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Autore: Luana89    03/09/2017    0 recensioni
«Perché?». Mi guardò dubbiosa.
«Perché cosa?»
«Perché rimani se odi l’idea di mostrarmi il tuo corpo?». Ero sinceramente curioso.
«Perché .. – una pausa, le sue dita sul gancio del reggiseno. Lo tolse – preferisco questo piuttosto che..»
«Piuttosto che?»
«Tornare in quella casa». Le dita sottili e dalle unghie corte e colorate sfilarono via le mutandine. Nuda e imperfetta.
«Lo preferisco anch’io». Continuò a fissarmi dubbiosa, non capiva se parlassi di lei o di me stesso. Non avrei comunque esaudito la sua curiosità. Per il momento. Le indicai il divano, la prima cosa che fece fu coprirsi con il lenzuolo.
«Come devo mettermi? Insomma c’è qualche posa precisa..?» quando era nervosa parlava velocemente, memorizzai anche quel dettaglio.
«In effetti si». Mi avvicinai a lei, la costrinsi a sedersi e piegare le ginocchia al petto, il lenzuolo cadde appena scoprendole un seno. Le braccia abbandonate mollemente, le dita che accarezzavano i piedi candidi, le spalle ricurve come se portasse addosso il peso del mondo e il viso chino e appena rivolto alla finestra.
«Questa non è una posa..»
«Lo è. E’ la tua». Mi guardò e stavolta ero sicuro avesse capito. Era così che la vedevo, un’anima stanca e ferita. Come me?
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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VII

Chiusi gli occhi e sparai.
 
Un tonfo sordo seguì lo sparo, riaprii gli occhi osservando Juan riverso a terra e per poco non svenni. Urlava tenendosi il braccio, la manica della maglia zuppa di sangue, non sapevo esattamente che tipo di danni avesse riportato né mi interessava molto al momento, afferrai in fretta il cellulare pregando che funzionasse ancora e fuggii letteralmente via da quella casa. In sottofondo la sua voce urlava il mio nome.
A piedi scalzi corsi e corsi senza fermarmi, solo quando fui lontana parecchi isolati mi nascosi dietro alcuni cassonetti dell’immondizia controllando le condizioni del telefono, sembrava funzionare quindi premetti il primo numero d’emergenza e il nome di Aj iniziò a lampeggiare. Uno squillo.
«Andiamo, rispondi». Due squilli e infine la segreteria, urlai piangendo e mi rialzai. Forse era sotto la doccia e non mi sentiva, dovevo raggiungerlo. Nella mia mente le parole di Juan avevano perso consistenza, semplicemente le rifiutavo. Non potevo essermi sbagliata così tanto, non poteva avermi usata sul serio né potevo aver confuso i nostri momenti insieme. Come mi guardava, come mi toccava o baciava, il modo in cui facevamo l’amore sesso. Iniziò a piovere, la mia felpa zuppa sembrava pesare il doppio ma questo non bastò a fermarmi, scivolai sull’asfalto bagnato imprecando mentre toccavo la caviglia dolorante, mi rialzai a fatica proseguendo senza alcuna intenzione di fermarmi.
Ero terrorizzata, Juan era si vivo ma a che prezzo? Mi considerava una traditrice, aveva scoperto di me e Aj e inoltre gli avevo sparato. Ovunque fossi andata mi avrebbe scovata e uccisa, o peggio.. conoscevo i modi orrendi di Juan, Carlos e molti dei latin kings. Ma almeno avevo Aj, in tutta quella merda continuava a esserci lui. Sempre e solo lui.
 
