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Autore: Luana89    04/09/2017    1 recensioni
«Perché?». Mi guardò dubbiosa.
«Perché cosa?»
«Perché rimani se odi l’idea di mostrarmi il tuo corpo?». Ero sinceramente curioso.
«Perché .. – una pausa, le sue dita sul gancio del reggiseno. Lo tolse – preferisco questo piuttosto che..»
«Piuttosto che?»
«Tornare in quella casa». Le dita sottili e dalle unghie corte e colorate sfilarono via le mutandine. Nuda e imperfetta.
«Lo preferisco anch’io». Continuò a fissarmi dubbiosa, non capiva se parlassi di lei o di me stesso. Non avrei comunque esaudito la sua curiosità. Per il momento. Le indicai il divano, la prima cosa che fece fu coprirsi con il lenzuolo.
«Come devo mettermi? Insomma c’è qualche posa precisa..?» quando era nervosa parlava velocemente, memorizzai anche quel dettaglio.
«In effetti si». Mi avvicinai a lei, la costrinsi a sedersi e piegare le ginocchia al petto, il lenzuolo cadde appena scoprendole un seno. Le braccia abbandonate mollemente, le dita che accarezzavano i piedi candidi, le spalle ricurve come se portasse addosso il peso del mondo e il viso chino e appena rivolto alla finestra.
«Questa non è una posa..»
«Lo è. E’ la tua». Mi guardò e stavolta ero sicuro avesse capito. Era così che la vedevo, un’anima stanca e ferita. Come me?
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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VIII



