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Autore: Liquo    03/09/2017    0 recensioni
Questo è il primo testo che apre una raccolta di scritti inerenti ad eventi di vita di Severus Snape mai narrati dalla saga stessa; il sipario si alza con il marchio nero impresso sull'avambraccio sinistro di Snape. Realtà e fumi che si miscelano con il labirinto mentale di un uomo in grado di trasmutare le ombre in luce ed alimentare la fiamma nel ghiaccio.
Le One shot che seguiranno a nutrire questi processi narrativi non avranno un ordine cronologico, quanto più rappresentano aneddoti esistenziali salienti visionati in chiave introspettiva.
“Venuto dalla luce e dagli dei, eccomi in esilio, separato
da loro.”
( Frammento di Turfa’n M7)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Severus Piton, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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“Se l’occhio potesse vedere i demoni che popolano l’universo, 
l’esistenza sarebbe impossibile." 
( Talmud, “Berakhoth”, 6) 



M.A.G.O. 
Portatore e detentore di magia, in grado di esercitare influenza sui materiali, sulla natura, sulle energie e sui sistemi viventi. Fautore e conservatore delle forze ancestrali e promulgatore metafisico. 

Silenzio e penombra nella stanza. Una pergamena è adagiata su una scrivania malconcia vicino ad una finestra sudicia ed arrugginita che dona la sensazione di non esser stata utilizzata per anni; ma forse apparenza non è. Si, spicca la pergamena in confronto al vecchiume stantio dell’ambient, spicca come un orologio puntualizzante l’avanzare del tempo contrapposto al non moto padrone di quelle mura. Un costrutto congelato eppur invecchiato da solo; odora di decadenza. 
M.A.G.O, recita la pergamena, lo fa quasi con insolente vanto, saccente, dimostrativa, auto-affermativa, illusoria, bugiarda, declassante, mortificante – inadatta- irrisoria- inutile. Due occhi stanno fissando quel pezzo di carta. Sono due pozzi neri posti frontali. Nero magma inanimato di un restante corpo seduto al ciglio di un materasso fatiscente, logorato nelle rifiniture, grigio. Richiama il grigiore delle pareti oramai spente dalle strazianti urla che in passato hanno ovattato; ma sono ancora tutte lì, incorporate nel cemento armato che di tanto in tanto le libera nei bisbigli e nei sussurri. 
Ha diciotto anni e qualche mese Severus Snape. Le maniche di una camicia sgualcita sono ripiegate fino ai gomiti che posano sulle ginocchia, le mani incrociate tra loro, seduto al ciglio del letto, in camera sua, a Spinner’s end. Osserva l’ultimo frammento accademico, l’ultimo attestato in grado di conferirgli la responsabilità d’essere un Mago adulto, la responsabilità di dover saper scegliere. 
La divisa è ancora in vista su un seggio poco distante dallo scrittoio; ma quella no, quella non è sgualcita. Quanto son costati quei colori, quei tessuti, quello stemma, quella…verità. I capelli scuri scivolano su un viso spigoloso dalle forme taglienti, angolari, troppo dure per i suoi diciotto anni; oh, diciotto e qualche mese. Finanche non abbastanza robusto, non abbastanza vigoroso nella muscolatura, non abbastanza atletico, non abbastanza… 
Deglutisce. 
Deglutisce e mostra d’essere ancora in vita. Unico sottile movimento da circa tre ore. Il sole oramai tramontato l’ha lasciato in compagnia delle ombre riflesse da qualche lampione lungo la strada e dalla luna che pare voler esser spettatrice. 
Uno spettro al cospetto di se stesso. S’arma dei respiri che gli sono rimasti, di quelli che può contare e far attenzione a non sprecare. Inanimato esterno che si frappone all’animato interno. Fitto, in una turbolenta sentenza verbale gremita di parole ridondanti, di richiami che si impossessano della mente per scendere fino al petto e poi…poi ancor più giù, fino alle viscere. 
{ Guardali Severus. Osservali tutti. Uno per uno e, uno per uno, lasciali fuori. Dimenticati di loro. Ti hanno mai guardato davvero? Cosa sei per loro? Tuo padre, tuo padre non ti ha mai voluto. Anche a lui facevi troppa paura. Tua madre? Sparita nel nulla; esattamente ciò che per lei hai sempre rappresentato. Questa casa odora ancora di loro eppure sei presente unicamente tu. 
Perché dovresti fermarti ancora, per chi?