Mi fiondai verso il portone osservando una donna uscirvi, le sbarrai la strada spaventandola probabilmente, le mie condizioni non erano delle migliori. Tirai su col naso chinando il capo, scusandomi a mezza voce mentre entravo nell’androne buio e dall’odore di muffa, era confortante mi sentivo finalmente al sicuro. Salii in fretta i gradini tenendomi al corrimano, i miei piedi nudi e bagnati sembravano fatti di cera e non volevo correre di certo il rischio di stramazzare al suolo e restarci secca. Ero appena sfuggita a uno strangolamento in piena regola, la mia voglia di vivere e l’adrenalina schizzavano lungo le pareti del mio cervello rendendo il mio corpo un fascio di nervi.
La porta era socchiusa, mi bloccai col respiro affannato, perché? La spinsi lentamente e non so bene il motivo per la quale divenni cauta nei movimenti, fissavo solo la luce dello studio accesa e delle voci concitate al suo interno.
«Adesso che Juan ha scoperto chi sei devi stare attento». Riconobbi la voce ma non seppi catalogarla.
«No, Juan non ha scoperto un cazzo di niente su di me». Quella la riconobbi eccome.
«Hai capito il concetto, recidi ogni legame e non farti vedere in giro.»
«B-bomb so badare a me stesso, tu piuttosto pensa ai ragazzi e all’agguato di dopodomani, non voglio ci restiate secchi». I suoi occhi incrociarono i miei, ero ferma sulla soglia mentre osservavo la mia vita cadere a pezzi. Juan aveva detto la verità.
«Hope». Avevo da sempre una predilezione per il modo in cui diceva il mio nome, ma quella sera mi disturbò. Fissai il ragazzo dalla pelle d’ebano accanto a lui.
«E’ la donna di Hernandez?». Sorrisi ma fu più una smorfia.
«Aveva ragione lui, mi hai usata per passare informazioni a loro..» continuavo a fissare B-bomb desiderando la pistola che giaceva purtroppo sul pavimento della mia camera accanto al corpo urlante di Juan. Vidi il ragazzo avanzare verso di me, sembrava minaccioso ma io non avevo paura, Aj si mise tra noi fissandolo.
«No». B-bomb continuò a guardarmi mentre io voltavo le spalle a tutta quella merda incamminandomi verso l’uscita. Sentii la presa sul mio polso, la scrollai con ferocia fissandolo.
«Mi fai schifo.»
«Hope, non è così». Il suo solito tono con una lieve sfumatura di nervosismo.
«Ho frantumato la mia già pessima vita per un tizio che non mi ha mai detto chi fosse. Dovevo capirlo, dovevo capire il perché tutti quei misteri». Mi fissò interdetto, voleva prendermi ancora in giro.
«Pensi fosse a causa loro?». Non lo era? Non mi importava, non più. Lo schiaffeggiai con forza e sentii un’imprecazione alle sue spalle. B-bomb ci fissava.
«Sei solo un ammasso di merda, Aj». Gli diedi le spalle e stavolta non mi voltai più mentre percorrevo a ritroso il percorso, stavolta senza alcuna enfasi o fretta. Niente più adrenalina, niente più batticuore, a che pro in fondo? Adesso ero sola, avevo perso tutto e tutti. Non che avessi mai avuto granché, ma quantomeno un letto in quella topaia mi era da sempre stato riservato. E adesso? Cosa restava adesso? Non sapevo dove passare la notte, che ne sarebbe stato di me? Le lacrime si mischiarono alla pioggia ormai scrosciante mentre camminavo senza meta unica superstite in quella valle desolata.
Estrassi il cellulare digitando con forza il numero due della tastiera, le gocce mi rendevano difficile la lettura, il numero di Nicole apparve come un faro nella notte. Premetti la cornetta verde e attesi. La risposta arrivò imminente.
 
«Hope, ma che è successo». Tremavo di freddo di fronte la sua porta, le mie labbra erano livide e gli arti totalmente intorpiditi. 
«Posso.. posso entrare?»
«Ma certo, dio mio vieni». Mi circondò le spalle accompagnandomi dentro, il tepore della casa non sciolse i miei muscoli né tantomeno il mio cuore ghiacciato. Mi portò con se al piano superiore, mi diede abiti puliti e riempì per me la vasca con acqua bollente e sali profumati. La lingua sembrava incollata al mio palato, non riuscivo nemmeno a ringraziarla, era una fortuna che non parlasse né chiedesse spiegazioni. Lei più di chiunque altro sembrava capirmi.
Ero sommersa da acqua e schiuma, fissavo la parete di fronte a me vedendo il viso di Aj e B-bomb, poi Juan che mi strangolava, ancora lui riverso a terra. E Carlos, e mia madre. Scivolai lentamente e mi forzai a non riemergere, volevo morire così. Ma l’istinto è qualcosa di troppo forte, il mio corpo si sporse furiosamente verso l’alto e io annaspai lasciando che l’aria rientrasse nei miei polmoni.
Venti minuti dopo sedevo sul divano accanto a Nicole, reggevo una tazza di tisana tra le mani e finalmente riuscii anche ad osservare l’arredamento. Era carino, abitava in una zona tranquilla e tutto sembrava perfetto.
«Vuoi dirmi cosa è successo?». Scossi il capo mentre lacrime silenziose solcavano le mie guance, erano fredde e mitigavano il bruciore della pelle.
«Vorrei stare qualche giorno qui, se non è di troppo disturbo». Mi accarezzò i capelli ancora umidi.
«Ma certo, Hope vorrei capissi che io sono dalla tua parte». Tirai su col naso asciugandomi le lacrime, anuii e ne fui sinceramente convinta per la prima volta. Le accennai qualcosa, omettendo la scoperta su Aj.
«Non preoccuparti, è stata legittima difesa nessuno verrà ad arrestarti». La fissai sbigottita, io non avevo paura della galera, ma dei Latin Kings. Anzi forse il carcere mi avrebbe protetto. Annuii ugualmente senza dire altro, per quella sera credevo di aver già fatto e detto troppo.
 

