Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: theethee_    31/08/2017    3 recensioni
L'amore tra carriera e sogni. Chiara, una scrittrice diciannovenne alle prese con il suo primo successo e un segreto ormai troppo ingombrante.
Alice, giovane giornalista famosa per la sua acidità e per la capacità di mettere chiunque in difficoltà. Un cuore di ghiaccio che deve fare i conti con molti aspetti della sua vita che sono ormai un peso.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


drin drin: solo un piccolo appunto. So che d’estate si è presi dalle vacanze e tutto un po’, però questo capitolo e lungo quindi godetevelo per bene. Per favore, ditemi nelle recensioni che ne pensate perché per me è davvero importante. Buona lettura!

-Alice è molto gentile! Non doveva proprio accompagnarci in stazione- dice mia mamma tutta contenta.
-Mamma, se l’ha detto è perché lo fa volentieri. Tanto deve andare in ufficio ed è lì vicino- dico sorridendo.
Lei mi annuisce convinta in risposta.
-Stavo pensando che non dovresti dare tutti quei vizi al tuo gatto!- dice poi dal nulla.
Alzo gli occhi al cielo. -Oh, dai mamma! Farlo dormire nel mio letto non è un vizio-
-Ma farlo salire sul tavolo sì- dice seria.
Io sbuffo e poi continua: -Alice è contenta che quella palla di pelo si infili nel vostro letto e dorma tra voi due? Non penso- dice con un sorrisetto che non le ho mai visto.
Per fortuna scorgo la macchina della mia ragazza all’orizzonte ed esclamo: -Eccola!-, costringendola a lasciar perdere il discorso intrapreso.
Alice si parcheggia davanti a noi e scende immediatamente.
Vedendo lo sguardo di mia madre, penso che anche lei sia rimasta sorpresa dalla bellissima e lussuosissima macchina di Alice. eh, mi sa che capiti un po’ a tutti: una giovane ragazza con una macchina costosa e bellissima? Non è roba da tutti i giorni.
-Buongiorno!- ci saluta cordialmente lei venendoci incontro. Prende le valigie e le carica con facilità in macchina.
Ci mettiamo in viaggio e subito mia madre la ringrazia per il gesto.
-Alice non dovevi mica accompagnarci! Chiara ormai guida molto bene e io mi fido-
Lei ridacchia.
-Sì so che guida molto bene, infatti mi piace farmi scarrozzare da lei a volte! Però non è un problema, Aurora. Devo andare in redazione ed è proprio lì vicino, in più lo faccio con piacere-
Mia mamma risponde con un sorriso sincero.
-Lo sai che non manca tanto alle vacanze di natale e al compleanno di Chiara?- chiede lei con un palese secondo fine.
-Sì lo so, ormai manca poco!-
Io, seduta dietro, sbuffo sonoramente.
Perché per mia mamma è sempre stato un evento importante, il mio compleanno? Io odio i compleanni, le feste di compleanno e tutti i tipi di derivati.
-Eccola che sbuffa!- dice girandosi verso di me. -Non capisco cos’abbia mia figlia contro il giorno in cui è nata-
-Avrei una lista di motivazioni piuttosto lunga e corposa…- dico ironicamente.
Alice scoppia a ridere divertita.
-Sai Alice, a casa nostra è tradizione fare l’albero l’otto Dicembre e poi aspettare la mezzanotte per fare gli auguri a Chiara-
-Più che tradizione è un dispetto annuale che mi propinano- commento ancora acidamente.
Questa volta è mia mamma a sbuffare.
Intanto Alice continua a ridere sotto i baffi.
-Comunque, dovresti aggregarti a noi quest’anno, Alice-
Rimango spiazzata dall’invito di mia mamma.
Mia mamma che invita una persona appena conosciuta ad un importante pranzo di famiglia? Strano.
Penso proprio di essere finita in un universo parallelo.
-Aurora, io la ringrazio infinitamente per l’invito, però penso che sarei di troppo-  dice Alice con umiltà.
-Ma non dire sciocchezze! Il no non è contemplato come risposta- dice lei con tono serio.
-Allora direi che non ho scelta. La ringrazio immensamente-
-Figurati! Così ho un’altra spalla che mi aiuterà a dar fastidio a Chiara durante il giorno del suo compleanno-
Sbuffo per l’ennesima volta.
La coalizione della morte.
Anzi, forse peggio.
-Poi non trovi che il suo gatto sia un po’ viziatello?- chiede ritornando sul discorso di prima.
Ormai è ufficiale: mia mamma sta cercando di fare squadra con Alice.
Ovviamente la vittima sarò solo ed esclusivamente io.
-Beh… devo concordare con lei- dice Alice lasciandomi sola ed indifesa. -Ma quello che mi continuo a chiedere fin dal primo giorno in cui ho avuto il piacere di conoscere il suo gatto è: perché un gatto ha nome e cognome? In più il cognome di Paride è “Fish” che vuol dire pesce. Che senso ha?- chiede ironicamente lei a mia mamma come se io, seduta nei sedili dietro, non esistessi.
Quanto sta durando questo eterno viaggio in stazione?
-Mah guarda, non chiedermelo… ci ho rinunciato dal primo momento che l’ho vista guardare con occhi sognanti quella palla di pelo. Te l’ha detto come mai e quando l’ha preso?-
L’altra scuote la testa in risposta.
-Arriviamo qua a Torino con gli ultimi scatoloni da portare nel suo nuovo appartamento. In stazione c’era questa ragazza che regalava gattini appena nati. Ovviamente la signorina vede la scritta, poi la scatola piena di gattini e poi vede Paride… e addio! Ha cominciato a dire che non potevamo lasciarlo lì, che anche noi dovevamo fare la nostra parte per aiutare la cucciolata e che sicuramente un po’ di compagnia non le poteva far male. In poche parole, mezz’ora dopo c’era anche un batuffolo di pelo dentro quella nuova casa-
Io ridacchio da qua dietro nel ricordare quella strana giornata.
Pioveva fortissimo e noi eravamo cariche di valigie e borse, quindi eravamo già con i nervi a fior di pelle a causa del viaggio scomodo e della camminata sotto la pioggia che ci aspettava. Eppure, quando ho visto quei cuccioli il mio cuore ha smesso di pensare alla casa che mi stavo lasciando alle spalle e alla nuova avventura pericolosa che stavo per iniziare, ma ha iniziato a immaginare una vita con un compagno di dormite e di coccole.
Dopo aver lasciato i nostri bagagli a casa e dopo aver discusso una buona mezz’ora con mia mamma, che dentro di sé non vedeva l’ora di accarezzare quel batuffolo, siamo andate a prenderlo quasi correndo. Appena ho visto quel musetto nero sporcato da piccole macchie marroni che sembrano quasi oro, ho capito che lui sarebbe stato il mio compagno in quella nuova avventura.
-Sì, questo comportamento è proprio da Chiara!- risponde la mia ragazza ridendo in unisono con mia mamma.
-Paride e FIsh sono due nomi che ho sempre voluto dare ad un gatto- dico tentando di spiegarmi. -Un gatto che non ho mai avuto grazie a chissà chi… così ho colto l’occasione e ho dato tutti e due a lui. In più, Paride Fish suona dannatamente bene-
Le due davanti a me si guardano e poi scoppiano a ridere sonoramente.
Io sbuffo di nuovo, invece.
Sì, sono proprio finita in un universo parallelo.
Decisamente.
Quando Alice ci lascia davanti alla stazione, prontamente prende le valigie di mia mamma e la saluta con rispetto. Dall’altra parte Aurora rinnova il suo invito.
Quando Alice si gira verso di me, mi lancia uno sguardo dolce e un sorriso genuino. Io la saluto con un semplice abbraccio e ci dividiamo di nuovo.
-Binario 14- dico a mia mamma guardando il grande tabellone davanti a me.
Ci dirigiamo verso il treno e dico: -Hai davvero invitato Alice al pranzo dell’8 dicembre?- dico cercando di capire le motivazioni dietro la proposta.
-Certo! Mi sta simpatica!- risponde lei raggiante.
-Mamma sono felice che andiate d’accordo! Ma non pensi a p-
-Papà?- mi blocca.
Annuisco timidamente.
-Deve incominciare ad affrontare la realtà: sua figlia sta con una ragazza bellissima ed intelligente e sua moglie è solo felice di questo-
Mi stupisco della sua risposta. -Mamma, non sei mai andata contro il volere di papà durante tuti questi anni. Perché proprio ora? Ora che tanto sono lontana da casa e lui non si può più imporre su di me?-
-Perché ti ho vista finalmente felice, Chiara. Inoltre, come ho già detto, abbiamo già sprecato troppo tempo ad essere lontane e distaccate, non voglio più continuare- mi risponde genuinamente.
Le rispondo con un abbraccio sincero, l’unica via che trovo all’altezza delle sue parole. Un “grazie” mi esce dalle labbra quasi sottovoce.
Lei mi sorride e ci salutiamo poco dopo.
La guardo salire sul treno.
Mi piace questo universo parallelo, penso.

•••                                •••

-Fortini!- una voce maschile mi richiama dall’altra parte del corridoio.
Mi siedo composta sulla sedia da ufficio e butto giù il caffè bollente.
-Arrivo!- urlo in risposta.
Cammino lungo il corridoio trafficato evitando gli altri giornalisti che a testa bassa leggono le varie bozze del giorno camminando verso i loro cubicoli. Il caffè bollente incomincia a farsi sentire lungo la mia gola che fa a fuoco.
-Dica- esordisco facendo capolino nell’ufficio del capo redattore.
-Ho deciso di spostare il suo articolo verso le prime pagine e non verso la fine come avevamo previsto… non so se ha visto- mi dice serio.
-No, non ho avuto occasione di leggere l’edizione di oggi perché sto già lavorando a qualcosa di nuovo- dico timidamente.
-Mi piace questo spirito!-
Io rispondo con un sorriso sincero.
-Si può avere qualche anteprima?- chiede lui con un sorrisetto.
-È un’intervista-
Lui alza un sopracciglio con sguardo curioso.
Mi alzo e lo lascio così, su due piedi, sorridendo anche io con il suo stesso ghigno.
Dovrà aspettare anche lui come tutti gli altri.
Mentre torno alla mia scrivania intercetto Marta che è super indaffarata.
-Marta, cercavo proprio te- dico sorridendo. -Mi servirebbe un piacere-
-Alice lo sai vero che non sono più la tua segretaria personale?- ironizza lei.
Ma so che vorrebbe esserlo di nuovo. -Non vuoi far finta che tu lo sia ancora per i prossimi 20 minuti?-
Lei mi guarda curiosa. -Di cosa hai bisogno?- mi chiede subito dopo.
-Ce l’hai ancora quel contatto in Tribunale?-
Mi guarda interrogativa. -Sì! Perché?-
-So una cosa che in pochi sanno e se facciamo veloce possiamo avere lo scoop- dico prendendo il cappotto e facendo segno a Marta di seguirmi.
Usciamo nel freddo dicembre che immediatamente ci accarezza il viso nella sua morsa gelata.

