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Autore: tonksnape    18/04/2005    11 recensioni
La coppia è particolare... ma mi piace molto, altrimenti non avrei questo nickname! E' l'inizio del 6 anno di HP visto con gli occhi di un Professore e di un Auror, in due capitoli. Si collega ad un altra fanfic che ho finito di pubblicare qualche giorno fa. Se non fossero chiari alcuni passaggi... leggetela. Tutti i personaggi sono di JKR. Per chi ha commentato in precedenza ancora grazie... aspetto voi ed altri per questa strana storia.
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton, Nimphadora Tonks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A MAN WITHOUT A FUTURE

 

No era possibile che lo avesse fatto! A lui!

Un aiuto?! Ma dove?! Sarebbe stato caos, distruzione visto di chi si trattava.

Mentre percorreva a lunghi passi il corridoio tutta la rabbia e la frustrazione passavano attraverso le sue gambe. I passi risuonavano nel corridoio buio e solitario e sembravano pallottole lanciate a terra che esplodevano ritmicamente sul marmo lucido di Hogwarts.

Il lungo mantello si muoveva attorno al suo corpo come un'unica, immensa, ala nera. Lo sguardo inferocito fissava un punto nel nulla davanti a lui.

Ancora non gli era permesso arrivare alla cattedra di Difesa contro le Arti Oscure, ancora gli veniva affidato quel figlio capriccioso di James Potter, ancora doveva limitarsi ad aiutare Silente nel buio.

E in più…!!

I ragazzini del secondo anno di Tassorosso che videro arrivare il professor Piton lungo il corridoio davanti a loro, si zittirono e si spostarono a lato, immediatamente. Appariva ancora più nero del solito.

Severus Piton li degnò di una mezza occhiata per inquadrare casa e anno e proseguì.

Di tutti gli Auror la più maldestra.

Avrebbe accettato piuttosto Remus Lupin a braccia aperte.

Era almeno sicuro delle sue capacità anche se era un maledetto membro di quel quartetto di miserabili!

Ma quella specie di elfo, o gnomo o nano troppo cresciuto! Non stava ferma un momento alle riunioni, sempre qualcosa da dire, sempre un sorriso, mai triste, mai impaurita, sempre in movimento.

“E’ necessario aumentare la sicurezza per i ragazzi.” aveva detto poco prima il Preside.

E su questo era d’accordo. Era ben consapevole da sei anni che avere Harry Potter a scuola poteva solo aumentare i rischi, ma lo aveva accettato come un passaggio obbligato verso una nuova possibile libertà.

“Quindi” aveva aggiunto Silente “ho chiesto a due membri dell’Ordine della Fenice, due Auror, di essere qui in appoggio, per ogni necessità. A Kingsley Schakebolt affiderò la cattedra di Difesa contro le Arti Oscure…”

Primo pugno in faccia!

“… e ho chiesto a Tonks di essere presente come tuttofare, vista la sua abilità nel dialogare con i ragazzi e nel farsi ascoltare.”

Detta così per lui cambiava poco.

“Devi inoltre continuare a seguire Harry Potter in Occlumanzia.”

Secondo pugno in faccia!

“No, assolutamente no! Si ricorda cosa ha fatto l’anno scorso? Ha osato toccare i miei oggetti, spiare la mia mente e i miei ricordi! E’ ingovernabile, cocciuto e non rispetta alcuna regola e alcuna autorità!”

“E’ necessario che impari a difendersi da solo, Severus. Cerca un altro spazio, ma sei l’unico che ha l’autorità necessaria.”

Sapeva che Silente aveva ragione. Come sempre.

Doveva riuscire a tenere distante l’Oscuro Signore. Per il bene di tutti. Accidenti! Era da anni che lavorava per il bene di tutti, sottovoce, lontano da tutti, di nascosto.

“Altro?” sibilò al Preside

“Si. Tonks aiuterà anche te nell’organizzare i materiali e l’aula prima e dopo le lezioni.”

Piton lo aveva guardato quasi a bocca aperta,con gli occhi sbarrati dalla sorpresa.

“Ma quella ragazzina è un pericolo costante! Rompe anche quello che non tocca! Preside non può…”

Silente aveva alzato la mano per fermarlo.

“E’ molto brava se è arrivata dove è ora. Ed è cresciuta da quando era qui a scuola. C’è bisogno di tenere gli allievi vicini a noi, Severus. Non possiamo chiudere nessun canale di comunicazione con loro.”