AJ

 
Spensi la sigaretta accendendone un’altra, le mie mani non riuscivano a star ferme. I suoi occhi mi tormentavano, l’avevo cercata dappertutto in quelle ore e adesso all’alba mi trovavo sul divano a maledire solo ed esclusivamente me stesso. Le sue parole mi tormentavano, aveva frainteso e la colpa era mia. Come poteva anche solo pensare che l’avessi frequentata per ricevere informazioni? Il modo in cui i miei occhi la scrutavano, in cui osservavano ogni dettaglio, il modo in cui le mie mani la toccavano, come diavolo..
«Dimentica la puttana e passiamo oltre». I miei occhi torvi si poggiarono su Matthew, uno dei ragazzi di B-bomb.
«Nessuno ha chiesto la tua opinione». Il silenzio calò nella stanza, eravamo in tre ma la tensione così alta da farmi divenire claustrofobico.
«Sarà già andata da quei bastardi ispanici a spifferare tutto. Ciuccerà il cazzo a Juan e verrà dimenticata ogni cosa». Respirai profondamente, fu questione di pochi attimi prima che la mia mano afferrasse la pistola sul tavolo e gliela puntasse contro. B-bomb si alzò mettendosi in mezzo.
«CHE CAZZO CREDETE DI FARE. AJ DATTI UNA CALMATA». Continuai a tenere l’arma puntata contro Matthew che dal canto suo si fece avanti afferrando la propria.
«Io sono perfettamente calmo, ed è con calma che ti spappolerò il cervello figlio di puttana». Sorrisi premendo appena il grilletto, le mani di B-bomb mi spinsero lontano, afferrò Matthew per il colletto della polo sbattendolo fuori dalla stanza, voltandosi verso di me.
«Sei sicuro? Sei così sicuro di lei?». Abbassai la pistola gettandola sul tavolo.
«Non la conosci, lei non è come me. Come te. Come tutta questa merda – mi scompigliai i capelli imprecando silenziosamente – me lo devi B-bomb, mi devi un favore e tu lo sai». Mi guardò e tra noi passarono troppe cose che pensavamo ormai passate.
«Allora dammi qualche ora». Ci fissammo ancora e annuii, avrei saputo dove cazzo stava in un modo o nell’altro e avrei risolto le cose.
 
***
 
«Non è tornata in quella topaia di casa, e a quanto ne so è successo un casino». L’accendino scattò una volta e l’odore di erba pervase l’aria. Seduti sui gradini di casa ci passavamo una canna come se non avessimo alcun pensiero.
«Che cazzo è successo quella notte. L’ho mollata a quella merdosissima festa e poi?» B-Bomb mi fissò per poi deviare verso un punto alle mie spalle, mi voltai osservando Matthew e altri ragazzi della banda venire verso di noi, era evidente volesse scusarsi. Non lo fece verbalmente, si limitò a fissarmi e chinare il capo ascoltando una storia che forse già sapeva.
«Un ragazzino che vive lì mi ha dato informazioni in cambio di erba. A quanto pare Juan e Hope hanno avuto una discussione feroce, e lei ha sparato – si bloccò fissando la mia espressione, mi contenni mostrandomi freddo e vuoto – non lo ha ucciso, purtroppo mi sento di aggiungere, la pallottola lo ha solo colpito di striscio al braccio. Il problema è Carlos. Vuole la sua testa». Annuii carezzandomi il mento, la barba punse le me dita.
«L’unica testa che penderà sarà quella di Carlos». Ci fissammo mutuamente.
«Lo sai che siamo sempre pronti». Rise divertito e gli altri lo seguirono.
«No. Farò da me». Mi alzai mollandoli lì, proseguendo lungo il marciapiede come se fossi diretto da qualche parte. La realtà era che non avevo una meta, e questo per la prima volta sembrava destabilizzarmi. Mi ero trincerato per anni in una vita da vagabondo, avevo vomitato addosso alle catene sui miei polsi eppure Hope era diventata lentamente un percorso. Ogni curva del suo corpo ritratta nel mio dipinto era una strada, e adesso tutto era totalmente buio.
 

