Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    03/09/2017    6 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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~ 46 ~
NON SIAMO EROI
 
“I was broken,
I was choking,
I was lost,
This song saved my life
I was bleeding
Stop believing
Could have died
This song saved my life
I was down, I was drowning,
But it came on just in time
This song saved my life”.
(This song saved my life – Simple Plan)

 
 
 
Per Fabrizia e Pete, arrivati al piano degli alloggi dei ragazzi, salutarsi a cavallo delle porte dell’ascensore fu qualcosa a metà tra il comico e l’impresa disperata, finché, tra un bacio, una spinta e una risata, Briz decise di imporsi sul serio e riuscì a spingere Pete sul pianerottolo e a richiudere le porte scorrevoli.
Giunta alla Piccionaia, invece di dirigersi in camera sua si ritrovò a bussare come una forsennata alla porta di Jamilah; ad aprirsi fu invece quella di Midori, dalla quale anche l’amica mulatta fece capolino.
– Sono qui, Briz, sto aiutando Midori a prepararsi per stasera. Che diavolo succede?
Briz si precipitò nella stanza dell’amica, che tutto sommato stava piuttosto bene, e le due ragazze la guardarono perplesse.
– Che hai combinato, si può sapere? Dovresti andare anche tu a sistemarti un po’! – la esortò Jami, osservando con aria critica i jeans strappati, la camicetta stropicciata e il naso e le guance lievemente arrossate dal sole.
Fabrizia era incredibilmente agitata, rideva, gesticolava e sembrava non riuscire a trovare le parole, cosa decisamente inusuale, per lei. Così Midori le afferrò un braccio con la mano libera dal gesso e la fulminò con aria interrogativa.
– Datti una calmata e respira! Che succede?
Briz prese fiato e, soffocando un’ultima risata e portandosi la mano destra alla bocca, sollevò quella sinistra, con le dita aperte, mostrando alle amiche il diamante che brillava all’anulare.
Le due ragazze si zittirono di colpo, quando compresero.
– Ce l’ho fatta! – esplose Briz, fuori di sé dalla gioia – che Dio mi aiuti, non riesco ancora a crederci, mi sento come se il cuore stesse per scoppiarmi… ma ce l’ho fatta!
Per qualche minuto fu sommersa dalle risate e dalle congratulazioni di Jamilah e Midori, e dagli abbracci e dalle loro domande più o meno impertinenti che cominciarono ad accavallarsi, finché Jami le disse:
– Avevi ragione tu, dopotutto: non ti è servito un vestito, né altre stupidaggini e frivolezze… ed è giusto così.
– Ecco, a questo proposito, – disse Briz – c’è un motivo per cui ti stavo cercando: il vestito nero. Ti prego, Jami, prestamelo!
Le altre due si guardarono stranite, ma si resero conto che non era poi così assurdo che Briz volesse apparire più bella e femminile di quanto non avesse mai fatto, proprio ora che il cuore del capitano Richardson le apparteneva senza remissione.
La ragazza prese l’abito e, dopo aver ringraziato e salutato le amiche, si fiondò nella propria stanza per sistemarsi.
Più tardi si guardava allo specchio con aria soddisfatta anche se, in realtà, l’unica cosa sulla quale il suo sguardo si soffermava continuamente era l’anello. Oddio, l’anello! Non riusciva ancora a farsene una ragione, ma c’era una parte di lei che le diceva di scendere di un piano, piombare nella stanza di Pete e che andassero tutti a farsi friggere! Tanto, alla festa, avrebbe finito per non mangiare niente, di certo non aveva intenzione di sfinirsi a ballare, che nemmeno le piaceva, e tantomeno di dare spettacolo cantando. E se qualcuno, il giorno dopo, li avesse presi in giro a morte con battutine e insinuazioni… beh, okay! Tanto sarebbe successo comunque, già lo sapeva, e andava anche bene, visto quanto lei stessa aveva tormentato le sue amiche e i loro fidanzati.
Se non che, il pensiero di rivedere Yock e Lyra, conoscere Solange e, soprattutto, mostrare il diamante a Daimonji e agli amici, mise un freno a tutto: avevano una famiglia, in fondo. Non che ci tenesse particolarmente a fare annunci ufficiali o cose simili, ma sapeva che non potevano, né lei, né Pete, esimersi da tutto ciò; avevano tutto il resto della vita, da passare insieme.
Cavoli, avevano vinto la guerra, la Terra era salva e la festa ci stava eccome!
Mentre, assorta, si spazzolava i capelli, un ricordo le affiorò alla mente: un altro anello, una semplice fede piatta, di oro giallo, con inciso sopra un drago il cui corpo serpeggiava per tutta la superficie del gioiello: l’anello di Alessandro. Era un regalo della mamma per il suo quindicesimo compleanno, pochi mesi prima che la sua malattia se la portasse via, col quale aveva voluto assecondare la passione del figlio per i romanzi fantasy. Perché le veniva in mente proprio ora? Quell’oggetto era andato perduto con la morte di Ale, nella distruzione della loro casa; non ricordava di averlo mai più visto da allora.
Eppure… qualcosa continuava a frullarle nella mente, anche mentre si sedeva sul letto e si chinava per allacciare i sandali: Ale, nel loro ultimo, soprannaturale incontro, non le aveva forse detto qualcosa, prima di dissolversi nella luce del tunnel?
Rimosse il pensiero: era ora di smettere di pensare a qualcosa che forse non era nemmeno accaduto, e a un passato che non sarebbe più tornato. Aveva un futuro da affrontare, e la fortuna immensa di non doverlo più fare da sola.
Senza porre altro tempo in mezzo, si decise a scendere sulla spiaggia, dove avrebbe trovato gli amici e anche il suo fidanzato. Oh, mammina, il suo fidanzato! Suonava davvero strano, ma un’altra occhiata al diamante la convinse che, dopotutto, il termine era proprio quello giusto!
Arrivò sulla spiaggia pensando di essere l’ultima, o quasi, invece trovò solo Yamatake che si lamentava, con Pete, del fatto che Bunta e Fan Lee non fossero ancora arrivati ad aiutarlo con il fuoco per la grigliata.
I due si girarono nel sentirla arrivare e rimasero a bocca aperta.
Il lottatore di sumo, in bermuda e camicia hawaiana sgargiante, si lasciò sfuggire un fischio, nel vederla andar loro incontro. Pete, invece, si limitò a perdere l’uso della parola per poi rivolgerle un sorriso vagamente ebete… un po’ come quello di lei, insomma.
– Ohi, Richardson – se ne uscì poi Yamatake – quando l’hai vista ieri sera hai rischiato di ingoiarti una mosca, adesso stringi un po’ gli occhi, o ti cascheranno per terra! Che poi… mi sa che l’hai già vista in versione meno vestita. Si vede lontano un miglio che avete… chiarito, dico bene?
Chissà che diavolo avete fatto oggi pomeriggio! – insinuò malizioso.
– Niente di quel che pensi, depravato, ma, se anche fosse, non verrei certo a raccontarlo a te! – si riprese Pete, ironico – Come dici tu, abbiamo chiarito e risolto parecchie questioni.
– Niente di quel che penso, eh? Effettivamente ho sempre pensato che tu non sia del tutto a posto, capitano. Ma guardala: è uno spettacolo!
– Meno male che ci sei a tu a farmi notare queste cose, Yamatake! – scherzò Pete, sorvolando sulle battute e sull’espressione compiaciuta dell’amico, che si sentiva come se fosse merito suo, se la loro relazione aveva finalmente preso la direzione giusta.
Effettivamente Pete si era sentito la bocca secca e le orecchie diventare incandescenti, alla vista delle lunghe gambe di Briz, lasciate scoperte dalla gonna ampia dell’abitino di pizzo, della scollatura tonda, che faceva risaltare le curve delle spalle e del seno, e del volto leggermente truccato. Ai piedi calzava dei sandali neri senza tacco, composti di sottili stringhe di cuoio incrociate, e le unghie rosa shocking risaltavano piacevolmente con quel look total black. Definirla bellissima sarebbe stato poco, era persino più intrigante che in bikini: quella fila di bottoncini luccicanti, che correva dalla scollatura fino all’orlo della gonna arricciata, gli aveva scatenato nella mente qualche fantasia irripetibile a terzi.
 