A Piton tornarono in mente vetri rotti, piccole esplosioni accidentali in aula, materiali per terra o confusi gli uni con gli altri. Erano anni difficili per lui. Era alle prime armi, insicuro, frustrato e la presenza di adolescenti pieni di vita e di futuro lo disturbavano allora più di adesso.

Avere di fronte facce sorridenti e inconsapevoli di un passato ancora recente, illuse di un futuro migliore lo rendevano insofferente e poco disposto all’accoglienza.

Effettivamente, allora, la ragazzina aveva passato abbastanza bene l’esame.

C’era già qualche Weasley con lei… più o meno.

Ma c’era ancora in lei quel lampo di speranza e di incoscienza che la rendevano insopportabile.

“Dovrà fare esattamente quello che dico. E non accetto commenti o interventi sull’insegnamento.” Con questo commento aveva chiuso la conversazione.

E adesso con un colpo secco della porta chiuse fuori dal suo ufficio il resto del mondo.

 

Il primo incontro tra tutti i professori avvenne all’inizio dell’anno scolastico.

La battaglia al Ministero della Magia di pochi mesi prima aveva riacceso i timori di tutti. Anche all’interno di un luogo protetto e inaccessibile come Hogwarts.

La presenza di due Auror, il contatto costante con l’Ordine della Fenice, la presenza rassicurante di Silente rendeva tutti più tranquilli.

Shacklebolt appariva a suo agio nel nuovo ruolo. Accogliente, sorridente, deferente verso i suoi ex-professori (quasi tutti!), competente per le domande che poneva e per le proposte che faceva.

Tonks era in disparte, quasi alle spalle della professoressa McGrannit. Aveva sorriso e salutato tutti, con un commento gentile o una battuta che aveva fatto ridere quasi tutti.

Piton era rimasto rigido al suo posto.

Era sempre uguale, aveva pensato Tonks. Decisamente granitico. Chissà se qualcuno lo aveva mai visto sorridere.

Beh, lei era contenta. Ritornava in un luogo in cui era stata felice. La missione era relativamente pericolosa. Adorava chiacchierare con i ragazzini, la facevano sentire ancora della loro stessa età. Molte volte risentiva i suoi pensieri nei loro ragionamenti, sentiva descrivere le sue emozioni di un po’ di anni prima. Era facile ascoltarli.

Anche stare attenti in un luogo protetto come Hogwarts era facile.

E stare insieme a Kingsley era divertente. Avevano imparato a conoscersi e a ridersi addosso. Erano anche usciti per un po’ insieme, ma avevano ormai superato un livello di amicizia tale da renderli più simili a fratelli. Sapeva di essere al sicuro anche grazie a lui e lui sapeva di esserlo grazie a lei. Conoscevano pregi e limiti del proprio modo di affrontare i problemi.

Piton la osservò con gli occhi ridotti a fessure mentre il Preside annunciava che avrebbe anche fatto l’arbitro durante le partite di quidditch.

Sospirò sonoramente quando riuscì, in breve tempo, a rovesciare una sedia e a sedersi quasi sul Professor Vitious che ridacchiò insieme a lei. Uscendo rovesciò un libro in bilico sul tavolo che prima del suo passaggio aveva resistito, lì, fermo, per almeno tre ore.

Tonks raggiunse la propria stanza. Silente si era scusato del fatto che, durante l’anno di scuola, i posti a disposizione erano ridotti al minimo e per lei era stata ricavata una stanza nei sotterranei, un po’ al buio.

Tonks non si era preoccupata più di tanto. Aveva riempito lo spazio, ampio, con oggetti coloratissimi creando due finestre dalle quali proveniva una magica luce solare.

Del resto non aveva intenzione di stare in camera a lungo. Era suo compito passeggiare nei corridoi e all’esterno, osservare, lavorare con i professori. Non doveva certo rinchiudersi a studiare.

 

Il primo incontro con Piton fu … come tornare a scuola.

“Buongiorno Ninfadora.” L’aveva salutata senza guardarla, chino su un libro, dalla cattedra.

Eh, no! Scorbutico poteva esserlo, scortese no.

“Tonks, Professor Piton, mi chiami Tonks.”

“Non sei mia allieva e ti chiami Ninfadora. Perché chiamarti Tonks?” Almeno la stava guardando adesso.

“Perché mia madre mi ha dato un nome cretino, professore. E non è necessario che io lo accetti. Mi chiami Tonks.”

