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Autore: Lady I H V E Byron    01/09/2017    0 recensioni
"Ci sono cose, nella vita, cui non puoi fare niente. Come la morte di una persona cara. Lo so, per i primi tempi fa male, senti un enorme vuoto dentro e non vuoi più vedere nessuno. E' un dolore che a stento puoi sopportare, ti fa quasi impazzire. Sei consapevole che non torneranno più, che non puoi fare niente per riportarli in vita e questo ti fa soffrire sempre di più. Alla fine scopri... che tutto quello che puoi fare per loro... è vivere."
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Daniela Savoia è una ragazza in lutto per un ragazzo che lei amava; lo shock la porta al mutismo e alla depressione, tanto da rifiutare qualsiasi contatto con il mondo esterno. Nemmeno nell'ospedale psichiatrico dove è stata inviata riescono a trovare una soluzione: Daniela si chiude sempre più in se stessa, senza mangiare, continuamente tormentata da incubi sul ragazzo defunto. L'alternativa, seppur a prima vista assurda, si rivela una vacanza in una SPA, in cui, con sorpresa, incontra le ultime persone che si aspettava di incontrare...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Threesome, Triangolo
Capitoli:
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Note dell'autrice: ho voluto pubblicare questo capitolo per altri due motivi: uno, in omaggio al compleanno dei fantastici gemelli Kaulitz! <3 Il secondo è un annuncio: il 13 novembre io andrò al concerto di Bologna. Eventualmente, se qualcuno volesse "incontrarmi"... può parlarmene qui:
https://www.facebook.com/Lady-I-H-V-E-Byron-1196003080417859/?ref=tn_tnmn

Intanto, buona lettura e auguri di buon 28° compleanno a Bill e Tom!

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Chiara’s P.o.V.
 
Ho di nuovo parlato.
 
Quella frase lasciò di stucco sia me, che il direttore e Alberto.
Sì, quel giorno Dani si era comportata in modo strano.
Anche io avevo un quaderno, dove annotavo i suoi comportamenti, del tipo:
 
La paziente si è aperta la persiana da sola.
La paziente si è lavata da sola.
 
Dopo aver letto quel pezzo di diario, aggiunsi:
 
La paziente afferma di aver parlato, dopo quasi due settimane di mutismo.
 
Lessi quanto scritto successivamente da lei:
 
Ero scesa nel salone solo per suonare un po’ il piano. Era da una vita che volevo provare a suonare e cantare “Run run run” dei Tokio Hotel, per farlo sentire a Gabriele, se solo non fosse morto. Ma quando ho finito, lo vidi accanto a me: Bill Kaulitz. Mi stava applaudendo, sorridendo. Imbarazzata, sono scappata, ma lui era riuscito a raggiungermi. La sua mano stringeva il mio polso. Che forza che aveva in quella morsa. Non me lo sarei mai aspettata da uno della sua corporatura. Sembrava non volermi lasciar andare, e dimenarmi non serviva a nulla. Mi ero trovata quasi costretta a parlare, per convincerlo a lasciarmi. Lui sembrò aver colto il messaggio, infatti mi aveva lasciata. Sono rientrata in camera senza nemmeno voltarmi. Spero solo non aver svegliato l’intero hotel.
Aver parlato dopo tanto tempo… davvero una strana sensazione. Adesso percepisco come una voglia matta di parlare e non finire più. O forse è solo un’illusione. Non voglio che la gente legga il dolore nelle mie parole, non voglio turbarle con il mio lutto. Forse restare muta è la decisione migliore.
 
Il direttore rifletté molto su queste ultime parole e anche io.
-Una situazione estrema…- mormorò –In cui si è trovata costretta a parlare. Non eri presente, Chiara?-
Imbarazzata, mi morsi il labbro inferiore.
-Ero a farmi la doccia.- mi giustificai –Non sapevo che sarebbe uscita.-
-Ma già una volta ti è sfuggita…- aggiunse Alberto –Non hai forse letto che Daniela era uscita anche per l’orario del pranzo?-
Sì, aveva scritto anche quello. Stava facendo progressi. Ma erano anche preoccupanti. C’era il rischio che potesse scappare o mettere in allarme la SPA. Già non ero sicura che i dipendenti avessero creduto alla storia della depressione o dell’incapacità di muoversi al di fuori del suo spazio vitale. Ora che Daniela sembrava essere nuovamente in grado di fare alcune cose da sola, meno che mai.
-Sì, è così.-
-Allora sarà meglio che d’ora in avanti tu stia sempre con lei, per sicurezza.- concluse il dottor S.
Era la cosa migliore da fare, lo sapevo anch’io. Ma l’istinto mi suggerì di fare una piccola protesta.
-Sempre con lei? Farla di nuovo sentire oppressa o legata? Rendermi praticamente il suo avvoltoio? Così non migliorerà mai.-
-Chiara, nel caso te ne fossi dimenticata, Daniela è stata affidata a te.- tagliò corto Alberto, con la sua solita mancanza di tatto –Di norma, dovresti stare sempre con lei. E poi, cerca di metterti nei panni dei clienti. Già sapere di avere tra di loro una proveniente da un ospedale psichiatrico non ti metterebbe in allarme? Figuriamoci, allora, trovarla in giro da sola.-
Era quello che pensavo io. La gente poteva prenderla per una incapace di intendere e di volere. Sì, stare con lei era la decisione giusta.
Daniela non l’avrebbe presa bene.
 