Briz-vestito 
 
Più o meno come quelle che erano passate per il cervello di Fabrizia, nel vedere Pete con indosso una camicia blu scuro, come sempre con i primi bottoni slacciati.
 
Pete-Morghana-3d

 
 
Nemmeno a dirlo, stava da Dio, anche perché alla camicia scura aveva abbinato dei jeans bianchi. Ora, diciamolo pure, Briz non capiva un emerito accidente di moda, ma era dell’opinione che i jeans bianchi fossero un capo impegnativo: in pochi potevano permettersi di portarli con classe e disinvoltura, e Pete… decisamente era uno di quei pochi.
Yamatake andò ad abbracciare Briz, le stampò un bacio sulla fronte e le sussurrò: – Missione compiuta, piccoletta?
Lei gli mostrò la mano col diamante al dito e gli rispose: – La più difficile che io abbia affrontato, ma ne è valsa la pena.
Yamatake guardò, ammirato e commosso, l’anello scintillante, per poi abbracciarla di nuovo.
– Lo sai che a me piace scherzare, stare tra i piedi, fare lo scemo e il malizioso, e spero che me ne scuserai… ma sono molto, molto felice per voi, sappilo.
– E io sono contenta di avere tra i piedi un impiccione scioccone come te: sei un grande amico, Yamatake!
– Sì, direi che grande è proprio l’aggettivo giusto! – rise lui, per poi spingerla tra le braccia di Pete e tornare ad occuparsi del fuoco per la grigliata, non prima di aver lasciato a lui una pacca sulle spalle che solo per miracolo non lo stese.
– Disgraziato! – lo redarguì Briz, fingendosi indignata – mi vuoi rompere il fidanzato già il primo giorno?
– È bello robusto, funziona ancora, tranquilla! – replicò il lottatore, facendoli avvampare entrambi e tornando ad occuparsi di braci e graticole.
Pete se la strinse ridendo fra le braccia, incurante dell’amico che li sbirciava e che, finalmente, se ne stette zitto. Non per molto, naturalmente: man mano che, un po’ alla volta, arrivavano tutti gli altri, il giovanottone comunicò senza alcun pudore – senza quindi smentire ciò che aveva detto poco prima di sé stesso, anzi rafforzando il concetto – quello che tutti sospettavano, o meglio sapevano, già da tempo.
Non solo nessuno si stupì, ma tirarono tutti un sospiro e fecero quasi la fila per congratularsi con loro e ammirare l’anello di Briz.
Agli occhi dei loro compagni, Briz e Pete erano una coppia da molto prima di quanto loro stessi pensassero; a Midori non sfuggì la scintilla che brillava nei loro occhi: lei l’aveva già vista, quindici mesi addietro, quando i due si erano guardati negli occhi per la prima volta, senza conoscersi ancora e prima di cominciare a dirsene di tutti i colori.
Mentre addentava un gustoso spiedino di pesce – alla fine si era accorta di avere fame, e neanche poca – Briz studiò Bunta, che non aveva lasciato un attimo il fianco di Solange, la sua carinissima fidanzata bionda, insieme alla quale era arrivato poco prima da Yokohama. Piccolina, con uno sbarazzino taglio corto di capelli e lievemente formosa, la giovane biologa francese si era conquistata in un attimo le simpatie di tutti.
Poi Briz si soffermò su Hakiro, invitato da lei stessa per far sentire a proprio agio i due ragazzi zelani, Yock e Lyra, giunti anche loro poche ore addietro insieme a Daimonji. Briz si complimentò con sé stessa per l’idea, quando vide che, nel giro di pochi minuti, Hakiro era stato letteralmente accalappiato e conquistato dalla bella ragazzina aliena la quale, insieme al fratello, si sarebbe riunita, nel giro di alcuni giorni, alla comunità zelana in arrivo sulla Terra.
Fra i componenti dell’equipaggio si aggiravano anche molti dei dipendenti del Centro di Ricerche, dai tecnici agli impiegati, e anche Leiji e Nagai, i capi delle guardie, sembravano quasi spaesati all’idea, per quella sera, di non doversi occupare della sicurezza.
La notizia che la guerra contro l’Orrore Nero era finita, rimbalzava incessante per tutto il pianeta dal giorno precedente e, dopo le prime ore di smarrimento dovute al fatto di dover metabolizzare l’avvenimento, in ogni parte del Globo si festeggiava ormai da ore, giorno o notte che fosse; e a Omaezaki, giustamente, non si era da meno.
Qualcuno, quel pomeriggio, si era occupato di tirare sottili cavi tra i pini che delimitavano quella parte di spiaggia, ai quali erano state appese, all’arrivo dell’imbrunire, decine di lanterne di carta e catene di lucine multicolori.
Sakon e Jamilah si erano occupati di finire di allestire gli impianti per la musica, già sapendo che, se proprio a qualcuno fosse venuta voglia di cantare, di certo non sarebbero stati loro due: tra tutte le sue doti, l’ingegnere non possedeva quella di essere particolarmente intonato, proprio come la sua compagna, dalla quale non riusciva a distogliere gli occhi.
