voce, un altro se stesso che gli urlava dietro di essere una nullità, che non importava quanto si sarebbe impegnato, non avrebbe mai potuto liberarsi di ciò che era stato, dei soprusi subiti, delle violenze. Sarebbe rimasto per sempre quel ragazzino terrorizzato ed impotente, corrotto e sporcato dalla crudeltà del mondo in cui lui riusciva ad esistere appena. Appeso ad un filo, tra il lasciarsi andare e combattere per essere migliore."
***Sono stata scossa dalla morte di Chester come molti, pertanto ho provato a ricreare quello che può essere stato il suo stato d'animo in quei momenti. Spero possiate apprezzare questo piccolo tributo.***
Genere: Drammatico, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chester Bennington
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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DEMONS

 
Era ormai l’alba. La sua figura se ne stava placidamente seduta su una sedia, mentre il suo sguardo vagava lontano, cercando di andare oltre i confini dell’orizzonte. In bocca una sigaretta che stava quasi per spegnersi ed un sorrisetto amaro si formava sulle sue labbra. Ogni cosa si spegne. La vita è un po’ come una sigaretta : breve. Si accende con una fiammata, inizia a bruciare ed a consumarsi. Quello stesso fuoco che le fa prendere vita, la distrugge ed infine non rimane che cenere. Guardandolo dall’esterno non si vedeva nulla, appariva calmo e sereno nelle prime luci del mattino, quasi timido, come il sole che iniziava a sorgere. I mostri che gli strisciavano sotto la pelle, fin dentro le ossa, non lo abbandonavano mai. Si alzò e lentamente si diresse accanto al suo letto, prese l’iPod e si immerse in quel mondo che da tempo gli salvava la vita: la sua musica, la sua band. Le prime note di una delle sue canzoni iniziarono a fluire, penetrando la sua corazza malinconica e diventavano un balsamo per la sua anima. Le cicatrici sul suo cuore smettevano per un po’ di sanguinare e questo gli dava sollievo.

Socchiuse gli occhi e guardò la donna che dormiva nel suo letto: Talinda, la sua seconda moglie. Il suo respiro sereno gli dava conforto. Lei che lo aveva accolto tra le sue braccia, che c’era sempre stata quando aveva bisogno, lei che si prendeva cura di lui e che gli aveva dato una delle gioie più grandi al mondo: i suoi figli. Un lieve sorriso si formò sul suo viso e chiuse gli occhi mentre continuava a lasciarsi cullare dalla musica.
I can't seem to find myself again
My walls are closing in
(Without a sense of confidence)
(I'm convinced that there's)
(Just too much pressure to take)
I've felt this way before so insecure

 
I pensieri che gli affollavano la mente, le sue ferite, il suo passato, cercava di far confluire tutto nella sua musica. “Crawling” ne era un esempio. Per quante volte riuscisse a rimettersi in piedi, a risalire dal baratro, gli sembrava che certe ferite non sarebbero mai guarite. Quel sordo dolore che sentiva, lo portava ad erigere muri fra sé e gli altri, lo portava a credere che non ne sarebbe mai uscito. Un senso di torpore iniziò a pervaderlo, sovrastando quell’angoscia che gli attanagliava il cuore e si addormentò.
 
***
“Vieni qui, Chester. Dove sei?”
Una voce maschile dal tono mellifluo lo chiamava, cercando di attirare quel bambino a sé. Chester riconobbe quella voce e si gelò sul posto, mentre osservava quell’individuo che cercava ovunque la sua preda. Lui capì subito cosa sarebbe successo di lì a poco, il panico iniziò a far presa su di lui. Disperato, iniziò a gridare “SCAPPA! SCAPPA IL PIU’ LONTANO POSSIBILE!” con tutte le sue forze, nella speranza che quel bambino si mettesse in salvo.
“Sei qui, Chester? Ti va di giocare insieme?”
Un macabro sorriso apparve sul volto di quel ragazzo, mentre aprì la porta di una piccola stanza al cui centro giocava un bambino di circa 7 anni. Chester si scagliò immediatamente contro di lui con tutte le sue forze ma fu inutile, non riuscì a toccarlo. Terrorizzato ed impotente gettò uno sguardo al bambino che fissava innocentemente la figura che lo avrebbe cambiato per sempre. Chester urlò e improvvisamente fu tutto buio.

