A MAN WITHOUT A FUTURE
No era possibile che lo avesse fatto! A lui!
Un aiuto?! Ma dove?! Sarebbe stato caos, distruzione
visto di chi si trattava.
Mentre percorreva a lunghi passi il corridoio tutta
la rabbia e la frustrazione passavano attraverso le sue gambe. I passi
risuonavano nel corridoio buio e solitario e sembravano pallottole lanciate a
terra che esplodevano ritmicamente sul marmo lucido di Hogwarts.
Il lungo mantello si muoveva attorno al suo corpo
come un'unica, immensa, ala nera. Lo sguardo inferocito fissava un punto nel
nulla davanti a lui.
Ancora non gli era permesso arrivare alla cattedra
di Difesa contro le Arti Oscure, ancora gli veniva affidato quel figlio
capriccioso di James Potter, ancora doveva limitarsi ad aiutare Silente nel
buio.
E in più…!!
I ragazzini del secondo anno di Tassorosso che
videro arrivare il professor Piton lungo il corridoio davanti a loro, si
zittirono e si spostarono a lato, immediatamente. Appariva ancora più nero del
solito.
Severus Piton li degnò di una mezza occhiata per
inquadrare casa e anno e proseguì.
Di tutti gli Auror la più maldestra.
Avrebbe accettato piuttosto Remus Lupin a braccia
aperte.
Era almeno sicuro delle sue capacità anche se era un
maledetto membro di quel quartetto di miserabili!
Ma quella specie di elfo, o gnomo o nano troppo
cresciuto! Non stava ferma un momento alle riunioni, sempre qualcosa da dire,
sempre un sorriso, mai triste, mai impaurita, sempre in movimento.
“E’ necessario aumentare la sicurezza per i
ragazzi.” aveva detto poco prima il Preside.
E su questo era d’accordo. Era ben consapevole da
sei anni che avere Harry Potter a scuola poteva solo aumentare i rischi, ma lo
aveva accettato come un passaggio obbligato verso una nuova possibile libertà.
“Quindi” aveva aggiunto Silente “ho chiesto a due
membri dell’Ordine della Fenice, due Auror, di essere qui in appoggio, per ogni
necessità. A Kingsley Schakebolt affiderò la cattedra di Difesa contro le Arti
Oscure…”
Primo pugno in faccia!
“… e ho chiesto a Tonks di essere presente come tuttofare,
vista la sua abilità nel dialogare con i ragazzi e nel farsi ascoltare.”
Detta così per lui cambiava poco.
“Devi inoltre continuare a seguire Harry Potter in
Occlumanzia.”
Secondo pugno in faccia!
“No, assolutamente no! Si ricorda cosa ha fatto l’anno
scorso? Ha osato toccare i miei oggetti, spiare la mia mente e i miei ricordi!
E’ ingovernabile, cocciuto e non rispetta alcuna regola e alcuna autorità!”
“E’ necessario che impari a difendersi da solo,
Severus. Cerca un altro spazio, ma sei l’unico che ha l’autorità necessaria.”
Sapeva che Silente aveva ragione. Come sempre.
Doveva riuscire a tenere distante l’Oscuro Signore.
Per il bene di tutti. Accidenti! Era da anni che lavorava per il bene di tutti,
sottovoce, lontano da tutti, di nascosto.
“Altro?” sibilò al Preside
“Si. Tonks aiuterà anche te nell’organizzare i
materiali e l’aula prima e dopo le lezioni.”
Piton lo aveva guardato quasi a bocca aperta,con gli
occhi sbarrati dalla sorpresa.
“Ma quella ragazzina è un pericolo costante! Rompe
anche quello che non tocca! Preside non può…”
Silente aveva alzato la mano per fermarlo.
“E’ molto brava se è arrivata dove è ora. Ed è
cresciuta da quando era qui a scuola. C’è bisogno di tenere gli allievi vicini
a noi, Severus. Non possiamo chiudere nessun canale di comunicazione con loro.”