La notte precedente, nonostante la stanchezza, avevano finito per fare di nuovo l’amore, stavolta in modo molto più lento e dolce, senza la paura addosso di poter morire in tempi brevi e, anzi, felici e consapevoli di avere un futuro da pianificare insieme. A questo proposito, dopo, avevano passato ore a dormicchiare e parlare, e Sakon aveva finito per esternare quel pensiero che gli ronzava dalla sera precedente.
– Non abbiamo preso uno straccio di precauzione, su Marte… – aveva esordito.
– Davvero? Ma cosa mi dici mai? – lo aveva preso in giro Jami – sai com’è, anche su Marte a quell’ora le farmacie erano chiuse…
Sakon era scoppiato a ridere, visto che la sua ragazza pareva aver preso la faccenda con molta filosofia, e a lui non era rimasto altro che fare altrettanto: se fosse stato destino, nel giro di poche settimane se ne sarebbero accorti.
Alle prese con gli ultimi cavi da collegare agli amplificatori e ai microfoni, si avvidero di un nutrito gruppo di persone che avanzava lungo la spiaggia, anche loro portando attrezzature per la musica. Probabilmente erano gli abitanti dei dintorni, che avevano avuto la loro stessa idea: c’erano moltissimi giovani, ma anche qualche famiglia con bambini e ragazzini, che fecero per allontanarsi nel vedere che quella zona della spiaggia era già occupata. Briz e Jamilah, invece, corsero loro incontro dicendo che, se gli avesse fatto piacere, avrebbero potuto unirsi alla loro festa.
Un giovanotto, che sembrava essere uno degli organizzatori della serata, non ci mise molto a riconoscere i componenti dell’equipaggio del Drago Spaziale nonostante non indossassero le divise, e si mostrò intimidito all’idea di intromettersi nei loro festeggiamenti, ma Briz e le amiche insistettero, coinvolgendo anche il dottor Daimonji e infine tutta la truppa. Se c’era una cosa di cui tutti loro avevano bisogno in quel momento, era la normalità, sentirsi persone come tutte le altre e non guerrieri, tantomeno eroi. In fondo non c’era nulla di esclusivo, in quella festa in riva al mare: si era tra amici.
Le musiche più conosciute e i tormentoni estivi degli ultimi anni cominciarono a risuonare dopo un po’, a volume piuttosto alto, disperdendosi verso il mare e il cielo.
Alla fine, su istigazione di Jamilah, Solange e Hakiro, che tentava in ogni modo di fare colpo su Lyra, Briz si era persino ritrovata a ballare, scoprendo che, almeno con la musica da discoteca, non le veniva poi così male, anzi era davvero divertente! Si impose di rimuovere il pensiero di dover imparare a ballare cose più impegnative, in futuro.
Midori, impedita dall’ingessatura, se ne era rimasta a guardare gli amici che si divertivano seduta sulla sabbia, accoccolata tra le braccia di Sanshiro, scambiando chiacchiere con Sakon, Pete e altri giovani appena conosciuti. Una ragazza di questi ultimi, osservando dispiaciuta il suo braccio ingessato e il polpaccio con la medicazione lasciata scoperta dalla gonna corta, disse:
– Capisco che ballare non faccia per te, per ora, ma qualcuno prima mi ha detto che canti bene, verresti un po’ al karaoke?
– Chi sarebbe la spia in questione? – chiese lei, tutto sommato tentata dall’idea.
– Le tue amiche: la ricciolona mora con gli occhi azzurri e l’altra alta con la ciocca bianca, che… insomma, ma davvero sono un ingegnere aerospaziale e la pilota di Balthazar?
– Sì, eccome, se lo sono! Ma ciò non le risparmierà dalla mia vendetta! Adesso le sistemo io – fece Midori, raggiungendo Jamilah zoppicando lievemente e afferrandola per un braccio con la mano sinistra.
Poi si diresse verso i microfoni sistemati su una pedana improvvisata e, lungo il percorso, lasciò Jami sospingendola, prendendo bruscamente sottobraccio Fabrizia; manovre che, nonostante il gesso, le riuscirono perfettamente.
– Dori, ma cosa diavolo… – cominciò Briz.
– Muoversi, tutte e due! Se devo fare una figuraccia, la condivido con voi due scellerate! – la chiuse lì Midori.
Fabrizia si rassegnò, chiedendosi cosa avrebbe tirato fuori la sua amica che, come non bastasse, chiamò a raccolta gli amici e i fidanzati sotto al palchetto.
La canzone che apparve sul monitor le piaceva, peccato che sarebbe stata un disastro, con Jamilah al microfono: con lei, la figuraccia non sarebbe stata un’ipotesi, ma una certezza! Ma in fondo, pensò poi, che problema c’era? Erano lì per ridere e divertirsi.
La musica attaccò: la canzone era Sky, di Sonique. Midori cantò la prima strofa e Briz la accompagnò nel ritornello, notando che Jami, molto saggiamente, faceva il pesce, ovvero muoveva la bocca senza emettere suono. A Briz toccò la seconda strofa e, quando attaccò il ritornello, tremò nel sentire che, insieme a quella di Midori, anche la voce di Jami si univa alla sua. Era un po’ incerta, è vero, ma non era stonata: era evidente che, seguendo qualcuno intonato, anche lei riusciva a cantare decentemente.
Quanto al testo, quelle parole la dicevano lunga:
 
