*Ahh, i manichini non servono
per
combattere! Servono per parlare! Non vogliamo ferire nessuno, non
è vero…?
Vieni.
L’odore che aleggia
nelle Ruins è umido e freddo, ma non spira neanche un filo
di vento. Le pareti
viola torreggiano intorno a loro, paiono volerle rinchiudere nel loro
labirinto
di puzzles per sempre.
La piccola umana avanza innocente, appena un passo dietro Toriel.
L’adulta le
getta occhiate dolci e rassicuranti da dietro alla spalla di tanto in
tanto, ma
lei non ha bisogno di essere tranquillizzata. Affatto.
Un’eccitazione febbrile le scorre fra le vene camminando in
quelle vie
lastricate e buie. E’ sveglia da troppo poco, appena qualche
ora… C’è appena
qualche ora di distanza da quella scelta che ha cancellato tutto quello
che
aveva costruito, da quella scelta che ha bruciato la sua intera vita.
Ma il passo dell’umana è sicuro. Svolta
l’angolo e segue docile Toriel,
guardandosi intorno curiosa e per nulla spaventata. Non è
timida, non lo è mai
stata. Nei suoi occhi accesi brilla la determinazione.
La sala che si apre davanti a loro è viola come le altre e
folti rami di edera
crescono sulle pareti trascurate. Le stanze sono tutte uguali, in quel
posto.
Sono così monotone. L’umana storce il naso e si
chiede se sarà tutto così
noioso, d’ora in avanti.
Toriel la tratta come se fosse terrorizzata. Parla piano, con tono
pacato, le
sorride continuamente e nei suoi occhi balugina di tanto in tanto un
affetto
immotivato, istintivo, materno… Fastidioso.
*C’è
un altro puzzle in questa stanza… Mi chiedo se potresti
risolverlo.
L’umana ricambia il sorriso a quella frase e annuisce con
decisione: risolvere
puzzles è un gioco da pezzenti, ma è pur sempre
un gioco e lei ha sempre amato giocare.
L’approvazione intenerita nello sguardo di Toriel
è quasi ridicola e la fa
ridacchiare sotto ai baffi di un risolino strano, che non appartiene a
quel
viso innocente e che in un certo modo ci appartiene più di
ogni altra
espressione.
Si sente strana.
Qualcosa di estraneo
avvelena i suoi pensieri e distorce le sue percezioni, eppure non
è spiacevole,
affatto.
Toriel non lo nota e le fa strada nello stanzone viola, incamminandosi
verso un
piccolo corridoio. L’umana la segue, ma appena prima di
svoltare l’angolo un
rumore attira la sua attenzione.
E’ solo un piccolo fruscio.
Solo un piccolo passo, un piccolo gracidio.
Tutto il suo corpo si immobilizza per un attimo, scorgendo la figura
bianca di
Froggit avvicinarsi a lei da dietro una tenda d’edera.
Si guardano solamente per qualche secondo.
Senza che se ne accorga,
entra in
modalità fight.
Sente tutto galleggiare intorno a lei. Froggit la guarda
fisso, curioso e
ottuso, ritto sulle zampe dalla pelle sottile e umidiccia, gli occhi
grandi che
non sbattono mai. L’umana ricambia quello sguardo e qualcosa
di graffiante e
improvviso come una marea le accalda il viso tutto di colpo.
Riconosce quel calore fastidioso e pressante come irritazione.
E appena lo realizza un pensiero improvviso le attraversa la mente come
una
scarica elettrica.
Stupida creatura.
Froggit piega leggermente la testa di lato e fa un passo
verso di lei.
L’umana assottiglia gli occhi e serra le labbra in un ringhio
muto.
Fastidioso.
Perché
è qui?
Sta intralciando la mia
strada.
Idiota.
Deve sparire.
Ha solo un legnetto in mano, raccolto appena scesa da quel
giaciglio di
fiori dorati.