Le vene prendono a gonfiarsi per la frenesia che in esse scorre, si evidenziano sulle braccia così come sulle tempie, così come il collo rigido le sottolinea. Eppur incessante continua il riverbero, privo di pietà squarcia ogni bagliore di stabilità affondando sempre più nel baratro. In una presa di coscienza che potrebbe essere l’ultima, vagliante; sconfinata al di là del ritorno. 

{ Cosa volevano tu fossi? Chi? E lei? Lei ti ha tradito. Anche l’amore ti ha tradito. Osservala sorridente a spalle voltate. Nella sua mano ha scelto quella di un altro, nella sua mano ha scelto quella mano che tante volte si è scagliata contro di te. Lei lo ama Severus, lo ama. Sai perché? Perché attraverso te ha scoperto tutto ciò che mai vorrebbe, attraverso te ha scoperto il suo desiderio. Un desiderio molto lontano da te. Osservali Severus, osservali bene. Siete così diversi, la tua realtà è ben diversa…fatta di colori diversi. Perché dovresti fermarti ancora, per chi? } 

Ed ogni interrogativo riprende dall’inizio, dal primo, bersaglia ossessivamente la mente come un tornado in grado unicamente d’accrescersi, dal petto alla testa, estendendosi ad ogni lembo di pelle, promulgandosi e ponendo seme alle consapevolezze. Il fiato sprigionato unicamente dal naso, s’affanna, sempre più, divenendo rumoroso, preciso e costante, s’adegua ai tamburi cerebrali. 

{ Sono fantasmi Severus, tutti. Passano attraverso il tuo corpo ma non si fermano. Non possono. E dentro di te non possono raccogliere perché la consistenza di cui son fatti non è in grado. Ma tu, puoi rompere le loro cortine ed accrescere ciò di cui sei depositario. Sei nato solo, Severus, ma puoi rimediare abbracciando chi come te è cresciuto diversamente. Ed è straziante, vero? Lily lo è ancora. Non ti ha degnato di uno sguardo alla fine dell’anno accademico. E’ rimasta ferma nella sua mischia di compagnia a mostrare quanto sia brillante. Lo è. E, ciò che è, non potrà mai confondersi con te. Ti ha mai conosciuto davvero? Per un solo momento s’è fermata a comprendere i tuoi cardini? Quelli veri che a lei hai tentato di mostrare come mai hai fatto con nessun altro. Sei una parola sbagliata di troppo, Severus. Sei il fulcro dell’umiliazione. Lei ha bisogno di un uomo che con l’Oro sia forgiato e che con coraggio possa difenderla a spada armata. Non necessita di un serpente in grado di terrorizzare a prima vista. 
Perché dovresti fermarti ancora, per chi? } 

