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Autore: Angelika_Morgenstern    31/08/2017    2 recensioni
È la seconda volta che ci provo, cosa credono, che lo faccia per hobby?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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È colpa del sole se mi sveglio ogni stamattina?
Forse il mio corpo è inconsciamente attratto dalla sua luce?
Non ho voglia di tornare a lavoro, voglio dormire ancora.
Stare in pace, al caldo sotto le coperte. Non dover avere a che fare con nessuno, godermi il silenzio.
Mi volto, constatando che fuori piove.
Lievemente sorrido. 
Anche il tempo è in linea col mio umore.
La gente odia la pioggia, la considera un coefficiente di difficoltà alle sue opere quotidiane. Certamente non piace vedersi sconquassati i propri piani da elementi di disturbo come le condizioni meteorologiche, alle quali non si può assolutamente porre rimedio, al massimo adattarsi. 
Io la adoro, rispecchia il mio modus vivendi alla perfezione.
Vorrei stare qui e godermela, contare le gocce, verificare quali siano quelle più veloci, osservare il loro movimento mentre strisciano sul vetro, come nella teoria del caos esplicata da Ian Malcolm alla Dottoressa Ellie Sattler su Jurassic Park, il primo, quello del ‘93, l’unico valido a mio avviso.
Altro che Jurassic world...
Il telefono interrompe i miei pensieri.
Odio quella dannata macchina infernale che si frappone sempre fra me e ciò che sto facendo, costringendomi a interrompere le mie attività per verificare se si tratti di una chiamata necessaria o di una stupidaggine effettuata da chi non sa come passare il tempo e vuole informarsi su come prosegua la mia giornata. 
Non che gli interessi veramente, ma quando non hai nulla a cui pensare è ovvio che la tua attenzione vada sugli altri. Nessuno ama la noia e trovo che questo interesse accettato da tutti sia in realtà una dimostrazione di egoismo gratuito. E mi stupisce come la gente non ci arrivi.
Una volta me la sarei presa a morte, ma ormai…
Sospiro, mi alzo e rispondo. Che pazienza!
— Pensi di venire a lavorare, oggi?
È Genni.
Non rispondo, valutando cosa dire.
— Lu, non fare cazzate, ok?
Faccio spallucce — Nah, non è ancora il momento.
— Ancora?! – alzo gli occhi – Stai scherzando, vero?
Che palle.
— Genni, non dovrei nemmeno essere qui. – dico – Per quale motivo pensi che io respiri ancora?
— Cerca di renderti conto…
— ...di cosa? Di quant’è bella la vita? Di come bisogna essere grati a Dio per ciò che abbiamo? E cos’è che avrei, esattamente? Per cosa dovrei gioire? Per la libertà?! Quale?
Genni ammutolisce, io sento il mio cuore rimbombare nel silenzio.
— Vedi? – domando – Non lo so io, figurati se lo sai tu.
Lo sento riattaccare e faccio lo stesso, sospirando di sollievo.
Non andrò a lavoro, oggi. 
Sono in libreria, ma solo per inerzia, per fare qualcosa.
Ho letto tanto nella mia vita, così tanto da iniziare a pensare fuori dal coro.
Siamo solo un branco di pecore, ma mentre gli altri belano in do maggiore a me piace farlo in tritono, e questo mi svantaggia.
Vedo le cose diversamente dai miei simili e ritrovo sempre gli stessi schemi mentali nella gente.
Nutrii seri dubbi sulla mia personalità, tanto che questa ne uscì de personalizzata. Non comprendevo più nulla e non mi riconoscevo in nessuno, stavo notti intere a domandarmi il senso di tutto questo: la mia vita, gli altri, il mio lavoro.
Perché esisto?
In conseguenza un mero atto sessuale? Il senso della mia esistenza è davvero riconducibile a un istinto animale e basta?
Oppure c’è qualcos’altro?
Quando avevo 6 anni caddi dal balcone di casa, mi ruppi la testa ma sopravvissi.
Nel letto di fianco al mio c’era una bambina che morì per una polmonite.
Dio, il destino, o come si chiama ha voluto farmi vivere mentre ha ucciso quella piccola.
Perché?
Un brivido mi attraversa la schiena, un odore pungente solletica le narici.
