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Autore: MarlboroRosse_    31/08/2017    0 recensioni
Alla sua età Nora pensa troppe cose. Ad esempio, cosa porta le persone a compiere un determinato gesto? Capire il linguaggio del corpo e indagare sull’omicidio che due anni fa avvenne in casa sua, sono un’ossessione.
Due ragazzi uguali, ma opposti nel loro modo di essere.
Tutti e due sono tormentati da qualcosa.
Roy ha due passioni: l’astronomia, e poi Grace. Entrambe troppo lontane per lui.
Davis, affascinante barman, non sa più chi è. Per quanto si sforzi, non riesce a cogliere il significato di quei flashback.
Cosa succederebbe se qualcuno cercasse nel vuoto della sua mente?
Quale collegamento c’è tra i quattro?
Genere: Malinconico, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: PWP | Contesto: Contesto generale/vago
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Nora
Il camion dei trasporti é arrivato qualche ora fa e tutti gli scatoloni, la maggior parte contenenti roba mia, sono ancora ammucchiati davanti alla porta d'ingresso rendendo  difficile il passaggio. Mia madre continua a richiamarmi invitandomi a disfarli, ma io non ho proprio voglia. È giá tanto se ieri ho fatto il letto e sistemato alcuni vestiti nell'armadio, ovviamente dopo aver pulito la stanza. Sono troppo puntigliosa per queste cose, detesto la sporcizia.
Mio padre si è messo alla ricerca di un nuovo lavoro, ma non ha ancora ricevuto notizie. In questa città la vedo difficile ma non voglio essere pessimista.
Sistemo il portatile sulla scrivania davanti alla finestra e tiro fuori i miei libri dalla valigia, che ripongo sullo scaffale in alto. Traslocare é la cosa che odio di più, troppo faticoso.
Sono in questa casa da meno di dodici ore e già non la sopporto. Ci sono ragni ovunque, polvere, mobili da sistemare e soprattutto è fredda come un igloo. I miei hanno detto che tra poche ore dovrebbe arrivare un tecnico che ripari i riscaldamenti, ma ne dubito. Il nostro quartiere è parecchio lontano dal centro. Sbuffo e indosso il primo maglione che trovo in valigia. L’unica cosa positiva è che finora non ho avvistato ratti o lo spettro di uno degli ex inquilini. Come gli è venuto in mente di trasferirci proprio qui?
《Nora, vieni a pranzare. 》Mi chiamano dal piano di sotto e io entusiasta mi catapulto nel corridoio. Amo mangiare, è la mia unica consolazione in certi momenti. Scendendo le scale però non sento l’odore che mi aspettavo. Per la verità, c’è lo stesso tanfo di chiuso che c’era da quando abbiamo messo piede in questa casa. Entro in cucina e guardo rapidamente il tavolo. Nel piatto c’è dell’insalata mista e del sushi che devono aver comprato nel negozio infondo alla strada.
《Sul serio? 》 Chiedo abbattuta.
《Il gas non funziona, tesoro.  Per oggi dobbiamo accontentarci. 》 Mi spiega mia madre. Eppure sanno che odio il pesce. O almeno, dovrebbero.
 
Resto chiusa in camera mia per tutto il pomeriggio, convivendo con l’ansia del primo giorno in una nuova scuola. Decido di fare delle ricerche su internet. Non abbiamo visto delle foto, né controllato se è in buone condizioni o se lo standard sia alto, mi ci sono iscritta e basta, dovrò almeno sapere dove si trova.
Digito su Google “Saint Louis University School” e attendo che la pagina carichi.
In primo piano mi appare il logo: la sagoma dell’edificio verde su fondo grigio. Originale.
Scorro più in basso dove trovo tutte le informazioni, quali telefono, indirizzo, numero iscritti, fondazione. Annoto qualcosa e poi clicco sulle immagini. Non sembra male, è circondato da un cortile, la facciata è quasi interamente in vetro e davanti c’è un parcheggio per le auto.
Guardo gli interni: la mensa è enorme e assomiglia al Mc Donald’s, le scale sono munite di ringhiere trasparenti così come la maggior parte dei parapetti. Sembra un enorme centro commerciale, con corridoi che si intrecciano e vanno in tutte le direzioni. Mi chiedo come farò ad orientarmi.
