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Autore: throughemiliaseyes    31/08/2017    0 recensioni
La storia di una ragazza semplice e dalla vita priva di alcuni avvenimenti interessanti, sta per essere stravolta dall'arrivo di alcune persone che porteranno con sé dei forti cambiamenti in lei e nella sua monotona routine di tutti i giorni.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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CARPE DIEM

Sapete quelle frasi dette e stra-ridette che tutti odiamo sentir dire o leggere in giro perché ritenute banali, ma che poi, puntualmente, ci tornano alla mente in determinati momenti della vita?
Bene. Io odiavo quella che diceva: “Carpe Diem.”
Probabilmente la odiavo perché ero solita a non cogliere l’attimo, a farmi sfuggire delle buone occasioni che la vita mi donava, per paura di affrontarne poi le conseguenze.
Alla veneranda età di venticinque anni, posso dire di essermi fatta sfuggire almeno tre ottime occasioni che avrebbero potuto cambiare la mia vita.
Quindi eccomi qui: single reduce da una deludente storia d’amore durata solo un estate, senza un titolo di studi che mi permetta di guadagnare migliaia di euro al mese e ancora a carico dei miei genitori.
Vivo in una città del sud Italia e per quanto io la ami, ho sempre sognato di poterla lasciare un giorno e ricominciare tutto d’accapo nell’altra parte del mondo, con persone nuove, posti nuovi, una nuova vita e una nuova me.
Attualmente, però, mi limito a sognare ad occhi aperti, mentre mi occupo dell’unica cosa che amo fare e per cui vengo pagata, ovvero fare la babysitter. Attualmente mi occupo di badare ai figli di una famiglia benestante del mio quartiere.
Amo molto i bambini ed in loro presenza riesco sempre a non sentirmi a disagio per la vita monotona e priva di ambizioni che conduco;
i bambini non stanno lì a chiedermi quand’è che mi deciderò a darmi una mossa, riprendendo gli studi e trovandomi buon lavoro ed un ragazzo in gamba che abbia un buon lavoro e che possa volermi sposare prima dei trent’anni (età apparentemente letale per noi ragazze.)
Mentre vesto i panni della babysitter, riesco a tornare bambina, riesco a rivivere quella spensieratezza, quella ingenuità e quel senso di tempo illimitato che avevo e mi sento bene, mi sento sollevata, ma in realtà, una volta che uscivo dal portone di casa dei De Bellis, tutte le mie ansie e preoccupazioni sulla mia vita e sul mio futuro, tornavano ad assalirmi.
Per non finire con l’affrontare la realtà e dover ammettere di essere infelice e delusa da come sono finita, la sera, dopo essermi preparata la cena, guardo un film alla tv o qualche episodio di un telefilm che seguo periodicamente.
Una di quelle sere, mentre guardavo Forrest Gump per la ventesima vota ed ammiravo l’interpretazione perfetta e toccante di Tom Hanks, mi squillò il cellulare.
Mi trovavo in camera mia, e leggendo che si trattasse della signora De Bellis, misi in pausa il film e risposi subito.
- Matilde, sono la signora De Bellis…
Ci tenne a specificarlo subito, come se credesse che non mi fossi ancora decisa a salvare il suo numero nella rubrica del mio telefono, dopo circa 7 mesi che lavoro per lei.
- Buonasera signora De Bellis, co-come mai mi telefona a quest’ora?
Finsi di non aver letto il suo nome sul display del mio cellulare.
- Disturbo, forse? Eri impegnata?
Lo disse con un tono di voce cortese che si usava in certe circostanze, ma pareva quasi dare per scontato che non avessi altro di meglio da fare se non starmene chiusa in casa.
Aveva ragione.
- No, no, si figuri, mi dica pure. È tutto a posto? I bambini stanno bene?
- Fortunatamente stanno bene, ascolta… ti chiamo per chiederti se domani mattina potresti cominciare prima del solito, devo essere in aeroporto entro le otto, mio marito come sai è fuori città per lavoro… dunque è meglio se arrivi da me per le sette. È possibile?
Feci un velocissimo calcolo mentale delle ore di sonno che avrei perso quella notte per svegliarmi in tempo e riuscire a prepararmi in fretta il giorno dopo, dunque con un tono di voce perplesso dall’avvilimento che stesse crescendo dentro di me, risposi:
- C-ce-certo… sì, non c’è problema.