“Stai parlando con un uomo che si chiama Severus. Mi sembra una osservazione fuori luogo la tua.”

Non ci aveva pensato, ma certo come stupidità del nome erano molto simili.

“Non ci avevo pensato. Se vuole io la chiamo Severus.” Il tono era pericolosamente dolce.

“Non se ne parla. Sono più anziano di te, sono stato tuo professore. Per te rimango il professor Piton.”

“Ha ragione. E’ più anziano di me. OK.” Aveva sottolineato la parola “anziano” con il tono della voce tanto da far sollevare un sopracciglio al professore.

“Mi stai prendendo in giro?”

“Assolutamente no. Sottolineavo la realtà dei fatti.” Gli sorrise amabile, guardandolo negli occhi.

“Meglio, Ninfadora. Ti spiego quali sono i tuoi compiti in quest’aula.”

Sarebbe stato un luuuungo cammino quello accanto a quell’uomo. Mooooolto lungo.

Di positivo c’era che riusciva a pronunciare il suo nome come fosse “Ninfa d’oro” e sempre sottovoce, strisciandolo con un risultato che sembrava quasi sensuale.

Mentre Piton le spiegava come tenere i diversi materiali e oggetti e come sistemare l’aula -esattamente come quando lei era sua allieva e quindi non c’era nulla da imparare di nuovo - Tonks si mise a osservarlo. Le era sempre apparso come un qualsiasi professore,  più giovane degli altri, ma chiuso e solitario. Nessuno sapeva perché fosse così scostante e nervoso. Poco alla volta, dalle voci di corridoio, era riuscita a ricostruire parte della sua storia. Sapeva che se era lì e Silente approvava, la scelta di Piton doveva essere molto ferma e sicura. Il fatto di essere stato marchiato dall’Oscuro Signore lo rendeva agli occhi di Tonks, allora come ora, un mistero da scoprire, non un pericolo da evitare.

Forse era troppo ottimista, ma se qualcuno aveva scelto di essere infedele a Tu-Sai-Chi e di subirne le conseguenze doveva essere in grado di sopportare paura, pericolo e dolore in dosi massicce. Era curiosa, voleva capire, conoscere.

Adesso guardandolo muoversi, senza mantello, nell’aula si rese conto che non era poi male come uomo. Il corpo era sempre in tensione, rigido, ma anche scattante, veloce. Il volto era decisamente …… “spigoloso”, l’espressione concentrata, molto intensa. Begli occhi pensò. Chissà se anche la pelle era fredda come l’espressione del viso.

“Mi ascolti o sei nel mondo dei sogni, ragazza?”

Uffa! Era come avere quindici anni!

“Dispone sempre le cose allo stesso modo, Professore. Mi era solo distratta un attimo a pensare a delle alternative.” Per fortuna il cervello funzionava ad un’ottima velocità.

“Non devi pensare, ma eseguire. E se tutto è sempre uguale significa che la scelta è stata corretta. Non modificare nulla e non intervenire durante le lezioni. Non voglio commenti o suggerimenti in aula e neppure fuori se ce la fai.”

“Sarà difficile stare sempre zitta.” ammise.

“Comincia ad esercitarti e prepara le radici che ti ho detto.”

Tonks prese i barattoli che le dava, lesse l’etichetta e a passo sicuro si diresse dove avrebbe trovato, come sempre, quello che serviva.

 

Le giornate di lavoro ad Hogwarts erano molto regolari. Tonks si stava accorgendo che lo stesso ritmo, sempre uguale, che aveva vissuto come alunna lo stava vivendo adesso.

E dava stabilità e sicurezza sapere esattamente come procedeva la propria vita, quali fossero gli impegni, quando c’era del tempo libero, quali compiti dovevano essere portati a termine e quali potevano aspettare.

La vita di un Auror era molto più movimentata e imprevista. L’avevano abituata a rispondere velocemente ad ogni cambiamento, a reagire alla novità. Era sempre pronta all’emergenza, mentre a scuola doveva conoscere bene la routine quotidiana. Non avrebbe saputo quale ritmo scegliere, ma era piacevole la sicurezza delle cose che si ripetevano invariate e costanti.

Con la Professoressa McGrannit il dialogo era sempre aperto e diretto. Era disponibile a trattare qualsiasi argomento, era attenta, sorridente. Tonks si sentiva accolta e coccolata. Come da Silente del resto.

A parte Piton tutti riconoscevano il suo ruolo e la sua competenza di soldato.