Osservai la strada desolata di fronte a me, il South Side non era poi così diverso dal mio precedente quartiere, alcuni ragazzini si radunarono in cerchio iniziando una battaglia di freestyle, mossi il capo a tempo sorridendo, erano parecchio bravi. Non mi accorsi quasi della presenza accanto a me, il che era strano visto che sembravo un girasole perennemente orientata verso il proprio sole personale.
«Aspetti da molto?» Aj in piedi mi fissava divertito, mi ero trasferita da lui, era il luogo più sicuro al momento e non volevo risalissero a Nicole, la mia unica amica, una delle poche persone che tenevano davvero a me. Scossi il capo sporgendomi verso di lui, ricevendo in cambio un bacio che si tramutò in qualcosa di più profondo nel giro di pochi secondi; non era cambiato nulla tra noi, prendevamo fuoco anche solo sfiorandoci, alle volte pensavo che quella pelle, quel corpo, fossero stati creati appositamente per combaciare con me.
«Dov’eri?». Sollevò una busta, indovinai il contenuto senza neppure guardando.
«Il mio ritratto è ormai completo». Lo vidi pensieroso.
«Più o meno, potrei finirlo anche senza te, ma mi piace troppo usarla come scusa per vederti nuda». Lo spinsi con una risata, mi prese la mano incamminandosi con me lungo il marciapiede. Il cielo era terso, neppure una nuvola in quel pomeriggio di metà Novembre. Dall’omicidio di Carlos erano passati otto giorni, nessuno era venuto a cercarci ma tramite Aj sapevo che gli ispanici erano in pieno fermento. A differenza delle altre bande di strada, i Latin Kings avevano una gerarchia ben definita dove vi era un unico capo, un po’ come le associazioni di stampo mafioso. Non sapevo che fine avesse fatto mia madre, fissai il ragazzo accanto a me.
«Hai avuto notizie di mia madre?». Lo vidi esitare, sentivo mi nascondesse qualcosa, gli strinsi con forza la mano bloccandomi per guardarlo.
«Senti Hope ho una notizia, e non so francamente se sia positiva o meno». Il mio cuore perse un battito, mamma stava bene?
«Parla.»
«Ho ancora alcuni amici nel quartiere, beh loro sostengono che tua madre è scomparsa la notte prima che Carlos morisse. E con ‘’scomparsa’’ intendo dire che l’hanno vista fuggire nel cuore della notte». I miei occhi divennero vitrei, fissavo Aj senza vederlo davvero e alla fine sorrisi. Sapevo cosa voleva dire, sapevo il perché fosse stato così restio a dirmelo: mia madre mi aveva semplicemente scaricato scappando. Aveva reciso ogni legame con me senza neppure un briciolo di rimorso. Mi sentii uno scarto ancora una volta, le sue dita sfiorarono la mia guancia.
«Sto bene». Mentivo lui lo capì e mi abbracciò. Mi strinse a se, sentivo il suo odore riempire ogni mio senso, era l’unica cosa rimasta in piedi nella mia scalcinata vita. La sua imprecazione mi destabilizzò, sollevai di scatto il viso e mi allontanai.
«Hope ascoltami bene, inizia a correre e raggiungi la sala giochi dall’altro lato della stata». Lo fissai confusa sentendomi afferrare bruscamente per il braccio, mi spintonò e allora lo vidi: dall’altro lato della strada, un coltellino nelle mani, era uno dei Latin Kings.
«No, non ti lascio». Mi spinse ancora fissandomi.
«Se non torno entro cinque minuti di a B-bomb di venire. CORRI». Me lo urlò con talmente tanta rabbia da lasciarmi senza fiato. Annuii sconvolta iniziando a correre senza più voltarmi indietro, dovevo  solo raggiungere la sala giochi, non avrei aspettato i suoi maledettissimi cinque minuti da eroe consumato. Spalancai la porta incurante delle occhiate, scrutando la sala convulsivamente finché non trovai il soggetto delle mie ricerche.
«B-BOMB». Gettò la stecca sul tavolo venendomi incontro, diciamo che i nostri rapporti si erano vagamente distesi da quando aveva capito che la mia fedeltà andava unicamente ad AJ. Non ebbi il tempo di raccontargli nulla, la voce familiare alle mie spalle rischiò di farmi svenire. Ci fissammo simultaneamente tutti e tre, e io capii che pessime notizie erano arrivate a rovinare la pace di quella giornata.
«Andiamo nella saletta privata». B-bomb annuì facendoci strada, il luogo in questione era simile a uno sgabuzzino, forte odore di fumo e un pressante bisogno di pulizia vista la polvere su ogni mobile. Mi sedetti sul divanetto consunto tenendo convulsamente la mano di Aj.
«Mi aspettava dall’altro lato della strada, era Joseph uno degli amici di Carlos». La sala si riempì in poco tempo, eravamo adesso in sette e tutti trattenevamo il respiro.
«I Latin Kings non sono così incauti da varcare i confini per giunta soli». Fu Matthew a parlare e io annuii. Aj riprese a parlare.
«Non erano venuti per cercare una rissa, mi hanno proposto un accordo». Il pugno chiuso di B-bomb si schiantò contro il tavolo.
«Hanno fegato quei fottuti ispanici. Che accordo? Magari potrebbe convenirci, stiamo perdendo troppi ragazzi.»
«Non ho intenzione di accettare» Aj deglutì consapevole di ciò che aveva detto, e io lo fissai sbalordita alzandomi di scatto.
«Sei pazzo? L’accordo è ciò che ci serve per vivere in pace». La sua morsa ferrea serrò il mio polso, me lo torse quasi dolorosamente e in mezzo a quel frastuono la mia mente si rischiarò.
«Vogliono te. Hope per la tregua e l’omicidio di Carlos». Le ginocchia mi cedettero e ricaddi sul divano. Mi avrebbero data  a loro senza pensarci, in fondo io non valevo un cazzo per i Crips, e Aj solo che poteva fare?
«Figli di puttana..» Carter imprecò a mezza voce accendendosi una sigaretta.
«Accordo negato, dillo ai Latin Kings e riferisci loro che Juan seguirà nella tomba Carlos molto presto». B-bomb sorrise mentre emetteva quella sentenza di morte, ci fissammo e per la prima volta lo vidi sorridere.
«Sono state queste in effetti le parole che gli ho detto». Aj,perennemente impertinente, arrogante, assurdo come sempre. Piombò il silenzio che finì in risate e strepiti.
«Stasera festeggiamo. FORZA CRIPS.»
 