-Ora Fortini, questa me la devi spiegare- dice Marta uscendo dal Tribunale.
-Spiegare cosa?-
-Come hai fatto a sapere di tutta questa storia prima di chiunque altro!-
Ridacchio.
-Ho la fortuna di abitare qua vicino e inoltre di essere passata proprio mentre la Digos entrava nel palazzo. Se la Digos entra in un tribunale può essere solo per un motivo- dico seria.
-Qualche magistrato è in pericolo-
-Bingo!- esclamo felice entrando in macchina.
-E noi abbiamo anche un’intervista con il suddetto magistrato- sogghigna lei.
Io annuisco orgogliosa del nostro materiale.
-Ma aspetta… come mai sei passata così presto di qua? Sei arrivata in ufficio solo un’ora più tardi!- mi dice lei.
-Dovevo portare la mamma di Chiara in stazione- dico vagamente.
-Perché tu dovevi portare in stazione la mamma di Chiara?- chiede con sguardo interrogativo.
Mi squadra curiosa.
-Ci deve sempre essere un perché?- chiedo a mia volta.
Rimaniamo in silenzio per qualche secondo.
Poi lei sussulta sul sedile del passeggero e sgrana gli occhi. -Non dovevi fare colpo su Chiara, ma sulla mamma di Chiara! Il che è ancora più importante!-
-Cos…? Che stai dicendo? La tua fantasia corre un po’ troppo, Marta- dico sperando che il rossore che sento dentro di me non stia colorando anche le mie guance.
-Non corre per niente, a forza di lavorare con una giornalista anche io ho imparato ad indagare…- dice lasciandomi un pizzicotto sull’avambraccio.
-Ahi! E questo per cos’era?- esclamo dolorante.
-Perché non me lo hai detto!- incrocia le braccia arrabbiata.
-Perché non possiamo ritornare alla fase in cui mi portavi il caffè e mi chiamavi Signorina Fortini?- sbuffo.
-Quella fase è passata da un po’ di tempo!- dice ancora imbronciata. -Alice, da quanto tempo ci conosciamo? Dall’inizio della tua carriera. Potevi dirmelo!-
Alzo gli occhi al cielo.
-Ma dire cosa?- sono ormai esasperata. Marta sa sempre come sfinirmi.
-Che te la fai con la mamma di Chiara!-
Sgrano gli occhi. -Ma sei pazza?! Non me la farei mai con la mamma della mia ragazza!- esclamo inorridita.
-Ecco quello che volevo- mi sorride lei con un ghigno malefico e con uno sguardo da vincitrice.
Maledetta me! Tiro un pugno leggero sul volante.
Come hai fatto a finire nella trappola della tua stessa segretaria? Fortini, stai perdendo colpi questo è ormai chiaro.
-Non è come sembra!- mi fermo al semaforo rosso.
-Alice, non incominciare- mi blocca. -Si vede da lontano miglia. Anche se lo ammetto, lei è molto più palese di te. Quando è venuta da me a chiedere aiuto per quel video, con quegli occhi da orsacchiotto morbidoso che dicevano “dobbiamo aiutarla a tutti i costi” oppure quando era perennemente preoccupata per te e per la tua udienza… ah! Per non parlare di quando tu la guardi con occhi sognanti e ti perdi nel tuo mondo di arcobaleni, oppure quando messaggiate come due adolescenti. Potrei continuare e la lista è lunga Fortini-
-Non messaggiamo come due adolescenti!- tento di difendermi.
-Ah sì? Ho visto chiaramente i meme che vi mandate quando, invece, dovresti scrivere articoli di giornale- sorride di nuovo, sicura di te.
-Questo è spiare Marta!-
-Hai finito con le accuse? Quella sotto accusa qua sei tu!- mi punta il dito contro.
Sgrano gli occhi.
-Non mi hai detto nulla! Non hai detto nulla alla tua segretaria! Capisci quanto è grave? Io sono la tua Donna e tu sei l’Harvey Specter della situazione- continua.
Il mio sguardo si posa su di lei. -Guardi Suits?- chiedo curiosa.
-Ma chi non guarda Suits?- mi guarda sconcertata. -Ma non è questo il punto. Harvey, tu devi dirmi tutto perchè ti puoi fidare della tua Donna. E non è “donna” come intendi tu ma Donna, come quella segretaria che spacca il culo a tutti-
-Ti stai calando un po’ troppo nel personaggio…- dico quasi spaventata.
-Di nuovo: non è questo il punto, Alice. A parte le battute, potevi dirmelo perché ti puoi fidare di me. Ti conosco da sempre e sei il mio punto di riferimento in mezzo a questo mondo maschilista e arrogante. Credimi, se fossi più aperta con il mondo che ti segue diventeresti un punto di riferimento anche per loro, anzi diventeresti ancora più importante di quanto tu non sia già. Chi ti piace e come ti piace, non cambierà mai la mia visione di te. Per me sarai sempre la giornalista dura e invincibile che mi ha insegnato tutto e questa nuova parte di te mi insegnerà solo nuove lezioni-
Rimango senza parole dal discorso di Marta.
Il mio cuore trema perché lei è la prima persona che mi dice qualcosa di così profondo.
Il mio sogno, fin da ragazzina, è sempre stato quello di essere qualcuno. Di avere il potere di spiegare i miei ideali e pensieri, ed essere ascoltata per davvero. Essere un modello per altre donne e ragazze, e forse questo stava accadendo proprio sotto i miei occhi senza accorgermene. Eppure, Marta è arrivata per fare luce.
-Sono davvero un punto di riferimento?- chiedo timidamente.
-E penso non solo per me- dice annuendo.
Il silenzio regna sovrano e una volta che ci parcheggiamo di fronte alla redazione rimaniamo sedute in macchina silenziosamente.
Non avevo mai pensato di essere un riferimento per Marta.
Sapevo, grazie ai miei fan, che il sogno di un’Alice dodicenne si stava lentamente realizzando ma avere qualcuno in carne ed ossa, qua vicino a me, che dice “sei sempre stata il mio punto di riferimento” beh, è tutt’altra storia.
-Ti ringrazio per le tue parole, Marta- dico sinceramente spezzando il silenzio. -Ho sempre sognato di diventare una donna alla quale altre donne si ispirano, però sentirlo dire da te… che mi conosci da anni e meglio di tanti altri colleghi e fan, è una sensazione bellissima. Una di quelle che non scorderò mai, una di quelle per cui non saprò mai come ripagarti-
Lei mi risponde con un sorriso genuino. Si sistema gli occhiali sul naso e dice: -Mi puoi ripagare continuando a fare ciò che stai facendo, senza paura né vergogna-
Annuisco decisa.
Neanche io voglio smettere questa continua battaglia che mi spinge giorno per giorno verso un nuovo limite da superare. Ne ho appena superato uno, con l’aiuto di Marta e Chiara, sono pronta a superarne altri all’infinito se dovrò. Perché voglio che l’Alice dodicenne sia fiera dell’Alice adulta e cresciuta.
Quando riprendo fiato per rispondere, la ragazza al mio fianco mi interrompe: -Tranquilla, non lo dirò a nessuno-
Sorrido felice che abbia capito la mia richiesta ancora prima che io potessi farla.
Scendiamo dalla macchina vittoriose e torniamo in redazione.
Busso alla porta del mio capo e dopo pochi secondi entro con il foglio dell’intervista in mano. -Le piace una notizia dell’ultimo minuto che abbiamo prima di ogni altra testata? Con annessa un’intervista speciale?- esclamo con un sopracciglio alzato.
Lui mi guarda sconcertato. -Scrivila al computer alla velocità della luce!- sorride contento.
-Consideralo già fatto!- dico avviandomi verso l’uscita.
Mentre riapro la porta lui mi chiede: -Fortini, come hai fatto?-
-Spirito di osservazione e l’aiuto di una segretaria formidabile- dico con un ghigno. -Ah, e resti tra noi… quella segretaria è molto più brava del 50% dei suoi giornalisti al primo anno-
Esco con un sorriso dipinto in volto.
Posso sentire la sua mascella che cade a terra, da qua.
Ritorno alla mia postazione e subito Marta arriva da me esordendo con: -Allora?- chiede speranzosa.
-Abbiamo fatto colpo è rimasto a bocca aperta-
Lei sogghigna felice.
Dopo neanche una decina di minuti l’articolo è pronto. La notizia viene messa su ogni nostra piattaforma e, invece, l’intervista viene mandata dagli impaginatori e sarà sul numero di domani. Io e Marta ce l’abbiamo fatta.
Mi trovo in piedi di fianco alla mia scrivania quando, una mano pesante e forte, si appoggia sulla mia spalla e mi tocca con durezza.
La mia pelle sussulta al tocco, la mia mente si offusca e sento il mio corpo come se non mi appartenesse più. La paura mi sale fino al cervello, un dolore lancinante mi afferra la gola e la mia vista di colpo si fa quasi buia.
-Complimenti Fortini- dice la voce maschile dietro a me.
Le mie mani tremano incontrollate e l’unica cosa che riesco a vedere è il suo volto maligno. Questi occhi marroni e scuri che mi perseguitano da sempre, riesco solo a sentire la sua voce “Fortini, fai la brava stavolta o te ne pentirai”, a sentire il suo tocco ruvido sulle mie gambe.
Il fiato diventa corto e sento bruciare la pelle sotto al suo tocco.
-Va tutto bene?- mi chiede poi ancora togliendo finalmente la sua mano da lì.
Quando la toglie, in pochi secondi capisco dove sono andata con la mente e mi impongo di svegliarmi da quell’incubo ad occhi aperti.
Quando incrocio gli occhi di lui, il mio respiro si calma. È solo il tuo capo Alice, è solo il tuo capo. Nessun altro di tua conoscenza.
Respiro a fondo.
-Tutto bene grazie- dico prendendo la mia giacca e abbandonando l’ufficio.