Con Piton aveva sempre la sensazione di essere in errore o sotto osservazione.

 

L’ora di lezione stava terminando e il terzo anno di Griffondoro e Serpeverde stava faticosamente arrivando alla conclusione di una pozione richiesta dal Professor Piton.

Tonks era in giro per l’aula a distribuire sostegno morale, dato che non le era permesso alcun aiuto o suggerimento. Si limitava a sorridere o a fare smorfie di incoraggiamento o di fatica che rendevano quelle ore un po’ meno deprimenti.

Quando Piton diede il termine del tempo utile per eseguire la richiesta, tutta la classe si alzò sospirando e portò il risultato alla cattedra, allineandolo davanti al professore.

Quando tutti furono usciti Tonks cominciò a sistemare banchi e materiali.

Piton, apparentemente immerso nel lavoro di analisi dei lavori fatti, la stava in realtà osservando.

In quelle prime settimane era riuscita a rompere un certo numero di provette, ad invertire alcune radici con delle erbe, a spostare del materiale da uno scaffale all’altro, proponendo addirittura una divisione per colori.

Ma si muoveva con sicurezza nella classe. Effettivamente ricordava dove si trovava ogni minimo ingrediente. Piton era arrivato a chiedersi se sbagliasse solo per infastidirlo.

L’aveva vista reagire con freddezza e velocità quando uno degli allievi del secondo anno aveva usato il fuoco sotto il calderone anche per dare fuoco ai propri vestiti e bruciarsi una mano. Aveva fermato subito le fiamme e trovato il preparato per calmare il dolore, parlandogli con semplicità fino a tranquillizzarlo. Lui non era minimamente intervenuto, ma aveva guardato dalla cattedra. Lei non aveva perso tempo, né aveva dato segnali di incertezza o di bisogno di aiuto.

Ascoltandola durante le riunioni dell’Ordine della Fenice si era accorto che le osservazioni, apparentemente divertenti che faceva, erano in realtà adeguate e utili. Se faceva una battuta serviva a smorzare l’atmosfera, non a disperdere l’attenzione.

Doveva ammetterlo, poteva quasi dire che era brava. Vestiva in modo folle, comunque.

Metteva insieme tanti di quei colori da sembrava un giullare.

Era strano avere compagnia durante le lezioni. Non immaginava fosse possibile ascoltare fino in fondo i discordi sconclusionati che faceva, ma parlava spesso degli allievi, evidenziava i loro stati d’animo, segnalava possibili situazioni di disagio o di attrito che si rivelavano fondate.

Sapeva quando l’E.S. si riuniva anche senza che qualcuno la informasse direttamente, ma solo grazie alle occhiate che vedeva scambiarsi tra gli allievi.

Sapeva fare il suo lavoro. In modo apparentemente assurdo, ma dava risultati.

Piton, senza accorgersene, aveva cominciato ad ascoltare il rumore dei suoi strani scarponi per sapere quando avrebbe varcato la soglia dell’aula, a passo spedito, sorridente. E aveva cominciato a notare che era cresciuta anche fisicamente, anche se non faceva nulla per dimostrarlo. Cominciò a rendersi conto che aveva un corpo, rigorosamente coperto da ampi maglioni e jeans, un volto e degli occhi che aspettava di vedere rivolti verso di lui.

Questo aprì un baratro di emozioni e sentimenti che credeva di aver sotterrato.

 

Chiuso nella propria stanza, alla luce soffusa di alcune candele attendeva che il desiderio, il dolore che lo aveva preso se ne andasse via. Non poteva permetterselo. Non poteva lasciare che le emozioni lo invadessero. Sarebbe stato un terremoto troppo forte da sopportare.

Le emozioni erano incontrollabili se non veniva messo loro un freno molto duro. Doveva evitarle.

Soprattutto le emozioni piacevoli… lo avevano sempre ridotto a pezzi.

Aveva amato una madre che lo aveva abbandonato ad un padre violento, aveva amato uno studio approfondito delle Arti Oscure che lo aveva portato sulla riva sbagliata del fiume e che ora gli facevano sognare un lavoro per lui inaccessibile, aveva amato anche delle donne che lo avevano respinto per la sua inettitudine o per la sua poca avvenenza, aveva abbracciato dei valori che si erano rivelati distruttivi per lui e per altri, aveva abbracciato il ruolo dell’insegnamento che era faticoso e poco compatibile con il suo carattere, aveva abbracciato donne che lo avevano accettato forse solo per pietà.