Hope

 
Erano passati quattro giorni da quella notte, il mio corpo sembrava riprendersi ma la mia anima era ridotta un cumulo di cenere. Non ero andata a scuola, mi ero barricata in casa di Nicole con il terrore che venissero a cercarmi e facessero del male anche a lei. Non era andata così fortunatamente, neppure Aj si era fatto sentire. Il suo nome provocò una fitta dolorosa al petto, strinsi la stoffa della maglia tra le dita, una smorfia alterò i miei lineamenti e Nicole se ne accorse.
«Stai male?». Mi fissò preoccupata dalla scrivania nella quale lavorava, togliendo gli occhiali.
«No..» scossi il capo sorridendo mesta, in fondo sapevo che per quel dolore non esistevano medicine.
«Hope.. vedi ancora quel ragazzo?». Restai in silenzio qualche istante, cercando di capire di chi parlasse salvo poi ricordarmi che le avevo detto di Lui.
«Non proprio, perché?». Mi sorrise, sembrava sollevata eppure ero certa non si conoscessero.
«Pura curiosità, sai ha l’aria di qualcuno con una vita complessa, e per quanto tu possa tendere loro una mano ..le vedrai sempre tirarti a fondo». Già, probabilmente Nicole non aveva idea di quanto avesse ragione. Respirai profondamente e il mio cellulare vibrò, lo fissai sentendo le mani tremare. Era lui? Mi stava cercando? Presi un bel respiro prima di aprire la cartella, e ciò che lessi mi sconvolse.
 
''Sono la mamma, ti prego ho bisogno del tuo aiuto.''
 