“Voglio toccare il cielo, voglio volare così in alto,
Voglio stringerti, voglio amarti stanotte,
Voglio toccare il cielo, voglio volare così alto,
Voglio esaudirti, voglio farti piangere…”
 
https://m.youtube.com/watch?v=7hY-BSpANyw&pp=ygULc2t5IHNvbmlxdWU%3D
 
E così fu anche palese a tutti chi fossero i compagni delle cantanti, perché quelle parole furono cantate con un amore e una passione che trasparivano inequivocabilmente dalle mani tese verso di loro e dagli sguardi, intensi e caldi, incollati sui tre giovani che, a loro volta, uno a fianco all’altro, le guardavano esterrefatti pendendo dalle loro labbra.
Quando il ritornello attaccò per l’ultima volta, Midori e Briz fregarono Jami su tutta la linea, tacendo di colpo e lasciandola andare da sola.
La ragazza non si fece prendere in contropiede e la sua performance non fu perfetta, ma nemmeno un disastro: Sakon la apprezzò tantissimo. Quanto a Sanshiro e Pete, erano lì, un po’ felici e un po’ imbarazzati, ad ammirare le loro ragazze che, insieme a Jami, terminavano la canzone.
Midori e Jami, poi, raggiunsero i rispettivi fidanzati in mezzo agli altri e Briz si ritrovò da sola su quel palchetto improvvisato.
– Dai, Pete, tocca a te, adesso! – fece, tendendogli una mano, mentre la luce di un faretto appena acceso, puntato su di lei, strappava un bagliore al diamante.
– No, Bri… – tentò di protestare lui, ma Sanshiro e Sakon lo stavano già sospingendo verso il microfono, spalleggiati da Jami e Midori.
Il volto raggiante di Briz, che gli tendeva la mano con quell’anello scintillante, lo fece capitolare abbastanza in fretta e gli diede l’idea di cosa cantare.
Briz fece per allontanarsi, ma lui le passò un braccio attorno alla vita e la inchiodò accanto a sé, con uno sguardo che avrebbe fuso un iceberg, mentre sceglieva un titolo sul computer.
La canzone era “This song saved my life”, dei Simple Plan“Questa canzone mi ha salvato la vita”.
Pete cominciò a cantare e Briz, che conosceva benissimo quel pezzo, si rese conto che il testo aveva punti che rispecchiavano perfettamente i trascorsi e gli stati d’animo che avevano caratterizzato Pete fino a non molto tempo prima. E mentre si perdeva nel suono della sua bella voce, si rese conto che questo delinquente aveva cambiato una parola importantissima nel ritornello: aveva sostituito song… con girl!
 
