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Autore: whitecoffee    01/09/2017    6 recensioni
❝“Potresti abbassare il volume della tua maledetta musica? Sono almeno quarantacinque minuti che non faccio altro che sentire “A to the G, to the U to the STD”. Per quanto tu sia bravo a rappare, il mio esame è più importante. Grazie”
-W
“N to the O to the GIRL to the KISS MY ASS”
-myg
“Senti, Agust Dick, comincia a calmarti, che non ci metto niente a romperti l’amplificatore e pure la faccia.”
-W❞
rapper/photographer!YoonGi | non-famous!AU | boyxgirl
-
» Storia precedentemente pubblicata sul mio account Wattpad "taewkward"
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Min Yoongi/ Suga, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I.
Rude Girl

 

«And as the world spins on its axis,
Seems like it's brought me back here,
To say “oh God, not this again”»

(Neck DeepLime St)


 
 
 W I N T E R 

 
 

Odiavo i trasferimenti. Ogni volta, era come dover strappare le proprie radici dal terreno, per ripiantarle in un nuovo luogo, adattandovisi per forza. E, lasciatemelo dire, il nuovo appartamento faceva schifo. Ottanta metri quadri per i quali pagavo decisamente troppo, al terzo piano di un condominio in una zona periferica di New York. Pericolosamente vicina al quartiere orientale, il che avrebbe costituito per me la più grossa delle distrazioni. Ma andiamo con ordine.
Perché una ventunenne di Orlando, cresciuta col sole e nell’acqua di mare, dovrebbe rinchiudersi nella grigia cappa insalubre di una metropoli affollata come la grande mela americana? Risposta: mi ero cacciata di casa in modo del tutto autonomo e non richiesto. Convinta di essere grande abbastanza per vivere da sola e non dipendere più né dall’ospitalità, né dal portafoglio dei miei genitori. Non che avessi problemi con loro. Il nostro era un rapporto tranquillo, con tanto di regali nelle feste comandate e gite fuori porta la domenica. Avevo semplicemente voglia di mettermi alla prova, avendo fino a quel momento condotto una vita mediamente tollerabile, priva di colpi di scena, improvvisi grandi amori o opportunità di successo. Tutte le sfigate protagoniste dei drama coreani di cui continuavo insaziabilmente a riempirmi il cervello, andavano incontro all’occasione della loro vita, quando cambiavano casa. Uno scontro per strada con un multimiliardario che s’innamorava casualmente di loro. Un talent scout che le udiva per sbaglio cantare nel modo più inconcepibile. Cose così. Sapevo di stare indugiando pure troppo nel mondo del trash, ma mi piaceva. Erano un modo divertente di riempire i momenti di intervallo fra un esame universitario e l’altro. Soprattutto quando si era in mancanza di meglio. Ma sto divagando. Torniamo all’appartamento.
Il disperato miagolio del mio gatto, nel momento esatto in cui mi ero ritrovata dinanzi alla porta chiusa della nuova dimora, avrebbe dovuto essere un chiaro segno di avvertimento, per me. Che io avevo, bellamente, ignorato. L’appartamento era già arredato (in modo discutibile), provvisto di una terrazza (discutibile anch’essa), la quale affacciava s’uno scorcio di strada metropolitana, al di sopra della quale era possibile osservare la pulsante vita newyorkese ad ogni ora (c’è bisogno che lo dica? Del tutto discutibile). Ragion per cui, ero giunta lì con un paio di valigie, un trasportino per il mio gatto sovrappeso e gli occhi pieni di sogni. Ignara del fatto che sarebbero presto diventati incubi.


 

 
 