Bill’s P.o.V.
 
-Ti ha davvero parlato?-
Fu la prima cosa che dissi a Tom, la mattina seguente. Sapendo già a priori che mi avrebbe preso per un ossessivo.
-Ha detto solo “Leave me alone”. Ma, sì, ha parlato.-
Avevo uno sguardo soddisfatto sul volto.
Tom storse la bocca, dopo aver ingoiato il pezzo di cornetto che aveva in bocca.
-Allora suppongo tu avessi ragione.- ammise –Che non fosse muta del tutto… Ma almeno era carina?-
-Un angelo.-
-Volto?-
-Lievemente ovale, con tante lentiggini.-
-Capelli?-
-Neri.-
-Occhi?-
-Marroni. Più scuri dei nostri.-
-E le mani?-
Sì, mi prendeva ancora un po’ in giro per la mia fissazione per le mani.
-Dita lunghe, eleganti e quasi magre, proprio come quelle di una pianista.-
-Aveva le misure giuste nei punti giusti?-
Divenni quasi rosso dall’imbarazzo: ho sempre odiato quando faceva così…
-Non ti rispondo nemmeno...-
Sospirò.
-Non ti ha detto altro oltre “Leave me alone”?- disse, parlando d’altro.
-No, solo quello.- risposi, mordendomi il labbro inferiore.
-Ma tu cosa le hai detto?-
-Le ho solo fatto i complimenti per la sua voce e…-
Sì, gli dissi anche della mia frase di spirito. Già mi ero dato da solo dell’idiota, mancava solo che anche mio fratello mi desse dell’idiota.
-Fratellino, lasciatelo dire, sei proprio un imbranato per queste cose…-
Beh, le due parole sono più o meno sinonimi, no?
Fissai la mia tazza, ormai vuota, storcendo la bocca.
-E se magari le chiedessi scusa…?- mi scappò dalla bocca.
-Billi, stai parlando di una che ti ha espressamente detto “lasciami in pace!”.- commentò Tom –Come puoi pensare che voglia rivederti?-
Non aveva tutti i torti. Ma io ero anche un tipo tenace.
-Beh, vale la pena tentare, no?-
-E… vuoi davvero andarci da solo?-
Mi guardò con aria furba.
Dannata connessione gemellare. Potevo mentire a tutti, ma non a lui. Sarebbe stato come mentire a me stesso.
Scossi la testa, prima di fare lo sguardo supplichevole.
-Ti prego, vieni con me. Non riesco a fare niente, se non mi prendi per mano e mi dici che posso farcela…-
Lui sorrise di nuovo, da furbetto.
-Ma certo che vengo con te.- disse, prima che ci alzassimo per dirigerci verso le scale –Tu sei perduto senza di me.-
-Sì, parla quello che non può stare due giorni senza vedermi…- aggiunsi, sorridendo divertito; ero passato al contrattacco; sulle prese in giro, intendo… Misi la mano stile telefono e imitai la sua voce –Ehi, dove sei? Torni a casa? Posso venire anch’io?-
Si voltò verso di me, strizzando gli occhi.
-Ritorna su quell’argomento e ti strappo quel piercing che hai sul naso…- mi minacciò, scherzando.
Faceva e fa tutt’ora così: parla, parla, e poi non fa niente di quello che dice. A parte nel campo musicale, s’intende.
Per fortuna, ricordavo benissimo dove si trovava la sua stanza: avevo memorizzato il numero sopra la porta.
Non era lontano dalle scale.
Ricordo ancora l’imbarazzo che provai una volta di fronte ad essa: un attimo prima ero determinato, ma poi il dubbio e le farfalle nello stomaco mi avevano preso all’improvviso.
E nel frattempo restavo con il pugno a mezz’aria, indeciso se bussare o meno.
E Tom non mi aiutò per niente, da quel punto di vista.
-Allora, bussi o no? Perché non bussi?- mi domandava di continuo, un po’ deluso nei miei confronti; come biasimarlo? –Cosa c’è? Ti arrendi? O ti sei dimenticato come si bussa?-
Ero bloccato. Deglutii.
“D’accordo. Ora vado da lei, ma cosa le dico…?” pensai, mordendomi le labbra.
-Prima eri tutto determinato…- proseguì Tom –E adesso arretri di fronte ad una porta. Questo non è il Bill che conosco. Il vero Bill non lascia le cose a metà ed è disposto a tutto pur di ottenere quello che vuole.-
Giusto. Quello non ero io.
Ringrazio spesso Dio per aver creato Tom e averlo reso il mio gemello: cosa sarei e cosa farei senza di lui?
E se lui era con me, potevo fare qualunque cosa.
Respirando profondamente, bussai sulla porta. Improvvisamente, alzai le sopracciglia.
-Strano, la porta è aperta…- notai, un po’ sorpreso.
