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Autore: changeling    01/09/2017    0 recensioni
Doveva essere una cosa rapida.
Un giorno solo, dicevano, più e una settimana di osservazione. Cinquecento dollari per non fare niente.
Doveva essere per il bene della scienza, anche, ma a rimetterci sono stato io.
Quell'esperimento ha stravolto totalmente la mia vita, il mio mondo, me stesso!
La colpa, ovviamente, è tutta degli scienziati, e il giorno in cui mi capiteranno tra le mani saprò come rifarmi. Ma c'è un'altra persona che ritengo responsabile. E' la causa principale di tutti i miei problemi da quel maledetto giorno. E' insopportabile, intrattabile, odiosa e, con mio sommo sconforto, sempre con me.
E' l'unica persona di cui non posso liberarmi. Perché è nella mia mente.
...
Agh! Ma che cazzo!
Genere: Mistero, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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La seconda parte della storia di Reese, Vincent e Jordan. Scusate il ritardo, ma i computer scarseggiano dove sono adesso^^' Buona lettura XD .

#5_Reese
Grazie a qualche tipo d'intervento divino, Barry non mi beccò. La mia collega, Carola, mi aveva visto e si era preoccupata, ma dopo che le ebbi assicurato che stavo bene mi promise ("a buon rendere") che non avrebbe aperto bocca con il capo.
Quando finii il turno la mattina dopo trovai Vincent ad aspettarmi.
-Cosa ci fai ancora qui?-
Avevo un po' paura che avesse cambiato idea, anche se visto che non ero stata licenziata probabilmente avrei potuto mettere insieme abbastanza da rimborsarlo, ma ero anche piacevolmente sorpresa che mi avesse aspettato. Erano passate ore, dopotutto.
-Ho pensato che a quest'ora ti facesse piacere un caffè.- disse porgendomi una tazza da asporto fumante. In realtà non volevo altro che andare a casa e crollare a letto, cosa che un caffè forte mi avrebbe impedito di fare, ma ero stranamente felice di vederlo, e il suo gesto era semplicemente adorabile, quindi lo accettai con piacere.
-Non conosco i tuoi gusti, ma mi sembravi bisognosa di qualcosa di dolce così ti ho preso un mocaccino. Se vuoi fare a cambio, io ho un caffè lungo.-
-No, grazie, un mocaccino va benissimo.- 
Presi un sorso, grata. Alzai gli occhi su di lui e vidi che sorrideva, soddisfatto.
-Allora Vincent- esordii rispondendo al sorriso -Cosa porta un bel ragazzo, presumibilmente rispettabile e di buone intenzioni, ad aspettare fino alle prime luci dell'alba una ragazza sola e alla fine del suo turno?-
-Molte grazie per il "presumibilmente rispettabile", ma cosa ti fa pensare che abbia buone intenzioni?- domandò Vincent assumendo un'aria sospetta.
-Bé, stai bevendo il tuo caffè.-
Questo lo spiazzò. Prendendo un altro sorso del mio mocaccino, spiegai: -Se avessi cattive intenzioni, mi viene in mente un solo motivo per cui potresti avermi aspettato, nel qual caso avresti probabilmente messo qualcosa nel mio bicchiere per portarmi via. Ma io, da brava ragazza, assennata e sospettosa, avrei potuto chiederti di fare cambio con il tuo caffè. Per non correre rischi avresti quindi dovuto drogare entrambi, ma se l'avessi fatto, ora non lo staresti bevendo, e ciò mi porta a pensare che tu sia semplicemente una brava persona che ha deciso di fare un gesto molto carino.-
La sua espressione sorpresa mi fece sospettare di aver esagerato, quindi aggiunsi: -Scusa. Quando non lavoro qui, faccio la giornalista. Deformazione professionale.-
Lui sollevò un sopracciglio. -Certo che è un brutto vizio quello di scusarti quando non è necessario, eh?-
Mi strinsi nelle spalle, imbarazzata. Lui allargò le mani, lasciando che lo studiassi senza impedimenti. -Come avete acutamente notato, non vi ho attesa qui fuori per arrecarvi disturbo, giovane donzella. Il mio unico scopo era quello di deambulare piacevolmente con voi fino alla vostra vettura, e molto galantemente chiedervi l'onore di pranzare con me quand'anche ne abbiate desiderio.- declamò solennemente.
Io cercai di controllarmi, ma era difficile. -"Deambulare"?- ripetei, cercando di non annodarmi la lingua nel tentativo. Era sia troppo presto che troppo tardi per parole del genere, e mi stavo già sforzando per non ridergli in faccia.
-Forse vi aggraderebbe un eloquio meno aulico?- continuò accennando un inchino. Per fortuna era talmente presto che non c'era nessuno per strada. Gli toccai una spalla e annuii. -Forse è meglio.- Poi non riuscii a frenarmi oltre e mi feci scappare una risata.
-Oh, questo sì che è valso la pena di aspettare.- sorrise Vincent raddrizzandosi. Mi offrì il braccio, come un cavaliere d'altri tempi, e io lo accettai, informandolo che, poichè non possedevo una "vettura" avremmo dovuto aspettare l'autobus. Lui si offrì di accompagnarmi a casa con la sua macchina, ma quando rifiutai, più per la situazione di disordine atavico che regnava a casa mia, che per paura che potesse veramente farmi qualcosa, fu ben felice di "deambulare" con me verso la fermata e farmi compagnia fino all'arrivo del primo autobus. 
Questo fu il mio primo incontro con l'amore della mia vita, e la seconda svolta nella mia esistenza.