Ad un tratto sento un tonfo provenire da sopra e sobbalzo. Chiudo il portatile e prendo la forbice che c’è nel cassetto, se dovesse essere un assassino avrò qualcosa con cui difendermi. Un altro tonfo. Scatto in piedi e mi guardo intorno. I miei genitori non sono nemmeno in casa, non possono essere stati loro. Magari è davvero lo spirito dei vecchi inqulini, perciò mi maledico all’istante di aver pensato quelle cose prima. Il cuore mi batte forte e quando qualcosa atterra sul davanzale della finestra lancio un grido. Ci metto qualche secondo a realizzare che è solo un gatto. Abbasso la guardia e lascio andare un sospiro di sollievo, lui mi guarda accigliato e poi balza sul ramo dell’albero. Mi lascio cadere sul letto. Mi sto facendo troppe paranoie, il sovrannaturale non esiste.
 
L’indomani avendo dimenticato di puntare la sveglia mi alzo che è già tardi.
Non sono abituata a truccarmi, sarà una perdita di tempo in meno. Mi guardo allo specchio e vedo la stessa Nora di due anni fa, gli stessi lineamenti, occhi grandi e labbra sottili, lunghi capelli e pelle scura. Ho cambiato vita, magari dovrei provare anche con  me stessa.
《Cambiare. 》Lo ripeto a voce alta perché mi sembra impossibile. Mi lavo ed esco dal bagno, sorbendo il rimprovero di mia madre nel vedermi ancora in asciugamano a quest’ora. Scelgo accuratamente qualcosa da mettere, do una sistemata ai capelli e scendo in cucina. Prendo un bicchiere di spremuta, e poi guardo l’orologio sopra il frigorifero: ho ancora cinque minuti, sono in perfetto orario. Mi compiaccio mentalmente fin quando non arriva mio padre a farmi sentire un’incapace.
《Potevi almeno preparare dell’altra spremuta invece di berla tutta, sai che non possiamo cucinare nulla. 》Dice ancora in pigiama.
Alzo gli occhi al cielo. 《Non ho tempo, ti ricordo che devo andare a scuola. E poi nel frigo c’è del latte. 》Rispondo in tono freddo prima di uscire dalla stanza, facendolo restare interdetto. Non può farlo lui dato che resterà tutto il giorno a casa? A volte sembra che il genitore qui sia io.
Dopo una mezz’ora buona, mia madre riesce a trovare l’indirizzo del college, e io la saluto blaterando un semplice “ciao” prima di scendere dalla macchina. Non voglio che si offra di accompagnarmi dentro.  Considerando che la campanella è appena suonata sono in ritardo, ci metterò un po’ prima di passare in segreteria.
Guardo l’enorme facciata uguale a come l’ho vista nelle foto e faccio un respiro profondo prima di varcare l’enorme portone. Dovrei essere nervosa, invece non lo sono. Penso che non potrà mai andare peggio che nella mia vecchia scuola, è questo che mi incoraggia.
 
《Qual è il suo nome? 》Mi chiede una donna di mezza età, grassa e con un orripilante pelo sul mento. E’ seduta dietro al bancone della segreteria e tiene in mano un grosso raccoglitore ad anelli con la copertina verde. Ci ho messo un po’ a trovarla, ma per fortuna nell’androne c’era un cartello che indicava la direzione giusta.
《Nora Anderson.》Dico impaziente mentre osservo l’orologio dietro di lei. Ci sono tavoli colmi di carte e un altro dipendente, che però non riesco a vedere in viso perché è di spalle.
《Qui non c’è nessuna Nora Henderson. 》Chiude il libro e mi guarda con sufficienza, invitandomi ad uscire.
Anderson, non Henderson. 》Scandisco bene le parole e cerco di mantenere un tono calmo.
Alza un sopracciglio e controlla nuovamente tra le pagine. 《No, nemmeno. 》
《Cosa? 》Sbuffo.