La porta, infatti, non era chiusa, era socchiusa. Si era aperto uno spiraglio, quando avevo provato a bussare.
E ormai avevo superato il nervosismo di poco prima.
Con cautela, mi affacciai allo spiraglio.
-Permesso…?- dissi, in inglese. Entrare in quel modo non era certo da persone educate. Ma non udii risposta.
Poi mi ricordai che lei era “muta” e quindi non poteva, o meglio, non voleva rispondere.
Scostai di poco la porta: la stanza era vuota, sebbene la persiana fosse stata aperta.
Spalancai la porta e Tom entrò con me.
-Non è nemmeno in bagno…- notai, osservando la porta, aperta, del bagno –Quindi deve fuori.-
-Che intuito…- commentò Tom, assumendo uno sguardo buffo e abbassando un sopracciglio.
Percepivo che mi stava dando, tra sé, del più grande idiota dell’universo; si guardò intorno –Però… si tratta bene la signorina… ehi, guarda! E’ nostra fan!- su uno dei comodini accanto al letto, infatti, c’erano tutti i nostri album; avevo già intuito fosse nostra fan da come aveva cantato “Run run run” e “Elysa”.
-Tom, lo sai che è maleducazione rovistare nella stanza di una signora?- feci, un po’ nervoso per il timore che qualcuno entrasse all’improvviso; magari stavano pulendo la stanza e l’inserviente si era assentata per un attimo.
-Non sto rovistando.- si giustificò lui –Se alcuni oggetti sono in bella vista, non significa rovistare. Ehi, guarda, una PS4!- si precipitò sulla Playstation 4 che vide e sulle custodie dei videogiochi lì presenti –E guarda quanta roba…! “The Order 1886”, “Skyrim”, “Kingdom Hearts”, “Final Fantasy” “Tekken”… ce ne sono tanti! E… no!- mi mostrò, fiero, la custodia dell’ultimo “Call of Duty” –Una ragazza che gioca ai picchiaduro e agli sparatutto merita il mio rispetto!-
Ah, Tom… no, se qualcuno chiede, quel genere di ragazza non gli era mai interessato, se non per fare solo amicizia; preferiva le ragazze “belle”, in particolare le modelle.
A me… chissà? Mi era sempre bastato che fosse fedele. Tom mi prendeva sempre un po’ in giro per questo: per me l’amore era sempre stato un sentimento serio, assoluto. Come succede nelle favole, insomma.
Io non mi azzardai nemmeno a toccare gli oggetti di quella stanza, per rispetto. Tuttavia, qualcosa catturò la mia attenzione.
Una foto.
Sull’altro comodino vicino al letto.
La presi, per vederla da vicino.
Era un ragazzo. Fotografato dalle spalle in su. Era appoggiato ad una finestra ed era in controluce, però era possibile vedere tutte le parti del suo volto.
Ciò che catturò in particolare la mia attenzione furono gli occhi.
Allungati. Color marrone. Come i nostri. Coincidenza?
“Chissà chi è…” pensai, serio.
-Tom…- mormorai, senza voltarmi o muovermi; lui si avvicinò a me.
-Sì?-
-Non trovi che lui ci somigli?-
Anche lui osservò la foto ed ebbe la mia stessa reazione.
-E’ vero…- fece, mettendosi, poi, una mano sotto il mento –Chissà chi è… Speriamo non sia una specie di fratello segreto…-
Io, però, avvertivo come un lieve senso di angoscia a vedere quella foto… Chi era? E cosa aveva a che fare con la ragazza dell’ospedale psichiatrico?
Notai un’altra cosa su quel comodino: un quaderno. Con la copertina grigia.
Lo aprii, preso dalla curiosità: la calligrafia non era malvagia e le parole seguivano la riga, ma era tutto scritto in italiano, che sapevamo entrambi pochissimo. Notai, però, la ripetizione dei nomi “Gabriele” e “Elena”.
Preso dai miei pensieri, non mi accorsi che qualcuno si stava avvicinando. Nemmeno Tom se ne era accorto.
-Ma guarda te se dovevo dimenticarmi proprio di…-
Un’altra persona era entrata nella stanza.
Non ci accorgemmo della sua presenza, fino a quando non urlò, in inglese: -Ehi! Cosa fate voi qui?-
La donna che era insieme alla ragazza un paio di giorni prima, in piscina.
Doveva avere all’incirca la nostra età, capelli biondi raccolti in una treccia, occhi marroni e fisico tra il magro e il robusto. Si fermò in mezzo alla stanza, cogliendoci con il quaderno ancora aperto.