Suono il campanello decisa.
-Ehy- mi saluta l’altra con un sorriso dolce.
-Ciao- ricambio lo sguardo, tentando di mascherare il mio stato d’animo. -Ah, adoro il caldo di casa tua. Fuori fa freddissimo-
-Per questo la cena è bella calda che ci aspetta-
Dopo una cena tranquilla e buonissima, ci sediamo sul divano e accendiamo svogliatamente la tv.
-Complimenti per il tuo articolo!- dice lei rompendo il silenzio-
-Grazie. Però è stato merito di Marta- rispondo sinceramente.
Le nostre gambe si toccano e si sfiorano di tanto in tanto.
Poco dopo Paride ci viene a fare compagnia arrotolandosi sulle gambe di Chiara. -Non capisco perché non venga mai sulle mie di gambe- esordisco.
-Forse perché la prima volta che lui ha cercato di dormire con te, tu non l’hai presa tanto bene…-
-Mi voleva dormire in faccia!- cerco di trovare qualche scusa.
Lei si mette a ridacchiare e fa spostare il gatto sul cuscino al suo fianco.
Si mette ancora più vicino a me e appoggia la sua testa alla mia spalla, giocando distrattamente con i miei capelli.
Quando la sua mano, stanca del gioco che sta facendo, si appoggia sulla mia gamba la mia anima sussulta di nuovo sperando che il mio corpo non faccia lo stesso.
Ripenso al discorso fatto qualche giorno fa con Chiara e del mio problema che oggi è diventato non solo una situazione mentale, ma anche un’ansia reale.
Dentro la mia testa mille pensieri scorrono parallelamente senza una meta o via d’uscita.
Se questo fosse un problema più grande di quanto pensi?
Se non riuscissi più a tornare la persona di prima?
Non sarò mai una buona compagna per Chiara, non sarò mai una guida per lei e lei dovrà sempre prendersi cura di me.
Scuoto la testa mentalmente cercando di rimettere tutto in ordine.
-Ti sento pensare da qua- dice lei di colpo.
-Scusa- tento di dire senza risultare patetica.
-Dimmi-  alza la testa dalla mia spalla e mi guarda negli occhi.
-Oggi è successa una cosa- dico senza ricambiare il suo sguardo.
Sento così tanta vergogna in me, che non riesco neanche a sostenere i suoi occhi meravigliosi sui miei. Tutta l’inadeguatezza, a volte, esce nei momenti meno opportuni e a tratti, ad ondate, che mi spezzano le gambe ogni volta. Oggi è successo con il mio capo e ora, con Chiara, sta succedendo un’altra volta e in un’altra forma. Se oggi era paura, ora è vergogna, disagio, imbarazzo.
Lei si alza e si mette a gambe incrociate vicino a me.
Attende silenziosa le mie parole. Mi ha sempre riservato questo trattamento speciale: “ti aspetto, parlami quando sei pronta”, dal primo giorno che ci conosciamo.
-Penso di aver avuto un attacco di panico- dico senza fermarmi.
Lei mi guarda con uno sguardo preoccupato, quello tutto suo che ho imparato a conoscere fin da subito. Quello che aggrotta le sopracciglia e si mordicchia dolcemente il labbro inferiore inconsciamente.
-Ero sovrappensiero e di colpo ho sentito una mano su di me. Ho rivisto i flash di ciò che succedeva quando lui mi chiamava per cognome e mi appoggiava una mano sulla spalla. Ho risentito la sua voce nella mia testa e il mio sguardo si è perso in un buio inimmaginabile.  Ho sentito freddo, poi bruciore, poi rabbia e dolore… tutto questo insieme. Quando poi ho realizzato che era semplicemente il mio capo tutto ha smesso di impazzire-
Lei mi guarda con occhi sgranati.
Neanche lei immaginava che potesse succedere tanto. Non pensava che una vicenda del genere potesse lasciare un solco così profondo. Invece, il solco lo ha lasciato. Ha lasciato una ferita sanguinante che non so come curare, se non in parte.
-Mi spiace per ciò che ti è successo- mi dice con tono dolcissimo.
Parla sottovoce, quasi come fossimo in un luogo sacro. -Non posso neanche immaginare come ti senti-
-Per un attimo non ero in questo mondo Chiara, ero in un flashback di cui potevo sentire il dolore-
Dico guardando nel vuoto, cercando di dissociarmi da tutto e tutti.
-Alice, ascoltami. Purtroppo, è normale. È una delle tante reazioni a ciò che ti è accaduto, è causata dallo stress che hai subito, dal trauma e da tutto ciò che ne consegue…- tenta di rassicurarmi.
-Non sarò mai più la persona che ero prima- dico debole. -Ho costantemente paura, sono costantemente in ansia e in allerta. Quando una persona si avvicina a me la mia più grande preoccupazione è non sussultare come una bambina al suo tocco-
Chino la testa arrendendomi.
Arrendendomi al fatto che mi ha rotta.
-Mi ha rotta- ripeto inconsapevolmente ad alta voce.
-Ascoltami, ascoltami perché ti dico tutto questo con il cuore. Sì, lui ti ha rotta e cambiata ma solo tu puoi rimetterti in sesto. Per quanto poco ne so, sei già molto più brava di moltissime altre donne là fuori che hanno subito ciò che hai subito tu. Sei stata forte, hai denunciato tutto, hai ripreso la tua vita ed il tuo lavoro, sei autonoma e di nuovo indipendente. Ora, tutte le sensazioni che hai provato fanno parte di una fase molto delicata che da affrontare da sola è dura, molto dura. Né io né te abbiamo le competenze per farlo. Per quanto tu voglia uscire da tutto questo, se non sai come fare non ne uscirai mai e magari ti farai solo del male-
Sta dicendo che non sono in grado di guarirmi? La guardo di sbieco pronta a risponderle.
-Non mi guardare così, lo sai che ho ragione. Bere litri di vodka ti ha aiutato? Avevi la casa piena di alcool quando ci siamo conosciute. Ha migliorato la situazione? No. Era un semplice modo per evadere, una reazione comune a ciò che stavi passando. Ti ripeto: secondo me, sei fortissima. Sei già lontana chilometri dal punto di partenza, hai scalato già montagne altissime. Ma ora c’è l’Everest, il K2 e quel che ti pare. Senza allenamento, senza una guida, pensi di potercela fare? Io sarò sempre qua con te, anche se tu non vorrai, anche se il tuo umore sarà schifoso, anche se il mio tocco ti porta in posti oscuri… io sarò qua per riportarti nella luce, nella realtà di adesso-
Mi sorride dolce, quasi con le lacrime agli occhi.
Le sue iridi colorate mi fissano delicatamente.
-Non ti merito… non ti merito perché non potrò mai e poi mai essere un tipo di persona normale, una fidanzata che ti può dare tutto, non arriveremo mai a condividere ogni cosa tra noi-
Un filo di voce esce dalla mia bocca.
La consapevolezza che non sarei mai più riuscita ad avere una relazione con nessuno, ce l’ho dal primo momento in cui lui ha messo le mani su di me. Perché ogni tocco sulla mia pelle mi riporta là: sul suo letto, sopra le sue lenzuola, oppure nella sua macchina dove mi baciava contro la mia volontà, oppure nel mio ufficio dove mi stringeva il polso fino a farmi male.
Come potevo pensare di intraprendere una relazione?
Come ho potuto pensare che con Chiara sarebbe stato diverso? È vero, in tutte le carezze che ci siamo scambiate non ho mai avuto nessun attacco di panico. Ma se fosse solo un caso fortuito?
-Ci meritiamo perché lo vogliamo. Ci meritiamo perché il caso ci ha donate l’una all’altra. Ti merito perché sei una persona meravigliosa, perché sei la persona che io ho sempre cercato, perché mi guardi con dolcezza, perché mi porti nella mia gelateria preferita, perché metti le mie canzoni preferite in macchina, perché sei bellissima, perché sei intelligente e dinamica, perché sei invincibile. Sta a te non farti scalfire. Vuoi davvero che lui vinca ancora? Vuoi davvero rinunciare alla tua vita per lui? Lui non ha rinunciato a niente mentre ti faceva del male e ora sta pagando. Tu hai già pagato un conto che non era tuo. È ora di vivere per davvero, Alice. Devi farlo perché te lo meriti-
Una lacrima solitaria scivola sulle mie guance. Un sorriso strozzato è tutto ciò che posso offrire a lei. Un pianto liberatorio nasce spontaneo dalla mia gola e le sue braccia mi avvolgono come a proteggermi.
Dopo svariati minuti di silenzio, dopo mille pensieri e voci nella mia testa mi stacco da lei.
Mi guarda preoccupata.
-Non voglio che lui vinca. Non l’ho lasciato vincere prima e non lo farà ora-
Guardo Chiara con uno sguardo che vuol dire solo “dimmi cosa posso fare”.
-Quando mi hai confessato tutto ciò che stava succedendo, ho cercato informazioni dappertutto. All’inizio pensavo fosse una buona idea rivolgersi ad un’associazione, poi però il sentiero ci ha portato lungo una via diversa… che, ammetto, ti è stata molto più utile e ti ha letteralmente salvato. Dall’altra parte avevo cercato qualche psicologo specializzato e consigliato per questo genere di cose- rimango allibita da tutta questa faccenda. Si era informata di tutto? Per me?
Si alza e cammina verso la sua scrivania. Prende un foglio e me lo sporge.
-Questa è una lista di nomi. Sono tutti validi e bravissimi, fidati di me. Sta a te scegliere ora: stare in questa situazione per sempre oppure cercare una guida per scalare l’Everest?-
Leggo velocemente i nomi.
Non pensavo Chiara avesse fatto tutto questo per me, non credevo avesse pensato ad ogni aspetto e conseguenza di ciò che era successo.
Sgrano gli occhi con ancora in mano il foglio stampato.
Lei mi guarda preoccupata, come se si aspettasse un mio giudizio, un commento negativo o chissà cosa.
Io sorrido. È l’unica risposta che riesco a fornire ora come ora, ora che sono inondata da una moltitudine di diversi sentimenti e il mio cervello pensa sedici cose diverse al secondo.
-Li guarderò con attenzione e deciderò- dico con semplicità.
-Non sei obbligata ad andarci solo perché lo penso io, prima devi volerlo tu stessa. Se tu pensi sia inutile, è ancora più inutile che ci vada perché butteresti dei soldi fuori dalla finestra. Devi essere convinta, pronta a raccontare tutto ed ascoltare dei consigli, solo così sarà utile-
Ci stringiamo in un abbraccio sincero e lunghissimo.
Ho finito le parole per questa creatura così dolce e gentile.
Nessuno si è mai preoccupato per me in questo modo così profondo. Nessuno.
Mentre siamo ancora intrecciate dico: -Sai che sei molto palese quando mi guardi?-
Lei si stacca e mi rivolge uno sguardo interrogativo.
-Marta, ti ha beccato e ha capito tutto-
Lei spalanca gli occhi e diventa rossa. -Ha detto che sei palese e che messaggiamo come due adolescenti-
Scoppiamo a ridere insieme.
-In effetti ci mangiamo più gif che altro- dice lei tra le risate. -Quindi ci ha beccate?-
-In pieno- rispondo.
-Beh prima il mio agente e poi la tua segretaria… il prossimo così sarà? L’impaginatore di Repubblica oppure la stagista della casa editrice?-
Una risata cristallina mi arriva all’orecchio. -Punto sulla stagista-
Mi unisco alla sua risata.