Sapevo che me ne sarei pentita appena sarei stata svegliata all’alba dalla sveglia.
- Bene.
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi mi precipitai a chiederle:
- Deve partire?
Claudia De Bellis era una giovane donna di trentacinque anni, sposata da otto anni con un banchiere di quarant’anni e madre di due bambini: Saverio di sette anni e Carlotta di cinque.
Claudia era un imprenditrice dell’azienda di famiglia e spesso capitava che partisse per lavoro con breve preavviso, dunque la mia domanda era del tutto lecita e normale, ma quella volta, dal tono di voce disturbato con cui mi rispose, dedussi che si sentì quasi invadere la propria privacy.
- No, affatto, Matilde. Devo andare a prendere mio fratello che torna da Manchester.
- Oh…
Fu tutto ciò che riuscì a dire, anche perché mi resi conto in quello stesso momento, che non ne ero interessata.
- Allora posso contare sulla tua puntualità?
Ne fui quasi offesa, ma sono un tipo orgoglioso, sentir dubitare della mia serietà a lavoro, mi portava a mostrarlo.
- Certo che può contarci, signora Claudia.
Quasi mi sembrò di risentire lei in me per quel breve momento, dopodiché tornai umile ed aggiunsi.
- Sarò da lei alle sette.
- Molto bene, allora trascorri una buona serata e scusa l’interruzione.
Lo disse con un tono di voce che mi fece pensare ad una presa in giro, come se avesse usato quelle parole cortesi per le circostanze e non perché ci credesse davvero.
Sembrava essere sicura di non aver potuto interrompere nulla di interessante, perché sapeva che non ero affatto un tipo impegnato o tantomeno interessante, occupata a mandare avanti una vita sociale, mentre non mi occupassi dei suoi figli.
- Si figuri…
Riagganciò ed allontanando il cellulare dall’orecchio, ne fissai il display per qualche secondo, dopodiché spostai lo sguardo verso la tv ed ammettendo che la signora De Bellis avesse ragione a non dubitare della mia monotona vita, borbottai:
- Scusa l’interruzione, Forrest…
Ripresi a guardare il film e finii con l’addormentarmi poco dopo, con la voce della mia coscienza in testa che mi ripeteva: “combina qualcosa nella tua vita, prima di arrivare alla menopausa!”
Come previsto, quando la sveglia suonò quel mattino, iniziai a maledirmi per aver accettato di trovarmi a casa della signora De Bellis così presto.
Era il mese di giugno, dunque indossai dei leggeri pantaloni di cotone con fantasie floreali su uno sfondo bianco, ed una t-shirt a giro-maniche mono-tono bianca, leggermente scollata sul seno.
Indossai un paio di sandali aperti e con la mia borsa stile Mary Poppins, mi recai a casa della signora De Bellis.
Da casa mia a piedi, impiegavo circa venti minuti ad arrivarci, dunque dovetti uscir di casa alle sei e mezza circa, per trovarmi in orario e mente camminavo, alzavo di una tacchetta il volume della musica nelle mie cuffiette collegate al cellulare, per evitare di sentire le brutte parole che stessi dicendo a me stessa nella testa.
Arrivai quasi avendo il fiatone, non ero abituata a far le corse all’alba, ma per fortuna la signora Claudia parve non notarlo, o almeno finse di non farlo.
- Eccoti, finalmente… devo scappare, altrimenti chi la sente mia madre, se lascio aspettare il suo figlio preferito in aeroporto per più di tre minuti. Sveglia tu i bambini, ma non più tardi delle nove, ok?
Parlava di fretta, senza neppure guardarmi, mentre riempiva la sua costosa borsa di Luis Vuitton con patente di guida, carte di credito e altre cose a cui non prestai attenzione.
Al contrario, notai sin da subito il suo tono di voce sarcastico e chiaramente infastidito mentre si riferiva a sua madre e a quella sua apparente preferenza verso il fratello, ma poi me la ritrovai davanti che mi guardava, prima di uscir di casa, dubbiosa sul fatto che fossi realmente sveglia ed attenta.
Allora, non appena me ne accorsi, per smentire ogni suo dubbio, mi precipitai a risponderle:
- Non si preoccupi, signora Claudia. Ci penso io.