Tom e io ci guardammo, imbarazzati, dopodiché io balbettai, in inglese: -Ehm… la porta era aperta…-
Sgranò gli occhi, puntando lo sguardo verso la foto che avevo ancora in mano.
-Per l’amor di Dio! Posa subito quella foto!- esclamò, quasi strappandomela dalla mano, insieme al quaderno –Se lei vi vedesse, non si farebbe scrupoli ad aggredirvi…-
Impallidii.
-Aggredirci…?-
Mi mostrò un braccio, con aria seria. C’erano come delle incisioni sopra. Dei morsi.
-Vedi questi segni? Me li ha fatti lei, quando mi ha beccata a rimuovere quella foto dal muro della sua camera.-
Lì per lì rimasi basito da quella rivelazione: non potevo credere che una creatura angelica come quella ragazza avesse un lato selvaggio. Che fosse veramente psicopatica?
Tom sembrò osservarmi come per dire: “Te l’avevo detto…”
La cura con cui sia la foto che il quaderno vennero sistemati dava quasi i brividi; esattamente come li avevamo trovati.
-E’ così che fate con i vostri fans?- domandò la donna, osservandoci con aria fredda; quegli occhi fecero rabbrividire entrambi –Entrate nelle loro stanze e frugate tra le sue cose?-
Tom ed io ci guardammo di nuovo entrambi.
-Ecco… noi…- feci io, imbarazzato –Io non pensavo che la porta fosse aperta. Volevo solo parlare con la ragazza…-
-Si chiama Daniela.- tagliò corto lei.
“Daniela… che nome grazioso…” pensai.
-Ok, Daniela. E volevo chiederle scusa per ieri sera.-
Senza aggiungere altro, e forse senza ascoltarmi, lei ci prese per le braccia e ci condusse alla porta.
-Sentite, apprezzo il pensiero, ma devo chiedervi di uscire da qui.-
Che forza in quelle braccia.
-Accidenti, che forza, signorina!- commentò Tom, prima di venir spinti fuori dalla porta -Ma il primo requisito di lavorare negli ospedali psichiatrici è andare in palestra a fare pesi tutto il giorno?-
Avrei tanto voluto mordergli il naso. Poi lo feci. Più tardi, ma lo feci.
Non poteva finire così. Lei stava provando a chiudere la porta della stanza, ma noi facevamo il possibile per tenerla aperta. Fu una vera e propria gara di resistenza.
-La prego, signora, non volevamo fare niente di male!- supplicai –Voglio solo parlare con Daniela. Mi dica almeno dove posso trovarla.-
-E’ a fare yoga, in questo momento. E sarà impegnata tutto il giorno.-
-Ma cosa le è successo? Perché ha deciso di non parlare? Chi è il ragazzo della foto?- era il momento sbagliato per porre tutte quelle domande, ma lo feci ugualmente.
-E’ confidenziale.-
-Almeno mi dica quando posso vedere Daniela. Le voglio chiedere scusa per ieri sera, per come mi sono comportato con lei. Non le ho fatto niente, giuro! Le ho solo fatto i complimenti per come cantava!-
Lei smise di opporre resistenza; così facemmo anche noi. Tom aveva il fiatone e anch’io.
I suoi occhi marroni ci fissarono dalla testa ai piedi. Poi osservò me.
-Tu sei Bill Kaulitz, giusto? Il cantante dei Tokio Hotel?- mi domandò.
Annuii.
Tom, ovviamente, volle dire la sua, facendo lo sborone: -E io sono Tom Kaulitz, il chitarrista.-
Ma lei sembrò non averlo nemmeno udito.
-Prima rispondi a una domanda.- disse -Lei ti ha davvero parlato?-
Io, senza pensarci due volte, le risposi: -Mi ha detto solo “Leave me alone”. Ma prima ancora l’ho sentita cantare. Una delle nostre canzoni, precisamente.-
Lei storse la bocca, guardando in basso, senza cambiare espressione, annuendo leggermente.
Lì per lì mi allarmai: temetti di aver detto qualcosa di sbagliato, che potesse peggiorare la condizione di Daniela.
-Ho detto qualcosa che non va?- domandai, preoccupato; poi mi ricordai della prima volta in cui avevo sentito la sua voce –Ma lei cantava di già, per caso?-
La donna, con tono completamente freddo, come il suo sguardo, mi rispose: -Sì, ogni tanto cantava, ma parlare no. E ora, se volete scusarmi…-
Non avemmo tempo di dire altro che la porta si chiuse.
Abbassai lo sguardo, sospirando.
Un altro buco nell’acqua.
Nemmeno la mano di Tom sulla mia schiena servì a farmi risollevare il morale.
 