Il cellulare mi cadde dalle mani, come avevo fatto a non pensarci? Carlos era sicuramente furente, e non trovando me se la sarebbe presa con lei. Gli occhi si riempirono nuovamente di lacrime, avevo condannato a morte mia madre? Avevo desiderato la sua morte e adesso il solo pensiero che qualcuno le facesse male mi scavava una voragine nel petto. Mi alzai di scatto e Nicole sobbalzò.
«Devo uscire..». Notò probabilmente il mio nervosismo e si preoccupò.
«Hope, non fare niente di stupido..»
«No, non temere». Sorrisi tremante, odiavo mentirle. Afferrai il giubbotto e prima di uscire passai dalla cucina rubando un coltello, lo ficcai dentro la felpa incastrandolo al pantalone e uscii. Mi venne in mente il ragazzino con l’arma nascosta sotto la giacca logora, ero diventata come lui? No, io volevo solo proteggere me stessa e ciò che amavo. 
Continuai a voltarmi ogni cento metri, e quando arrivai al mio quartiere li ridussi a venti temendo che qualcuno mi seguisse. Non potevo rischiare che Juan, Eric o altri mi vedessero. Il mio piano era semplice, entrare in casa e trascinare mamma con me. Solitamente la sera Carlos vedeva i Latin Kings, avrei avuto tutto il tempo di fuggire.
Casa sembrava sempre uguale, i proiettili conficcati allo stipite erano ancora quattro e la solita puzza di chiuso mi accolse quando girai il pomello. Il non chiudere a chiave era un atto dispregiativo di Carlos nei confronti della gente, come a dire ‘’vedete? Io dormo con la porta aperta perché sono intoccabile, e voi merde’’. Lurido figlio di puttana. Chiusi l’uscio piano guardandomi attorno.
«Mamma..?». Sussurrai quelle parole col cuore pieno d’angoscia, temevo di vederla riversa da qualche parte ma dopo una breve perlustrazione della casa mi resi conto che lei non c’era. Non c’era nessuno. Tornai nel soggiorno pronta ad andare via ma un rumore mi colpì come un proiettile in testa.
«Vai via senza salutare?». La voce di Carlos mi raggelò, mi voltai lentamente e lo vidi seduto sul divano. Era sempre stato lì? Probabilmente la controluce gli aveva fornito una sorta di illusione ottica, solo sapendo dove fissare riuscivi a vederlo.
«Dov’è mia madre». Lo guardai rabbiosa toccandomi il ventre, sentivo la durezza del coltello.
«Eri lì che giravi e giravi chiamando ‘’mamma mamma’’ – scimmiottò la mia voce con disprezzo alzandosi lentamente e mostrandomi il cellulare – hai creduto sul serio che lei ti avesse cercata? Non vali un cazzo Hope, neppure si è resa conto che sei sparita». Arretrai di qualche passo estraendo il coltello che gli puntai contro.
«Ho sparato a Juan, pensi non abbia il coraggio di accoltellare te?». La mia mano tremò la coprii con l’altra.
«Avanti allora, fallo. Fallo perché oggi morirai. Ma prima mi passerò il mio personale piacere con te». Arretrai ancora osservandolo slacciare i pantaloni, mi si bloccò il respiro in gola.
«Non ti avvicinare». Qualcosa scivolò sotto i miei piedi facendomi perdere l’equilibrio, Carlos approfittò di quel momento per avventarsi contro di me. Il coltello cadde contro il pavimento, la mia testa sbatté violentemente a terra e per un secondo temetti di perdere i sensi. Quando vidi Carlos sopra di me, il suo ginocchio tra le mie cosce, desiderai ardentemente di svenire e rinvenire quando tutto sarebbe finito.
«NON MI TOCCARE, SCHIFOSO BASTARDO». Urlai beccandomi uno schiaffo in pieno viso, il suo peso era eccessivo e non riuscivo a togliermelo di dosso. Le sue mani sudice mi strapparono la felpa e slacciarono i pantaloni, toccandomi ovunque soprattutto in mezzo alle cosce. Il pianto divenne singhiozzo mentre provavo a spingerlo.
«Andiamo non essere drammatica, il cazzo ti piace è solo che non vuoi ammetterlo. Tra qualche minuto urlerai pregandomi di continuare». Era un incubo, era tutto uno schifoso incubo. Lo sentii armeggiare con i miei pantaloni che abbassò con uno scossone violento, le mie unghie graffiarono il suo viso, mi bloccò i polsi con una sola mano e gli vidi uscire quell’orribile e puzzolente fallo dalle mutande. No non stava succedendo davvero, urlai ancora ma un rimbombo allucinante sovrastò persino la mia voce. Sentii il peso di Carlos collassare su di me, mentre qualcosa di umido e appiccicoso colava sul mio viso e infine lo vidi: Aj in piedi di fronte a me con una pistola tra le mani.
«Hope..» mi venne incontro togliendomi Carlos di dosso e in quel momento vidi il suo viso, o meglio quello che ne rimaneva, toccai il mio e mi resi conto di essere totalmente imbrattata di materia cerebrale e sangue.
«Mi hai sparato..» non riuscivo a crederci, iniziai a tremare violentemente.
«No, ho sparato a lui e dobbiamo andar via». Mi fissò la felpa e poi i pantaloni abbassati con rabbia. Mi sollevò quasi di peso rivestendomi in fretta.
«MI HAI SPARATO». La mia isteria toccò vette a me sconosciute mentre passavo ossessivamente le mani sul viso, mi sentii scrollare con forza.
«Hope ho mirato a lui, non potevo sbagliare o non lo avrei mai fatto». Era serio? Poteva dirottare per sbaglio il tiro e maciullarmi. Continuai a tremare e vidi il terreno mancarmi sotto i piedi, pensavo stessi per svenire salvo poi rendermi conto che mi aveva preso tra le braccia portandomi fuori di peso.
«La polizia.. la polizia ti arresterà». Gli afferrai la maglia e probabilmente finii con lo strappargliela.
«Non risaliranno a me, penseranno sia stata qualche banda rivale». Continuai a strattonarlo scossa dai singhiozzi mentre vedevo la mia vita passarmi davanti agli occhi. Era normale? No. La normalità era qualcosa che mai avevo sperimentato prima, la mia esistenza era costellata da sangue e violenza. Mi mise quasi a forza sulla moto e io rischiai di cadere circa tre volte, ma le sue mani erano sempre su di me. Sentii in lontananza le sirene della polizia, e rabbrividii.
 