Non sapeva amare o abbracciare niente e nessuno. Conosceva solo la fedeltà ai valori che aveva scelto, una fedeltà pagata sulla sua pelle, con il suo sangue, con la paura e il dolore per aver disubbidito all’Oscuro Signore. Era stato marchiato, torturato, allontanato e abbandonato.

Aveva ottenuto solo rabbia, paura, frustrazione, vergogna.

Aveva un passato da dimenticare, un presente per sopravvivere e un futuro inesistente.

Come poteva starci il desiderio o il piacere in tutto questo?

Rimase fermo, seduto sul bordo del letto, con la testa china e le mani strette a pugno sulle lenzuola fino a quando il dolore finì.

 

Pochi giorni dopo si ritrovò ancora faccia a faccia con la paura per il futuro.

Stava facendo lezione con Griffondoro e Serpeverde, sesto anno.

Si era ritrovato Potter, Weasley e Granger. Aveva spostato Harry vicino alla cattedra, per poterlo tenere sott’occhio, mentre gli altri due finivano il compito insieme.

Aveva ripreso a fare lezioni di Occlumanzia con il ragazzo e sembrava esserci qualche miglioramento, molto piccolo.

Si stava movendo lungo la classe per osservare gli allievi, quando vide Potter toccarsi la cicatrice con una smorfia.

Decise ti toglierlo dal gruppo e, a modo suo, lo aiutò a superare il momento chiedendogli al massima dedizione per sconfiggere l’intrusione dell’Oscuro Signore.

Certo il ragazzino se voleva dimostrava di farcela.

Aveva portato a termine la lezione con un occhio sulla classe e l’altro sul piccolo Potter, evitando che potessero vederlo, poi aveva spedito Weasley e Granger ad avvisare il Professore di Difesa dalle Arti Oscure e il Preside.

Tonks era rientrata più o meno nello stesso momento, dopo aver preso del materiale su sua indicazione.

Erano rimasti tutti attorno al ragazzo, compresi i suoi amici, fino a quando il dolore era finito e Harry aveva potuto raccontare di aver sentito la felicità di Voldemort per un qualche successo che aveva ottenuto.

Allora Silente gli aveva chiesto di andare a controllare in modo “non ufficiale” cosa era accaduto, mentre la piccola Tonks avrebbe avvisato l’Ordine della Fenice.

Questo significava avere attorno altri Auror e dover sentire ancora di più la sua limitatezza per non poter avere un ruolo più attivo.

 

Uscì da Hogwarts, finalmente.

Direzione Diagon Alley, per poter raccogliere informazioni.

Grazie alle sue passate conoscenze, che non sapevano ora quale fosse il suo lavoro, gli era possibile sondare, nei bassifondi del quartiere, tutte le bettole, per avere informazioni aggiornate sulla situazione dei fedelissimi di Voldemort.

Era sufficiente che si facesse vedere. Lì era rimasta immutata la sua fama di conoscitore delle Arti Oscure, di mago capace di usare la magia più oscura per avere forza sugli altri.

Era ancora fonte di paura per parecchie persone.

E lì poteva dare sfogo al suo lato peggiore, portare alla luce della luna la sua rabbia e il suo dolore facendolo provare agli altri, minacciando di feroci conseguenze coloro che non volevano aiutarlo fornendo le informazioni necessarie.

Dando sfogo al peggio di sé riusciva a sentirsi meglio, a sentirsi capace e abile, non solo un professore di scuola costretto a vivere chiuso tra quattro mura, impossibilitato a mettere in pratica tutta la sua competenza nelle Arti Magiche se non per insegnare a dei ragazzini ingrati delle pozioni che non erano in grado di apprezzare.

Eppure, quando rientrava nella sua stanza a Hogwards si sentiva ancora più inadeguato, come se quello che aveva appena fatto fosse solo un restauro ad una facciata che non era la sua.

Un po’ di lifting alla sua fama di Mangiamorte. Mancato. Neppure in quello era riuscito.

 

Dopo aver scoperto quale folle successo avesse ottenuto Tu-Sai-Chi, e dopo averlo comunicato a Silente, per cercare un po’ di equilibrio si avviò nella sua aula alla ricerca di  ordine e di silenzio, mentre sentiva crescere dentro di sé la delusione e la frustrazione.

Era sempre più vicino il ricordo della paura, del dolore, dell’angoscia di sedici anni prima, sembrava che tutto ricominciasse, ancora.