Chiara’s P.o.V.
 
-Mi ha detto solo “Leave me alone”.-
Appena chiusi la porta, tirai un gran sospiro di sollievo.
Dani aveva di nuovo parlato. Finalmente ne avevo la prova certa.
Erano solo tre parole, ma era già qualcosa.
Senza pensarci due volte, tornai in camera mia e presi il mio quaderno.
 
Giorno 3: Ho ottenuto la prova di quanto scritto dalla paziente nel suo diario. Ha davvero parlato di nuovo, secondo quanto riferito dal testimone oculare e auricolare.
 
La cura stava funzionando… o forse era aver visto i suoi idoli ad averla fatta reagire? E se fossero state entrambe le cose?
 
Tom’s P.o.V.
 
Se c’è una cosa che non ho mai potuto sopportare è vedere il mio fratellino triste e deluso.
Ma quel giorno se l’era proprio cercata.
-Ti è andata male, Billi.- dissi, sdraiandomi sul letto, una volta rientrati nella nostra stanza –Ma puoi sempre ritentare. Magari sarai più fortunato.-
Si voltò verso di me, con lo stesso sguardo di un cane, prima di aggredirti.
Lo so, quello che ho detto suonava cinico e da persona insensibile, ma ci volevo andare giù pesante per farlo reagire.
-Già… lo credi facile?- mi disse, con il suo naso praticamente ad un centimetro di distanza dal mio –Per te, quando si tratta di ragazze, è sempre facile. Come sanno tutti…- si allontanò da me; percepii dei singhiozzi nel suo tono -…sono sempre stato io quello negato per i flirt, mentre tu sei il Casanova del gruppo.- concluse, allargando le braccia. Sì, stava lacrimando.
Forse c’ero andato TROPPO pesante. Mi diedi dell’idiota.
-Andiamo, Bill.- proseguii, alzandomi dal letto; gli misi nuovamente una mano sulle spalle; stavo cercando di sistemare tutto –Devi solo attendere il momento giusto. Guarda, attendiamo che l’infermiera esca dalla stanza per scoprire dove l’hanno portata, tu la attendi proprio nel corridoio e le chiedi scusa alla prima occasione.-
Mi sembrava un buon piano. Ma lui scosse la testa.
-Lascia perdere, Tom, è inutile.-
Dio, quanta testardaggine… e poi diceva di me che ero testardo…
Bill sapeva (e sa tutt’ora) essere paranoico quando le cose non andavano come aveva programmato.
Se vogliamo metterlo a paragone con la mia impazienza…
Sospirai anch’io, allargando le braccia, in segno di resa.
-Dio, Bill, ma sei davvero impossibile!- imprecai –Per forza non ci sai fare con le donne! A volte mi domando se ti interessino veramente… Anzi, no! Per te le uniche donne della tua vita sono Frau Merkel e Britney Spears!-
Ripensandoci adesso, non posso fare a meno di provare imbarazzo ad aver pronunciato quella frase. Ero davvero furioso. Volevo aiutare il mio fratellino e lui si ostinava a rifiutare.
-Esattamente!- mi rispose lui, con il mio stesso tono –Proprio stanotte ho sognato la leggendaria Britney che si esibiva solo per me… nuda!-
Nel frattempo, stava scrutando dentro un cassetto, tirando fuori il suo costume da bagno.
Lo osservai come se fosse il più grande idiota dell’universo. In effetti, un po’ lo era.
-E ora che intenzioni hai?-
Si spogliò di fronte a me. Non mi scandalizzai per niente.
Dopotutto, eravamo gemelli. Conoscevamo ogni parte del corpo dell’altro; praticamente era come vedersi allo specchio.
-Cosa ho intenzione di fare?!- esclamò, indossando il costume da bagno e mettendosi l’asciugamano sottobraccio –Vado a farmi una bella nuotata in piscina per vedere se riesco a ordinarmi le idee!-
Senza aggiungere altro, uscì dalla stanza, forse senza nemmeno sentire quando gli dissi in seguito.
-Fuori è nuvoloso. Occhio che rischi di prenderti un malanno e addio ai prossimi concerti.-
Ma, come avevo previsto, non mi prestò orecchio. Chiuse la porta sbattendola.
Sospirai di nuovo, abbandonandomi su una delle poltroncine della stanza, vicino alla finestra, nascondendomi il volto tra le mani.
Entrambi eravamo dei veri idioti.
Non per niente siamo gemelli.
 
Daniela’s P.o.V.
 
Era stata una giornata davvero impegnativa.
Non ebbi nemmeno la forza di leggere o di guardare un film, la sera.
Come sempre, non cenai.
Andai subito a letto, addormentandomi quasi subito.
 