Osserva i pulsanti davanti a lei. Sono gli stessi comparsi quando aveva
provato
con il manichino, ma la loro luce è più intensa,
paiono volerla attrarre come
una calamita. Il loro baluginio si riflette nelle sue iridi e un
tumulto strano
le sale in gola.
La sua mano si allunga quasi automaticamente verso il pulsante ACT,
svogliata,
suggerita dall’immagine del sorriso fiducioso di Toriel e dal
ricordo simile a
un sogno di quel movimento ripetuto fin troppe volte, in quello stesso
posto. Ma si ferma a
mezz’aria.
Sente qualcosa di caldo pulsare nelle vene.
Con la coda dell’occhio incontra lo sguardo ottuso e
perplesso di Froggit. Una
fitta di irritazione le azzera il respiro per qualche istante e la sua
attenzione scivola sull’altro pulsante, proprio accanto.
FIGHT.
Non riesce a distogliere lo sguardo.
FIGHT.
Suona come un ordine, nella sua mente.
Pensa al tono premuroso
di Toriel, al suo
sorriso, alle sue carezze materne. Pensa alla dedizione con cui le ha
spiegato
come fare, alla premura che ha di starle sempre vicina e rassicurarla
in ogni
modo possibile. Pensa a tutti i mostri che abitano
l’Underground, che la
guarderanno con diffidenza per la sua provenienza e a cui
dovrà dimostrare di
essere disgustosamente buona e disposta a collaborare. Oh, lei lo sa.
Ha già
vissuto quell’avventura. Ha già visto quelle
stanze e quei volti e ha già perso
il conto delle volte in cui è dovuta morire per dimostrare
la sua bontà, per
meritare l’affetto dei mostri.
Ma non ci sta, non
più. Non ne ha più voglia.
Un ghigno si distende sulle sue labbra tutto di colpo.
Il suono molliccio del bastoncino che affonda di scatto in tutta la sua
lunghezza nella pelle sottile e bagnata del rospo è
disgustoso e insieme
terribilmente affascinante.
“Perché
non dovrei farlo, dopotutto? Ho
già dimostrato loro di amarli. Ora tocca a loro dimostrarlo
a me.”
FIGHT.
L’ha colpito d’istinto all’attaccatura
del collo e tranciare quel corpicino
mollo e fragile è fin troppo facile anche con
un’arma del genere; il legno si
conficca fino al punto dove l’umana lo impugna e Froggit
strabuzza solo quei
suoi stupidi occhi rotondi, emettendo un fragile gracidio di sofferenza
prima
che il sangue gli strozzi la voce e il suo corpo crolli inerme a terra.
Uno
spruzzo di sangue risale dalla ferita e l’umana salta
indietro appena in tempo
per non insozzarsi il maglione.
Resta a guardare quel corpo piccolo e flaccido accartocciarsi su se
stesso in
un’agonia muta, una pozza rossa che si allunga sempre di
più intorno al rospo
confondendosi col pavimento viola.
L’umana ritira il bastoncino, spingendo indietro il corpo del
mostro con un
calcio. E’ sporco e sul legno gocciola sangue scuro e caldo,
dall’odore
ripugnante e nauseabondo; quello stesso liquido gocciola fino alle sue
dita,
imbrattandole.
Un brivido caldo e terribile la scuote da capo a piedi e una fitta di
dolore
trafigge la sua anima, seguita da una scarica di potere mai provato che
le fa
tremare le gambe tutto di colpo.
Le gira la testa e rimane per un attimo confusa da quel potere
destabilizzante
e travolgente, che per qualche secondo le dà la sensazione
di star annegando. Sente
le mani formicolare, mentre il potere si irradia nella sua anima
incidendola e
deformandola. Il L.O.V.E. cresce dentro di lei, modificandola per
sempre.
La sensazione di aver
fatto qualcosa di
proibito e irreparabile è esaltante e insieme terrificante
come nient’altro mai
provato prima.