A Piton tornarono in mente vetri rotti, piccole
esplosioni accidentali in aula, materiali per terra o confusi gli uni con gli
altri. Erano anni difficili per lui. Era alle prime armi, insicuro, frustrato e
la presenza di adolescenti pieni di vita e di futuro lo disturbavano allora più
di adesso.
Avere di fronte facce sorridenti e inconsapevoli di
un passato ancora recente, illuse di un futuro migliore lo rendevano
insofferente e poco disposto all’accoglienza.
Effettivamente, allora, la ragazzina aveva passato
abbastanza bene l’esame.
C’era già qualche Weasley con lei… più o meno.
Ma c’era ancora in lei quel lampo di speranza e di
incoscienza che la rendevano insopportabile.
“Dovrà fare esattamente quello che dico. E non accetto
commenti o interventi sull’insegnamento.” Con questo commento aveva chiuso la
conversazione.
E adesso con un colpo secco della porta chiuse fuori
dal suo ufficio il resto del mondo.
Il primo incontro tra tutti i professori avvenne
all’inizio dell’anno scolastico.
La battaglia al Ministero della Magia di pochi mesi
prima aveva riacceso i timori di tutti. Anche all’interno di un luogo protetto
e inaccessibile come Hogwarts.
La presenza di due Auror, il contatto costante con
l’Ordine della Fenice, la presenza rassicurante di Silente rendeva tutti più
tranquilli.
Shacklebolt appariva a suo agio nel nuovo ruolo.
Accogliente, sorridente, deferente verso i suoi ex-professori (quasi tutti!),
competente per le domande che poneva e per le proposte che faceva.
Tonks era in disparte, quasi alle spalle della
professoressa McGrannit. Aveva sorriso e salutato tutti, con un commento
gentile o una battuta che aveva fatto ridere quasi tutti.
Piton era rimasto rigido al suo posto.
Era sempre uguale, aveva pensato Tonks. Decisamente
granitico. Chissà se qualcuno lo aveva mai visto sorridere.
Beh, lei era contenta. Ritornava in un luogo in cui
era stata felice. La missione era relativamente pericolosa. Adorava
chiacchierare con i ragazzini, la facevano sentire ancora della loro stessa
età. Molte volte risentiva i suoi pensieri nei loro ragionamenti, sentiva
descrivere le sue emozioni di un po’ di anni prima. Era facile ascoltarli.
Anche stare attenti in un luogo protetto come
Hogwarts era facile.
E stare insieme a Kingsley era divertente. Avevano
imparato a conoscersi e a ridersi addosso. Erano anche usciti per un po’
insieme, ma avevano ormai superato un livello di amicizia tale da renderli più
simili a fratelli. Sapeva di essere al sicuro anche grazie a lui e lui sapeva
di esserlo grazie a lei. Conoscevano pregi e limiti del proprio modo di
affrontare i problemi.
Piton la osservò con gli occhi ridotti a fessure
mentre il Preside annunciava che avrebbe anche fatto l’arbitro durante le
partite di quidditch.
Sospirò sonoramente quando riuscì, in breve tempo, a
rovesciare una sedia e a sedersi quasi sul Professor Vitious che ridacchiò
insieme a lei. Uscendo rovesciò un libro in bilico sul tavolo che prima del suo
passaggio aveva resistito, lì, fermo, per almeno tre ore.
Tonks raggiunse la propria stanza. Silente si era
scusato del fatto che, durante l’anno di scuola, i posti a disposizione erano
ridotti al minimo e per lei era stata ricavata una stanza nei sotterranei, un
po’ al buio.
Tonks non si era preoccupata più di tanto. Aveva
riempito lo spazio, ampio, con oggetti coloratissimi creando due finestre dalle
quali proveniva una magica luce solare.
Del resto non aveva intenzione di stare in camera a
lungo. Era suo compito passeggiare nei corridoi e all’esterno, osservare,
lavorare con i professori. Non doveva certo rinchiudersi a studiare.
Il primo incontro con Piton fu … come tornare a
scuola.