-Dani? Svegliati.-
Aprii gli occhi, stupendomi un secondo dopo: non ero nella SPA. Ero in un cinema.
Scossi la testa: ero davvero in un cinema.
Sullo schermo erano proiettati i titoli di coda di un film.
Gli altri spettatori si stavano alzando per uscire.
Sentivo una mano scuotermi una spalla.
Una mano grande, dalla presa forte.
Il respiro si mozzò quando udii una voce familiare.
-Non pensavo ti saresti addormentata.-
Era lui.
Gabriele.
Era vivo!
Ed era insieme a me!
Capelli neri lunghi fino alla nuca, occhi marroni un po’ allungati, naso con la punta leggermente rivolta verso l’alto, labbra grandi, alto più di un metro e ottanta… sì, era proprio lui!
Ma allora… il concerto, la sua morte, l’ospedale psichiatrico, la SPA, i gemelli Kaulitz… possibile che avessi sognato tutto?
-Eppure film di questo genere ti appassionano, Dani…-
Io cercai di alzarmi, mentre sentivo un lieve giramento alla testa.
Ero confusa. Non sapevo neppure come mi trovassi lì. Tantomeno quando ero entrata al cinema.
Non potevo chiedergli che giorno fosse, (più che altro per sapere se il concerto dei Tokio Hotel fosse già passato o meno) altrimenti avrei fatto la figura della stupida.
Dovevo trovare una scusa valida.
-Scusa… ultimamente sto dormendo poco.- mentii, mettendomi una mano sulla testa. I capogiri, però, li sentivo davvero –E mi gira un po’ la testa.-
Lui assunse uno sguardo preoccupato. Mi mise una mano sulle spalle, sorreggendomi.
-Allora, vieni, ti aiuto.- disse, premuroso, come lo era solitamente –Ti porto a casa mia.-
Uscimmo dal cinema, in direzione di casa sua: la sua casa, una piccola villetta con soli due piani, era praticamente vicina, quindi vi andammo a piedi.
Non avevo nemmeno chiamato mio padre per farmi venire a prendere. Avevo 23 anni, avevo la patente, ma non avevo ancora una macchina mia. E le macchine servivano ai miei, quindi...
Camminavamo uno accanto all’altro, ma, come al solito, guardavamo in tutte le direzioni, fuorché nei nostri sguardi. Ma sentivo spesso la sua mano sfiorare la mia o i fianchi, come accadeva tutte le volte in cui camminavamo insieme. Erano quelli i momenti, seppur piccoli, in cui mi illudevo di interessargli, che avesse finalmente dimenticato Elena.
Una volta di fronte a casa sua, aprì il cancello e io lo seguii. Lucky, il suo cocker spaniel, da lui definito “stupido”, ci corse incontro, facendoci le feste.
-Lucky, giù!- gli urlò Gabriele, ma Lucky continuava a mettere le zampe anteriori sulle mie gambe.
Io gli accarezzavo la testa, invece.
-Lascia stare la signorina!-
A quel punto, il cane si metteva giù, ma non smetteva di guardarmi.
Solitamente, quando andavo da lui, entravo dal piano inferiore, dove Gabriele aveva la propria postazione da gamer, o semplicemente il suo spazio per studiare. L’ingresso vero e proprio si trovava sopra una piccola scalinata.
Infatti, fu proprio nello stanzino dove entrammo. O meglio, dove stavamo per entrare.
La sua mano restò ferma sulla maniglia. Lui stesso si bloccò, all’improvviso, con la testa rivolta verso il basso.
Lì per lì mi allarmai; temetti che non si sentisse bene.
-Qualcosa non va?- domandai, inclinandomi leggermente in avanti, per scorgere almeno il suo sguardo.
Lui rimase in silenzio per pochi secondi.
Poi si voltò verso di me, mordendosi le labbra.
-Dani, c’è una cosa che volevo dirti…- il mio cuore sobbalzò; che stesse…? –Ci conosciamo solo da un paio d’anni, è vero, forse non ti conosco bene come dovrei, ma mi sono reso conto che con te non sto così male. Soltanto che… non sono più sicuro di vederti solo come un’amica…-
Sì, stava per dirlo. Si voltò completamente verso di me. Anche il suo cuore stava battendo. Come al solito, stava mascherando il suo imbarazzo con un sorriso ridicolo. Ma era adorabile quando faceva così.
-Durante il mio compleanno, mi hai dato supporto morale, mi hai consolato. Lo apprezzo tantissimo. Ti sei sempre preoccupata per me. Sei sempre stata lì per me. Grazie. Hai fatto tutto ciò che la ragazza che mi piaceva non aveva mai fatto. Dani, tu mi piaci.-
Sorrisi anch’io, mentre il cuore continuava a battermi forte e le lacrime uscivano dai miei occhi, mentre singhiozzavo.
Sì, era avvenuto! Si era dichiarato! Io gli piacevo! Non Elena! Io! IO!
Senza ormai avere il pieno controllo delle mie azioni, lo abbracciai, bagnandogli la spalla con le mie lacrime.
Sentivo la sua mano toccarmi i capelli, accarezzandoli delicatamente, mentre sentivo la sua guancia appoggiarsi sulla mia fronte.
Ci staccammo; pensai volesse darmi il primo bacio. Invece, aprì la maniglia della porta.
-Vieni.- mi invitò, sorridendo.
Lui entrò, e io lo seguii.
Sì. Il mio desiderio si stava avverando. Gabriele era finalmente mio. Finalmente potevamo stare insieme.
Improvvisamente, però, qualcosa mi bloccò. Non riuscivo più ad andare avanti.
 
Aprii gli occhi.
Era buio. I miei piedi scalzi stavano toccando qualcosa di freddo.
Due mani mi stavano stringendo sul torace, sotto i miei seni, con una presa salda.
Sentivo la mia schiena e la mia testa a contatto con qualcosa.
Annusai nell’aria un odore a me familiare: vaniglia e sigaretta.
Di fronte a me, il vuoto.
-Sei impazzita?-
 
Bill’s P.o.V.
 