 

AJ

 
Non avevo fatto altro che appostarmi vicino casa di Hope durante gli ultimi giorni, conoscevo Carlos ed ero sicuro l’avrebbe presa in trappola con i suoi mezzucci. Hope non frequentava più le lezioni e nessuno sapeva dove fosse, il solo modo di beccarla era farla venire nella tana del lupo. Quando vidi la sua sagoma furtiva aprire la porta di casa il mio corpo ebbe uno spasmo, avevo pessimi presentimenti a riguardo e l’urlo di qualche minuto dopo non aveva fatto altro che confermarmelo. Carlos doveva morire, ferirlo era inutile, una scoria come lui doveva solo trapassare senza alcun rimpianto. E non mi c’era voluto poi molto coraggio mentre assistevo al tentato stupro della ragazza per cui mi sentivo impazzire. La stessa ragazza che adesso era coperta da un telo e sedeva accucciata sul mio letto fissandomi spiritata.
«Ti vuoi calmare?». Mi alzai andandole vicino, si scostò senza fissarmi.
«Hai ucciso un uomo, torneranno a cercarti». Era questa la sua preoccupazione?
«Non lo faranno, sanno chi è Carlos, niente arma niente impronte e quindi dovranno scegliere il colpevole giocando a ‘’indovina chi’’». Mi fissò truce.
«Beh, tra i tanti concorrenti ci sei tu. Un membro dei Crips». Sputò fuori quelle parole con rabbia malcelata. Mi avvicinai ancora e lei si scostò nuovamente.
«Non sono un membro della banda. Sono un amico di B-bomb, alle volte gli faccio favori. E’ stato lui a trovarmi casa quando mi trasferii qui, lo conosco da sei anni». I suoi occhi si accesero di curiosità.
«Dove lo hai conosciuto?». Sorrisi sghembo, al momento c’erano altre cose che detenevano la mia priorità.
«Hope, non ti ho usata. Quando ti fermai in quella caffetteria sapevo chi eri, ma non ti chiesi di posare per me per sapere qualcosa – mi bloccai, per la prima volta cercavo le parole giuste – volevo passare del tempo con te perché mi ispiravi, mi facevi venir voglia di dipingere in un momento in cui persino l’odore della vernice mi dava la nausea.»
«Perché non me l’hai detto?». L’astio nei suoi occhi diminuì ma era evidente continuasse a dubitare.
«Perché pensavo ne avessi abbastanza di bande e sparatorie. Se ti avessi detto qualcosa i tuoi occhi lo avrebbero rivelato a Juan e saresti stata nella merda, forse non lo sai ..ma sei una schiappa a mentire». Risi di gusto e i suoi occhi ebbero un bagliore, mi piacevano da impazzire.
«I tuoi amici mi odiano». Si stese supina e io la imitai avvicinandomi, stavolta non si scostò.
«Scommetto che entro due giorni dovrò fare a pugni con tutti perché pazzi di te». Le scostai una ciocca di capelli dal viso e la vidi sorridere.
«Quindi anche tu sei pazzo di me?». Mi fissò.
«Io sono pazzo e basta». La sua risata cristallina mi fece sorridere, non immaginava neppure quanto crudele fosse quella battuta nei miei confronti. Le accarezzai il fianco ma si scostò titubante.
«Hope rilassati, non voglio farti niente». Provò a scrutare dentro i miei occhi e ciò che vide evidentemente le piacque perché rilassò le spalle rannicchiandosi contro il mio petto.
«Nicole sarà preoccupata per me». Chinai appena il capo fissandole la nuca.
«Chi è Nicole?»
«La dottoressa Freeman, la psicologa della mia scuola, lei mi ha ospitato. Siamo amiche». Non le permisi di guardarmi limitandomi a tenerla stretta, sorrisi nel buio mentre il mio viso somigliava più ad una maschera grottesca. Il destino sembrava divertirsi alle mie spalle.
«Dormi adesso». La cullai nella penombra della camera, ormai lontanissimo da lei.
«Hai mai ucciso qualcuno oltre Carlos?». La sua voce flebile suonò così lontana, quasi estranea.
«Dormi Hope». Non parlammo più, per la prima volta ero sicuro non avesse dubbi: le avevo tacitamente dato una risposta affermativa.

 
 
Los Angeles, 2003 – Ospedale psichiatrico
 
«Sono la dottoressa Nicole Freeman, e tu sei?»
«Un sedicenne pazzo qualsiasi dottoressa, non si curi di me e vada oltre.»
«Io non ti vedo così.»
«I suoi occhi dicono il contrario dottoressa,  come può pretendere fiducia tenendo tra le mani quella merda?»
«Queste sono delle medicine, qualcosa che ti farà stare meglio.»
«Questa è merda, qualcosa che metterà in loop la mia mente facendomi rivivere sempre le stesse scene.»
«E tu non vuoi vederle?»
«A lei piacerebbe rivedere suo padre carbonizzato?»
«E’ stato un incidente.»
«Ne è sicura?» 


 
  
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