“Voglio iniziare facendoti sapere questo:
Grazie a te la mia vita ha uno scopo,
Mi hai aiutato ad essere quel che sono oggi,
Mi rivedo in ogni parola che dici…
Sto passando attraverso tante cose,
Ma non sarei qui se non fosse stato per te…
A volte mi sembra che tu mi conosca da sempre,
Sai sempre come farmi sentire meglio
[…]
Grazie a te io e mio padre siamo più vicini che mai.
Ero distrutto,
Stavo soffocando,
Ero perduto…
Questa ragazza mi ha salvato la vita.
Stavo sanguinando,
Avevo smesso di credere,
Sarei potuto morire…
Questa ragazza mi ha salvato la vita.
Ero depresso,
Stavo annegando,
Ma lei è arrivata giusto in tempo…
Questa ragazza mi ha salvato la vita…”
 
https://m.youtube.com/watch?v=VrTNXF741fE&pp=ygUjdGhpcyBzb25nIHNhdmVkIG15IGxpZmUgc2ltcGxlIHBsYW4%3D
 
 
La canzone giunse al termine e Pete aggiunse: – Questa ragazza mi ha salvato davvero la vita, e più di una volta; in senso materiale e anche metaforico. Ti amo, Bri Cuordileone – concluse con una spontaneità che stupì prima di tutto sé stesso.
Briz lo fissò sconvolta: era davvero successo? Pete le aveva detto Ti amo davanti a tutta quella gente? Cosa poteva mai rispondergli, adesso?
– Maledizione, Richardson, è perché vuoi sentirti rispondere che anche tu mi hai salvato la vita, e che anch’io ti amo? Beh, lo sai che è così! – rispose cercando di fare la spavalda, ma la voce le si spezzò sul più bello – E adesso che mi hai fatta piangere, sei contento? Che mi si rovina tutto il trucco, sciagurato! – concluse lei, ridendo ed effettivamente piangendo in contemporanea. Lui le asciugò una lacrima e le lasciò un bacio su una guancia.
– Lo sai già che mi piaci lo stesso… – le disse sottovoce all’orecchio, mentre Yamatake dava il via agli applausi e rincarava con un paio di fischi.
Briz guardò i loro amici, che erano radunati lì in prima fila, e pensò che solo alla sua famiglia e ai Del Rio aveva voluto, e voleva, tanto bene quanto a loro. Cliccò una voce sul computer e apparve il titolo di un’altra canzone.
– Uhmm… è scoppiata la sindrome “Un dollaro per cominciare e dieci per smettere”, eh? – la prese in giro Pete, cogliendo in un attimo il nesso con il brano scelto e con un’unica obiezione – Adoro questa canzone, ma la mia voce non somiglia per niente a quella di Elton John.
– Non deve, infatti: la tua voce va benissimo com’è, l’importante è il testo e lo sai – si rivolse poi ai loro spettatori – Ci siamo resi conto ora che questa canzone, “Chosen Family”, cantata in originale da Rina Sawayama ed Elton John, rispecchia molto ciò che noi due siamo ora, ma anche ciò che è per noi l’equipaggio del Drago Spaziale. Un anno fa eravamo solo compagni di battaglia, poi siamo diventati amici, ma ora… siamo fratelli! A loro, e all’uomo che è praticamente un padre, la dedichiamo. Grazie, dottor Daimonji, per averci scelti, capiti… e, lo sappiamo, anche amati.
Inutile dire che il brano, pur nella versione personalizzata dalle voci di Pete e Fabrizia, commosse lo scienziato e i loro amici; Yamatake si ritrovò persino vicino alla lacrimuccia, e forse anche qualcun altro…
 
 
“Raccontami la tua storia e io ti racconterò la mia
Sono tutt'orecchi, prenditi il ​​tuo tempo, abbiamo tutta la notte
Mostrami i fiumi attraversati, le montagne scalate
Mostrami chi ti ha fatto camminare fino a qui
ooh
Mettiti comodo, metti giù le valigie
ooh
Stai bene ora
Non abbiamo bisogno di essere imparentati per relazionarci
Non abbiamo bisogno di condividere geni o un cognome
tu sei, tu sei
La mia famiglia prescelta, prescelta
Che importa se non abbiamo lo stesso aspetto?
Abbiamo passato la stessa cosa, sì
tu sei, tu sei
La mia famiglia prescelta, prescelta
Passami una penna e riscriverò il dolore
Quando sarai pronto, voltiamo pagina insieme
Apri una bottiglia, è tempo di festeggiare
Chi eri, chi sei
Siamo la stessa cosa, sì
Non abbiamo bisogno di essere imparentati per relazionarci
Non abbiamo bisogno di condividere geni o un cognome
tu sei, tu sei
La mia famiglia prescelta, prescelta
E se non abbiamo lo stesso aspetto?
Abbiamo passato la stessa cosa, sì
tu sei, tu sei
La mia famiglia prescelta, prescelta
ho scelto te
Hai scelto me