Era un segno. Un sogno premonitore.
Stavo salendo le scale dell’hotel, correndo, senza sapere il motivo. Ma sentivo di doverlo fare.
Sembrava quasi una scena del video “Don’t jump”.
Da un certo punto di vista, lo era.
Raggiunsi il tetto, ansimando. Piano, freddo, ventoso, buio, angoscioso.
Scorsi una figura sul bordo: Daniela. Aveva indosso una veste larga, che seguiva i movimenti dei suoi capelli, in preda al vento.
Si voltò verso di me: aveva un’aria triste, ma sorrideva. Dai suoi occhi marroni stavano uscendo delle lacrime, che si sparsero per aria, brillando come diamanti.
-Daniela? Cosa fai qui?- domandai.
In realtà, sapevo benissimo cosa aveva intenzione di fare.
Le sue bellissime labbra si mossero.
-Leave me alone…- mormorò.
In quel momento, alle sue spalle, comparve il ragazzo della foto. Era proprio simile a me. Anche in altezza.
Sorrideva in modo maligno. La abbracciò dalle spalle, come fosse un oggetto prezioso dal quale non voleva separarsi.
-Lei verrà con me…- sibilò.
Si inclinarono indietro.
Io, impaurito, corsi verso di loro, nel tentativo di salvare Daniela.
-NO! NON FARLO!- ripetei, allungando una mano in avanti.
Ma lei non si mosse; cadde nel vuoto con il ragazzo, sorridendo tra le lacrime, e a me non restava altro che guardarla precipitare nel buio della notte.
Mi svegliai di soprassalto.
Tirai un sospiro di sollievo. “Era solo un sogno…” pensai, cercando di stabilizzare i battiti del mio cuore.
Accanto a me, Tom stava ancora dormendo, russando. Come sempre.
Per fortuna, non avevamo fatto lo stesso sogno, come invece capitava spesso.
Mi sdraiai sul letto, senza riuscire, però, a riprendere sonno. Delle continue immagini si proiettarono nella mia mente, senza che ne potessi prendere il controllo. Quel sogno mi aveva lasciato come sgomento e confuso. Provavo un’angoscia quasi indescrivibile, bisogna provarla per capirla; ma era come se fosse reale. Tremendamente reale.
Cercavo inutilmente di non pensarci e prenderlo come il sogno che, effettivamente, era.
Tuttavia, qualcos’altro mi privò del sonno, quasi spaventandomi. Un canto. Un canto senza parole.
Ero tentato di rimanere a letto, ma la curiosità era troppo forte. In punta di piedi, aprii la porta della mia stanza, affacciandomi leggermente.
-Chi c’è?- domandai, in inglese.
La voce si faceva sempre più vicina.
Il cuore mi batteva forte dall’emozione e dalla paura.
“Ci sono i fantasmi?” pensai, quasi ansimando.
I corridoi erano illuminati, il che mi permise di individuare la causa.
Daniela.
Aveva lo stesso abito che indossava nel mio sogno.
Stava salendo le scale per il terzo piano.
-Ehi…! Ehi…!- la chiamai, a bassa voce, per non svegliare quelli delle porte accanto –Daniela…!-
Non sembrò udirmi. Continuava a salire le scale.
Riflettei, mordendomi il labbro inferiore.
“E se quel sogno non fosse stato un caso…?” pensai. Temetti che le cose sarebbero andate proprio come nel mio sogno.
Dovevo fare qualcosa, finché ero ancora in tempo.
Lasciando la porta socchiusa, la seguii.
Si stava dirigendo verso il tetto, esattamente come nel mio sogno.
E stava camminando proprio verso il bordo.
Corsi da lei, afferrandola appena in tempo, stringendola a me.
Rosa.
Odorai un delicato profumo di rosa. Capii che proveniva da lei.
-Sei impazzita?- le domandai, in inglese.
Cercavo di stringerla a me il più possibile, per evitare che cadesse e io con lei.
 
Daniela’s P.o.V.
 
Di fronte a me c’era solo il buio. Non la casa di Gabriele.
Ripensai al mio sogno: se avessi proseguito, se avessi seguito Gabriele, se avessi fatto un altro passo in avanti, se Bill non mi avesse fermata, prendendomi tra le sue braccia…
Un orribile pensiero si balenò nella mia mente.
Il mio cuore sussultò.
Poi pensai a Gabriele: lo avevo perduto, per sempre.
Non ci vidi più.
 
Bill’s P.o.V.
 