Dopo quella prima volta, cominciammo a vederci sempre più spesso, e alla fine del mese ci mettemmo ufficialmente insieme. Stare con Vincent era diverso da qualsiasi altra relazione avessi avuto in precedenza. In un certo senso, tirava fuori quella parte di me che avevo cercato di seppellire dopo quella dannata festa, eppure non era un male, anzi, era quasi catartico fare la scema con lui, raccontargli dei miei disastri più clamorosi, e vederlo ridere perchè non riusciva a ricollegarmi con quella persona. Mi riavvicinai molto con la me stessa del passato, ma in maniera sana, adulta, e grazie a lui riemerse una parte di quel senso dell'umorismo un po' crasso ma divertente che ero solita utilizzare quando ero Reese l'Ape Ronzante. Anche il nomignolo perdeva quell'accezione lasciva e imbarazzante con cui era nato, quando ero con lui, e ora ero Reese la Ronzante perchè parlavo e ridevo tanto, non perchè andavo di fiore in fiore. Parlavamo tantissimo, in effetti: ci raccontammo le nostre vite, passioni, debolezze, gusti e relazioni, strafalcioni lavorativi, tutto. Mi parlò del suo lavoro: Vincent era di due anni più grande di me, ed era un giovane agente immobiliare. Mi raccontò dei suoi clienti, delle strane richieste che gli facevano a volte, e di come si sforzasse di accontentarle per quanto possibile. Parlammo anche delle nostre famiglie, o meglio, io preferivo chiamare la mia "situazione parentale", perchè da molto tempo sentivo di non averne una vera e propria. Lui invece ne aveva una numerosa: sua madre, suo padre, due fratelli e due sorelle. Vincent era il terzo nato, e per tutta la sua vita la sua casa era stato un rifugio caotico, prima a causa dei battibecchi tra suo fratello e sua sorella maggiori, poi per l'irrefrenabile energia dei due gemelli. Quella fu la prima volta che mi sentii restia a parlargli di me. La sua famiglia sembrava piena di affetto, di calore. La mia era rimasta in piedi, traballante, per meno della metà della mia vita. Ero invidiosa, e glielo dissi chiaramente. Lui mi chiese come fosse possibile essere invidiosi di uno stile di vita privo di qualsiasi genere di pace, e io glielo spiegai. Gli spiegai tutto, dalla mia infanzia vissuta nella bambagia, all'abbandono di mia madre, all'indifferenza di mio padre, fino alla mia adolescenza sregolata. Quando gli confessai che l'unica vera famiglia che avessi mai avuto era stato il mio migliore amico, scoppiai a piangere come la prima volta, e lui mi consolò come allora, accarezzandomi la schiena. Quando ebbi finito di raccontargli tutto, mi guardò intensamente e mi disse: -Domenica prossima, la mia famiglia si riunisce per il compleanno di mia madre. Voglio che tu venga con me. Ma prima devi fare quello che devi per liberarti di questo peso.-
Mi aggrappai a lui come a un salvagente. Il mattino dopo mi accompagnò a casa dei genitori di Jordan, e mi aspettò in macchina mentre io risalivo il vialetto e suonavo alla porta. Mi aprì sua madre, che appena mi vide assunse un'espressione gelida. Aprì bocca, sicuramente per cacciarmi via, ma stavolta la precedetti. -E' un anno e mezzo che vengo qui ogni mese per farvi sempre la stessa domanda. Non avete motivo di aiutarmi adesso dopo tanti rifiuti, ma stavolta io insisterò finchè non mi darete quello che voglio, perchè è arrivato il momento di finirla.-
La donna mi guardò con aperto scorno. Io continuai ugualmente. -Sono passati più di quattro anni dall'ultima volta che ho visto suo figlio, e non c'è stato giorno che non mi sia pentita di quello che gli ho fatto. Non ho avuto il coraggio di presentarmi qui fino a quando non ho avuto la certezza di essere cambiata; però, questo dovete capirlo, quando l'ho ferito ero stupida, sì, ma anche una ragazzina. Ero piccola, ero sola, e avevo paura. Questo non giustifica nulla, ma ritengo che sia necessario tenerlo in conto. Adesso sono adulta, e voglio andare avanti, ma questo non mi sarà mai possibile se non mi permetterete di mettere un punto a questa storia. Non è giusto per me, e non è giusto per vostro figlio, che merita di ricevere le mie scuse. Sarà lui a decidere se accettarle o meno, ma in ogni caso la nostre vite riusciranno finalmente a procedere da questo stallo.-
Fissai gli occhi in quelli della madre di Jordan, e cercai di infondere nella mia voce tutta la mia determinazione. 
-Una volta per tutte, signora. Per entrambi. La prego.-
La donna mi fissò a lungo. Io non distolsi mai lo sguardo, cercando di farle capire non solo a parole quanto fosse importante per me scusarmi con suo figlio. Dopo quelli che mi parvero secoli, lei si ritrasse in casa, e prese da un mobiletto all'ingresso un pezzo di carta su cui scribacchiò una serie di numeri. Tornò alla porta e me lo mise in mano. Io strinsi la presa, ma lei non lo lasciò.
-Chi è l'uomo in macchina?- mi chiese.
Io mi lanciai un'occhiata alle spalle. Vincent era seduto al volante, e non mi staccava gli occhi di dosso. Gli sorrisi. -Il mio futuro, credo. Lo spero.-
Lei annuì lentamente. -Sei cambiata, ragazza, è vero. Ti si legge in viso.- commentò -Metti fine a questa pantomima. Ma se dopo oggi ti vedrò ancora una volta sul mio vialetto, chiamerò la polizia.- concluse.
Mollò la presa sul numero di telefono e mi chiuse la porta in faccia. Per l'ultima volta. Dopo un momento di confusa incredulità, corsi in macchina e baciai Vincent.
  
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