Ho scelto
Famiglia scelta
ho scelto te

Hai scelto me
Stiamo bene ora”
 
 
https://m.youtube.com/watch?v=GTDRg5G77x4
 
 
– Adesso basta, però – annunciò Briz, quando le ultime note si spensero – che sto per piangere di nuovo!
Ma un ragazzo si diresse verso di loro con tutta l’aria di avere una richiesta, e Briz si preparò ad affrontarla con un deciso no! Via, avevano dato abbastanza spettacolo, per quella sera! Che salisse qualcun altro a farsi compatire
Invece, il ragazzo voleva addirittura un discorso, dai loro eroi, come li aveva appena appellati.
– A-ha, io mi chiamo fuori… è la signorina qui, quella con la parlantina sciolta – disse Pete, facendosi da parte e indicando Fabrizia.
– Scusa, ma perché proprio io, sono la meno indicata, come minimo ci vuole Doc! Chi sono io, ma andiamo! – protestò lei.
– Veramente il Capitano Richardson ha appena detto esattamente il contrario; non vedo perché non dovremmo credergli… – la contraddisse il giovane sconosciuto che l’aveva bloccata lì.
– Oggesù, pure questa mi deve toccare… E va bene, ci proverò… Basta che vi accontentiate di poco – aveva cominciato con un sospiro.
Partì una musica di sottofondo, in cui lei riconobbe il pezzo finale del terzo film della saga di Star Wars“Il ritorno dello Jedi”, quando i protagonisti festeggiano la vittoria contro l’Impero Galattico sulla Luna di Endor, nel villaggio degli Ewoks, i loro piccoli alleati pelosi; un brano allegro, tutto percussioni, tamburelli e voci corali, composta dal mitico John Williams.
– Beh, hai scelto proprio la musica giusta – aveva detto per prendere tempo, per poi rendersi conto che qualcosa doveva pur tirare fuori…
Non aveva idea di cosa volessero sentirsi dire queste persone… ma persino il dottor Daimonji le fece un sorriso di incoraggiamento. E così, all’improvviso, le balzò alla mente ciò che le aveva detto Pete la notte di Capodanno circa la gente che, nonostante la guerra, lanciava fuochi artificiali e nutriva speranza in un futuro… e anche quello che lei aveva detto a Jessica, in Italia, quando aveva visto la sua casa ricostruita e aveva saputo dei progetti per farne un Bed & Breakfast.
– Ragazzi, io non so bene che cosa mi verrà fuori… e qualcuno pagherà per questo – aveva precisato, lanciando un’occhiata assassina a Pete, che aveva ricambiato con un sorriso furbo che sembrava dire “Non vedo l’ora” – …ma ci tengo a farvi sapere che, se questa sera siamo qui tutti insieme, non è perché siamo degli eroi. Noi siamo persone esattamente come voi, alle quali è capitato uno strano destino, ma io credo che… gli eroi, quelli veri, siano ben altri. Perché non riesco a chiamare in nessun altro modo, se non eroismo, quello di chi, nonostante ciò che stava accadendo al nostro pianeta, ha continuato… non so… ad andare al lavoro, a scuola, a fare la spesa e le faccende quotidiane; chi, pur non sapendo come sarebbe finita, non ha rinunciato a innamorarsi, a sposarsi, a fare bambini; chi ha continuato, malgrado tutto, ad alzarsi ogni mattina e a fare il proprio dovere… e a vivere! Chi non si è arreso e, in questo modo, ha dimostrato a noi che valeva la pena, di fare quello abbiamo fatto! E ciò significa che… voi, siete gli eroi! Voi, che avete creduto in noi sempre, ogni giorno! Grazie, dal profondo del cuore!
La musica si stemperò nel classico tema finale di Star Wars e Briz si affrettò a concludere: – Titoli di coda, gente! Qui finisce… e di qui ricominceremo! L’Orrore Nero è caduto! Evviva l’Alleanza Terrestre!1
Con quell’ultimo augurio mollò definitivamente il microfono e andò a prendersi da bere, lasciando il posto ad altri che si appropriarono della postazione del karaoke.
Cercò Pete con lo sguardo, in mezzo alla piccola folla, ma non riuscì a individuarlo; sicuramente era stato monopolizzato da amici vecchi e nuovi, o probabilmente da qualche ragazzetta intraprendente che tanto non avrebbe avuto nessuna speranza, pensò con un sogghigno.
Così bevve l’ultimo sorso di Coca-Cola, prima di togliersi i sandali e dirigersi verso il mare: l’acqua ancora tiepida le lambì i piedi, mentre la musica della festa arrivava attutita fino a lei.
Se ne stette un po’ lì, a guardare il meraviglioso riflesso che la falce di luna dava di sé stessa, increspato dalle piccole onde; mosse i piedi nell’acqua, meditando sulla sua prossima mossa, e sorrise tra sé. Non c’era un granché da meditare, in realtà: adesso sarebbe andata seriamente alla ricerca del suo bel fidanzato e, cercando di non farsi notare troppo dai presenti, lo avrebbe convinto, sicura di non dover faticare troppo, a svignarsela da lì.
Era ora, decisamente: okay fargliela sudare, ma lui sembrava fin troppo intenzionato a mantenere ciò che le aveva promesso e a fare davvero il signore! A quel punto era lei, quella che cominciava a sudare!