“Buongiorno Ninfadora.” L’aveva salutata senza
guardarla, chino su un libro, dalla cattedra.
Eh, no! Scorbutico poteva esserlo, scortese no.
“Tonks, Professor Piton, mi chiami Tonks.”
“Non sei mia allieva e ti chiami Ninfadora. Perché
chiamarti Tonks?” Almeno la stava guardando adesso.
“Perché mia madre mi ha dato un nome cretino,
professore. E non è necessario che io lo accetti. Mi chiami Tonks.”
“Stai parlando con un uomo che si chiama Severus. Mi
sembra una osservazione fuori luogo la tua.”
Non ci aveva pensato, ma certo come stupidità del
nome erano molto simili.
“Non ci avevo pensato. Se vuole io la chiamo
Severus.” Il tono era pericolosamente dolce.
“Non se ne parla. Sono più anziano di te, sono stato
tuo professore. Per te rimango il professor Piton.”
“Ha ragione. E’ più anziano di me. OK.” Aveva
sottolineato la parola “anziano” con il tono della voce tanto da far sollevare
un sopracciglio al professore.
“Mi stai prendendo in giro?”
“Assolutamente no. Sottolineavo la realtà dei
fatti.” Gli sorrise amabile, guardandolo negli occhi.
“Meglio, Ninfadora. Ti spiego quali sono i tuoi
compiti in quest’aula.”
Sarebbe stato un luuuungo cammino quello accanto a
quell’uomo. Mooooolto lungo.
Di positivo c’era che riusciva a pronunciare il suo
nome come fosse “Ninfa d’oro” e sempre sottovoce, strisciandolo con un
risultato che sembrava quasi sensuale.
Mentre Piton le spiegava come tenere i diversi materiali
e oggetti e come sistemare l’aula -esattamente come quando lei era sua allieva
e quindi non c’era nulla da imparare di nuovo - Tonks si mise a osservarlo. Le
era sempre apparso come un qualsiasi professore, più giovane degli altri, ma chiuso e solitario. Nessuno sapeva
perché fosse così scostante e nervoso. Poco alla volta, dalle voci di
corridoio, era riuscita a ricostruire parte della sua storia. Sapeva che se era
lì e Silente approvava, la scelta di Piton doveva essere molto ferma e sicura.
Il fatto di essere stato marchiato dall’Oscuro Signore lo rendeva agli occhi di
Tonks, allora come ora, un mistero da scoprire, non un pericolo da evitare.
Forse era troppo ottimista, ma se qualcuno aveva
scelto di essere infedele a Tu-Sai-Chi e di subirne le conseguenze doveva
essere in grado di sopportare paura, pericolo e dolore in dosi massicce. Era
curiosa, voleva capire, conoscere.
Adesso guardandolo muoversi, senza mantello,
nell’aula si rese conto che non era poi male come uomo. Il corpo era sempre in
tensione, rigido, ma anche scattante, veloce. Il volto era decisamente ……
“spigoloso”, l’espressione concentrata, molto intensa. Begli occhi pensò.
Chissà se anche la pelle era fredda come l’espressione del viso.
“Mi ascolti o sei nel mondo dei sogni, ragazza?”
Uffa! Era come avere quindici anni!
“Dispone sempre le cose allo stesso modo,
Professore. Mi era solo distratta un attimo a pensare a delle alternative.” Per
fortuna il cervello funzionava ad un’ottima velocità.
“Non devi pensare, ma eseguire. E se tutto è sempre
uguale significa che la scelta è stata corretta. Non modificare nulla e non
intervenire durante le lezioni. Non voglio commenti o suggerimenti in aula e
neppure fuori se ce la fai.”
“Sarà difficile stare sempre zitta.” ammise.
“Comincia ad esercitarti e prepara le radici che ti
ho detto.”
Tonks prese i barattoli che le dava, lesse
l’etichetta e a passo sicuro si diresse dove avrebbe trovato, come sempre,
quello che serviva.