***
 
L’alcool si disperdeva come un fiume in piena, avevo perso il conto dei drink passati dalle mie mani, non riuscivo neppure a capire da dove venissero. Aj accanto a me rideva con alcuni ragazzi, mi piaceva fissarlo sembrava essere a suo agio in qualsiasi ambiente egli si trovasse, come se fosse nato per vestire qualsiasi tipo di abito nonostante quell’aura di prestigio non lo abbandonasse mai. B-bomb prese posto accanto a me passandomi quella che sembrava una canna, l’odorai aspirandola poi titubante ed ebbi un conato di vomito che gli provocò convulsioni a furia di ridere.
«Non posso ancora credere tu sia l’ex donna di Hernandez». Non ci potevo credere neppure io come biasimarlo quindi?
«Conosci da molto Aj?». Fissammo entrambi il soggetto in questione poco lontano intento a bere circondato dalla folla.
«Circa sei anni». Strabuzzai gli occhi, ero sicura sapesse molto più di me e questo mi mise tristezza.
«Come vi siete conosciuti?». Divenne improvvisamente evasivo ma sorrise ugualmente.
«Sai cosa? Tu mi piaci Hope, davvero, e penso lui sia pazzo di te. Ed è per questo che dovresti chiedere al diretto interessato». Ancora segreti quindi, sorrisi amaramente.
«Credo di non piacergli abbastanza allora.»
«O forse è proprio il contrario». La sua frase criptica mi destabilizzò, che voleva dire? Aj si vergognava del suo passato? Era così atroce da non potermelo raccontare?
«Posso solo dirti che gli devo la vita, senza di lui sarei impazzito davvero». Non capii neppure quelle parole, ormai sembrava routine.
 
Sfrecciavamo lungo le strade sulla decappottabile di B-bomb, mi alzai sul sedile allungando le braccia la cielo ignorando gli sguardi di tutti coloro che ci osservavano, piccole macchie indistinte senza importanza. Per la prima volta mi sentii felice, libera, sentivo di essere nel posto giusto e con le persone giuste. Non desideravo spogliarmi della mia pelle, la mia anima a brandelli si cicatrizzò ancora un po’ e io abbassai lo sguardo su di lui. Lui seduto che mi teneva saldamente per non farmi cadere, lui che mi fissava in una maniera così intima da farmi tremare le ginocchia, lui custode di segreti atroci, la persona alla quale dovevo la mia vita. La persona alla quale avevo deciso di donare me stessa, per l’eternità.
 
Un’eternità che si consumò nel fulgore di una notte.
 
 

AJ

 
Il suo corpo nudo riverso su di me, sentivo ancora il respiro spezzato mentre ricordavo i momenti vissuti pochi istanti prima. Le sue cosce avvinghiate ai miei fianchi, la sua voce che mi incitava chiamando il mio nome, io che sprofondavo dentro di lei. Era tutto fottutamente perfetto, e questo mi spaventava. Mi stavo aggrappando a lei, era pericoloso, quando il momento sarebbe arrivato come sarei riuscito a sparire silenziosamente? Per una volta desiderai andasse diversamente, avrei fatto il possibile per restarle accanto, e se non ci fossi riuscito avrei fatto il possibile affinché avesse una vita migliore. Anche senza di me.
 