Appena aperta la porta vide il suo luogo di tranquillità invaso dalla presenza di quella ragazzina. Era impegnata a fare quello che doveva fare lui.

Si trovava davanti ad uno degli armadi e stava riordinando delle boccette di vetro vuote, utilizzate dagli allievi per fare esercizio, dividendole per grandezza.

 

No, non poteva avere vicino nessuno in quel momento che avesse a che fare con la gioia, la luce, la speranza.

“Vattene Ninfadora. Faccio io.” le sibilò dalla porta.

Tonks non l’aveva sentito, trasalì e fece cadere almeno due provette.

“Ma sei un incapace!” sbottò lui.

Lei si girò a guardarlo. Era … nero. Nei vestiti, nel volto e, dal tono, anche nell’anima.

“Mi ha sorpreso. Non l’avevo sentita.”

“Siamo proprio al sicuro se reagisci così alle sorprese! Pensi di vincere contro un Mangiamorte lanciandogli una provetta? Chi ti ha detto che potevi essere un Auror?” Era livido dalla frustrazione e urlava.

Tonks si bloccò. Era sempre stato scortese, ma mai aggressivo verso di lei.

Lo guardò a lungo, in silenzio. Non sapeva decidere se doveva uscire oppure se doveva reagire.

“Allora, ragazzina. Ti muovi? Vattene dalla mia aula. Smaterializzati. Non voglio vederti.”

Beh, accidenti, pensò Tonks, non era il suo professore e quella era una lite tra adulti. Frustrato o arrabbiato che fosse, lei non aveva contribuito in nessun modo.

Gli si avvicinò a passo di marcia fino a trovarsi davanti a lui, anche se parecchi centimetri al di sotto.

Con lo sguardo infuocato disse: “Se desidera che io me ne vada, me lo chieda gentilmente e lo farò.”

Non era possibile che quell’essere fosse così…… indisponente. Con le mani sui fianchi, gli occhi fissi nei suoi osava sfidarlo.

Piton esplose: “Non osare dirmi cosa devo o non devo fare! Esci di qui, fuori!!”

La mano si era già alzata per colpirla.

Tonks l’aveva vista e sapeva che poteva farlo.

Anni di esercizio la rendevano sicura del fatto che lo avrebbe bloccato e battuto. Era giovane e scattante, addestrata a difendersi e ad attaccare.

Rimase ferma, pensando cosa fare, mentre il tempo sembrava sospeso.

O usciva, o reagiva o lo spiazzava. Scelse l’ultima, la più incerta come riuscita.

 

Allungò la mano, gli sfiorò la guancia e sottovoce, veramente preoccupata, chiese:

“Cosa ha saputo di così sconvolgente? Cosa le è accaduto?”

Piton rimase con la mano alzata, immobile, con il respiro corto.

Chiuse gli occhi. No, la gentilezza no. Per favore, ragazzina, non essere comprensiva.

“Vattene Ninfadora”. Abbassò la mano, le passò a fianco e raggiunse la cattedra.

Non sapeva cosa fare, ma almeno lì dietro si sarebbe sentito al sicuro, dietro quel tavolo di legno che lo allontanava dal resto del mondo.

“Severus, cosa hai saputo?”

Si era avvicinata di nuovo.

“Per favore Ninfadora. Lasciami stare. Fattelo dire dall’Ordine.”

Si mise la testa fra le mani, con i gomiti appoggiati al tavolo.

Tonks si stava davvero allarmando. Era disarmato, inerme. Sembrava così vulnerabile ora. Avrebbe voluto abbracciarlo e rassicurarlo. Non era certo istinto materno quello che stava provando. Se non di fosse trattato di lui, di quel professore con almeno 10 anni più di lei, avrebbe pensato di volergli bene, tanto sentiva il bisogno di proteggerlo e di allontanargli il dolore. Da dove arrivava tutto questo?

Rimase a osservarlo, un po’ lontana cercando di capire cosa le stava dicendo il cuore e cosa le stava dicendo la mente, ma sentiva tanta confusione.

Dopo parecchi minuti uscì, ancora incerta e preoccupata per lui e per se stessa.

 

I Mangiamorte aveva attaccato Azkaban e liberato tutti i compagni catturati durante lo scontro al Ministero della Magia.

Erano di nuovo fuori. Tutti. E in azione.

E i Dissennatori non avevano distrutto le loro menti.