La mia testa si muove da sola, probabilmente in risposta allo stimolo olfattivo per la conseguente ricerca della sua fonte, e la trova in una chioma color rame.
La figurina indossa una lunga gonna a fiori, mi sembra una comune sfigatella e la conferma arriva quando urta la pila di libri col ginocchio e questa cade rovinosamente ai suoi piedi.
Mi guardo attorno: tutti l’hanno notata, altrettanti hanno osservato la scena ma nessuno fa cenno di avvicinarsi per aiutarla, nonostante si noti benissimo il suo disagio.
Non so perché ma mi avvicino, chinandomi per afferrare un paio di libri.
Lei mi guarda appena, è tutta rossa in viso, segno di totale imbarazzo, e mormora un grazie alla mia direzione con voce flebile.
Mi limito ad annuire.
Del resto cosa dovrei dire?
Sai, mi fai pena e io provo pietà per i più deboli.
Non credo apprezzerebbe, meglio stare zitti.
Quando tutto è in ordine si alza e se ne va a capo chino.
A quel punto la imito, imboccando l’uscita di quel posto. Alla fine anche le pubblicazioni si ripetono ciclicamente, esattamente come nella moda, che ogni tot anni ripesca un vecchio stile cambiando qualche dettaglio. Ed è una formula vincente perché ritrovando qualcosa di famigliare, le persone comprano! 
Si fa leva sulla nostalgia, sull’emotività in generale e sulla sicurezza di cose che in passato hanno già avuto successo. Come quando, nei primi duemila tornarono di moda gli anni ‘70, spinti anche da film rivisitati tipo Austin Powers o le Charlie’s Angels. Adesso sta succedendo con gli anni ‘90. I top che lasciano la pancia scoperta, i jeans stretti a vita alta, una figura filiforme nelle ragazzine... cose già viste.
Possibile che la società accetti tutto questo riutilizzo del vecchio? A me sembra che ci prendano per il culo tutti quanti.
Passeggiando mi ritrovo a riflettere sulle persone, ripensando al discorso del giorno prima con Marina.
Trovo deplorevole il fatto che non ci si aiuti a vicenda, ma in effetti non sto facendo la stessa cosa?
Ho meditato il suicidio, l’ho attuato fregandomene di tutto il resto, di cosa potessero provare le persone a me vicine. Non dico che mi vogliano bene, credo fermamente che ci si avvicini agli altri per pura necessità ed è per questo che mi comporto male con tutti, per verificare la veridicità dei loro sentimenti e il grado di egoismo presente in loro. Devo ammettere che Marina e Genni mi hanno sempre stupita in positivo, ma non ho la benché minima intenzione di cambiare il mio carattere.
Soprattutto ora che sto per morire. Magari questo servirà a sentire un po’ meno la mia mancanza.
Magari diranno beh, ci abbiamo provato, ma era talmente stronzo! e così non avranno nulla di cui rimproverarsi.
Mi sto preoccupando per loro.
Io mi sto preoccupando per due persone.
Wow.
Del resto il mio suicido è solo una conseguenza: non voglio vivere in questa società, non voglio che le sue stupide convenzioni sociali governino la mia vita e regolino il mio essere in base agli altri, in nome del quieto vivere. Odio dover indossare delle maschere perché altrimenti gli altri ci restano male.
Non lo sanno dire un vaffanculo? 
Sono rincretiniti dalla bontà dilagante fino a questo punto?
Nessuno dovrebbe limitare se stesso più di tanto, non è giusto.
Viviamo in un sistema dove bisogna seguire delle regole per essere accettati, fingere in continuazione per mantenere le proprie amicizie.
Quanto sono sinceri questi rapporti?
Perché la gente accetta tutto questo?
Io non lo accetto.
— Lu, non sei a lavoro oggi?
È Marina, che palle.
— No, non me la sentivo.
— Forse dovresti tornare dalla psicoterapeuta.
Sbuffo mentre ripongo la macchinetta del caffè — Non ha risolto niente, quella. Tanti soldi sprecati.
— Ho sentito dire che è una questione di volontà.
— In che senso?
Mi incuriosisce questa cosa.
— Beh – dice lei, cercando le parole – se non vuoi, non guarisci.
— Guarisci. – le faccio il verso – E da cosa?
— Dalla depressione.
Scoppio a ridere, quasi dispiacendomi per deriderla così.