Da quella sera, la frenesia di Dicembre era arrivata puntualissima: il primo del mese la città si era vestita con luci di Natale, manifesti a sfondo natalizio ed era popolata da persone indaffaratissime nel cercare i regali di Natale.
Non avevo mai notato di come la gente partisse in anticipo. Questo, forse, perché io ero sempre in ritardo. L’unico regalo di Natale che facevo era quello per Marta, che puntualmente compravo il 24 in preda al panico. Per il resto, acquistavo sempre del vino per la cena di Natale che si faceva insieme a tutta la redazione.
In pratica, non dovevo fare decine di regali e l’unico che dovevo fare, veniva acquistato all’ultimo secondo.
Ma quest’anno è tutto diverso: il mio rapporto con Marta è cambiato nettamente. Da colleghe strette, siamo passate ad amiche strette in una sera.
Chiara compie gli anni il 9 dicembre e in redazione c’è questa moda del Secret Santa, per cui devo fare un regalo ad un perfetto sconosciuto.
Insomma, Fortini deve darsi una mossa e darsela subito.
Per non toglierci nulla Chiara si è indignata nel sapere che in casa mia non ho l’usanza di fare l’albero di Natale e che le decorazioni sono off limits, quindi si è offerta o meglio, mi ha imposto, di lasciarle l’incarico di creare una casa natalizia. Come contrariare due occhietti sognanti? Non si può.
Quindi, mentre Chiara compra decorazioni, finti abeti e non voglio sapere che altro, io mi divido tra: negozi, scrittura e… la preparazione psicologica per l’incontro con la famiglia di Chiara.
Sbuffo nel pensare a cosa potrà accadere quel giorno. Conoscendo, in parte, la storia del padre le mie proiezioni mentali non sono molto rassicuranti.
Cerco di cacciare quei pensieri sul nascere, ed entro nell’ennesimo negozio del centro.
La vera domanda di questi giorni è: cosa regalare a Chiara?
Non volevo fare un regalo unico, perché poi sarebbe stato brutto aprirlo a Natale ovvero in ritardo per il suo compleanno, e altrettanto brutto aprirlo il 9, ovvero in anticipo per Natale.
Quindi io e i miei neuroni eravamo arrivati alla conclusione di fare due regali separati.
Bene.
E poi? Quali?
Chiara sembra essere a posto in fatto di vestiti, visto che non ha mai espresso necessità di fare shopping perché in mancanza di capi. In più, i nostri gusti in fatto di vestiti sono palesemente diversi, quindi avrei fatto più danni che altro. Forse, sbagliare il primo regalo, non è un buon esordio.
Tolti i vestiti dalla lista, nel prossimo punto c’è la sua più grande passione: i libri. Regalare libri ad una scrittrice alle prese con la stesura del suo secondo romanzo è una mossa giusta? La mia logica mi suggerisce di no. Sarà già stressata per quello e la sua giornata sarà già piena di scrittura per poter leggere una volta arrivata a casa. Qualcosa mi dice che si coricherà sul suo divano e si guarderà l’ennesima serie tv.
L’abbonamento Netflix? Lo ha già ed è pagato fino alla fine dei suoi giorni praticamente.
La passione secondaria di Chiara è la musica, ma io non me ne intendo per nulla. Anzi, per essere precisi la amo, ma semplicemente come ascolto. Non seguo tutte le dinamiche di concerti, concorsi, tour, significati e via dicendo. Invece Chiara, al contrario, segue ogni piccolezza. Conosce ogni retroscena, segue su Twitter ogni componente e addirittura la crew che li accompagna nel tour. Insomma, tutto un altro livello di “amo la musica”.
Facendo delle rapide ricerche su internet ho notato che alcune di quelle band sono in tour e che prossimamente passeranno in Italia.
Dopo averla spiata abbastanza ho capito che ultimamente un album era fisso in casa sua, così ho deciso di comprare i biglietti per quella band e scartare le altre.
Ammetto che, durante questa fase investigativa, questa band aveva impressionato anche me. Dopo che Chiara aveva messo qualche nuova canzone della band in salotto, qualche giorno fa, mi erano subito entrati in testa. Di conseguenza ho scaricato l’intera discografia in men che non si dica. Insomma… non mi dispiaceva neanche andare al loro concerto.
Un regalo su due era fatto, ma il secondo?
Giro il negozio cercando di trovare qualcosa di adatto con pochi risultati.
Di cosa ha bisogno Chiara Cerati? Cerco di fare mente locale e di ricordare qualche frase che possa aver detto.
Ricordo il suo bisogno di cuffie nuove. Così decido di dirigermi verso quel reparto. Le scruto dubbiosa. Direi che come regalo di Natale potrei fare di meglio, penso facendo una smorfia.
Continuo a girare nel reparto elettronica nella speranza di vedere la luce.
Nel girovagare senza metà il mio sguardo si posa su uno scaffale pieno di cofanetti.
“Cena per due”, “Vacanza al mare”, “Attività e sport”, leggo. Incomincio a frugare tra i diversi tipi di attività proposta nella speranza di trovare qualcosa di carino.
Una vacanza di due giorni ce la potremmo anche permettere durante queste vacanze di Natale che non saranno tanto vacanze per nessuna delle due, no?
Alla fine trovo quello azzeccato.
I due regali sono fatti.

•••                                •••

Alice ha insistito perché andassi a casa sua stasera e io di certo non mi sono opposta.
Appoggio la marea di borse davanti alla porta della mia ragazza e suono.
Lei mi apre con un sorriso e mi aiuta a portare tutto dentro.
-Non dirmi che…-
-Oh sì- rispondo fiera.
Lei alza gli occhi al cielo e torna in cucina. -Mi riempirai la casa di decorazioni, quindi?-
-Certo, le ho comprate apposta per te! A casa mia le ho già messe ed è tutta natalizia- dico fantasticando. -Ho anche preparato una playlist di canzoni di Natale!-
Lei scuote la testa in risposta. -Questo bel lavoro lo faremo al nostro ritorno, vero?- chiede preoccupata.
Annuisco in risposta e lei esulta.
Mangiamo tranquillamente raccontandoci le nostre rispettive giornate.
Le racconto di come Paride ha già iniziato a puntare l’albero di Natale e le sue palline. Sono sicura che al nostro ritorno, quell’albero sarà caduto e sprovvisto delle sue decorazioni.
Lei mi informa, poco contenta, del Secret Santa nella redazione e di come il suo nome sia un completo sconosciuto, per cui ha deciso di prendergli un cd e di chiudere la questione.
-Domani a che ora partiamo?- mi chiede.
-Umhhh, verso le 9? Così saremo là per le 11, in tempo per aiutare con il pranzo e non troppo in anticipo per farti tartassare da mia mamma-
Lei ridacchia nervosamente infilandosi sotto le coperte pesanti e calde.
Spegniamo le luci e poco dopo siamo tutte e due nei nostri sogni.