Aprì gli occhi e si mise a sedere di scatto, mentre respirava a fatica, si coprì il viso bagnato dalle lacrime con le mani. Il sudore gli imperlava la fronte e il suo cuore non accennava a rallentare. Quell’incubo continuava a perseguitarlo da anni, da quel maledetto giorno. Sembrava che la sua mente volesse sbeffeggiarlo tormentandolo con i ricordi più dolorosi che si portava dietro, come a dimostrargli che era un illuso, che non poteva farci nulla. Era un povero illuso che nulla poteva contro i suoi demoni. Le ferite che la vita gli aveva inflitto sanguinavano ancora, lo avevano cambiato per sempre, rubandogli tutto. A volte si chiedeva come facesse a vivere ancora nonostante tutto.
Cosa poteva mai mancare ad un cantante affermato che aveva amici, una bella famiglia, fama e soldi? Mentre pensava ciò un sorriso storto si fece spazio sul suo viso, mentre le lacrime continuavano a scendere silenziose. Erano anni che combatteva una guerra contro se stesso, i fantasmi del suo passato, l’alcol e la droga. A lui non importava dei soldi o della fama. Da sempre sentiva un vuoto dentro di sé, come se qualcuno gli avesse rubato un pezzo del puzzle che era la sua vita. Nulla riusciva a farlo sentire davvero in pace con se stesso. Quando rimaneva da solo a pensare, quando cercava di affrontare la sua coscienza, le sue paure, c’era qualcosa dentro di lui, una voce, un altro se stesso che gli urlava dietro di essere una nullità, che non importava quanto si sarebbe impegnato, non avrebbe mai potuto liberarsi di ciò che era stato, dei soprusi subiti, delle violenze. Sarebbe rimasto per sempre quel ragazzino terrorizzato ed impotente, corrotto e sporcato dalla crudeltà del mondo in cui lui riusciva ad esistere appena. Appeso ad un filo, tra il lasciarsi andare e combattere per essere migliore. Era stanco.

Si alzò dal letto per dirigersi in salotto, aveva bisogno di spegnere il cervello, lasciarsi annebbiare completamente. Si versò un bicchiere di whisky e lo mandò giù tutto d’un fiato, poi ne seguì un altro ed un altro ancora. A quel punto si spostò verso il bagno e si abbandonò al getto caldo della doccia. Le gocce d’acqua gli colavano sul viso come lacrime, mantenere la calma era difficile. I ricordi gli riempivano la mente, alimentando le fiamme che da tempo gli bruciavano il cuore. Come si può spiegare un dolore del genere a parole? Ne aveva passate tante, lui. Aveva tentato ogni strada per liberarsi da quella gabbia in cui viveva, era arrivato ad autodistruggersi e nulla aveva funzionato.

“Patetico.” Pensò sorridendo debolmente. Poteva cantare quanto voleva e riversare il suo dolore nella sua musica come preferiva, ma lui era sempre lì. Si sentiva come un oggetto difettoso, non importava quante volte avessero tentato di aggiustarlo, non ci riuscivano mai. Sapeva che qualcosa non andava in lui, conosceva l’origine di tutti i suoi tormenti, i suoi demoni. Loro crescevano con lui. Sospirò rumorosamente seguendo il filo dei suoi pensieri.
***
Erano circa le 9 del 20 luglio. Non riusciva a dormire. Tornò a fissare il mondo al di fuori della finestra e la sua mente, stavolta, lo portò da Chris. Uno dei suoi più grandi amici, un’anima sensibile come poche al mondo, una di quelle che riescono a capirti anche senza parlare. Chris non c’era più. Sapeva bene che anche lui aveva i suoi demoni. Quante volte si erano incoraggiati a vicenda, quante volte gli aveva detto di lottare, di non lasciarsi abbattere… e poi, lui per primo era diventato la vittima di se stesso. Da una parte non riusciva a perdonarglielo. I suoi occhi iniziarono a pizzicargli. Lacrime mute iniziarono a solcargli nuovamente il viso. Quanti momenti felici avevano condiviso insieme. È assurdo come una persona possa sparire per sempre, all’improvviso. Poteva sembrare sciocco od esagerato, ma perdere Chris era come perdere un pezzo di se stesso. Quel dolore si aggiungeva ad altro dolore ancora, mentre nel petto si formava un buco. A volte si chiedeva se fosse rimasto ancora qualcosa di quel cuore. Ad ogni sconfitta, ad ogni perdita, lo sentiva rompersi un po’ di più.