Parlai con tono tanto rassicurante e determinato, che riuscii a percepire del sollievo da parte sua, dopodiché mi mostrò un lieve sorriso e senza scomporsi, prese la sua borsa ed indossando un paio di jeans ed una camicia azzurra in lino portata nei jeans, col suo bel fisico atletico, alto e snello, uscì di casa, dicendomi:
- Grazie, Matilde…
Feci come mi chiese e mi assicurai di svegliare i bambini non dopo le dieci e non prima di aver preparato loro la colazione.
I figli di Claudia erano due uragani, un po’ come tutti i bambini della loro età e quel mattino non appena si resero conto che fossi stata io a svegliarli, balzarono giù dal letto felici di rivedermi e dopo avermi regalato un adorabile abbraccio di gruppo molto affettuoso, corsero giù dalle scale del piano superiore, per arrivare in cucina, attirati dall’odore della colazione.
Non appena la signora Claudia fu andata via quella mattina, ispezionai la cucina in cerca di alcuni ingredienti per preparare qualche veloce muffin e stupendomi che ci fosse ancora del restante cacao in polvere che comprai più di due settimane prima, mi feci trasportare dalla mia voglia di far dolci di buon mattino e riuscii a prepararne sei, giusto in tempo per far fare una golosa colazione ai bambini.
- Ma non ci sono i pezzi di cioccolata dentro come l’altra volta!
Disse Carlotta mentre sedeva in modo scomposto sulla sedia della tavola in cucina, tenendo serrato tra le mani uno dei muffin tiepidi, morsicchiato tutto da un lato.
Suo fratello Saverio le sedeva accanto e come al solito era lì, silenzioso e pacato a consumare la colazione, con dinnanzi a sé la sua tazza di latte preferita con sopra raffigurato Iron Man.
Io asciugavo delle piatti e delle posate appena lavati, che avevo sporcato per preparare quei muffin e voltandomi a guardare la bambina, alzando le sopracciglia comportandomi come al solito da buffa, le risposi:
- Erano finite le gocce di cioccolato… non ti piacciono così?
La bambina visibilmente delusa, guardò l’interno del muffin per assicurarsi che dicessi il vero, dopodiché mi rispose:
- Con le gocce erano più buoni…
- A me piacciono lo stesso.
Rispose Saverio, riuscendo a strapparmi un sorriso, al ché gli dissi:
- Oh, grazie tesoro.
- Prego.
Disse scrollando le spalle ed inzuppò il muffin per poi addentarne un altro pezzo, con gusto.
Al ché sua sorella restò a fissarlo per qualche secondo, dopodiché provò a fidarsi di lui e lo imitò, inzuppando anche il suo muffin nel latte e ne mangiò il restò apparendo soddisfatta del sapore, nonostante l’assenza delle gocce di cioccolato.
Quando finirono di mangiare, concessi loro di guardare un po’ di televisione, mentre finivo di lavare gli ultimi utensili sporchi, ma riuscivo a sentirli in soggiorno, litigare su quale canale restare sintonizzati.
La signora Claudia non amava far trascorrere troppo tempo ai loro figli dinnanzi alla tv, diceva che non faceva bene al loro intelletto e follie simili, probabilmente lo aveva letto sulle sue care riviste di glamour a cui era abbonata;
ma in sua assenza, pensai di fare uno strappo alla regola, mentre finivo di riordinare la cucina, prima di andare in bagno a lavarli e vestirli per la giornata.
- Voglio vedere le fate!!
- NO! Ho detto che voglio vedere i pirati, non le tue stupide fate dementi!
- Non sono dementi!!!
- Lascia!
- No! Dammelo! Dammelooooooo!!
- La-sci-aaaaaa!!
- Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhh!!!
Carlotta cominciò a piangere e mi precipitai subito in soggiorno, temendo che si fosse fatta male in qualche modo, per fortuna Saverio non era un bambino violento, al contrario era molto comprensivo e maturo per la sua età, eppure quel mattino non volle darla vinta alla sua sorellina, che essendo capricciosa, iniziò ad urlare e piangere contro suo fratello.
- Ehi, ehi, ehi, basta! Smettetela!
Tirai subito da mano il telecomando dalle loro mani, ed abbassando il volume del televisore, li divisi, e presi tra le braccia la bambina, che volle essere consolata tra le lacrime, accusando suo fratello di averle messo le mani addosso.
Al ché il bambino offeso dal suo comportamento, le disse accigliando lo sguardo:
- Non ti ho picchiata, frignona!