-Okay, allora sei sicura che Marta viene a cibare Paride in questi due giorni?- chiedo in agitazione.
Lei, bellissima, chiusa in un cappotto blu, appoggiata allo stipite della porta d’ingresso ride per la mia agitazione.
-Sì, Chiara. Per la decima volta: ieri le ho dato le chiavi di casa tua e spiegato cosa il principino vuole e a che ora-
Annuisco velocemente e cerco le ultime cose da infilare nella piccola valigia.
La chiudo e mi guardo intorno.
Cavolo, sta davvero per succedere?
Sì.
Io e la mia ragazza stiamo andando a trovare i miei genitori.
Faccio un respiro profondo e poi esordisco: -Possiamo partire-
Ci infiliamo nella macchina di Alice in perfetto orario, usciamo dal centro città con un po’ di fatica ma, una volta entrate in autostrada, il viaggio diventa liscio.
La musica me l’ha lasciata scegliere a me, come fa sempre per i viaggi un po’ più lunghi del solito.
-Bene, cosa devo sapere riguardo la Famiglia Cerati?- chiede lei con un sorriso. -Cioè cosa devo aspettarmi?- precisa.
-Beh, niente di che! Siamo una famiglia normale. Mia mamma l’hai già conosciuta e quindi sei già pronta al suo comportamento esaltato ed esagerato. Cucinerà tantissimo quindi preparati a non rifiutare nulla di ciò che ti viene messo nel piatto, perché potrebbe offendersi! Sicuramente ci saranno anche alcuni parenti stretti a cui tengo molto, come alcuni miei cugini, ma ti assicuro non sono tanti. E poi c’è mio padre, ecco, so che ti stai preoccupando per lui e la sua possibile reazione, ma credimi è arrabbiato con me non con gli altri. In più, in mezzo a tutta questa gente, non si azzarderà a dire nulla. Mia mamma mi ha assicurato che papà non sarà un problema e che lei è dalla nostra parte. Prima di partire mi ha detto che lui lo deve capire che sia con le buone, o con le cattive- dico tentando di rassicurarla.
Non voglio metterla in agitazione, ma neanche dire che mio padre ci accetta.
Non ci accetta, ma si limiterà questa volta.
Lei annuisce silenziosamente senza staccare lo sguardo dalla strada.
-Comunque ho portato del vino, spero ce ne sia abbastanza per tutti- dice lei cambiando discorso, forse per evitare di rimarcare brutti ricordi dovuti a mio padre.
-Tu ormai sei la donna del vino- dico stampandole un bacio veloce sulla guancia.
Il viaggio continua tra qualche canzone e qualche lamentela nei confronti delle altre macchine.
Quando arriviamo alla nostra uscita le faccio un cenno e lei imbocca l’uscita.
Entriamo nella città che conosco da sempre: una semplice città di provincia spersa nel verde e nelle risaie, una di quelle città tra le tante e come le tante.
Dentro? Niente di speciale. Un centro storico, parchi, un’area moderna e una antica.
Dentro quelle case i soliti comportamenti degli abitanti che avevo imparato a riconoscere e a odiare. Avevano una linea di pensiero che non sopportavo: la maggior parte delle persone non capiva che oltre questa città c’è qualcosa di più grande, ci sono altre nazioni, mille opportunità e differenze sociali, era come se vivessero in un recinto, confinati qua. Oltre al recinto? Probabilmente per loro c’è solo un burrone, quindi non ti azzardare ad oltrepassarlo. Insomma, non si può uscire dai confini prescelti.
I discorsi dei miei coetanei non si allontanavano mai dal solito schema: “Io voglio trovarmi un lavoro, una ragazza e metter su famiglia qua, non partirei mai per andare all’estero” “Chi viene qua deve rispettare le nostre regole oppure se e torni da dove viene.” “I gay? Che la smettano di voler ancora diritti, io un bambino non lo do nelle loro mani, è innaturale. Che facciano quello che vogliono ma non in pubblico”. Non sottolineo neanche perché appena ho potuto, me ne sono andata di corsa da questo genere di posti.
Io non sono fatta per un cammino prescelto, per stare in uno schema prefissato. Già solo le mie passioni erano diverse dalle loro, poi le idee, poi gli ideali, poi le priorità, poi la mia idea di futuro. Scrivere un libro? Un futuro impensabile per il 90% delle persone di questa città, essere scrittori vuol dire niente e tutto per loro. È uno di quei mestieri e lavori che nessuno comprende, uno di quelli che sta nella fascia “Sì è un lavoro che ti può piacere, ma che non ti darà da mangiare”. Immaginate, dunque, come potevo sentirmi un pesce fuor d’acqua durante la mia vita qua. A parte la mia diversità fondamentale, c’erano anche altri problemi: gli amici. Quelli che consideravo amici, lo erano, ma solo superficialmente. Nessuno di loro sapeva i particolari della mia vita privata, la relazione con la mia famiglia oppure tante altre piccole cose che mi avrebbero resa diversa da loro. Era questa l’amicizia che avevamo. Una di quelle belle, per carità, una di quelle che ti lascia ricordi divertenti da raccontare in giro, ma anche una di quelle che ti lascia dell’amaro in bocca perché non è stata vera fino in fondo.
Per fortuna a salvare queste situazioni c’erano tre cose: la lettura, la scrittura e Alessia.
Per quanto l’allontanamento con Alessia fosse stato brusco, lei mi ha salvata dalla maggior parte dei problemi e delusioni che questa città portava con sè. Era un angolo segreto dove mi rifugiavo.
Ma il grande rifugio nascosto è stata la scrittura, che dopo molti sforzi, mi ha portato dove il mio cuore voleva stare: lontano da qua.
Do le indicazioni ad Alice sulla strada da seguire e quale svolte prendere.
Ci addentriamo nel centro storico e poi, finalmente, arriviamo a casa mia.
-Che posto carino- esordisce visibilmente nervosa.
-Stai tranquilla, okay?- cerco di tranquillizzarla per quanto possibile.
Lei annuisce, fa per scendere dalla macchina ma la blocco e le regalo un dolce bacio sulle labbra.
Usciamo dalla macchina e non appena il freddo ci avvolge prendiamo subito le giacche abbandonate sui sedili dietro.
Tiriamo fuori dal bagagliaio le nostre piccole valigie e tutti i sacchetti con i vari regalini per i parenti. Alice prende il vino ed il dolce che aveva comprato, e ci dirigiamo verso la porta di casa.
Apro il piccolo cancello nero e percorriamo il breve vialetto ciottolato ai cui lati si trova il tanto amato giardino di mia mamma che però, ora in dicembre, non ha nessun fiore o pianta.
Arriviamo alla porta d’entrata e subito, tutte e due, ci sistemiamo involontariamente.
Suono il campanello piano e aspetto pazientemente.
Ad aprirci mia mamma, con il grembiule addosso e un sorriso a trentadue denti.
Ci abbraccia di slancio tra un “Che bello che siete venute!”, “Avete fatto benissimo!”, “Scusate il disordine, ma quando si cucina…” e l’altro.
Entriamo in casa e posiamo la roba di lato.
Per quanto mi senta estranea nella stessa casa che mi ha cresciuta, tento di mascherare la mia sensazione e guidare Alice che è nettamente più spersa di me.
Dopo averle spiegato che questo è il salotto e che la sala da pranzo è poco più in la, ci dirigiamo verso il vociare che sentiamo sia dalla cucina che dalla sala da pranzo.
Prendo la mano di Alice e la stringo. Lei mi guarda dubbiosa, capisco subito cosa vuole intendere.
-Dopo averlo detto ai miei genitori, ho dato loro il permesso di dirlo ai parenti anche se ormai ero partita e lontana da casa. Ormai non avevo più nulla da nascondere…- spiego.
Lei annuisce e mi stringe la mano a sua volta.
La osservo sempre con un piacere che credo non mi andrà mai via. Indossa dei pantaloni neri eleganti e a vita alta, una cintura di pelle scura le stringe i fianchi magri. Una camicia bianca a righe sottili nere si infila sotto i pantaloni e due spille argentee luccicano agli angoli del colletto. I suoi capelli biondi le cadono sulle spalle in un modo perfetto e le sue mani, curate, sono adornate da sottili anelli.
Uno spettacolo mozzafiato.
Entriamo in cucina e tutti gli occhi sono puntati su di noi.
Delle braccia mi avvolgono subito e dalla voce riconosco istantaneamente la persona: mia cugina Valentina. Ricambio l’abbraccio lunghissimo e sento le nostre labbra distendersi in un sorriso felice.
-Da quanto tempo, cugina!- mi dice ancora attaccata a me.
-Troppo- ammetto.
Ci stacchiamo e lei subito non perde tempo: -Non mi presenti?-
-Scusami! Valentina questa è Alice, Alice questa è mia cugina Valentina. Siamo praticamente cresciute insieme!- dico felice.
Le due si scambiano una stretta di mano e un “piacere”, che Alice dice quasi sottovoce.
-A tavola ci conosceremo meglio, Alice!- dice lei tornando alle sue mansioni di disposizione del tavolo.
Mia mamma continua cucinare mentre parla con mia zia, felice.
Poco dopo anche lei ci viene a salutare e a conoscere la bionda. Un’altra nella lista di parenti da salutare è andata.
Ci trasferiamo in salotto dove, mio cugino, mio zio e mio padre discutono animatamente sull’ultimo acquisto della Juventus.
Mi schiarisco la voce per attirare la loro attenzione tutti e tre puntano i loro occhi su Alice.
Uomini… c’era da aspettarselo.
Mio cugino è il primo a muoversi per salutarmi. -Cuginettaaaa!- dice a braccia aperte per poi abbracciarmi e stamparmi due baci sulle guance.
Lui è più grande di me e all’interno della famiglia, è sempre stato un punto di riferimento: intelligente, buono e con un cuore enorme. Da pochi anni si è trasferito in Germania per lavoro, quindi, anche lui come me deve fare i conti con una famiglia lontana.
-Paolo! Sei ormai un crucco a tutti gli effetti?- chiedo scherzosamente.
-Oh sì! Ormai mi hanno conquistato!-
Scoppiamo a ridere tutti e due.
-Piacere io sono Alice- dice la ragazza al mio fianco non appena gli occhi del ragazzo si posano sul suo viso.
Lui sorride e ricambia il saluto mettendosi a chiacchierare sul fatto che lui legge ogni articolo che Alice scrive.
Intanto, ne approfitto per andare a salutare i due rimasti. Mio zio mi accoglie nelle sue braccia stringendomi forte a lui. -Bentornata!-
Poi il mio sguardo punta quello di mio padre e mentre mio zio corre da Alice, io e lui ci salutiamo in modo educato e razionale.
Sicuramente non è così che mi immaginavo il nostro incontro dopo anni di distanza, eppure è così che sta andando: finto interessamento, distacco totale e pura falsità.
-Come stai?- mi azzardo a chiedere mentre mi abbraccia per puro dovere.
-Normale- mi risponde freddo. Il “Tu?” non è contemplato nella nostra conversazione.
-La mamma mi ha detto che finalmente hai un po’ di tempo libero dal lavoro- dico ancora educatamente, nella speranza di sbloccare qualcosa che si è bloccato ormai tempo fa.
-Sì, mi riposo un po’- risponde lui. I suoi occhi verdi, visibilmente invecchiati dall’ultima volta che li ho incrociati, si posano dietro di me sulla figura di Alice. Si sistema i capelli brizzolati, sempre tagliati nel solito modo: l’unico che gli ho visto da quando ho memoria.
Si sta preparando per andarla a salutare.
Immagino immediatamente la conversazione tra mia mamma e lui, le frasi di disappunto sulla mia condotta e sulla mia scelta, oppure le urla arrabbiate di lui e quelle difensive di lei. Chissà cosa avrà pensato quando la mamma gli ha detto di lei, di cosa è successo tra noi due. Perché sono sicura che lei gli abbia detto ogni cosa. Quel giorno al binario, mi sembrava così determinata a fargli cambiare idea, che era al contempo disperata.
E quando mia mamma perde la pazienza e si dispera, diventa ancora più decisa di prima.
-È la cosa più preziosa che ho- gli dico mentre si pulisce gli occhiali sul suo maglioncino. -Non rovinare tutto-
-Voglio solo capire perché- dice andando verso di lei.
Lo seguo a ruota preoccupata.
Quando bussa sulla spalla di Alice, lei sorride nervosamente, ma solo io riesco a vedere queste sfaccettature in lei.
-Buongiorno signor Cerati- offre la sua mano delicata a lui.
Lui la stringe con la sua solita decisione da imprenditore e la saluta a sua volta.
-Grazie per l’invito. È un piacere trascorrere un giorno di festa con la famiglia di Chiara-
Lui risponde con un sorriso falso, ma anche questa è una particolarità che per fortuna Alice non può cogliere.
-Si figuri Alice, mia moglie mi ha parlato molto di lei-
-Spero bene!- cerca di sdrammatizzare.
-Può darsi- dice lui, bevendo il suo aperitivo analcolico. -Magari dopo il pranzo potremmo fare due chiacchiere-
Lei annuisce silenziosamente e lui torna da mio zio.
I suoi occhi verdi mi guardano paralizzati dalla paura.
-Stai tranquilla, non può fare nulla. Ormai non sono più sotto il suo controllo e l’ha capito anche lui. Vuole solo capire cosa ho trovato in te-
-E io dovrei convincerlo che hai trovato solo cose positive- manda giù un groppo di saliva preoccupata.
-Beh… è la verità- le dico lasciandole un piccolo bacio sull’angolo della bocca.
Immediatamente mi rendo conto del gesto fatto e del luogo in cui sono, eppure realizzo che non è più un problema dal giorno in cui, a fine liceo, ho detto tutto ai miei genitori.
Non dovevo più nascondermi da nessuno, non qua in famiglia.
Anche se la presenza di mio padre non va a mio favore, sono determinata a fargli vedere che non ho paura né di lui, né dei suoi giudizi, né quelli degli altri. Questo è l’unico modo per impormi su di lui, è questa è l’unica buona occasione che il fato mi ha regalato da due anni a questa parte.
Ora o mai più, in poche semplici parole.