《Non sei iscritta. Cosa non hai capito? 》
《E’ impossibile. Ho mandato la richiesta due mesi fa. Via email. Non potrebbe controllare meglio?》
《Ascolta, ragazzina. Non ho tempo da perdere. In questo elenco non risulta il tuo nome. Cosa posso farci io? Va’ a lamentarti dal rettore. 》Risponde nel modo più sgarbato possibile.
《Grandioso. Grazie mille. 》Dico in tono acido prima di voltarle le spalle e uscire dalla stanza.
《Vecchia incallita.》Borbotto a voce alta.
《Aspetti! 》mi urla una voce maschile. Mi giro e vedo un ragazzo dietro al bancone che potrebbe avere non più di venticinque anni. Mi indico con sguardo interrogativo. 《Si, lei.  Ho trovato la sua iscrizione. Era stata messa per sbaglio tra quelle del primo anno, ma lei andrà al…》guarda per qualche secondo la pagina che tiene in mano. 《Ultimo anno, dico bene? 》
《Si. 》mi avvicino interdetta e lui mi porge il foglio, soffermandosi per un attimo sulla pagina.
《Ha due cognomi? 》
《Già. 》Rispondo a disagio. 《Me ne dimentico sempre.》mento.
Sembra non farci caso.《Dovrebbe finire di compilare questa pagina e mettere una firma qui. 》
Faccio come mi ha detto e poi mi consegna l’orario scolastico più una piantina della scuola.          《Potrebbe servirle, qui è parecchio grande. Benvenuta alla Louis University School. O più semplicemente al LUS.》Sorride. Lo ringrazio e prima di uscire mostro un’espressione compiaciuta a quella cafona della segretaria.
 
I corridoi sono deserti perché le lezioni sono già iniziate da un pezzo. Per fortuna, almeno non farò la figura della sfigata che non capisce dove andare pur avendo la mappa dell’edificio in mano.
Cerco di capire da che lato guardarla, e poi finalmente riesco a trovare il punto esatto in cui mi trovo. La prima lezione suonerà a momenti, sarebbe inutile andarci. Mi dirigo allora verso la caffetteria che si trova proprio in questo andito e mi siedo a uno dei tavoli ad aspettare. Nel frattempo studio il percorso che dovrò fare. Osservo i tavoli ben disposti, tutti verdi con le sedie grigie, le tende e il pavimento a scacchi coordinati. Mi sta venendo la nausea, ma per fortuna almeno le pareti sono bianche. Con i bordi verdi. Alzo gli occhi al cielo, e quando li riabbasso noto un ragazzo che mi sta fissando dall’altro lato della stanza. Invece di fare finta di niente, continuo a guardarlo con sfida. Cosa vuole?  Il contatto visivo sta durando troppo. Dai miei studi deduco che il soggetto voglia imporre superiorità o addirittura una minaccia. Per fortuna si decide a parlare.
《Sei nuova? 》mi chiede per niente a disagio. In effetti non ha l’aria di essere timido. E’ adagiato sulla sedia come se si trovasse su una poltrona, ha i capelli castani tirati su, e da qui riesco ad intravedere il luccichio di un orecchino. La cosa strana è che non indossa l’uniforme.
《Anche tu sei nuovo? 》Chiedo senza riflettere.
Assottiglia lo sguardo. 《Ti ho fatto una domanda. 》
《Be’, anch’io. 》E poi cosa gli importa? Mi avvolgo i capelli attorno al dito nervosa.
《Pensi di essere divertente? 》Adesso assume una posizione composta.
《Affatto. 》Sorrido e vedo che il suo sguardo si addolcisce un attimo.
《Comunque no, non sono nuovo. 》Fa lui, e la campanella suona prima che qualcuno dei due possa aggiungere altro. Raccolgo le mie cose e prima che sia uscita aggiunge: 《Ci si vede. E…Ah!》Mi richiama. 《Hai una chewingum appiccicata al sedere.》
Imbarazzata cerco a tentoni con la mano e mi accorgo con orrore che non scherzava.
 
《Ti ringrazio della tua osservazione, ma avresti potuto risparmiartela. 》dico acida prima di sparire dalla sua vista. Non solo per la figuraccia, ma perché non voglio  socializzare con nessun tipo strano. Soprattutto se era intento a guardarmi il sedere.