Le mani si distraggono dall’incastro e vengono portate alle orecchie. Premono. Sempre più forte. I respiri cessano e la testa è imbottigliata tra i palmi. D’altro si riempiono le vene mentre il corpo si mostra in defibrillazione per le vibrazioni non evidenti alla vista eppur riportate. Non è tremolio, la consistenza è maggiormente profonda ed addensata. 
Si sprigiona in un urlo a bocca spalancata, si sprigiona gremendo l’intero stabile, si sprigiona prolungato ed incolmabile, si sprigiona dilaniante ed inconsolabile. Nasce per permanere. Graffia la gola profondamente, crea ferite. Ogni parte del corpo pulsa in quel tentativo di esorcizzarsi. S’arrossano i capillari oculari, disegnano contrasto con la pupilla scura. L’intero volto piegato e contratto per l’uso del rumore vocale, ogni muscolo è predisposto a quella tempra d’anima che, forse, sta urlando. Forse essa è che sta facendosi sentire, per la prima volta e, come stabilito, unicamente al cospetto di se stesso. 
Non riprende fiato quando alzandosi con un netto scatto, un passo lo avvicina allo scrittorio che con forza afferra e, con cotanta rabbia, scaraventa lontano, altrove, facendo precipitare al suolo anche il seggio su cui la divisa Serpeverde è adagiata. Un buon serpente sul pavimento sa come strisciare. 
Probabile che una gamba del mobilio si sia spezzata, ma certo è che il diploma da M.A.G.O. sia volato, nella folata del gesto, quasi al centro della stanza. 
Il petto s’alza, si abbassa. Il capo è di poco basso. Le braccia perpendicolari ad un corpo completamente accaldato. Sta bruciando e non rinnega le fiamme avvolgenti, le permette di compiere il loro corso seppur possa rimanere unicamente cenere. 

Puoi essere migliore di loro. – Ripete una voce. 
No Lily, oramai è troppo tardi. – Le risponde in un flebile sussurro.


“ Il popolo sotterraneo ha raggiunto il massimo sapere… 
Se la nostra folle umanità iniziasse una guerra contro di loro, 
sarebbero capaci di far saltare la superficie del pianeta.” 
( Ferdinand Ossendowski, Beats, Men and Gods, 1924, V ) 


L’Oscurità s’è impossessata d’ogni tetto e d’ogni strada, s’è sparsa spadroneggiando ma per dovere, per diritto, concede alla luna di rimanere alta. D’altronde, è ancora Ottobre e le consone nuvole inglesi possono concedersi qualche altro tempo vacanziero. 
Vuota è Spinner’s End, qualche lampione intermittente conduce i passi di una figura avvolta in un cappotto lungo, che lasciato sbottonato evidenzia maggiormente quante taglie in più abbia in abuso, eppur chi avvolge mai ha avuto problematiche nel portarsi addosso tessiture maggiori dei suoi anni. 
Un passo che prosegue, diretto alla meta, probabilmente diretto al di là del confine dell’orizzonte, ove chissà quali misteri promessi saranno rivelatigli. La bacchetta, un mezzo fedele per un M.A.G.O. è depositata, per la prima volta, a stretto contatto con l’avambraccio sinistro la cui manica ha incontrato sul polso il bottone. Chissà per quale motivo quell’Ottobre d’annata 1978 sta regalandogli, ancora, qualche temperato soffio. Parole che accompagnano i passi, passi che seguono il ritmo delle parole, e queste si perdono…nel vagito di un ultima notte. Dedicate, a chi, mai fungerà da destinatario consapevole. 
Ombre che s’allunga sull’asfalto: 
{Cara Lily 
proseguo. Mi muovo come uno spettro senza volto e questa notte sto andando a conquistarne un altro. Ho deciso. Ho deciso d’essere semplicemente ciò che sono. E tra le sottili note dell’oscurità mi perdo allontanandomi da te che, distante, vegli su un’altra parte di mondo. 
Sacrifico questa vita dimenticando il mio nome. Per dimenticare il tuo. 
Mi stanno aspettando. Tutti. Loro mi stanno aspettando per sancire un patto eterno. E’ esattamente in quell’etere che rimarrò, per allontanarmi ancora di più dalle regioni che governano l’esistenza stessa. 
E, forse, come Lui dice, rinascerò a vita nuova. 
Quando mi osserverete in volto, non vedrete che una maschera. Una maschera che sa essere specchio, specchio per voi. 
Non ti chiedo di scusarmi, non ti chiedo di perdonarmi, non ti chiedo di sancire questa vita e soprattutto non ti chiedo di capire ma, ovunque tu sarai, con chiunque sarai, sappi solo, tra i lembi stessi di questa notte, che ti ho amata come un cieco può desiderare di osservare la luce. } 
Smaterializzazione. 