Charlotte pianse più forte abbracciandomi, sapendo di riuscire ad arruffianarmi, intenerendomi con le sue lacrime, così guardai Saverio e standogli in piedi accanto al divano, con sua sorella in braccio, avvinghiata a me come un piccolo koala, gli dissi:
- Perché non vieni in cucina ad aiutarmi e lasciamo tua sorella qui in soggiorno, prima di andare in bagno a lavarci? Eh? Che ne dici, ti va?
Saverio sbuffò e mi lanciò un’occhiata carica di delusione, dopodiché si alzò dal divano e rinunciando al suo cartone animato senza farselo dire due volte, si diresse in cucina.
Lo raggiunsi subito dopo aver calmato il pianto della sorellina e dopo averle sintonizzato il canale in cui trasmettevano il cartone animato delle fatine.
Lo ritrovai seduto con i gomiti poggiati sulla tavola, che si teneva su il capo, poggiando i pugni chiusi accanto alle sue guance, in una posta arrabbiata, tipica dei bambini della sua età.
Sospirai ed avvicinandomi a lui, gli accarezzai il capo e passando le dita tra i suoi corti e folti capelli castani, gli dissi:
- Tesoro, lo sai com’è fatta tua sorella…
Col broncio, il bambino mi rispose senza guardarmi:
- Non l’ho picchiata.
Sorrisi dolcemente e prolungando quella carezza sulla sua guancia, aggiunsi:
- Lo so… lo so piccolo… ma non è ancora comprensiva quanto te…
- Non è giusto, però!
Sorrisi e riuscendo a smuoverlo da quella posizione e facendomi guardare in faccia, mi misi a sedere su una sedia accanto a lui e tenendo poggiata una mano sulla sua, gli dissi:
- Quando avevo la tua età, mia cugina minore si comportava proprio come tua sorella e a me toccava sempre comportarmi da “grande”, anche se non lo ero e questo mi faceva arrabbiare quasi quanto fa arrabbiare te...
Mi guardò come se avessi esattamente capito come si sentisse, al ché mi chinai verso il suo visino ed arruffandogli i capelli, aggiunsi:
- In compenso, però ho imparato un sacco di cose che lei non ha ancora imparato a fare...
- Tipo cosa?
- Tipo riporre via le stoviglie nei mobili in modo ordinato!
Chiaramente scherzai, ma il bambino riuscì a sorridere e facendo roteare gli occhi al cielo, scese dalla sedia e si offrì di darmi una mano a mettere via tutto, prima di andare in bagno a lavarsi.
Preparai i due bambini alla giornata.
Feci loro il bagno, li feci lavare i dentini, dopodiché li vestii e giusto mentre stavo pettinando i lunghi capelli biondi di Carlotta, sentii sua madre rientrare in casa.
Saverio indossava dei pantaloni corti grigio scuri e una t-shirt a maniche corte bianca, che metteva in risalto la sua abbronzatura presa al mare, con i capelli ben pettinati.
Era abbastanza alto per la sua età, ed aveva il fisico snello come quello di sua madre.
Carlotta, invece era un po’ più in carne e questo, assieme ai suoi colori chiari di occhi e capelli, la rendevano ancor più adorabile agli occhi di chiunque.
Le feci indossare un vestitino a giro-maniche beige di cotone leggero e le legai i lunghi capelli dorati in un’alta coda di cavallo.
Non appena sentì aprire la porta di casa, Saverio corse verso l’ingresso vestito e preparato e io e Carlotta lo sentimmo urlare dal bagno, dire:
- Zio Riccardo!!
- Ehi, hombre, a mì no me saluti?
Sentii un sospetto accento spagnolo e dubitai si trattasse del fratello minore della signora Claudia, al ché sentii Saverio, gridar di gioia:
- Tiooooooooo!!
Vidi il riflesso di Carlotta nello specchio del bagno, che sbarro gli occhi stupita e felicissima, poi corse via in soggiorno giusto in tempo che finissi di legarle i capelli.
Al ché incuriosita da tutto quel trambusto e chiedendomi chi ci fosse assieme al fratello della signora Claudia, mi diressi in soggiorno, leggermente spettinata, ma con tutto il resto in ordine.
Non appena arrivai, vidi Claudia alzare lo sguardo verso di me, mentre riponeva via le chiavi dell’auto sul piattino in fantasia di ceramica posto all’ingresso su un mobile in legno, ovviamente molto costoso.