Non avevano partecipato attivamente alla loro evasione, ma si erano semplicemente fermati. Non avevano difeso la prigione, non avevano attaccato i seguaci di Voldemort anche se non lo avevano seguito e non avevano collaborato.

Questo rendeva ancora più incerta la situazione. Non si capiva a chi davano la loro alleanza.

Erano vittime di un incantesimo di Tu-Sai-Chi?

Erano d’accordo con Lui e il loro comportamento era un diversivo?

Non avevano ancora scelto?

Nessuno era in grado di trattare con loro. Non avevano espresso alcuna opinione con nessun incaricato del Ministero della Magia.

Da Azkaban erano fuggiti solo i Mangiamorte ancora attivi. Tutti coloro che avevano ricevuto il bacio erano stati lasciati all’interno della prigione, anche se vecchi alleati dell’Oscuro Signore.

L’esercito di Voldemort stava crescendo e la sua risata, echeggiata nella mente di Harry, aveva un significato macabro e pericoloso.

La notizia della fuga dei Mangiamorte da Azkaban aveva creato molta paura non solo negli allievi, ma anche negli insegnati e nell’Ordine.

Il segnale di guerra imminente era ben chiaro a tutti. Come era chiaro che l’obiettivo primario era Harry Potter e quindi la scuola di Hogwarts che lo ospitava. Come e quando sarebbe arrivato l’attacco nessuno lo sapeva.

Le riunioni dell’Ordine si fecero più frequenti e intense. Il controllo era al massimo.

 

Dopo lo scontro con Piton non c’era stata più alcuna occasione per parlagli e lui aveva evitato qualsiasi commento riprendendo il solito atteggiamento distaccato e ironico nei suoi confronti. Forse evitava di guardarla negli occhi un po’ troppo spesso.

Tonks era ancora confusa. Sapeva riconoscere i suoi sentimenti e le sue emozioni, ma non capiva come potevano essere rivolte al Professor Piton. Lo aveva temuto e odiato come tutti a scuola e lo incuriosiva altrettanto, ma amicizia, affetto… erano sentimenti troppo grandi.

Eppure sentiva di essere preoccupata per lui. Voleva capirci di più, sapere cosa aveva fatto, cosa poteva fare, cosa rischiava, aiutarlo, sostenerlo.

Durante le riunioni era sempre silenzioso e attento.

Era stato deciso di procedere con il torneo di quidditch per mantenere un minimo di normalità nella scuola e il giorno prima dello scontro Griffondoro-Serpeverde che dava inizio alla stagione Silente fece un ultimo incontro con tutto l’Ordine della Fenice che poteva essere presente.

Le notizie erano ancora scarse e non permettevano alcuna ipotesi.

Piton per la prima volta disse:

“Vado io, Preside. Cercherò di avere notizie il più possibile dirette.”

Silente lo guardò immobile.

“Il rischio è molto elevato Severus. Ne sei sicuro?”

“Sì, non abbiamo molte alternative.”

Silente annuì. La riunione si sciolse.

Piton andò nella sua stanza a prepararsi, con vestiti vecchi e stracciati.

Sapeva quanto poteva essere rischioso per lui avvicinarsi al gruppo dei Mangiamorte. Chiunque poteva riconoscerlo e il suo tradimento non avrebbe portato a nessuna pietà se lo avessero preso. Ma almeno in questo poteva essere utile e nessuno poteva farlo al posto suo.

Mentre si preparava pensò a lungo se andare o meno a salutarla. Non le aveva praticamente parlato dall’ultimo scontro. Aveva paura di farlo. Si sentiva troppo vulnerabile, provava emozioni e sentimenti troppo forti e contrastanti.

Sentì bussare alla porta.

Quando aprì si trovò davanti Lupin.

“Cosa fai ancora qui? Credevo fossi già andato via dopo la riunione.”

“Come va con Tonks?” chiese con il solito tono cortese e amichevole.

“Cosa c’entra lei adesso?” Si era irrigidito. Tornò dentro la stanza a sistemare le ultime cose.

“Nulla, volevo sapere come andava la convivenza con una persona così diversa da te.”

Silenzio.

“A dirla tutta non mi pareva cortese entrare e chiederti brutalmente perché hai deciso di rischiare di morire adesso, andando nella tana del lupo. Anzi, scusa, frase sbagliata…” Sorrise.

“Non rischio ora più di altre volte.” Era sempre di spalle chino su un tavolo.