“Venuto dalla luce e dagli dei, eccomi in esilio, separato 
da loro.” 
( Frammento di Turfa’n M7) 


Quattro in punto. 
L’orario tagliato in due ed un cimitero in grado di mostrarsi vivo. 
Presenze mascherate che si confondono tra loro, la vista ha qualche difficoltà ad accomodarsi dopo la materializzazione e il buio reso meno pedante da qualche fiaccola piantata nel terreno, non aiuta facilmente. Poco per volta, l’immaginario diviene vivido e netto nelle forme, nelle rifiniture, nei contorni. Le lapidi scacciano il nome su di esse inciso al riflesso ambrato, sulle maschere pare esserci lo stesso riflesso. In silenzio, intorno osserva Severus Snape. 
Nel pieno dei suoi diciotto anni; diciotto e qualche mese. 
Perché l’ossigeno pare sfuggire ai respiri? 
Una mano a tocco pronunciato si scontra contro la sua spalla, pare quasi voler provocare uno spintone. E poi una voce, sembra un riverbero lontano: « Vi avevo detto che sarebbe arrivato, mio Signore. » E’ Lucius Malfoy, che accanto sottoscrive la raccomandazione e lo scambio. Eppur, le retine, vagano perlustrando l’intera radura alla ricerca del Signore a cui il suo conoscente s’è rivolto, scattano da un punto all’altro, da destra a sinistra, ma è proprio sulla destra che si soffermano. Identificano qualcuno, o qualcosa oramai, di ben noto: Mulciber, a capo basso, mentre con la destra stringe l’avambraccio sinistro. Si mostra quasi ripiegato su quell’arto, come a vagliare ancora la congiunzione articolare, come a verificare se possa considerarlo vivo o un pezzo di carne morta. I suoi occhi, i suoi occhi sembrano privi di vita. 
Le labbra di Severus si schiudono, lo sguardo tenta di mettere a fuoco quanto possibile l’immagine del compagno, si sforza, quasi pare voglia fare un passo in avanti ma, la consapevolezza arriva schietta: Mulciber, Mulciber ha già prestato giuramento, il Marchio… 

« Ho sentito grandi elogi su di te Severus Snape. » 
Una lama al centro del cerebro, si scaglia fredda, assai affilata. Chirurgica. 
Colui che porta il nome di Lord Voldemort sta pronunciandosi. E la sua tonalità pare simile a mille aghi conficcati nella carne. 
Lo sguardo si perde ancora nella penombra, alla sua ricerca, a prender visione di Colui in Grado di Grandi Cose, di Cose Straordinarie, dicevano…ma che ancora sfuggente si mostra. Sfuggente fino al momento in cui, a pochi millimetri dal volto, non s’avverte affogare. Lord Voldemort, il Signore Oscuro, lo fronteggia a stretta distanza e, in quel momento, anche i battiti cardiaci si mostrano arrestati. Tutto intorno pare spegnersi, come se le loro uniche presenze siano necessarie e solitarie, come se Egli stesso basti per entrambi. 
E poi il circondario compare. 
Nel ripristino delle sue funzioni, quasi affannato, Severus di poco piegato, osserva il trapassato Tom Riddle muoversi mantenendo le mani dietro al busto. I restanti membri della congregazione sono in cerchio e, il Signore, percorre l’interno perimetro. 
L’hanno accerchiato. 
« Geniale in Pozioni mi dicono, esemplare negli incantesimi e, da quel che mi è facile rubare da te, Ligillimens. Sembri davvero promettente, Severus Snape. Ma ciò che mi chiedo è: fin dove vuoi arrivare? » 
Intorno a quell’interrogativo, trepidante cala l’omertà. E’ come se si puntasse sulla risposta giusta o la risposta sbagliata, una scommessa dilettevole sulle sorti ed il fato. Parlare si mostra assai complesso, la bocca asciutta ed il fiato corto non sanno giovare all’interrogato. Eppur Lui ha posto una domanda diretta, eppur Egli sta parlandogli, eppur Egli attende. Diritto si rimette il M.A.G.O, assume posa ferma, dignitaria nell’esser servile. 
« Ovunque vogliate portarmi. » 