I muri avevano lo stesso spessore della cartapesta. Me n’ero accorta quando il mio adorabile vicino di casa mi aveva assordato l’udito per la prima volta. Ora, vi consiglio di aprire bene gli occhi, perché starete per conoscere uno dei personaggi più molesti, non necessari e fastidiosi del mondo. Tre sillabe. Min YoonGi.
Avevo appreso il suo nome dalla targhetta appiccicata con il nastro adesivo direttamente sul muro, sopra il campanello. L’inquilino della porta accanto, che io non avevo mai incontrato. Dopo almeno tre mesi di permanenza in quel condominio, avevo ormai fatto la conoscenza di quasi tutti i residenti. La famiglia Maise, del quarto piano. Coppia trentenne con tre gemelli maschi, i quali erano straordinariamente silenziosi per la loro età. La signora Williams al piano terra, una cantante lirica di cinquant’anni ormai ritiratasi dalle scene, che cantava ogni mattina sotto la doccia, ed era possibile ascoltare tutto il suo repertorio da soprano dalla tromba delle scale. La Traviata le riusciva particolarmente bene, ammettevo di aver avuto occasione di apprezzarla qualche volta, mentre attendevo l’ascensore. E come loro, almeno un’altra decina d’individui. Che mi salutavano con un cenno del capo o in maniera più o meno cordiale, qualora c’incontrassimo occasionalmente nel condominio, o in giro nel quartiere. Avevo memorizzato i volti, imparato ad associarli ai nomi. Ma di Min YoonGi neanche l’ombra.
Sapevo che vivesse nell’appartamento, perché aveva la sgraziata abitudine di sparare la rassegna hip hop del suo paese natale a tutto volume, dalle tre di pomeriggio alle sette di sera, per cinque giorni su sette. Immaginai che i restanti due li impiegasse per i turni pomeridiani al lavoro, o per fare vita sociale. Ignoravo completamente il suo aspetto, nonostante avessi provato ad immaginarmelo un paio di volte. Okay, più di un paio. E sì, avevo fermamente creduto che avrebbe potuto essere bello come uno degli attori di drama che a me piacevano tanto, per colpa della sua origine coreana. E il timbro di voce.
A quanto pareva, produceva musica per conto proprio. Lo sentivo rappare su una moltitudine diversa di basi, mischiando parole inglesi al suo idioma di nascita, rendendomi impossibile comprendere più di un tot di termini come “scusa”, “sparisci” e un paio di improperi. Nonostante l’evidente difficoltà a rendermi la permanenza facile nella mia stessa casa, avevo un debole per la sua voce. Graffiante, fresca e dal tono lievemente strascicato. Come se fosse perennemente appena sveglio, e le sue corde vocali non avessero ancora smaltito la tipica raucedine del sonno.
 Questo, era Min YoonGi. Ed io l’odiavo con tutta me stessa. Avevo più volte tentato di suonare alla sua porta, premendo il tasto del campanello. E battendo cortesemente le nocche sul legno. Ma non aveva funzionato. Così, mi ero presa delle libertà, in barba alla buona educazione che la mia cara mammina aveva tanto faticato per impartirmi. Passando direttamente alle manate e, in una giornata particolarmente infelice, usando anche i calci, contro la sua porta. Ma niente. La musica era apparentemente troppo alta affinché potesse sentire qualsiasi altro rumore all’infuori di quella. Per non parlare dei momenti di quiete. A volte, l’appartamento rimaneva in silenzio per così tanto tempo, da farmi sospettare che il suo proprietario avesse finalmente deciso di tagliare la corda, o che la mafia cinese fosse riuscita a catturarlo. E così, potevo studiare in pace. Tuttavia, quasi come se lui avesse un talento naturale per il suonare il pianoforte con miei nervi, la musica ripartiva nel momento esatto in cui raggiungevo il massimo picco di concentrazione, facendomi sobbalzare sulla sedia. Costringendomi a rinunciare allo studio.
Min YoonGi era la mia nemesi e tutti gli amici di cui disponevo, avevano imparato ben presto a conoscerlo, ascoltando le mie lamentele con la stessa frequenza con cui le foglie d’autunno cadevano dagli alberi. Alcuni mi avevano semplicemente suggerito di abituarmi, dicendo che gli esseri umani si adattavano ad ogni situazione, col tempo. Beh, io non ci riuscivo. “Eddai, Winter, ti passerà”. Le quattro parole più ripetute nella mia vita, insieme a “quando la smetterai di far cadere le cose?” e “se non ti sbrighi a trovare un uomo, vivrai da sola con altri trenta gatti”.
Ah, già. Scommetto che i vostri occhi sono fissi su quella parola dopo “eddai”. Sì, mi chiamo Winter. Come la stagione. A quanto sembra, si tratta del momento dell’anno preferito dei miei genitori. Che avevano deciso di celebrarlo costringendomi ad una vita di pessime battute a sfondo infern invernale sul mio nome, facendomi desiderare più volte di rimpiazzare le zucche di Halloween nel mio vialetto di casa con vere teste umane.
Come? Vi sembro troppo acida? Provateci voi a sopravvivere all’ennesimo simpaticone che prova a rimorchiarvi dicendovi “hey Winter, vuoi vedere il mio pupazzo di neve?”. Da voltastomaco. Quasi come la nuova canzone che Min YoonGi stava ascoltando in quel momento. E ci terrei a farvi presente che l’orologio segnava l’una di notte, ed io la sentivo chiaramente quasi come se fossi stata in prima fila al concerto di quell’artista improponibile. Era necessario ricordarvi che io stavo provando a tradurre un passo di Guerra e Pace dal russo all’inglese, a notte fonda, altrimenti l’indomani la docente di letteratura mi avrebbe guardata con quel suo misto di disappunto e delusione che io non sopportavo? No, non era necessario.
In un moto di stizza, lanciai il vocabolario di russo contro la parete, producendo un tonfo considerevole. Tanto che ebbi paura potesse rompere il muro spesso meno del mio braccio, per quanto chiaramente si potevano sentire i rumori da un appartamento all’altro. E rovinai anche la costa del povero testo. Comunque non servì a nulla. La musica continuava imperterrita, in barba alla mia carriera accademica. Mi coprii il volto con le mani, esasperata. C’era bisogno di dirlo di nuovo, per la seicentesima volta in un giorno solo? Oh sì.
 Io odiavo Min YoonGi.



 





 


#Yah!: e questa, ladies and gentlemen, è LA storia per eccellenza. Su Wattpad era stata interrotta ad un certo numero di capitoli, ma ho tutta l'intenzione di riprenderla qui (con la speranza che chi la stesse leggendo lì, capiti per sbaglio anche qui e se ne accorga). Per chiunque la veda per la prima volta, i capitoli si suddividono alternativamente per parte di Winter e YoonGi, con l'aggiunta di un capitolo extra in formato post-it di quando in quando. E' il trionfo del nonsense, lo scopo principale è quello di far fare a tutti una risata ed esclamare, almeno una volta nel corso della storia, "povera Winter". Amerete il suo gatto, sappiatelo. E niente. Spero di non essere così tanto in ritardo.

   
 
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