- Oh, sei qui, Matilde…
Dove sarei dovuta essere? – mi chiesi, ma poi smisi di guardarla, lasciandomi catturare dalla visione del ragazzo mulatto, non troppo alto, dai lunghi dreadlocks (i rasta) sulla testa, che teneva in braccio Saverio e che mi fissava con un aria strana, quasi come se fosse stato sorpreso di vedermi essere lì.
Era vestito con una camicia rosa pastello, di una taglia più grande (forse due) ed un paio di bermuda beige modello larghi, e nonostante il suo look oversize, riuscii a notare che avesse un bel fisico asciutto e muscoloso al di sotto dei vestiti.
Rimasi colpita dal suo bell’aspetto e dai suoi occhi scuri che penetravano nei miei, in un modo tanto invadente quanto imbarazzante, dunque dopo aver retto il suo sguardo per qualche secondo, mi arresi alla mia timidezza ed abbassai lo sguardo, per poi rialzarlo distrattamente e notai Riccardo.
Avevo visto soltanto una volta il fratello di Claudia in casa sua qualche mese prima, le altre due volte erano state per strada, durante le scorse estati, quando si degnava di tornare in città a far visita alla sua famiglia.
Sembrava dimagrito.
Indossava dei semplici jeans azzurri ed una camicia bianca in lino con le maniche risvoltate fino quasi ai gomiti.
A quanto ne sapevo era un giovane imprenditore di trent’anni, che viveva tutto l’anno a Manchester, città in cui si era trasferito dopo la laurea in economia e commercio.
In paese lo conoscevano tutti per il suo successo lavorativo, ma soprattutto per la sua bella personalità sempre socievole ed affascinante.
Complice anche il suo bell’aspetto: alto circa 1,85 cm, fisico atletico come quello di sua sorella, con spalle larghe, viso d’angelo con capelli castani mossi, occhi azzurri, naso sottile e dritto, con bocca poco carnosa in confronto a quella di sua sorella ed un filo di barba incolta castano chiara a contornargli il viso.
Somigliava tutto a suo padre da giovane (avevo potuto constatarlo sbirciando tra le foto di famiglia esposte nel soggiorno di Claudia) e con orgoglio mandava avanti il buon nome della famiglia De Bellis, pur non essendo ancora sposato e non avendo ancora generato dei figli maschi.
Non eravamo in confidenza, non avevamo mai avuto modo di conoscerci: lavoravo per sua sorella da soli sette mesi, ed uno come lui, se lo incontravo per le strade del paese, di certo non si fermava per salutarmi o per attaccare bottone.
Io non ho il fisico statuario dei De Bellis, sono alta a malapena 1,70 cm, peso…  meglio non dirlo, ma ho più curve di Claudia (anche lì dove agli uomini faceva sempre tanto piacere) ho lunghi capelli castani e con un viso a mio parere anonimo.
Non attiro l’attenzione dei tipi come i De Bellis, eppure il loro amico dalla bellezza caraibica, continuava a fissarmi, come un mastino fissava una bistecca.
Tornai a guardarlo, chiedendomi perché continuasse a guardarmi in quel modo, ma poi sentii Claudia, che mi disse:
- Conosci già mio fratello, non è vero?
- Ehm, sì…
Tecnicamente no, ma vabbè-pensai-meglio assecondarla.
- Bentornato signor De Bellis.
Mi affrettai a dire, prima di far capire al suo amico che mi stesse mettendo a disagio con quel suo sguardo, al ché Riccardo mi rivolse un sorriso distratto, dicendomi:
- Chiamami Riccardo, non sono io a pagarti lo stipendio.
- Ricki!
Riccardo si fece una risatina, poi si chinò e prese in braccio la sua nipotina e le fece fare una giravolta in aria gioiosamente, infischiandosi di ciò che stesse continuando a dirgli sua sorella, un po’ come feci io, tornando ad incrociare lo sguardo del suo amico.
Claudia smise di rimproverare inutilmente suo fratello e si voltò verso di me, dicendomi:
- Questo è l’amico Javier di mio fratello, resteranno in città per l’estate. Ma…
Si fermò ad annusare il profumo nell’aria ed aggiunse con sospetto:
- Matilde, hai di nuovo preparato i muffin??