Quando mia mamma ci dà il segnale, ci sediamo tutti a tavola.
Alice rimane al mio fianco e vicino a lei mia cugina. Davanti mio zio, mia zia e mio cugino. Ai lati, come capitavola mia mamma e mio papà.
Ovviamente mia mamma è prontamente seduta al lato più vicino alla cucina.
I mille antipasti preparati da mia mamma guarniscono il tavolo e subito tutti iniziano a prenderli.
Io, capendo l’imbarazzo e la difficoltà in cui si trova Alice, le incomincio a sporgere qualcosa che so le piace.
Lei ricambia il mio gesto con occhi dolci: un grande grazie silenzioso.
Il discorso si posa subito sul cibo e sul fatto che “Aurora cucini sempre troppe cose!”, oppure sulle mille possibili modifiche alle ricette e ai piatti fattibili.
Io e Alice rimaniamo in silenzio, osservando questa scena.
Se Alice si sente “fuori dal cerchio”, io lo sono forse di più.
Una volta facevo parte del cerchio, una volta ero l’anima più attiva della famiglia, contando anche quella allargata.
Ora invece, la successione degli eventi mi ha allontanato in modo irrimediabile.
Probabilmente capisco anche perché mio cugino o i miei zii, non mi facciano domande: mio padre non vuole sentir parlare del libro e tantomeno della mia nuova vita a Torino.
Valentina rompe il nostro estraniamento con una domanda per Alice: -Allora Alice, ammetto che non seguo il tuo programma televisivo, però da quando Aurora mi ha informata… lo guardo sempre!-
Il volto di Alice si illumina immediatamente. Sorride felice. Un sorriso che le esce solo quando qualcuno le fa qualche complimento sul suo duro lavoro. È un sorriso diverso, non è come quello che rivolge a me o a qualcun altro, è un sorriso fatto di sudore, nottate passate a scrivere e soprattutto determinazione.
-Ti ringrazio Valentina, mi fa sempre piacere sentire che qualcuno apprezza il mio lavoro. Non è facile esser una giornalista donna di questi tempi…- risponde lei.
-Ci credo! Ormai questo paese torna indietro di anni, in soli pochi minuti- entra nel discorso anche mio cugino.
Così Alice chiede: -Chiara mi ha detto che vivi in Germania, giusto? Penso tu riesca a trovare solo difetti in noi ora- dice con il giusto tono di ironia.
-Beh.. di sicuro non tornerei in Italia per ora- dice lui ridacchiando.
Sua mamma lo guarda sconsolata.
Riconosco quello sguardo perché è lo stesso che aveva mia mamma per tutto il periodo del mio trasloco. Uno sguardo rassegnato. Rassegnato all’idea che sua figlia sarebbe stata lontana da casa, rassegnato all’idea che in fondo era il momento di lasciarla andare perché il suo cuore sapeva: era la svolta giusta per il futuro di sua figlia e per la stessa.
Mia zia rivolge lo stesso sguardo a mio cugino da anni, ormai.
Il discorso si sposta sull’esperienza tedesca e vengo a scoprire da Alice, che ha fatto molti viaggi in quelle zone, ma che Berlino rimarrà sempre nel suo cuore. La guardo curiosa dopo queste scoperte, dovrò chiedere spiegazioni approfondite.
Al termine del pranzo infinito, noi baldi giovani, ci offriamo per lavare i piatti visto che in casa Cerati la lavastoviglie è un elettrodomestico abominevole a detta di qualcuno.
Così, io, Alice e i miei cugini ci mettiamo subito a lavoro in cucina lasciando che gli adulti si riposino in salotto.
Valentina lava, Alice asciuga e io metto a posto. Mio cugino invece sparecchia la tavola e ripone gli avanzi in frigo.
Noto come Alice si sia rilassata non appena abbiamo abbandonato i miei genitori e zii. Probabilmente è rimasta in tensione tutto il pranzo.
Mi sento immediatamente colpevole. L’ho obbligata a fare un passo troppo grande e di certo la situazione con mio padre non aiuta.
La voce di Valentina alla mia sinistra mi scuote dai miei pensieri facendomi cadere a terra di nuovo.
-Allora, ora che non ci sono i grandi posso chiedervelo- dice con un ghigno. -Da quanto state insieme?- chiede curiosa.
Io e Alice scoppiamo a ridere. -Qualche mese- rispondo. -Non teniamo un vero e proprio conto preciso- ridacchio.
È vero. Non abbiamo mai visto “l’anniversario” come un evento irrinunciabile. Sì è un giorno che ricordiamo con piacere, ma non sentiamo l’esigenza di festeggiare ogni settimana o mese che passa.
-Come!? Se io stessi con una star della tv terrei il conto eccome!- dice lei con fare sconvolto.
-Ora non dire “star della tv” se no poi se ne vanta per tutto il giorno- dico io alzando gli occhi al cielo.
La bionda ridacchia in risposta. Tipico, so che dentro di lei il suo ego si sta gonfiando.
Tutti noi ci uniamo a lei, felici.
-Allora, domani è il tuo compleanno cuginetta!- dice il ragazzo scompigliandomi i capelli.
-Già mia mamma non vede l’ora di imbarazzarmi di nuovo…- il mio tono esce fuori rassegnato di fronte ai futuri possibili eventi.
-Dai, non potrà andare male quanto il tuo sedicesimo compleanno!- scoppia a ridere Valentina.
La fulmino con lo sguardo e mi appunto di dirle di stare zitta ogni tanto.
-Perché?- chiede la mia ragazza curiosa.
-Niente, è stato un pessimo compleanno- dico io tagliando corto.
-Può essere che una serie di sfighe l’abbia colpita senza fine…-
-Tipo la macchina che passa e ti infradicia e tu che entri dentro casa, incazzata, bagnata, e tutti che ti urlano “Sorpresa”… ma tu odi le sorprese- sputa mio cugino aggiungendosi a mia cugina.
Li maledico tutti e due mentalmente per poi sbuffare sonoramente.
-Sentite, io odio le feste a sorpresa!- cerco di difendermi.
-L’abbiamo capito quando ci hai risposto un “vaffanculo”- ridono i due insieme.
Alice intanto si sta sbellicando dalle risate.
-Era stata una giornata pesante! Avevo dovuto subire un’interrogazione a sorpresa… quindi di sorprese e avevo avute già abbastanza- sbuffo. -E voi smettetela di mettermi in imbarazzo!-
Tutti ritornano alle loro mansioni tra una risatina e l’altra. Poi sento Alice dire sottovoce a Valentina: -Se ti lascio il mio numero me ne racconti altre? Ti prego-
Le scaravento lo straccio che ho in mano addosso e lei sobbalza.
-Guarda che ti sento!-
Lei si gira con quello sguardo finto arrabbiato che però farebbe paura a chiunque.
-Cerati...-
-No, niente solletico Fortini…-
Quando le mani di mio cugino raggiungono i miei fianchi capisco che ormai è troppo tardi e che la mia morte è vicina.
I tre si annientano su di me e inizio a ridere senza smettere.
Quando finalmente mia mamma, probabilmente sentendo le mie risate senza fiato, entra in cucina tutti ci fermiamo terrorizzati.
-Siete tornati quindicenni… ho capito- alza gli occhi al cielo. -Chiara, che ne dici se fai fare un tour della casa ad Alice?-
Io annuisco immediatamente.
Ci ricomponiamo e Alice mi segue velocemente per le scale.
-Beh, qua c’è la camera di miei genitori- dico indicando la prima porta a destra. Continuo a camminare per il corridoio decorato da repliche di quadri famosi.
-Qua lo studio di mio padre, che ovviamente è off limits perché è un maniaco dell’ordine e se gli sposti un foglio probabilmente andrebbe in panico-
Quando finalmente apro la porta di camera mia, un fiume in piena di ricordi si apre con lei e mi investe.
Un uragano di emozioni mi travolge.
Niente è cambiato da quando sono andata via da questa città, neanche ciò che è appeso alle pareti. Il letto a soppalco, in legno chiaro, è ancora lì come un tempo. Contorniato da ogni sorta di foto, scritta in greco antico e copertina di album. La scrivania è esattamente come l’ho lasciata: bianca, lunga e pulita perché non riuscivo a scrivere se non era completamente sgombra da tutte le cianfrusaglie inutili. L’armadio probabilmente racchiude tutti gli indumenti che ormai non metterei più, ma che per tanto tempo ho adorato.
La libreria, forse ora un po’ impolverata, custodisce tutti i giornali di politica e informazione che compravo prima di entrare in classe. Per non parlare dei grandi classici che avevo letto e riletto: 1984 probabilmente ha ancora tutti quei segnapagina e le sottolineature che avevo fatto durante le cinque o sei riletture.
Immediatamente sento il mio cuore stringersi in una morsa quasi letale.
Per quanto io fossi distaccata da questo mondo, ha ancora un effetto su di me. Un effetto non da poco.
-Oh, sono entrata nel mondo della Cerati- mi dice la voce alle mie spalle.
Io resto ancora senza parole.
Tutto questo è surreale.
probabilmente la mia faccia parla per me, perché dopo pochi secondi Alice mi chiede preoccupata se va tutto bene.
-Sì, ho solo bisogno di riposarmi dal lungo pranzo-
Lei mi annuisce dubbiosa.
Salgo la scala in legno. -Vieni, ci stiamo tutte e due-
-Non ho mai avuto un letto matrimoniale nella mia cameretta- esclama lei quando si corica sul comodo materasso.
Io ridacchio in risposta.
-Dai, Chiara, dimmi tutto su questa stanza- mi dice mettendosi comoda.
Io incomincio a guardarmi intorno cercando di capire da che parte iniziare.
-Vedi questa scritta in greco?- lei annuisce. -Significa “vita”. Se noti, sulla parete di fronte ce n’è un’altra. Vuol dire “morte”. So che puoi trovarlo un po’ macabro, eppure mi è sempre servito un “post-it” sul fatto che c’è un inizio ed una fine. Ed è utile per molteplici motivi. Il primo è perché mi ha spinto a non arrendermi e a trovare il tempo per fare ciò che realmente volevo, perché mi ricordava di non perdere tempo, di non buttarlo poiché è contato. Inoltre perché quando mia nonna è mancata, è mancata una parte di me e dentro il mio cuore provavo solo senso di colpa per non aver trascorso abbastanza tempo con lei negli ultimi suoi anni di vita. Queste due scritte mi ricordano che se amo una persona devo stare con lei più tempo possibile-
-Non è un ragionamento macabro, anzi è molto giusto- mi sorride dolcemente.
-Invece qua di fianco ci sono tutte le copertine dei miei album preferiti, qua alcuni cd di band sconosciute autografati- dico indicando la parete al nostro fianco.
-Sotto invece, dalla scrivania ci sono le foto che ho fatto durante le varie gite, citazioni di libri, canzoni, oppure semplice frasi che mi venivano in mente durante le giornate… dentro un cassetto della scrivania ci deve essere ancora la bozza cartacea del romanzo…- dico sospirando un po’.
-Immagino non sia facile tornare qua dove tutto è cominciato- dice lei guadando il vuoto del soffitto.
Scuoto la testa.
-Se io tornassi nella mia umile e minuscola cameretta, nella mia casa, se passassi in quelle vie… probabilmente rimarrei senza parole, con un senso di ansia infinita, con un magone che mi mangerebbe dentro. Dentro camera mia ci sono ancora moltissimi miei ricordi, della vita che avevo prima di lasciare casa, i miei libri del liceo e dell’università, i miei vestiti preferiti, i miei vinili e il mio giradischi. Per non parlare di tutti i diari nascosti tra l’enciclopedia che mio nonno mi aveva regalato con tanto sudore e fatica! Non so neanche se quella casa sia ancora di mio padre, oppure c’è un’altra ragazza dentro quelle quattro mura color carta da zucchero, chiaramente dipinte perché mio papà sperava in un maschietto. Bhe, avrà di che ridere leggendo quei diari…-
Io ridacchio nel sentire questa battuta. -Che c’è scritto?- chiedo curiosa.
-Solo quanto odiavo la mia insegnante di matematica e invece di come trovassi particolarmente interessante la ragazza che gestiva il circolo dei poeti. Caso strano partecipavo a tutti gli incontri durante la prima superiore e la seconda… non avevo ancora ben capito qualcosa di molto importante su di me- dice ridendo a coprendosi il viso dall’imbarazzo.
Io la seguo nella sua risata.
Si accoccola sulla mia spalla non appena la risata svanisce.
-Non ti preoccupare se ti senti strana, è normale- dice sottovoce.
Rimango in silenzio riflettendo sulle parole che mi ha appena detto Alice.
Forse questo è il primo momento in cui i nostri passati si sono sentiti più vicini che mai, si sono messi in parallelo e si sono specchiati uno dentro l’altro trovando una situazione simile dall’altra parte. Una situazione fatta di ricordi lasciati a metà come una canzone che non finisci perché il tram è arrivato alla tua fermata. Se io li ho lasciati lì per inseguire il mio futuro, lei li ha lasciati lì perché non aveva altra scelta che scappare per realizzarsi.
Poco dopo il mio sguardo ricade di nuovo su Alice, che sonnecchia rilassata sulla mia spalla.
La lascio fare, tanto non abbiamo molto da fare, fuori tira un vento gelido e la mia voglia di uscire in queste strade piene di ricordi è praticamente inesistente.
Mi accoccolo a mia volta su di lei, chiudendo gli occhi e riposandomi.