Le giornate di lavoro ad Hogwarts erano molto
regolari. Tonks si stava accorgendo che lo stesso ritmo, sempre uguale, che
aveva vissuto come alunna lo stava vivendo adesso.
E dava stabilità e sicurezza sapere esattamente come
procedeva la propria vita, quali fossero gli impegni, quando c’era del tempo
libero, quali compiti dovevano essere portati a termine e quali potevano
aspettare.
La vita di un Auror era molto più movimentata e
imprevista. L’avevano abituata a rispondere velocemente ad ogni cambiamento, a
reagire alla novità. Era sempre pronta all’emergenza, mentre a scuola doveva
conoscere bene la routine quotidiana. Non avrebbe saputo quale ritmo scegliere,
ma era piacevole la sicurezza delle cose che si ripetevano invariate e
costanti.
Con la Professoressa McGrannit il dialogo era sempre
aperto e diretto. Era disponibile a trattare qualsiasi argomento, era attenta,
sorridente. Tonks si sentiva accolta e coccolata. Come da Silente del resto.
A parte Piton tutti riconoscevano il suo ruolo e la
sua competenza di soldato.
Con Piton aveva sempre la sensazione di essere in
errore o sotto osservazione.
L’ora di lezione stava terminando e il terzo anno di
Griffondoro e Serpeverde stava faticosamente arrivando alla conclusione di una
pozione richiesta dal Professor Piton.
Tonks era in giro per l’aula a distribuire sostegno
morale, dato che non le era permesso alcun aiuto o suggerimento. Si limitava a
sorridere o a fare smorfie di incoraggiamento o di fatica che rendevano quelle
ore un po’ meno deprimenti.
Quando Piton diede il termine del tempo utile per
eseguire la richiesta, tutta la classe si alzò sospirando e portò il risultato
alla cattedra, allineandolo davanti al professore.
Quando tutti furono usciti Tonks cominciò a
sistemare banchi e materiali.
Piton, apparentemente immerso nel lavoro di analisi
dei lavori fatti, la stava in realtà osservando.
In quelle prime settimane era riuscita a rompere un
certo numero di provette, ad invertire alcune radici con delle erbe, a spostare
del materiale da uno scaffale all’altro, proponendo addirittura una divisione
per colori.
Ma si muoveva con sicurezza nella classe.
Effettivamente ricordava dove si trovava ogni minimo ingrediente. Piton era
arrivato a chiedersi se sbagliasse solo per infastidirlo.
L’aveva vista reagire con freddezza e velocità
quando uno degli allievi del secondo anno aveva usato il fuoco sotto il
calderone anche per dare fuoco ai propri vestiti e bruciarsi una mano. Aveva
fermato subito le fiamme e trovato il preparato per calmare il dolore,
parlandogli con semplicità fino a tranquillizzarlo. Lui non era minimamente
intervenuto, ma aveva guardato dalla cattedra. Lei non aveva perso tempo, né
aveva dato segnali di incertezza o di bisogno di aiuto.
Ascoltandola durante le riunioni dell’Ordine della
Fenice si era accorto che le osservazioni, apparentemente divertenti che faceva,
erano in realtà adeguate e utili. Se faceva una battuta serviva a smorzare
l’atmosfera, non a disperdere l’attenzione.
Doveva ammetterlo, poteva quasi dire che era brava.
Vestiva in modo folle, comunque.
Metteva insieme tanti di quei colori da sembrava un
giullare.
Era strano avere compagnia durante le lezioni. Non
immaginava fosse possibile ascoltare fino in fondo i discordi sconclusionati
che faceva, ma parlava spesso degli allievi, evidenziava i loro stati d’animo,
segnalava possibili situazioni di disagio o di attrito che si rivelavano
fondate.
Sapeva quando l’E.S. si riuniva anche senza che
qualcuno la informasse direttamente, ma solo grazie alle occhiate che vedeva
scambiarsi tra gli allievi.
Sapeva fare il suo lavoro. In modo apparentemente
assurdo, ma dava risultati.