La porta della caffetteria tintinnò appena entrai, l’odore di dolci e caffè colpì le mie narici. Mi sentivo ancora nauseato dalla notte prima e da tutto l’alcool ingerito, eppure la chiamata ricevuta mi era stato impossibile rifiutarla. La vidi seduta in uno degli ultimi tavoli, era sempre uguale come se il tempo per lei non passasse, sollevò una mano per attirare la mia attenzione.. non sapeva sul serio di averla calamitata ormai da un po’?
«Non ci vediamo da tempo, Alexander». Nicole Freeman mi sorrise e io mi sedetti senza ricambiare.
«Come hai avuto il mio numero?»
«L’ho preso dal cellulare di Hope una notte a casa mia, è stato uno shock per me vederti di fronte la scuola». Osservai le sue dita intrecciate, era nervosa quindi? Stavolta sorridere mi venne spontaneo.
«Arriva al dunque dottoressa, non ho molto tempo». O meglio non volevo sprecarlo così e soprattutto con lei o con quelli come lei. Non più.
«Vorrei parlarti di Hope..» annuii appena, era palese fosse lei l’oggetto della nostra discussione.
«Vuoi per caso dirmi di lasciarla perdere? Vuoi offrirmi soldi per sparire? Ricordati che sono ricco di mio». Mi poggiai pigramente allo schienale beffeggiandola, ma lei non mi diede soddisfazione.
«Mi appello al tuo senso di giudizio, Alexander.»
«AJ». La corressi meccanicamente a denti stretti, sospirò bevendo un sorso di tisana.
«Hope è una brava ragazza, pensi di poterti prendere cura di lei? Non riesci neppure a prenderti cura di te stesso..» le sue parole mi disturbarono, allargai le narici freddandola con un’occhiata, sporgendomi con i gomiti sul tavolo.
«Perché non le racconti tutto allora? Magari mi lascerebbe sapendo.»
«Perché non glielo racconti tu?». Era come una partita a scacchi, e in quel momento sentivo che m’avesse mangiato una pedina importante.
«Il passato è passato, e resta dov’è.»
«No, il tuo passato è più presente che mai e diverrà anche futuro finché non lo accetterai. O pensi che l’essere scappato da un ospedale psichiatrico ti renda automaticamente libero?». Il tono di voce ridotto un sussurro. Strinsi i denti scuotendo il capo.
«Tu lo sai. Tu sai che non..» non sono pazzo, avrei voluto dirlo ma la lingua non volle ascoltarmi. Perché?
«Sono solo preoccupata per lei, e anche per te pure se non ci crederai». La fissai in tralice e risi, io le credevo sul serio. Nicole incarnava tutto ciò che disprezzavo perché irraggiungibile per me. Eternamente scissa tra il dovere e i suoi sentimenti, con la testa mi chiedeva un sacrificio e col cuore non riusciva a non darmi almeno il beneficio del dubbio. Annuii appena.
«Non posso lasciarla, lei è diversa. Lei mi fa sentire diverso». Per la prima volta la vidi concordare con me, e allora capii cosa fosse più giusto fare.
«So che lo è, Hope è magnifica». Il suo tono trasudava orgoglio.
«Promettimi una cosa.»
«Cosa?». La voce si incrinò appena, penso temesse l’idea di fare affari con me.
«Se non dovessi più esserci, se dovessi sparire, prenditi cura di lei. E non parlo delle tue fottute sedute inutili, parlo di aiuto concreto». I miei occhi la inchiodarono alla sedia, era evidente non comprendesse fino in fondo l’inizio del mio discorso. Io invece ero aperto a ogni evenienza, sapevo quanto il mio destino fosse spesso infame.
«Non ho bisogno di promettertelo, era ciò che programmavo di fare». Sorrisi soddisfatto rubandole la tazza dalla quale bevvi per poi posarla disgustato.
«Perché bevi questa merda? – mi alzai con una smorfia divertita poggiando i soldi sul tavolo – offro io per oggi, dottoressa.»

 
 
Los Angeles, Ospedale psichiatrico 2003
 
«Morirò qui». B-bomb era nel pieno di un’altra crisi delle sue, gli sedetti accanto nel giardino accendendomi una sigaretta.
«Vuoi andare via da qui?». Mi fissò stralunato, gli occhi lucidi.
«Si. Questo è peggio della prigione, quelle medicine ..quelle medicine mi stanno fottendo il cervello, cazzo neppure la cocaina mi ha mai annientato così». Mi venne spontaneo ridere, scossi il capo facendo un tiro dalla sigaretta riflettendo.
«Posso farti fuggire». I suoi occhi divennero attenti.
«Come?»
«Il come ti verrà spiegato a tempo debito, ma ricordati: adesso mi sei debitore». Ci fissammo in silenzio.
«Un patto è un patto». Annuii soddisfatto, avevo sedici anni e una vita distrutta mentre con quei mezzucci subdoli provavo a ricostruirla pezzo dopo pezzo.
B-bomb fuggì dall’istituto grazie a me e alle mie mazzette due settimane dopo, nel cuore della notte, ci salutammo oltre l’inferriata e nei nostri occhi ripassò ancora una volta quella promessa. Non gli dissi addio, non ne avevo bisogno in fondo: lo avrei rivisto presto o tardi.