Tira un altro calcio al corpo sempre meno consistente del rospo,
spingendolo in
un angolo e affrettandosi a seguire Toriel; nasconde il legnetto sporco
dietro
alla schiena in uno scatto e incrocia lo sguardo dell’adulta
che la stava
aspettando.
Si sente febbrile, in balia delle sue emozioni: il cuore le ruggisce in
gola e
per qualche attimo il terrore la sopraffa. E se l’avesse
notata? Se si fosse
girata mentre lo colpiva? Se… Se…
Ma
l’espressione di Toriel si distende
subito e si incammina senza esitare nel corridoio appena imboccato,
senza
chiederle nulla né mostrarsi turbata.
L’umana si sente mancare di sollievo e si accorge in quel
momento di aver
trattenuto il fiato.
Si sforza di seguirla mostrandosi sicura e baldanzosa come prima; se
esitasse
attirerebbe la sua attenzione più del dovuto, non
può rischiare che noti il
sangue sulle sue mani e sul bastoncino. Col cuore in gola pulisce
freneticamente
il legnetto con un lembo del maglione, asciugandosi alla
bell’e meglio le mani
e sentendo il cuore battere sempre più forte, come se
volesse scappare dal suo
petto.
Ma man mano che cammina e Toriel continua ad essere tranquilla e
rassicurante
come sempre anche il suo naturale terrore va affievolendosi sempre di
più… Sostituito
dal divertimento.
Qualcuno ha appena smesso di respirare, di muoversi, di parlare, di
esistere… Qualcuno
ha appena lasciato questo mondo, per l’unico motivo di essere
capitato davanti
a lei, appena dietro alle spalle del mostro che dice di volerla
proteggere. E Toriel
non se n’è neanche accorta.
Non sa come riesce a trattenersi dal ridere e il calore del
LOVE sulla sua
anima le appare tutto d’un tratto meno minaccioso, le appare
come un lucido trofeo
per aver vinto un gioco pericoloso che nessuno osa intraprendere.
Ha ucciso un mostro. E se lo facesse ancora?
E’
stato divertente. Quel rumore molliccio e disgustoso… Vuole
sentirlo ancora.
Ha ucciso un mostro. E’ una colpa pesante.
E se ne uccidesse due? Se ne uccidesse tre? Se ne uccidesse dieci? Se
ne
uccidesse venti? Se ne uccidesse cinquanta? Se li uccidesse tutti
quanti?
Se li uccidesse tutti quanti?
E’
un pensiero terrificante e, come ogni cosa terrificante, ha un sottile
e
innegabile fascino.
Una voce risuona nella sua mente all’improvviso.
(Puoi farlo.)
La sensazione di una determinazione potente quanto la sua accanto alla
sua
anima la irradia di calore.
(Se vuoi puoi ucciderli.)
Inizia a tremare e abbassa lo sguardo.
(Hai il potere di farlo.)
Si guarda le mani, il sangue coagulato ancora insinuato nella cuticola
delle
unghie.
(So che lo vuoi, non mentire a me.)
Deglutisce, ha la gola secca. E scenari atroci si dipingono nella sua
mente, i
volti del suoi amici segnati dal sangue e dalla sofferenza… Gli stessi amici che non hanno
esitato ad
ucciderla più e più volte, però, prima
di definirsi tali.
(Loro ti hanno ferita. Vendicati.)
E’ così cattivo… E’
così sbagliato… Lo sa, sa qual è la
strada giusta…
Eppure…
(Fallo. Non temere, non sarai sola. Ti aiuterò io.)
Toriel si ferma davanti a lei e le sorride di nuovo, dolce e
rassicurante.
*Questo
è il puzzle, ma… Vieni, prendi la mia mano per un
momento.
L’umana ricambia il sorriso con aria angelica.
Nessuno nota il perfetto incontro di rosso e castano, in quegli occhi.
“…
E se me ne pentissi… Potrei sempre tornare indietro,
no?”
(… Heh heh. Ma certo…)
A certi giochi,
semplicemente,
bisognerebbe non giocare mai.