 
 
Il professore di storia è un uomo che dimostra meno di trent’anni, tanto che lo avevo scambiato per un alunno. Sembra parecchio imbranato, ed è insicuro quando parla. Dei ricci castani gli ricadono sulla fronte, e indossa una camicia abbottonata fin troppo stretta con dei pantaloni da imprenditore d’affari. Il tutto non si addice alla sua immagine, sembra che qualcuno gli abbia imposto questa vita.
《Bene ragazzi, io mi chiamo Steve. Be’… forse dovreste chiamarmi Professor Steve. 》Balbetta. 《O Thompson. 》
Noto che tutti si guardano in modo strano, e lui si massaggia la nuca a disagio. 《Sostituirò il vostro insegnante per almeno un mese, che purtroppo ieri ha avuto uno spiacevole incidente. 》E poi senza dilungarsi troppo inizia la lezione. In verità è più una presentazione generale.
Mi sono seduta in terza fila, le ultime erano già occupate. Sono accanto alla finestra, da qui si vede tutto il retro dell’edificio. C’è un enorme campo da Basket pieno di posti vuoti. Nessuno sta giocando e gli alberi attorno si muovono troppo per via del vento. Forse avrei dovuto portare una giacca.
《Ma… ehi. 》 Improvvisamente si interrompe.  《Ho appena letto che tra di noi c’è una nuova iscritta. 》Mi sento avvampare.
《Non conosco nessuno di voi, perciò cortesemente potrebbe alzare la mano? 》
Tutti si girano a guardarmi come se fossi una cavia da esperimento. Il professor Thompson fa una breve risatina. 《Non ti chiederò di raccontarci della tua vita, so quanto possa essere imbarazzante. 》Probabilmente sta rievocando i vecchi tempi del liceo.
E’ proprio qui che si sbaglia. Prendo l’iniziativa e mi alzo in piedi. 《Scusate se non mi sono presentata, non sapevo da dove iniziare. Mi chiamo Nora Anderson, vengo dall’Oregon.》Mi fermo qualche secondo pensando a come proseguire. 《Mi sono trasferita perché la mia vecchia scuola, la Western, faceva schifo. Perciò se un giorno andrete a vivere lì, seguite il mio consiglio e non iscrivete i vostri figli. 》
Molti si mettono a ridere, compreso l’insegnante.
《Nora Anderson Calisi. 》Scandisce bene e qualcuno nelle ultime file sghignazza. 《Posso chiederti che origini hai? 》
Pensavo di averla scampata, ma non mi resta che rispondere. 《Mia madre è italiana, ha voluto che prendessi anche il suo cognome. 》
《Capisco. Grazie per la tua presentazione. 》Sorride e finalmente prosegue la lezione.
Sono sollevata che la mia entrata non sia stata imbarazzante come quelle che si vedono nei film, vale a dire “Benvenuta dicci come ti chiami e… oh guarda, c’è un posto libero accanto quel ragazzo sexy, mettiti pure accanto a lui”. Almeno ho deciso io dove sedermi e poi i banchi sono singoli, non avrei avuto comunque questo problema.
Ripenso alla mia vecchia scuola e mi rendo conto che ero proprio una sfigata. Tre anni fa non avrei mai pensato di fare una cosa simile, ma oggi mi è sembrato del tutto naturale. Questo colpo di scena deve aver dimostrato che sono una “tipa forte” e forse da adesso sarà così.
In più ho scoperto che essere al centro dell’attenzione mi piace.
 
Per quanto riguarda gli altri professori non si sono interessati molto alla questione nuova arrivata, già mi piace. Nella mia vecchia scuola veniva notata e massimizzata qualunque cavolata, non saresti potuto passare inosservato nemmeno se avessi avuto un mantello dell’invisibilità addosso. Un motivo in più per cui la odiavo.
L’ultima ora è la più noiosa, almeno per me: educazione fisica. Non che mi piaccia oziare, ma sono abbastanza timida per mettermi in mostra come la maggior parte delle ragazze che si credono Cheerleaders nate. Mi faccio coraggio e apro il portone della palestra interna. Osservo l’enorme gradinata, interamente vuota. Tutti i ragazzi sono riversati sul campo e giocano a pallavolo. L’insegnante, un tipo pelato e muscoloso, non fa altro che fischiare per richiamare la loro attenzione. Cosa dovrei fare, inserirmi nella squadra? Non conosco nessuno e non ho l’abbigliamento adatto.