Urlò.
Era un vero urlo di terrore, isterico, che quasi mi aveva reso sordo.
Poi si dimenò. Se non l’avessi trascinata indietro in tempo, saremmo caduti entrambi.
Facevo il possibile per tenerla stretta a me.
-Sshh!- feci, cercando di calmarla, tentando, invano, di accarezzarle i capelli –Stai calma! Va tutto bene! Ti prego, non fare così!-
Alternava gli urli a dei singhiozzi, come se stesse piangendo. Impossibile dire se mi avesse sentito o meno.
Non smetteva un attimo di muoversi, come se volesse allontanarsi da me. Ma io non mollavo, perché temevo che avrebbe davvero tentato il suicidio.
Udii, nonostante le urla, dei passi di corsa: la donna bionda che aveva chiuso la porta in faccia sia a me che a Tom si presentò sul tetto.
-Dani!- urlò, avvicinandosi a noi.
Aveva una vestaglia e un pigiama largo.
Mi guardo quasi in cagnesco.
-Tu! Lasciala subito andare!- mi minacciò, prendendomi un braccio.
Avrei tanto voluto dirle che non era come pensava.
Ma Daniela, continuando ad urlare, le diede un calcio sullo stomaco, che la fece cadere per terra, senza lasciarmi il tempo di spiegarle.
Non avrei resistito a lungo, a tenerla ferma.
Una quarta persona raggiunse il tetto: Tom.
-Cosa sta succedendo qui?!- domandò, in tedesco.
Poi mi vide.
-Billi, cosa stai facendo?-
Senza pensarci due volte, mentre la ragazza continuava a dimenarsi, gli urlai: -Aiutami!-
Forse non c’era nemmeno il bisogno di dirlo, forse lo aveva già intuito. Infatti, la prese per le gambe, sollevandola da terra, stringendole ai propri fianchi. Non mi avrebbe sorpreso se in quell’istante gli fossero passate strane idee per la testa.
-Non ti posso lasciare solo un momento, che un secondo dopo hai bisogno di me!- commentò, con una punta di sarcasmo.
La donna bionda si era rialzata: dalla tasca aveva estratto qualcosa, una siringa, da cui rimosse il tappo.
-Tenetela ferma.- ci ordinò, in inglese. Da quella siringa uscì un liquido strano.
L’ago entrò nel suo braccio e ciò che c’era al suo interno entrò in lei.
Daniela, piano piano, si stava calmando, smettendo via via di dimenarsi, prima di addormentarsi del tutto.
Tom ed io la adagiammo sul pavimento, con delicatezza, mentre la sua infermiera tirava un sospiro di sollievo.
Io e Tom, invece, stavamo ansimando, ma non dalla fatica, ma dallo spavento, soprattutto io. Il cuore mi batteva ancora forte.
Era il momento giusto per spiegare.
-Non volevo farle del male.- dissi, in inglese –Pensavo stesse tentando il suicidio e quindi…-
Ma lei tagliò corto, digrignando i denti dal dolore del calcio che aveva subito: -Non mi interessa. Cercate di fare qualcosa di utile, almeno; aiutatemi a riportarla in camera.-
Fu Tom a prenderla, caricandosela sulle spalle. Magari era una scusa per toccarle le gambe.
Aveva un’aria quasi soddisfatta sul volto, mentre scendevamo le scale, come se stesse dicendo: “Beh, non è messa male…”.
Prima ancora, però, aveva fatto un commento sull’infermiera, in tedesco, così per essere sicuro che non l’avrebbe compreso: -Certo che ha un bel caratterino…-
Io mi voltavo spesso, a vedere il volto delicato di Daniela, appoggiato sulla spalla di Tom.
Quando dormiva sembrava un angelo.
Sarei rimasto ore ad osservarla, senza stancarmi.
Venne adagiata con cura sul suo letto, quando tornammo nella sua stanza.
La donna bionda le aveva sistemato delicatamente le gambe sul letto, per poi coprirla nello stesso modo.
Tom e io eravamo lì fermi, a fissarle entrambe.
Poi lo sguardo della donna si posò su di noi.
-Se qualcuno dovesse chiedere, voi non sapete nulla.- ci ordinò, con aria seria.
-Ma…- dissi io, confuso.
-Penserò io a spiegare tutto.- tagliò corto lei -Voi dite di non aver sentito niente e che stavate dormendo. E ora… vi prego di uscire.-
Tom e io ci guardammo, poi osservammo nuovamente l’infermiera: annuimmo.
Ci accompagnò all’uscita, in modo più gentile rispetto a quella mattina.
Fuori dalla porta, mi voltai di nuovo.
-Signora…- ripresi, tornando al discorso di poco prima –Non è come pensa… Non mi sognerei mai di far del male a Daniela.-
-Questo sarà lei a dirmelo.- rispose lei, bruscamente –E ora… se volete scusarmi…-
Ci chiuse nuovamente la porta in faccia.
Tom storse la bocca e inclinò la testa.
-Beh, non mi sorprende se quella ragazza è impazzita, con un’infermiera del genere…-
Non battei ciglio a quel commento. Stavo ripensando al mio sogno, a quello che era accaduto nella realtà, alla foto di quel ragazzo…
Coincidenze? Forse.
 
Tom’s P.o.V.
 
Quando Bill pensa, il mondo si chiude intorno a lui. Ora come allora.
Sapevo che qualcosa lo turbava, quindi trovai il modo di farlo cadere dalle nuvole.
Schioccai le dita.
-Ehi! Terra chiama Bill! Mi senti?- lui sobbalzò -Ah, proposito…- dissi, sorridendo –Non ho potuto fare a meno di notare dove hai messo le mani quando cercavi di tenere ferma Daniela…-
Forse accidentalmente, forse no, le mani del mio fratellino avevano stretto le sue tette, o, quantomeno, un punto molto vicino ad esse, quando ero intervenuto per aiutarlo.
Lui, come previsto, divenne tutto rosso dall’imbarazzo.
Bingo.
Io non avevo problemi a parlare di argomenti del genere, lui… sì. Un pochino, almeno.
Per stuzzicarlo ulteriormente, gli diedi dei colpetti sul braccio, senza smettere di sorridere.
-E dimmi, com’erano? Eh…?! Eh…?! Eh…?!- domandai.
Come risposta, lui mi osservò in cagnesco, serrando le labbra e soffiando dal naso.
-Se proprio vuoi saperlo…- disse, un po’ seccato –Erano grandi quanto le mie mani, contento?-
Sollevai le sopracciglia, facendoci un piccolo pensierino. Poi osservai le mie mani: Bill e io, dopotutto, siamo gemelli, quindi le nostre mani sono grandi uguali.
-Eh, però…- commentai, muovendo la testa in avanti –E se ti può interessare…- mossi le dita delle mani come se stessi suonando il pianoforte –Ha anche le chiappette sode.-
-LA VUOI SMETTERE?!-
   
 
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