•••                                •••

Quando Aurora bussa alla porta, capisco che io e Chiara abbiamo dormito per parecchie ore.
La mia mente si rifiuta di aprire gli occhi e quando sento che Chiara risponde alla madre con un “shhh”, comprendo di avere ancora qualche minuto per me.
-Dobbiamo alzarci?- blatero sottovoce.
-Sì, è quasi ora di cena- mi risponde lei accarezzandomi i capelli.
Uno sbuffo esce istantaneamente dalle mie labbra.
-Dai, non manca molto alle vacanze-
Con quel pensiero ci alziamo dal letto e ci rimettiamo un po’ a posto.
Poco dopo scendiamo in salotto. Ad aspettarci ci sono solo i genitori di Chiara.
Il mio cuore incomincia ad agitarsi nel mio petto.
Essere sola con loro due mi mette ansia, molta ansia.
Tento di ritrovare, dentro me, la mia classica caratteristica: essere coraggiosa. Per quanto io stia a frugare, non riesco a trovarla ora, non riesco mai a trovarla quando sono coinvolte persone a cui tengo.
Una persona normale, dovrebbe trovare il coraggio di fare qualsiasi azione, di sfidare qualsiasi destino la attenda, per le persone a cui tiene, no? A quanto pare, non funziona così per me.
Più tengo a qualcuno più il mio coraggio viene a mancare. Mi rifugio in un angolo a guardare inerme la loro vita che scorre, senza buttarmi in mezzo alla corrente e nuotare con loro.
Forse, un po’ di questo mio istinto è cambiato con l’arrivo di Chiara. Ma neanche troppo.
-Valentina e gli altri ci raggiungeranno dopo cena, per montare l’albero- dice Aurora con un sorriso. Poi continua: -Alice, hai voglia di andare con lui a prendere il vino in cantina?- mi chiede indicando il padre di Chiara.
Annuisco con un sorriso falsissimo.
Se c’è una persona che temo in questo instante è lui. Ha quest’aura di mistero, di cattiveria e severità che lo segue come una nuvola.
Scendiamo silenziosamente le scale in pietra che penso portino alla cantina o al garage. Lui mi mostra la strada e, alla fine delle scale, apre una pesante porta in legno.
Il freddo invade le mie ossa quasi istantaneamente. Davanti a me vedo solo scaffali e scaffali che incorniciano uno stretto passaggio. Posso notare che su questi scaffali, su cui non c’è neanche un granello di polvere, siano impilati ogni sorta di vasetti di vetro, contenitori, che racchiudono ogni tipo di marmellata.
Quando questo piccolo e corto corridoio finisce, un minuscolo spiazzo si apre davanti a me. Una serie di bottiglie un po’ impolverate vengono tenute in delle celle frigorifere. Quando leggo gli anni sulle bottiglie scure, rimango esterrefatta. Un “wow” mi esce automatico dalla bocca.
-Anche io ho una piccola passione come te- dice mentre le guarda tutte le sue bottiglie con sguardo fiero.
-È impressionante- dico ancora con un filo di voce.
-Il 68 per questo vino è una grande annata. Vedi? Questa bottiglia è numerata, quindi è stata fatta apposta per essere invecchiata. Dentro queste celle tengo la temperatura che le cantine mi hanno detto di tenere, le controllo periodicamente- annuisco religiosamente sentendo questa spiegazione. Quando ne sceglie una apre velocemente la cella e poi la richiude altrettanto velocemente. -Questa penso possa andare bene per l’occasione-
Sulla via del ritorno non passiamo più per le scale, ma usciamo dal garage e passiamo dal giardino dietro la casa.
-Lo vedi quel grosso stabilimento su quella collina?- chiede come se questo freddo non lo stia toccando affatto.
-Sì, è decisamente grosso- commento.
-È mio. Essere imprenditore ti porta ad essere lontano da casa, a fare viaggi di lavoro, nottate in ufficio a curare i bilanci per evitare ogni sorta di problema e chissà quante altre cose… sai, così mi sono perso ogni cosa di mia figlia. I saggi della scuola, i campeggi, a volte anche i compleanni. Ma di sicuro mi sono perso lei. L’ho persa così tanto tempo fa che ora capirla mi è impossibile. Eppure la sai un’altra cosa? L’ho fatto per darle un futuro. Eppure nessuno ti spiega quando sei un genitore, che non esserci per creare un futuro ai tuoi figli equivale a fargli odiare il futuro che stai creando per loro, perché senza la tua presenza loro non ti capiranno mai e tu non capirai mai loro. Devi stare con loro e aiutarli a costruire il loro futuro- dice senza fermarsi continuando a guardare quello stabilimento grigio e imponente.
-Posso dirle io una cosa?-
Lui annuisce, sempre con quello sguardo severo che ormai per me lo caratterizza.
-Non esserci come padre è molto diverso da quello che ha fatto lei. Non esserci come padre è un padre che ti lascia a te stessa in ogni passo della tua vita, che ti dice che non vali nulla, che i tuoi pensieri sono tutti sbagliati. Che si buca la pelle in salotto mentre tu guardi la tv, che quando tua mamma lo lascia lui decide di bucarsi due volte al giorno. Questo è un pessimo padre, non lei. Lei può ancora rimediare agli errori fatti, basta volerlo, mi creda. È vero, Chiara non ha buone parole per lei, ma non mi ha mai detto “non perdonerò mai mio padre”, quindi una chance ce l’ha anche lei-
Lui annuisce senza guardarmi in volto. Da quell’umile gesto capisco che il mio messaggio è arrivato forte e chiaro.
Entriamo in casa e la tavola è già tutta imbandita.
La cena procede liscia, a volte mi permetto anche di fare delle comande al padre di Chiara sulla sua azienda, lui risponde dettagliatamente e con garbo. Così facendo riesco anche a lanciare un segnale sottointeso a Chiara: è andato tutto bene là sotto.
Quando il campanello suona ci rendiamo conto che la nostra cena di è dilungata in chiacchiere e vino, forse per un po’ troppo tempo.
Con l’arrivo dei cugini di Chiara, inizia il montaggio dell’albero.
Chiara se la ride sotto i baffi mentre aiuto Valentina con l’albero.
-Lo sapete che Alice odia le decorazioni di Natale?-  dice ridacchiando.
Con lo sguardo la fulmino istantaneamente.
No, Chiara, non portare fuori questa questione imbarazzante ora. Per favore.
-Cosa?!- replica sua mamma dall’altra parte della stanza. -Alice è il Grinch?-
Dentro di me, sbuffo sonoramente. Ma per fortuna il mio corpo si trattiene e nessun suono esce dal mio corpo.
In compenso, Chiara e Valentina sogghignano alle mie spalle.
Decido che la miglior risposta è continuare a tirare fuori palline colorate dalle scatole impolverate. -Sto facendo ammenda ai miei peccati, aiutandovi stasera- dico cercando di non peggiorare la situazione.
Loro scoppiano in una risata e dopo due ore buone di canzoni di natale, alberi montati, candele natalizie e chiacchierate superficiali, gli addobbi sono posizionati e pronti per l’arrivo di Babbo Natale.
Chiara soddisfatta dice: -Abbiamo fatto un bellissimo lavoro-
Aurora felice, si siede sul divano di fianco a suo marito, il quale ci ha osservate di nascosto per tutta la sera. Forse stava riflettendo sul breve ma intenso discorso che abbiamo intrattenuto fuori al freddo? O forse mi sta solo scannerizzando, trovando mille difetti e motivi per cui sua figlia non dovrebbe avere neanche lontanamente a che fare con me.
Beh, se sta davvero pensando alla seconda possibilità è meglio che mi goda questi momenti.
Poco dopo ci ritroviamo tutti quanti sul divano, tutti quanti aspettiamo la mezzanotte.
Immagino che Chiara non sia felice del fatto che questa tradizione non si sia ancora spezzata. Forse immaginava che essendo lontano da casa da molto tempo, non avrebbe più dovuto subire questa “tortura”, come dice lei.
Eppure eccoci qua, nel bene o nel male, qua. In questo salotto ora tutto illuminato da lucine ad intermittenza, verdi, blu, rosse, oro, con foto di famiglia sparse in ogni angolo, arredato con quelle cianfrusaglie tipiche delle madri, quei ricordini presi nei negozi di souvenir che i parenti ti portano dai viaggi all’estero. Un salotto vissuto veramente, di certo non come le mie quattro mura torinesi, sterili, bianche e distaccate.
-Okay ragazzi, tiriamo fuori il Moscato che è quasi il compleanno di qualche pulcina qualsiasi- dice Valentina alzandosi dal divano.
Tutti ridacchiamo nel sentire quel soprannome, lei risponde alzando gli occhi al cielo e sbuffando.
Guardo l’orologio che ho al polso: mezzanotte meno dieci.
Insomma, ci siamo.
-Okay, Moscato e bicchieri- dice la cugina rientrando in salotto. -Cuginetta, tocca a te stappare- le dice porgendo la bottiglia di vino a Chiara.
Il suo sguardo spaventato mi fa quasi ridere inavvertitamente. Uno sbuffo esce di nuovo dalla sua bocca.
Quando scatta la mezzanotte proprio come si usa fare per Capodanno, Chiara si alza e con difficoltà apre la bottiglia. Quando il tappo esce fuori dal collo di vetro tutti esultano e urlano “Auguri!” quasi in coro.
Lei, visibilmente imbarazzata dalla situazione versa il contenuto della bottiglia nei bicchieri di vetro con attenzione, sibilando un grazie.
Noi beviamo con serenità il liquido frizzante e subito Aurora commenta su quanto sia diventata grande la sua bambina, un processo inevitabile ma che a sentire dalle sue parole non ha ancora pienamente accettato.
Quando la conversazione si spegne, Valentina prontamente indica i regali a Chiara che si inginocchia sul tappeto beige pronta a spacchettarli.
-Inizia dal mio o mi arrabbio!- esclama la cugina con ironia.
Io rimango seduta sul divano, godendomi questa tenera visione: una Chiara che sembra essere tornata una bambina di dodici anni con gli occhi di chi spera di ricevere un regalo da “grandi”.
Il regalo di Valentina si rivela essere un bellissimo maglione blu, con disegni delicati bianchi, proprio del genere che Chiara adora. Il cugino invece le ha regalo un libro appena uscito e i genitori un’infinita di DVD da vedersi durante tutto questo freddo inverno. Quando arriva al mio regalo, Chiara guarda curiosa la busta di carta colorata, poi posa su di me i suoi occhi color miele. Io le sorrido incoraggiandola ad aprire la busta.
Quando la apre e vede i biglietti, un sorriso enorme si apre sul suo dolce viso. Un sorriso genuino come tutte le parole che spende nei miei confronti, un sorriso felice che in questa giornata ero riuscita a vedere solo per pochi attimi.
-Oddio non ci credo! Due biglietti per gli Alt-j! Come facevi a saperlo?- mi dice abbracciandomi stretta.
-Dopo che l’hai messa in ripetizione continua per mesi, ho intuito ti piacessero!- dico scatenando le risate di Valentina.
-Grazie mille Alice- mi sussurra dolcemente all’orecchio.
Io sorrido perché è l’unica cosa che mi resta da fare.