Lo chiese con un tono di rimprovero, al ché smisi totalmente di chiedermi cosa avesse tanto da fissarmi in quel modo Javier, e dubbiosa, risposi:
- S-sì… perc…?
- Sai che voglio che i miei figli seguano una dieta salutare, schifezze del genere gli sono concesse una volta a settimana, non due! Mi pare li preparasti già martedì.
Mi interruppe e mi rimproverò davanti a tutti, facendomi sentire un’irresponsabile, al ché Riccardo, si avviò in cucina con sua nipote tra le braccia e disse:
- Muffin fatti in casa? Mmmh… ne voglio assaggiare assolutamente uno!
- Oh, anch’io!
Vidi Javier sorridere con la coda dell’occhio, mentre raggiungeva la cucina, mettendo giù Saverio che li seguì a ruota.
Rimasi lì immobile, sorpresa di avere così tante richieste per i miei muffin, ma poi inciampai di nuovo nello sguardo rimproverante di Claudia e sobbalzai, mostrandomi mortificata, dicendole:
- Mi dispiace, signora Claudia, non ricapiterà…
- Sarà meglio per te…
Con quelle poche ma pungenti parole, mi fece capire che avrei fatto bene a rigar dritto ed attenermi a tutte le direttive che mi dava sui figli, se non avessi voluto perdere il lavoro.
Seguimmo i ragazzi in cucina e li vidi servirsi da soli dei muffin rimasti sul vassoio in tavola, dalla colazione dei bambini, dopodiché restai a guardarli addentare il primo morso, stando in ansia neanche fossi stata un concorrente di Master Chef in attesa di giudizio.
Il primo a complimentarsi per il buon gusto, fu Javier, che ad occhi chiusi assaporava il sapore e ancora con la bocca piena, mi disse:
- Squissito!
Pronunciò quelle parole con un marcato accento spagnolo ricaduto sulla seconda S, e dopo di lui si accodò Riccardo, il quale con meno trasporto, commentò:
- Non male, ma mancano le gocce di cioccolato... in più avresti dovuto aumentare le dosi del latte, sono un po’ troppo secchi per i miei gusti.
Mi voltai verso di lui sorpresa che avesse così un così tanto esperto palato, ma soprattutto mi sorprese il fatto che avesse fatto la stessa osservazione di sua nipote, al ché sentii proprio Carlotta, rispondergli:
- Gliel’ho detto anche io che mancano le gocce di cioccolato, ma dice che sono buoni comunque…
Riccardo alzò via lo sguardo da sua nipote e mi guardò per qualche secondo, chissà, forse avrebbe voluto dirmi qualcosa, ma Saverio lo interruppe e disse:
- Sono buoni anche così.
Non riuscì a trattenere un sorriso al dolce tentativo del bambino di prendere le mie “difese.”
A quel punto, Claudia irruppe e disse:
- Beh, quando avrete finito di ingozzarvi, sarà meglio che vi sbrighiate. Mamma ha già chiamato tre volte, dopo che le avevo detto che eri arrivato sano e salvo.
- Non le hai detto che ci siamo fermati a farle un regalo?
- No. Meglio farle credere che te ne sei ricordato a Manchester e non in aeroporto.
Riccardo ridacchiò sotto i baffi, colpevole, al ché mangiò l’ultimo boccone di muffin al cioccolato e sfregandosi le mani per le briciole, sulla tavola, si alzò dalla sedia e disse:
- Vado in bagno ed usciamo…
Nel frattempo ricaddi vittima dello sguardo di Javier che si stava succhiando un pollice ricoperto di cacao e mi guardava come se avesse voluto farlo con una parte del mio corpo, anziché col proprio pollice.
Sbarrai leggermente gli occhi, capendo quelle sue maliziose intenzioni solo tramite lo sguardo che mi rivolse e rimasi a fissarlo incredula.
Andarono via poco dopo, lasciandomi con i bambini per tutto il pomeriggio, senza rientrare a pranzo.
Mi chiesi come facesse una madre a trascorrere così tanto tempo lontana dai propri figli, senza avere la volontà di preparar loro il pranzo e trascorrere le giornate insieme, anziché lasciarglielo fare ad una babysitter, ma cercavo di non chiedermelo troppo spesso sin da quando fui assunta.
Pranzare con Carlotta e Saverio era sempre un piacere per me, era un po’ come cucinare per i miei fratellini, anche se avevo venticinque anni, non mi sentivo ancora in età materna, al contrario continuavo ancora a sentire la mancanza di un fratello o di una sorella a cui badare o con cui crescere.