Stava per risalire verso la festa, quando una figura non troppo alta si diresse verso di lei, correndo in modo un po’ sconclusionato, reggendo qualcosa a tracolla: le sfuggì un mezzo gemito, quando si rese conto di chi fosse.
– Non è possibile! Ippei? Lo scribarolo rompiballe con tutto l’ambaradàn fotografico? Sei riuscito a imbucarti fin qui, razza di scocciatore che non sei altro? – sbottò esasperata.
Il giovane giornalista smilzo e occhialuto la fissò per un attimo, poi si guardò alle spalle, impaurito.
– Oh, no, sono circondato! – esclamò, mentre dietro di lui arrivava, con molta più flemma e rilassatezza, il Capitano Richardson, che lo apostrofò con sarcasmo.
– Piantala di crederti così importante, scribacchino, non è a te che corro dietro, ma a lei: è tutta la sera che, con una scusa o con l’altra, me la soffiano continuamente da sotto il naso! – spiegò, raggiungendo la ragazza e prendendola per mano – A proposito, carino il tuo discorso, Bri.
– Oh, taci, ti prego, non so cosa diavolo si aspettassero, e tutto per colpa tua!
– Bene, attendo la tua tremenda vendetta…
Ippei Hondo guardò le loro dita intrecciate e non riuscì a tacere.
– Visto che avete fatto pace? Che vi dicevo ieri?
I due si guardarono per un attimo, persuasi del fatto che se non lo avessero accontentato in qualcosa, questo tizio avrebbe rotto loro le scatole per l’eternità.
– E va bene, pseudo-paparazzo dei poveri, – esclamò Briz – ci hai sgamati anche tu! Cosa vuoi da noi?
– Ecco, circa il discorso che ha fatto prima, Comandante… posso pubblicarlo?
– Se proprio ci tieni… – concesse lei; non le era sembrato poi tutta questa originalità – E… puoi darmi del tu, saremo più o meno coetanei.
Ippei si avvicinò, le fece un accenno di inchino e, con aria compita e solenne, le prese la mano sinistra e osservò il diamante che brillava alla luna.
– Questo non c’era, ieri pomeriggio: me lo avevi fatto notare alquanto impetuosamente. Eroi o meno, il tempo per innamorarvi, fidanzarvi e quant’altro, lo avete trovato anche voi, pare.
– E… quindi?
– Qualcosa devo pur pubblicare, per tenermi questo straccio di lavoro in attesa di trovare di meglio… e non voglio scrivere bugie: ditemi com’è cominciata fra voi due, anche poche parole, e mi accontenterò.
– Hai detto niente! – esclamò Pete, ironico – È una lunga storia, ci vorrà tutta la notte, e, vista la chiacchiera della mia ragazza, forse anche qualcosa di più!
– Ohhh, ma non se ne parla proprio! – replicò Briz, che aveva ben altro in mente, per quella notte – Apri le orecchie e sta’ a sentire, imbrattacarte, che per una volta sarò sintetica: ci siamo conosciuti per caso, ci siamo odiati per sbaglio, siamo diventati amici per forza, ci siamo salvati la vita per necessità, abbiamo fatto i fidanzati per finta e ci siamo baciati per gioco. E alla fine… molto alla fine, purtroppo, abbiamo dovuto ammettere che ci eravamo innamorati sul serio. E non c’è altro da aggiungere, perché ufficialmente, come avrai capito, tra noi due è cominciata oggi. Amen. Cerca di averne abbastanza, perché non ho molta voglia di raccontarti altro che possa finire su un giornaletto gossipparo da quattro soldi!
– Dimmi solo un’altra cosa e giuro che poi me ne vado: che programmi hai per la tua prossima vita?
Briz ci pensò su qualche secondo, guardò Pete, poi sparò, con la massima convinzione: – Uhm, dopo tutto quello che abbiamo passato, direi… essere felice da fare schifo! Può andare?
Ippei scoppiò a ridere, sembrando ancora più giovane.
– Beh, Comandante Cuordileone, credo davvero che sia perfetto! Un ottimo programma! Grazie infinite e buon proseguimento, eroi vostro malgrado! – e così dicendo, il ragazzo fece loro un altro educatissimo inchino, voltò loro le spalle per tornare dove la festa continuava, ma, mentre si allontanava, rubò loro un paio di scatti sperando di non farsi notare.
– È un bravo ragazzo, tutto sommato. Spero possa passare a lavorare per testate più serie – disse Briz, prendendo il fidanzato sotto braccio.
– Sì, ma… ci sta fotografando…
– Saranno delle belle foto, devi convenirne – fu il commento della ragazza, accompagnato da un gesto verso il mare e il chiaro di luna.
– Ci sei tu, Bri, saranno belle per forza. Vuoi tornare su a ballare? – le chiese, passandole le braccia intorno alla vita e avvicinandola a sé – prima ho visto che ti divertivi, insieme a Jami, Solange e i ragazzini; e a me piace, vederti ridere.
– Anch’io amo vederti ridere, l’ho scoperto molto tempo fa – ammise lei, cingendogli il collo con le braccia.
La musica, che proveniva attutita, cambiò all’improvviso, diventando più morbida e dolce e, senza aggiungere altro, per qualche minuto i due rimasero abbracciati, dondolando languidamente al ritmo di un lento, i piedi nudi lambiti dalle onde che scivolavano sulla riva.
 