 
 

Hope

 
Lavai ossessivamente e per due volte il pavimento della casa, sistemai le cianfrusaglie sparse qui e lì, misi in lavatrice i vestiti e mi sedetti sul divano fissando la finestra. Aj era uscito senza più tornare, era quasi ora di cena e non avevo ancora notizie di lui. Ero preoccupata, temevo andasse con gli altri a risolvere la faccenda coi Latin Kings senza di me, nonostante sapessi di non potergli essere d’aiuto già il fatto di essere con lui mi rendeva più sicura.
Chiusi gli occhi poggiando una mano sul cuore, mi concentrai sul mio battito immaginando fosse uguale a quello di Aj e mi convinsi stesse bene. Poche ore prima sistemando avevo trovato una busta ancora sigillata contenente della polvere bianca, era cocaina. La usava ancora quindi? Mi chiedevo che tipo di dolore covasse, e se quella roba servisse sul serio, mi voltai a fissarla sul tavolo vicino a me e sorrisi senza un reale motivo. Volevo solo capire. Mi alzai sedendomi, non era poi così difficile prepararla, bastava tagliarla e allinearla no? Mi ci misi d’impegno arrotolando infine una misera banconota da pochi dollari, fu in quel momento che una mano mi bloccò il polso, sollevai il viso e Aj apparve come per incanto.
«Cosa pensi di fare?». Il suo tono tagliente mi colpì.
«Non lo fai anche tu?». Senza dire nulla afferrò la droga sparendo oltre la porta, sentii il rumore dello sciacquone e poi i suoi passi nuovamente dentro la stanza. Lo sgabello scricchiolò, si era appena seduto.
«Se pensi che quella ti dia risposte, o peggio ti faccia dimenticare, beh ti sbagli. Lo posso dire con assoluta certezza». Allargò le braccia e per un istante mi sembrò di vedere un Aj sconosciuto, più consapevole e padrone di se.
«Hai detto che riuscivi a spegnere le voci nella tua testa.»
«Ed è vero, ma a che prezzo? Finisco ogni giorno scivolando nel baratro, le voci non muoiono anzi si arricchiscono sempre di più». Un dolore nascosto e sepolto nel tempo ingobbì le sue spalle, mi alzai andando da lui abbracciandolo da dietro.
«Vorrei che riuscissi a fidarti abbastanza di me..» percepì il mio dolore, lo assimilò probabilmente provando a renderlo suo.
«Ho sempre pensato che amare qualcuno equivalesse a far crollare le barriere, diventare un’unica cosa». Dimenticai come si respirasse mentre ascoltavo quelle parole per me surreali.
«Aj..»
«Non è così. Penso, anzi no, sono sicuro di essermi innamorato di te ma continuo a restar fermo sempre nello stesso punto». Sentii le lacrime pungermi gli occhi, la voce venne meno per un istante.
«Se non verrai tu da me, allora sarò io a farlo. Sempre». Lo strinsi più forte e fui sicura stesse sorridendo.
«Sono sicuro lo farai. Sei Hope. »
«Anch’io». Restammo in silenzio, lui sapeva a cosa stessi rispondendo.
 
L’amore non ha definizioni, non ha cliché e non è stereotipato come pensano in molti. Me ne resi conto nei giorni vissuti con lui, il suo modo di amarmi ero sicura non lo avrei sperimentato mai più. Il suo amore era come veleno per se stesso, lo vedevo quando mi guardava e toccava, sentirsi inadeguato in un sentimento che non riusciva a gestire. Mi amava ma non riusciva a muoversi e avanzare verso di me, bloccato lì ad abbracciare i suoi mostri.  
  
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