— Ma perché lo pensate tutti? Non è depressione – preciso – solo che non ho più voglia di vivere così. Ci sono regole che considero stupide, ma senza le quali non si può andare avanti.
La gente non accetta il diverso, perché dovrei accettare io il fatto di dover andare avanti in questo modo?
— Ma… Lu…
— Dai, Mari! – sbotto – Quante volte tu stessa ti sei lamentata delle tue amiche? Alessandra è sempre in ritardo e ti sfrutta come tassista, Nicoletta che ti chiama quando il ragazzo la lascia sola e non fa altro che parlarti di come viene maltrattata sfruttandoti come diario segreto per le sue frustrazioni, Francesca non fa altro che scroccare qualsiasi cosa… ma non dici nulla a loro, accetti tutto.
Perché fai questo? Per non complicarti la vita, perché in cuor tuo sai che loro non accetterebbero osservazioni sul loro comportamenti, ma in fondo chi è quello che accetta critiche senza batter ciglio?
Sei sempre tu a doverti adeguare, lo senti che sono delle egoiste del cazzo, ci stai male e lo sai bene.
Io non voglio vivere così.
Marina prende fiato — Ma tu non puoi basare la tua vita sugli altri…
— E tu cosa fai, scusa? – domando – Quanto ti senti libera?
La mia amica resta interdetta e in silenzio. Sicuramente si rende conto del fatto che ho ragione io: la nostra vita si basa soprattutto sui rapporti umani, che influiscono il suo andamento anche sul lavoro.
Sono un’individualista.
Odio questo modo di vivere.
Fisso il soffitto mentre sono a letto e non capisco.
Non comprendo.
Perché?
— Grazie e arrivederci!
Guardo la commessa con un sorriso sornione mentre imbocco l’uscita del negozio, il mio acquisto tra le mani, chiuso in una semplice busta di carta bianca, anonima e pura.
Mi dirigo verso l’ospedale, quello dove mi hanno salvato la vita. Non sono affatto felice, ce l’ho un po’ col Dottore che mi ha ridato la vita.
Ma chi gliel’ha chiesto?
Perché non si è fatto i fatti suoi?
Salgo le scale: conosco la strada, ricordo ogni minima crepa di quegli scalini, il trauma conseguente alla violazione della mia volontà, la perdita della libertà estrema, il giuramento che ho fatto di non arrendermi mai alle stupide regole convenzionali.
Non voglio vivere, non accetto tutto questo, non voglio sottostare a delle stupide regole sociali.
Non apprezzo ciò che ho, non m’interessa.
Guardo fuori dalla finestra dell’ospedale, il sole tramonta in quel mentre.
Ancora un altro giorno è passato.



Ciao a tutti, bentornati dalle ferie, o buone vacanze a chi deve ancora partire ^^
Purtroppo quella che doveva essere una storia breve e coincisa si è protratta per le lunghe con l'aggiornamento, cosa che odio a morte, ma sono riuscita a riacchiapparla oggi, in questo preciso momento e ne ho approfittato. Alla fine sono andata a convivere e dove siamo ora non abbiamo il telefono fisso e nemmeno il pc, solo un portatile molto lento.
Siamo ancora nel pieno del trasloco, specialmente io che possiedo una marea di cose di cui mia madre vuole liberarsi, e mi tocca venire qui tutti i giorni, nella mia vecchia casa a controllare. Uno stress che non vi dico!
Tornando a noi, anche in questo capitolo Lu da prova del suo ciniscmo estremo, un'individualismo al limite.
Lo avevo figurato come un maschio, ma sinceramente non volevo dargli sesso, finché un lettore mi ha fatto notare che si trattava di un maschio... ma data la sua natura deviata, ho optato per farla essere una ragazza che si riferisce a se stessa usando la forma neutra, che se non erro in italiano corrisponde al maschile.

Ammettiamolo, è antipatica forte, però ha un bel caratterino e le idee chiare.
Alcune delle sue idee sono le mie, mi permetto di rivendicarne la maternità in quanto sono davvero troppo estreme, ma devo anche dire che sono in costante evoluzione...!
Grazie mille per seguire la storia e un grosso grazie a Old Fashioned per le recensioni.
Un abbraccio grande a tutti voi e buon fine d'estate ^^

Have fun
- A.
   
 
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