ballo-lento
 
– È la prima volta che ballo un lento… Nessuno invitava una spilungona sgraziata come me, alle rare feste a cui andavo da ragazzina; e forse, se qualcuno lo avesse fatto, sarei scappata imbarazzata. Forse aspettavo te, anche se non lo sapevo…
– Sciocchina romanticona… La verità è che forse conoscevi solo ragazzi stupidi, se non ti invitavano o ti facevano venir voglia di scappare – sorrise Pete tra i suoi capelli – E da come ti muovi, credo proprio che imparerai qualche ballo di coppia senza troppa fatica.
– Di sicuro adesso ballo solo con te. Magari non qui… – gli disse sibillina, all’orecchio.
Pete sentì un brivido caldo accendergli i sensi e la baciò, rimuginando nella testa quello che Briz aveva appena detto.
– Ma basta voi due! Di nuovo? Non vi siete ancora stufati di pomiciare come due liceali in astinenza?
Fabrizia e Pete si staccarono con un sobbalzo, alla voce tonante del solito Yamatake.
– Anche tu ti ci metti!? – esclamò Pete, esasperato quanto divertito – Una bella portaerei di cavoli tuoi, mai? Torna alla festa, dai, che te la cavavi piuttosto bene col ballo dell’orso ubriaco! Oppure vai a scocciare le altre coppie, ce ne sono quante ne vuoi, in giro, stasera! Possibile che dobbiamo sempre essere i tuoi preferiti?
Yamatake rise e si scusò: – Abbiate pazienza, ragazzi, vi prego! È proprio questo il problema: comincio a sentirmi un po’ solo, persino quello zittone di Fan Lee è in buona compagnia – disse indicando l’amico cinese che si intratteneva chiacchierando amichevolmente addirittura con due avvenenti donne intorno alla trentina.
Briz osservò attentamente le altre persone e non le ci volle molto per mettere a fuoco ciò che cercava.
– Vieni con me, Godzilla! – disse, prendendo l’amico a braccetto e conducendolo verso una bella ragazzona, alta e formosa, che in quel momento se ne stava un po’ in disparte sorseggiando un’aranciata; la tipa sollevò lo sguardo su di loro e arrossì, prima di prodursi in un bel sorriso.
– Yamatake, questa è Kaori, le interessa il sumo e ha un ristorante a Shizuoka. Kaori, questo è Yamatake: divertitevi! – li presentò Briz sbrigativamente, prima di fare un rapido cenno di saluto e tornare da Pete.
– Come fai a sapere che a quella lì interessa il sumo? E che ha un ristorante, poi! – le chiese lui, prima di passarle un braccio attorno alle spalle e incamminarsi con lei lungo la riva.
– Perché l’ho sentita chiedere a Bunta chi fosse il nostro bisonte, dicendo di avere un fratello che pratica il sumo, così ci ho fatto due chiacchiere e… ho scoperto anche del ristorante! I presupposti per qualcosa ci sono, dai!
– Sei terribile! Qualche settimana fa Sanshiro e Midori, stasera Hakiro e Lyra e pure Yamatake e Kaori! Hai un futuro come sensale di matrimoni.
– L’unica coppia di cui non avevo capito niente… siamo noi due!
Ridacchiarono per qualche istante, poi si fermarono e si guardarono negli occhi; Briz gli cinse nuovamente il collo con le braccia.
– Non ho infilato un programma, stasera: pensavo che non avrei mangiato, non avevo voglia di ballare e di cantare ancora meno… invece ho fatto tutto questo e pure un discorso. Però adesso… ce la battiamo, io e te, vero? – disse Briz in un sussurro, tornando a sfiorargli l’orecchio con le labbra.
– Ma come…? Non dovevi farmela sudare? – replicò Pete, facendole scorrere le mani sulla schiena.
– Ah, beh… se l’articolo non ti interessa, allora… – rispose lei, fingendo di staccarsi.
Lui fu pronto a impedirglielo, rubandole un bacio travolgente che le tolse il fiato, tenendola premuta contro di sé con le mani che, così, molto casualmente, le finirono sul sedere. 
– Allora? Dici che non mi interessa?
– Ho la sensazione che siamo entrambi, molto interessati a qualcosa – rispose lei, con un tono basso e caldo che gli fece quasi ribollire il sangue – Come organizziamo la fuga senza farci intercettare da altri guastafeste?
– Non lo so, ma se qualcun altro ci prova, non rispondo di me stesso! – fu la risposta decisissima di Pete.
Si guardarono attorno circospetti e scoppiarono a ridere, prima che Pete dicesse: – Di qua, vieni con me!
Le afferrò una mano e insieme partirono di corsa, sollevando schizzi sulla riva del mare, risalendo poi verso una piccola macchia di pini, attraversando la quale si arrivava all’entrata sul retro dell’ala degli alloggi.
Non si accorsero nemmeno di aver lasciato le scarpe e i sandali da qualche parte, e di essere ancora ambedue a piedi nudi…
 
 
Continua…
 
 
Note:
1 Frase scopiazzata, e adattata ai miei scopi, dalla fine del romanzo “Star Wars - Il ritorno dello Jedi”, di James Kahn.
 
 
E lo so che qualcuno mi vorrebbe sparare, per essermi fermata qui. I miei recensori mi hanno minacciata di Alabarde Spaziali, Cupole mangia-ossigeno e perfino mazze da baseball spinate... =D
Ma il capitolo sarebbe venuto troppo lungo, già così è troppo.
  
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