“Non farti riconoscere, per nessun motivo. Non esagerare. C’è bisogno di te, non del tuo ricordo. Ti preparo qualche pozione ricostituente per il tuo rientro.” Lupin gli mise quasi per caso una mano sulla spalla, lievemente.

“Comunque…” continuò uscendo dalla porta “ho notato come riuscite a non guardarvi neppure per sbaglio. Strano per due persone che lavorano insieme. Fino a poco tempo fa almeno dimostravi disappunto. Ora sembri un po’imbarazzato. Buona fortuna.”

Piton chiuse gli occhi. Accidenti a quel mezzo uomo. Esattamente quello che non voleva sentire.

Controllò di aver sistemato tutto, per ogni eventualità, anche quella di non tornare e uscì.

Vicino all’uscita da Hogwarts trovò Tonks ad aspettarlo.

Nessuno dei due avrebbe saputo cosa dire e non parlarono. Piton si limitò a fissarla per pochi secondi poi se ne andò senza dire nulla.


 

La partita di quidditch fu un ottimo distensivo per tutti. I ragazzi erano entusiasti, allegri.

La vittoria dei Griffondoro rese felici tre case su quattro.

Tonks arbitrò con precisione e dimostrando una serietà inedita.

Le piaceva quello che stava facendo e sapeva di doverlo fare con il massimo della imparzialità. Ma continuava a pensare che Piton non era rientrato da due giorni e non c’erano notizie.

Nessuno ne parlava, tutti aspettavano.

Silente aveva già provveduto a chiedere a Lupin di sostituirlo se non fosse arrivato l’indomani per l’inizio delle lezioni settimanali.

Era possibile che tornasse in condizioni tali da non poter fare lezione.

 

Sentiva il dolore irradiarsi ovunque nel suo corpo. Respirava a fatica e sperava che il cespuglio lo proteggesse il tempo sufficiente a smaterializzarsi.

Doveva tornare e passare l’informazione.

Almeno era riuscito a entrare durante l’incontro dei Mangiamorte, grazie al suo aspetto non umano, senza che lo riconoscessero. Erano tutti lì, nella grotta, i migliori maghi di Voldemort e anche Lui. Aveva potuto udire quali fossero i piani di attacco prima di essere cacciato fuori con i suoi simili da un Malfoy indignato dal loro movimento continuo.

Quando era atterrato, quasi schiantato a terra, non si era accorto subito di essere senza bacchetta.

Ma quando la guardia messa dai Mangiamorte all’apertura della grotta, lo aveva notato, sporco e lacero, scambiandolo per un povero pazzo o ubriaco e aveva cominciato a prenderlo a calci si era reso conto che non aveva nulla per contrastarlo, neppure la forza.

Era rimasto stretto a se stesso aspettando che la finisse.

Bellatrix era uscita (aveva ancora la sua mania per le stelle) e si era avvicinata a guardarlo. Quando lo aveva riconosciuto aveva spedito la guardia ad avvisare all’interno che una spia si stava avvicinando e che un traditore era tornato all’ovile.

Mentre lei urlava verso il poveretto, era riuscito a richiamare a se la bacchetta, ma la mossa successiva lo aveva trovato impreparato.

Bellatrix aveva lanciato contro di lui uno dei più feroci incantesimi di Magia Nera che lo aveva marchiato sulla pelle del petto e delle braccia come fosse fuoco acceso.

Aveva urlato dal dolore, con tutto il fiato che le costole doloranti gli permettevano di trovare. Si era irrigidito e aperto come un burattino per poi ricadere su se stesso, come un cucciolo d’uomo indifeso.

Bellatrix era rientrata per chiamare a sé tutti gli altri, vedendolo immobile, come svenuto.

Non poteva fermarsi, non adesso. Aveva delle informazioni fondamentali, doveva portarle all’Ordine. Doveva tornare a casa.

Strisciando sulla schiena e tenendosi le braccia aggrappate alle gambe per non aumentare il dolore, si trascinò verso il cespuglio più vicino, cercando di controllare il respiro a sufficienza per potersi smaterializzare da lì.

Pronunciò con un filo di voce l’incantesimo e si ritrovò a terra, dentro la Stamberga Strillante, attraversato da un dolore incessante, con la sensazione di svenire.

Non era rimasta traccia di lui vicino al cespuglio.

Doveva avvisare qualcuno… ad Hogwarts… Mentre gli occhi si chiudevano vide l’ombra di Lupin sopra la sua testa.

  
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