《Scusa. 》Dice la voce di una ragazza dietro di me. Subito penso sia la classica eroina che arriva a socializzare con la nuova arrivata mentre si guarda intorno in cerca di una via di fuga, perciò mi giro con troppa foga.
《Si? 》Chiedo speranzosa. La ragazza davanti a me indossa un’uniforme bianca. Per fortuna, anche se il fiocco che le tiene la coda è verde.
《Dovrei passare, stai intralciando il passaggio. Se non hai voglia di fare niente magari potresti sederti. Guarda quanti posti liberi.》Indica le tribune.
Decido che sia meglio non litigare con nessuno almeno il primo giorno, e senza fare troppe storie faccio come mi ha detto. Scende le scale come se stesse sfilando sul Red Carpet e quando arriva dalle sue compagne bisbiglia qualcosa sottovoce, facendole ridere. Una di loro guarda verso di me ma lei le tira una gomitata.
Tipico, sparlano della ragazza sfigata.
Poco più in là scorgo qualcuno intento a leggere. Ormai ho capito, nessuno verrà in mio soccorso perciò mi faccio coraggio e mi avvicino.
《E’ proprio noioso, vero? 》
Sobbalza. 《Oh dio. 》
《Scusa, non volevo spaventarti. 》Faccio una risatina nervosa.
《No, tranquilla. Non ti avevo sentita arrivare.  Comunque si, ma di solito impiego quest’ora per leggere. Tanto nessuno controlla se stai lavorando o meno. 》
《Be’, buono a sapersi. Però mi sarebbe piaciuto fare la Cheerleaders. 》
Chiude il libro e mi rivolge tutta la sua attenzione.《Non te lo consiglio. Clarissa è il capitano, ed è la più antipatica. Se ci fai caso la squadra è formata solo dalle ragazze snob. 》Mi giro verso di loro.
《E fighe.》
《Si, esatto. 》Ride.
《Tanto non lo avrei fatto comunque. 》
Mi guarda strano ma non si dilunga sull’argomento. 《Mi chiamo Aubrey. Potrei avere l’onore di sapere come ti chiami dato che hai interrotto la mia lettura? 》Lo dice scherzando.
《Nora. Vengo dall’Oregon. 》
《Wow, strano. Ecco perché hai la carnagione così chiara. Qui la temperatura è un po’ più alta. 》
《Già, infatti odio la pioggia. 》
《Punto in comune. 》Fa lei.
Più la guardo e più non capisco perché se ne stia qui tutta sola. Eppure è molto più bella di me, con i capelli rossicci e ondulati che le arrivano sotto le spalle.
《Ti va se andiamo a farci un giro? Abbiamo ancora un’ora. 》Mi chiede dopo essersi accorta che la sto fissando, e io acconsento.
Aubrey ne approfitta per offrirmi una visita dell’intero edificio. Ho anche scoperto che le matricole possono richiedere una guida a pagamento. Chi sarebbe così stupido?
《E questo è il laboratorio di botanica. Tutti i laboratori scientifici si trovano nel compartimento cinque, quelli di lingue nel sei, e di informatica nel sette. 》
La guardo accigliata.《Non credo che ricorderò qualcosa, al massimo dove si trovano i bagni. 》
Fa una risatina. 《Non preoccuparti, all’inizio è difficile per tutti. 》
Quando torniamo nell’ala Ovest dell’edificio, la campanella suona. Si offre di accompagnarmi fino a casa in modo che io non sia costretta a prendere il bus. E’ un’ottima comodità avere la macchina, ma purtroppo serve a mia madre. Non so se sia venuta apposta ad accompagnarmi o se realmente abita da queste parti, ma le sono comunque grata. La ringrazio prima di scendere mentre penso che forse non è così difficile farsi degli amici.  Basta solo non reputare tutta la gente uguale, anche se probabilmente alla fine lo è. Ma se pensiamo che al mondo ci sono miliardi di persone, qualcuno di diverso dovrà pur esistere per noi. No?
   
 
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