Essendo figlia unica, avevo sempre sentito la mancanza di un fratello nella mia vita e continuando ad avere un animo infantile e da eterna bambina, consideravo quei due bambini come mie fratelli e non come probabili figli e la cosa mi andava più che bene.
La mia coscienza, continuava a ripetermi che avevo l’età giusta per diventare madre, ma non mi sentivo ancora pronta per prendermi una tale responsabilità. Non mi sentivo ancora pronta a crescere, era questa l’unica verità.
Cercai di smettere di pensare a quanto fossi infelice del mio modo d’essere e a quanto poco facessi per cambiare e terminai le mie ore di lavoro, una volta che Claudia fece ritorno a casa da sola.
Salutai lei ed i bambini, poi come al solito me ne tornai a casa a riposare.
Trascorse una settimana dal ritorno in città di Riccardo De Bellis e sua sorella, non faceva altro che lamentarsi dello stile di vita disordinato, stravagante e a parer suo inconcepibile che conducesse suo fratello assieme all’amico Javier.
Ero venuta a conoscenza della nazionalità del ragazzo: era Domenicano e quelle due volte che lo incrociai quando passò per casa di Claudia, mi rivolse parola in un modo tanto gentile, quanto sensuale.
Sembra strano anche a me pensare che io possa interessargli, eppure è ciò che mi ha fatto capire, guardandomi con desiderio, quasi come se fosse stato sul punto di baciarmi da un momento all’altro, come se avesse voluto sussurrarmi quanto gli piacesse il mio corpo, anche se del mio corpo non ci fosse nulla di particolarmente attraente, fatta eccezione del mio seno grosso.
Scambiammo giusto qualche parola, aveva una bella voce, calda, sensuale, tipica di un sudamericano (anche se in realtà venisse dal centroamerica.)
Una delle due volte che ci incrociammo da Claudia, mi chiese se volessi uscire con lui, ma rifiutai subito il suo invito, quasi come se mi avesse invitato ad andarci a letto.
A quanto ne sapevo, lui e Riccardo trascorrevano le intere giornate insieme, andando al mare con degli amici, organizzando cene la sera a casa di qualche amico oppure andando in giro per locali.
Una sera, mentre ero a casa, presa da un momento di curiosità insolita, andai a cercare Javier su facebook, per saperne di più su di lui.
Il suo profilo era mezzo pubblico e mezzo privato, riuscii a vederci qualche foto di gruppo con degli amici e tra queste comparve anche qualcuna con Riccardo.
Javier, secondo le sue informazioni su facebook risultava essere single e la cosa mi fece stranamente piacere, quasi come se avessi avuto conferma che non mi stesse prendendo in giro quando mi guardava in quel modo.
Sulla sua bacheca c’erano vari messaggi in lingua spagnola da parte di qualche parente che viveva nella Repubblica Domenicana, tra cui sorelle, fratelli e zii.
Riuscii a capirne i significati, grazie allo spagnolo che un tempo studiavo, dicevano quasi tutti la stessa cosa: ovvero quanto sentissero tutti la sua mancanza e quanto fossero impazienti di rivederlo tornare a Santo Domingo.
Mi feci un po’ i fatti suoi, notai che in molte foto fosse abbracciato ad una ragazza sempre diversa dall’altra e questa cosa la diceva lunga sulla sua presunta reputazione di latin lover che mi ero fatta su di lui nella mia mente, e che quasi sicuramente non fosse incorretta.
Senza volerlo veramente, capitai sul profilo di Riccardo De Bellis, profilo chiaramente privato, ma non troppo.
In alcune foto non protette dalla privacy, notai quanto fossero frequenti delle foto di lui assieme ad una ragazza alta, magra, bionda e da un largo sorriso: proprio l’ideale di donna che mi ero immaginata per lui.
Nei giorni seguenti, vidi Riccardo frequentare più spesso casa di sua sorella, parlava molto con suo cognato Ettore, marito di Claudia, ma non ficcavo mai il naso nei loro discorsi, anche perché sembravano essere mortalmente noiosi e legati all’economia.
Uno di quei giorni, accompagnato da Javier li sentii parlare all’ingresso, mentre mi trovavo lì vicino per recuperare dei giochi di Carlotta che avesse lasciato in giro per casa.