Buio. Silenzio. Oblio. 
Nuova la gestazione. 
Diverso il seme. 
E’ l’Oscurità che mangia la carne, affonda e strappa, logora e si nutre, inghiotte e ricomincia. In bocca risale il sapore del sangue. Probabile che sia il suo. Probabile che dissanguato diverrà anima in frammenti. Sta scomponendosi e quel dolore è sinonimo di follia, lo porterà alla pazzia? 
Da dove proviene esattamente? Il cuore ha smesso i suoi battiti. E’ ancora presente? Libero dalla corporalità è come esser risucchiati dalle tenebre per divenire parte della paura. Del terrore. E se in tal maniera vibra il male, se quello è male, cosa significa essere un Dio? Un Dio. Ogni cosa acquista materialità e le stesse fibre fisiche appaiono esplodere, all’interno di esse fluido è il segno di chi l’ha toccato insediandosi fino in profondità. S’è depositato, ha ramificato. Ha germinato. La macchina pompa sangue al centro del petto è un tamburo, o meglio, una scarica. Ancora sapori metallici sulla lingua e, seppur gli occhi si riaprono, le pupille sembrano non essere in grado d’osservare. 
Forse è appena nato, forse è appena morto. Quanto tempo ci vorrà prima d’abituarsi a quella nuova ‘Luce’? 
Scopre d’avere un Dio in quel momento, se stesso. Un Dio retto all’altezza dell’odio provato. 
Appaiono lontane le risa avvertite, forse sono le proprie. Sta ridendo? Sta ridendo strozzato? 
Le sue stesse risa stanno rintronandolo nel ben mezzo dell’Oscurità, nel ben mezzo di un parto. Quando si nasce non si dovrebbe forse piangere? Soffoca. Lo avverte, concepito unicamente dal mostruoso seme, fecondo seme. 
Quale strana pace s’avverte, serenità eterea. 
Il passato appare rotto e in pieno contrasto con le attuali forgiature. Rigenerazione su un Talamo privo di sacerdozio, solo libertà. Lussuria, voluttà, peccato. Filamenti strisciano ad incastrarsi tra di loro sul volto, a maglie strette qualcosa si compone quasi confondendosi con i tratti somatici, con la pelle, i vasi sanguigni, la muscolatura. 

Difficile comprendere quanto tempo sia passato da quando l’Oscuro Signore ha impiantato il dito indice nella carne dell’avambraccio sinistro di Severus Snape. Quando è accaduto, ogni cosa s’è dissolta in pece. 
In ginocchio si ritrova, completamente sudato, in balia di altalenanti spasmi muscolari che lo fanno tremare e scuotere; a capo basso riesce ad intravedere unicamente il terreno su cui è posato. 
Lenta la consapevolezza nasce, si frappone tra ciò che era e ciò che ora è. Il Marchio nero sull’avambraccio sinistro sussulta muovendosi, ha la sensazione che sotto pelle un serpente abbia fatto tana, riscontra che quell’arto non gli appartiene più. L’avverte come una protesi completamente staccata dal resto del suo corpo, consegnata al Padre che l’ha generato. 
E se il figlio è il braccio destro di Dio, il sinistro appartiene a Lucifero. 
In faccia una maschera, fredda, completa, inviolabile… accogliente. Eccolo il suo nuovo volto, privo dei segni del tempo, della vita, dell’esistenza, dell’anima…di ferro, statico, non può provare o manifestare emozioni, non può viverle, non può donarle. Non può concepirle. 
Il materiale non si piega alle inclinazioni umane 
probabilmente perché di umano non è rimasto più nulla. 

“Chiunque rifletta su quattro cose, meglio sarebbe se 
non fosse mai nato: ciò che è sopra, ciò che è sotto, ciò 
che è prima e ciò che è dopo.” 
( Talmud, Hagigah 2.1 )
   
 
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