-Signora Cerati, io davvero la ringrazio per l’ospitalità e per la fantastica giornata di ieri- dico ad Aurora con gentilezza.
-Non dire sciocchezze Alice! È stato un piacere per me, e sarai sempre la benvenuta- mi risponde.
Le lascio un ultimo sorriso rivolgendomi poi al padre: -Grazie di tutto signore, spero non abbia recato troppo disturbo-
-Nessun disturbo- dice lui soltanto.
Esco fuori dalla porta aspettando Chiara dagli scalini di casa.
Sento sua mamma dirle di fare attenzione, di andare piano in macchina e via dicendo. Ridacchio sottovoce. Quando Chiara saluta il padre, lui la avvolge in un abbraccio silenzioso. Che sia forse un cambio di rotta?
Nel giro di pochi secondi ci ritroviamo nella mia macchina, pronte per partire.
-Quindi, posso sapere dove stiamo andando?- chiede lei rassegnata.
-Ovviamente… no- rispondo sogghignando.

•••                                •••

Quando finalmente Alice si ferma per parcheggiare la macchina, capisco che siamo arrivate.
Questi ultimi due giorni sono stati un vortice di emozioni, di ore che passano veloci, di momenti lunghi come eternità. Mi sono sentita come su due pianeti diversi con differente forza di gravità: un momento ero pesante, ancorata al terreno e al passato che veniva a galla da quei muri; un altro ero leggera, volavo senza fatica tra i ricordi spensierati di quando ero a casa, tra la mia famiglia senza dolore o segreti.
Ora che ho messo piede fuori da quella casa e che abbiamo salutato i miei genitori, non so neanche se quello che ho vissuto è stato reale o solo un sogno. Sembra qualcosa di surreale, lontano e offuscato. I ricordi e le ore si mescolano insieme, si fondono velocemente uno con l’altro. Chissà quando finirà questa sensazione.
Mi guardo subito intorno e scendo di fretta, nella speranza di capire dove ci troviamo.
Davanti a me un mucchio di colline anonime si ammassano, senza darmi risposte.
Incomincio ad innervosirmi un po’, perché non riesco a capire il piano di Alice, e cosa ha organizzato per il mio compleanno. Cerati, spremi le meningi!
-Non è per dire eh, ma non sempre quello che cerchi è davanti a te… a volte è dietro di te- mi dice la sua voce alle mie spalle.
Mi giro e finalmente vedo le mura di un antico castello, delle torri composte da mattoni visibilmente vecchi. La struttura è talmente imponente da lasciarmi senza fiato.
Ci dirigiamo verso l’entrata e, dopo pochi passi, due scale regali avvolgono la grossa porta d’entrata sopraelevata rispetto al terreno ghiaioso.
Una volta entrate, l’aspetto è regale, delicato e prezioso. Ogni castello deve regalare queste emozioni a chi entra, eppure le decorazioni sul soffitto, sulle porte e il pavimento di marmo chiaro, mi mettevano i brividi ugualmente.
-Il ristorante è da questa parte- mi dice lei. -Avremo tempo dopo a fare un giro turistico-
-Ristorante? Sei pazza?!- dico guardandola sconcertata.
-Sì, vorrai ben mangiare no?-
-Ma.. dentro un castello Alice! Dentro questo castello?-
Lei mi guarda come dire: e dove se no?
Lascio che mi guidi verso il ristorante, meravigliandomi ancora di dove mi abbia portata a mangiare per il mio compleanno.
Quando si annuncia al cameriere, lui ci porta prontamente al nostro tavolo.
La stanza dove siamo è esattamente una di quelle del castello. Non so che funzione avesse nel passato, ma a giudicare dai mille lampadari che pendono sopra le nostre teste sarà stata una sala da ballo o da pranzo, decisamente sfarzosa ed elegante.
Mentre mi perdo nei dettagli delle pareti di seta, ricamate con un fine motivo floreale, Alice mi riporta sulla terra facendomi ordinare ciò che più decido.
-Non dovevi portarmi in un posto del genere, Alice. Lo sai che a me basta stare insieme in un qualunque posto sulla Terra per essere felice… anche senza castello- dico con un pizzico di ironia.
Lei scuote la testa ridendo. -Era da molto tempo che volevo visitare questo castello. Quando ho scoperto che possiede un ristorante interno, non ho potuto resistere-
Ridacchio perché conoscendola so che ha perfettamente ragione. Alice ha poche passioni, ma i luoghi storici, suggestivi, dove può anche trovare del buon vino, fanno parte di queste passioni.
Il pranzo procede liscio e tranquillo, perse tra i nostri discorsi e pensieri su questi giorni intensi.
Alice mi racconta di come abbia trovato piacevole l’atmosfera a casa mia e che forse potremmo invitare i miei cugini a casa mia per una cena qualche volta.
-Allora mio padre non ti ha spaventato più di tanto?- chiedo.
Lei ride sonoramente. -Ho una paura fottuta di tuo padre! Il suo essere autoritario trasuda da ogni poro… è peggio di qualsiasi capo che abbia mai avuto-
-Oh sì, conosco molto bene quella parte autoritaria che non lascia spazio a vedute che non siano le sue- dico con freddezza ricordato le enormi litigate in cui non accettava mai il mio punto di vista.
-Chiara, non posso neanche immaginare cosa tu abbia dovuto passare in quel periodo della tua vita. Un genitore che non accetta una figlia è forse il dolore più grande che proverai, però… ascoltami. Penso che tu sia stata arrabbiata con lui per molto tempo, moltissimo e non fraintendermi avevi ragione. Però ora cosa ti resta in mano? Solo delusione, una delusione amara perché tu non hai un padre come tutti gli altri hanno. Non hai una famiglia unita, non puoi tornare a casa quando vuoi, non puoi fargli una sorpresa e non sai neanche cosa regalare ai tuoi genitori per Natale. Non è triste?- mi chiede seria.
-Lo è- dico esausta.
-Forse lui è stato arrabbiato con te per molto tempo, esattamente come te. Forse non ti capirà mai del tutto, però è deluso quanto te… posso dirlo da come ti guarda. Quindi è tempo di una chiacchierata tra adulti feriti, è ora di dirsi tutto quello che si prova, penso che anche lui abbia un peso notevole con cui convivere. Chiara, mi hai aiutato tanto e anche oltre quello che era di tua competenza, prendi questo consiglio come la mia intenzione di aiutare te stavolta. Devi risolvere questa situazione, metterci una pietra sopra una volta per tutte. Devi parlarci perché sono sicura che ti stupiresti delle parole che ha per te- dice tutto d’un fiato.
Rimango esterrefatta da queste parole, dalla cura con cui Alice mi sta accarezzando la mano sul tavolo, dalla delicatezza del suo consiglio, dalla voglia di vedermi stare meglio.
Sorrido dolce al pensiero che, finalmente, qualcuno si sta preoccupando per me. Questo non succedeva da anni e anni, avevo quasi dimenticato come ci si sentiva.
La sua mano si stringe prudentemente alla mia, si intreccia senza dolore o fretta. I suoi occhi aspettano una mia risposta, una qualunque parola.
-Ci proverò- è l’unica cosa che riesco a dire ora.
Quando questa sensazione di anormalità scivolerà via dalla mia anima, avrò la mente lucida per affrontare questo grande ostacolo nella mia vita.
Rimaniamo qualche istante così, perse nelle nostre teste affollate, con gli occhi fissi sulle nostre mani intrecciate.
Poi finalmente, capisco tutto.
-Sai una cosa Alice? Sì forse io devo risolvere con mio padre, forse sono io che devo fare il primo passo e sentire cos’ha da dire dopo anni di silenzio. Solo così potrò andare avanti davvero nella mia vita. Però sai cos’altro c’è? C’è il fatto che per colpa sua, per colpa di tutti, sono sempre rimasta nascosta, timorosa di far vedere agli altri chi sono, la mia vera me, quella che tu ormai conosci alla perfezione. Lui mi aveva messo in testa una paura non quantificabile sulla reazione che avrebbero avuto gli altri sapendo di me, così ho vissuto nell’ombra evitando domande sulla mia vita privata, evitando di intercorrere nel discorso “amore” con gli amici al bar perché loro mi avrebbero chiesto la mia esperienza e io non ne ho mai avuta una perché spaventata dal dire cosa e chi sono. Mi ha fatta diventare una codarda e io non voglio più esserlo- dico senza fermarmi.
Lei mi guarda con occhi sognanti, felice di queste parole. Le sue iridi verdi mi scrutano alla ricerca di una conclusione.
-Se voglio essere un esempio per qualsiasi altra ragazza là fuori, devo dire ciò che mi è successo e perché è successo. Non voglio che nessuno si trovi nella mia situazione, voglio che la evitino per quanto possibile. Se voglio buttarmi alle spalle mio padre devo anche distaccarmi totalmente da lui e oggi è il giorno da cui non sarò più una codarda come vuole che io sia, ma sarò la persona che sono-
Il sorriso più bello che possa mai trovare mi si apre davanti agli occhi.
Faccio una veloce foto alle nostre mani intrecciate, il gesto più comune e intimo che ci si possa scambiare tra innamorati.
La pubblico ovunque, perché tutti devono sapere che non sono più schiava di nessun pensiero altrui.

 

Ahhh ragazzi eccoci!
Lungo, intenso, difficilissimo da scrivere perché l’ho scritto durante la stesura della mia tesi, la laurea, il mio trasloco e tantissime altre faccende anche difficili. Avevo a un passo da me il lavoro dei miei sogni che è scivolato via così com’è arrivato, quindi tra tutte queste emozioni sono riuscita a scrivere questo che spero vi sia piaciuto. È lungo, lo so, eppure non volevo staccarlo a metà, in più volevo farmi perdonare per la lunga assenza.
Tutto il resto che ho da dire lo potete trovare qua: https://fyrstaa.tumblr.com/post/163489202928/tra-il-resto-oggi-mi-sono-laureata-ovvero-ho
Grazie per la lettura aspetto le vostre opinioni, siate buoni! 
Un bacio 

 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: theethee_