Doveva fare attenzione, concentrarsi per evitare di perdere il controllo, per evitare di essere sopraffatto. Si sentiva un po’ come un’anima in pena dantesca. Lui: un anima che camminava sulla terra, che cercava disperatamente di liberarsi dei suoi dispiaceri, che voleva la pace, voleva sentirsi completo. La terapia che seguiva lo aiutava ma non era sempre efficace. I giorni bui tornavano sempre, dopotutto, non si può impedire alle nuvole di coprire il sole, né alla pioggia di cadere. Non si può impedire ad un uragano di spazzare via tutto, si può solo sperare che il sole torni a splendere e di avere abbastanza forza da rimettersi in piedi. Che altro puoi fare se non raccogliere i pezzi?
Ma lui era stanco anche di questo. Non voleva più raccogliere i pezzi, voleva che si tenessero insieme da soli, voleva che quei fantasmi neri lo lasciassero in pace, voleva dimenticare ma non poteva. In un attimo tutta la sua vita gli passò davanti: vide le prime gioie e i primi grandi dolori, vide la sofferenza, le sue battaglie, le sconfitte che gli bruciavano il cuore, la dolcezza dell’amore che sanava le sue ferite, i demoni che albergavano la sua testa e  lo stringevano nella loro morsa, la vita che tante volte gli era scivolata tra le dita.

Dopo 40 anni su questa terra, piangeva ancora come un ragazzino, soffriva ancora come un ragazzino. Credeva di essere andato avanti ma non ci era mai riuscito. Fino ad allora era semplicemente sopravvissuto. I ricordi si susseguivano come un film nella sua mente. Non riusciva più a sopportare il peso delle violenze e degli abusi. Gli sembrava che tutto il dolore di una vita intera gli si stesse rovesciando addosso in quel momento. Aveva un vago ricordo di una frase che aveva sentito dire una volta, sorrise amaramente tra sé, fra le lacrime, e pensò che, forse, era proprio vero che non tutti gli uomini sono fatti per vivere.

Prese la sua decisione, approfittando della serenità che regnava in casa: era solo. Pochi minuti dopo era pronto a non guardarsi più indietro. Aveva fatto tanti errori nella sua vita, doveva ancora fare ammenda per molti di essi. Avrebbe dovuto chiedere scusa anche per questo, soprattutto ai suoi figli e a Talinda. Il loro pensiero lo fece sentire ancora più abbattuto, più impotente. Dopo poco si lasciò andare, il dolore del soffocamento era penetrante, gli occhi bruciavano. Guardò per un’ultima vola fuori dalla finestra, sorridendo lievemente.
Chiuse gli occhi. Le sue ultime lacrime gli scivolavano addosso mentre i suoi pensieri volavano alle persone più importanti della sua vita e chiedeva perdono.

 “Mi dispiace” furono le ultime parole che riecheggiarono nella sua mente. Come un’eco. 

Poco dopo non c’era più nulla: nessun cuore batteva più, nessuna lacrima veniva versata, nessun corpo veniva scosso dai singhiozzi e dagli incubi. Era rimasto solo il buio della morte accompagnato dalla musica che ancora si udiva in quella stanza, mentre le ultime note di una canzone si facevano largo in quel silenzio: “I’ve become so numb”.





**SPAZIO AUTRICE:**
Salve a tutti. Innanzitutto vi ringrazio per essere arrivati a leggere fino a qui. Come molti, sono stata scossa anche io dalla morte di Chester e con questo mio piccolo scritto ho provato a ricreare le sue emozioni, ciò che ha potuto sentire in quegli ultimi momenti di vita. Spero vi sia piaciuto il modo in cui ho tentato di raccontare il tutto. Fatemi sapere cosa ne pensate.
   
 
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