- Ehi…
Riconobbi il tono di voce di Javier ed alzai lo sguardo verso di loro, notando Riccardo aprire la porta d’ingresso dandomi le spalle e Javier avvicinarsi di qualche passo a me, chiedendomi:
- Che fai stasera?
Me ne stetti in silenzio per qualche secondo, dopodiché risposi senza dare una vera risposta.
- Perché?
- Perché non esci con me?
Eccolo ancora una volta a provarci, ma avevo troppa paura ad accettare e cogliere l’attimo, dunque mi presi qualche attimo per pensare ad una scusa da trovare per rifiutare l’invito in modo convincente.
In quel momento vidi Claudia passarci accanto per superarci ed entrare in cucina, incrociai il suo sguardo e capii che il fatto che l’amico di suo fratello mi stesse invitando ad uscire con la sua cerchia di amici di un livello decisamente più alto del mio, le desse chiaramente fastidio.
Dunque per evitare problemi col mio lavoro, trovai la scusa perfetta con me stessa per declinare l’offerta.
Abbassai lo sguardo e scuotendo il capo stavo per rispondergli, ma sentii Riccardo anticiparmi e dire all’amico:
- Ti aspetto fuori… non metterci troppo.
- El tiempo de convincerla.
Gli rispose mentre guardava me e mi rivolgeva un mezzo sorrisetto sghembo, al ché Riccardo si voltò a guardarci e con un piede fuori casa, aggiunse:
- Tanto non hai speranze, non verrà mai…
Alzai lo sguardo verso di lui a quelle parole, ma si chiuse la porta alle spalle impedendomi di vederlo.
Mi sorprese, e nella mia mente cominciai a vedere quella frase come una cosa negativa, quasi come se fosse stata la mia coscienza a parlare, come se anche lui avesse saputo che preferivo restarmene a casa piuttosto che circondarmi da coetanei che potessero mettere a confronto la mia vita con la loro e farla apparire ancor più miserabile di quanto fosse.
Javier non badò alle parole dell’amico e continuando a guardarmi per cercare di convincermi, disse:
- Se vuoi porta un’amica, ci vediamo stasera al Tropeiz… sai dov’è il Tropeiz?
Il Tropeiz era un locale molto in voga tra i ragazzi della città e si trovava non distante dalle spiagge.
Non ci ero mai stata, ma lo conoscevo benissimo e dunque il fatto che lui potesse dubitare anche solo per un attimo che io potessi non conoscerlo ed essere la triste ragazza priva di una vita sociale che in realtà sono, mi fece assumere un tono di voce deciso ed orgoglioso nel rispondergli.
- Ovvio che lo conosco.
Mi rivolse un cenno di sorriso mi guardò sperando di rivedermi quella stessa sera, poi disse:
- Ti aspetto, allora, amore…
Probabilmente non dava il giusto peso alle parole che utilizzava mentre parlava, ma non mi disturbò affatto, sentirmi chiamare “amore” da uno come lui, dunque rimasi lì sull’uscio, con l’ansia che mi assaliva, man mano che realizzavo che avevo accettato l’invito e che così avrei dato uno bello schiaffo morale alla mia coscienza.
D’un tratto dimenticai quello che stessi facendo, prima di essere stata interrotta da loro e cominciai ad andare in panico, realizzando che non avrei avuto niente di carino da indossare e che probabilmente l’unica amica a cui avrei potuto chiedere di accompagnarmi, sarebbe potuta essere già occupata per la serata.
Carpe Diem, questa volta stavo cogliendo l’attimo, stavo cogliendo una buona occasione per cambiare un po’ l’andamento della mia monotona vita e seppur avessi paura dentro di me, riuscivo finalmente a sentirmi viva.


 

Eccomi qui a finire il primo capitolo di una storia che mi sentivo di scrivere da un po' di tempo. 
Ho smesso di scrivere da un po', ma spero di rientrare presto nel giro e migliorarmi ogni volta, ma sorattutto spero che voi possiate continuare a leggermi e anche a lasciarmi dei commenti. 
Al prossimo capitolo. xo. 

PS: Oh, e... se volete immaginarvi bene il volto di Riccardo De Bellis, così come ho fatto io, allora  fatelo andando su Google, scrivendo nella sezioni immagini  "Sam Claflin"  Spero di riuscire a darvi altri punti di riferimento anche per il resto dei personaggi. 

   
 
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