Piton, senza accorgersene, aveva cominciato ad
ascoltare il rumore dei suoi strani scarponi per sapere quando avrebbe varcato
la soglia dell’aula, a passo spedito, sorridente. E aveva cominciato a notare
che era cresciuta anche fisicamente, anche se non faceva nulla per dimostrarlo.
Cominciò a rendersi conto che aveva un corpo, rigorosamente coperto da ampi
maglioni e jeans, un volto e degli occhi che aspettava di vedere rivolti verso
di lui.
Questo aprì un baratro di emozioni e sentimenti che
credeva di aver sotterrato.
Chiuso nella propria stanza, alla luce soffusa di
alcune candele attendeva che il desiderio, il dolore che lo aveva preso se ne
andasse via. Non poteva permetterselo. Non poteva lasciare che le emozioni lo
invadessero. Sarebbe stato un terremoto troppo forte da sopportare.
Le emozioni erano incontrollabili se non veniva
messo loro un freno molto duro. Doveva evitarle.
Soprattutto le emozioni piacevoli… lo avevano sempre
ridotto a pezzi.
Aveva amato una madre che lo aveva abbandonato ad un
padre violento, aveva amato uno studio approfondito delle Arti Oscure che lo
aveva portato sulla riva sbagliata del fiume e che ora gli facevano sognare un
lavoro per lui inaccessibile, aveva amato anche delle donne che lo avevano
respinto per la sua inettitudine o per la sua poca avvenenza, aveva abbracciato
dei valori che si erano rivelati distruttivi per lui e per altri, aveva
abbracciato il ruolo dell’insegnamento che era faticoso e poco compatibile con
il suo carattere, aveva abbracciato donne che lo avevano accettato forse solo
per pietà.
Non sapeva amare o abbracciare niente e nessuno.
Conosceva solo la fedeltà ai valori che aveva scelto, una fedeltà pagata sulla
sua pelle, con il suo sangue, con la paura e il dolore per aver disubbidito
all’Oscuro Signore. Era stato marchiato, torturato, allontanato e abbandonato.
Aveva ottenuto solo rabbia, paura, frustrazione,
vergogna.
Aveva un passato da dimenticare, un presente per
sopravvivere e un futuro inesistente.
Come poteva starci il desiderio o il piacere in
tutto questo?
Rimase fermo, seduto sul bordo del letto, con la
testa china e le mani strette a pugno sulle lenzuola fino a quando il dolore
finì.
Pochi giorni dopo si ritrovò ancora faccia a faccia
con la paura per il futuro.
Stava facendo lezione con Griffondoro e Serpeverde,
sesto anno.
Si era ritrovato Potter, Weasley e Granger. Aveva
spostato Harry vicino alla cattedra, per poterlo tenere sott’occhio, mentre gli
altri due finivano il compito insieme.
Aveva ripreso a fare lezioni di Occlumanzia con il
ragazzo e sembrava esserci qualche miglioramento, molto piccolo.
Si stava movendo lungo la classe per osservare gli
allievi, quando vide Potter toccarsi la cicatrice con una smorfia.
Decise ti toglierlo dal gruppo e, a modo suo, lo aiutò
a superare il momento chiedendogli al massima dedizione per sconfiggere
l’intrusione dell’Oscuro Signore.
Certo il ragazzino se voleva dimostrava di farcela.
Aveva portato a termine la lezione con un occhio
sulla classe e l’altro sul piccolo Potter, evitando che potessero vederlo, poi
aveva spedito Weasley e Granger ad avvisare il Professore di Difesa dalle Arti
Oscure e il Preside.
Tonks era rientrata più o meno nello stesso momento,
dopo aver preso del materiale su sua indicazione.
Erano rimasti tutti attorno al ragazzo, compresi i
suoi amici, fino a quando il dolore era finito e Harry aveva potuto raccontare
di aver sentito la felicità di Voldemort per un qualche successo che aveva
ottenuto.
Allora Silente gli aveva chiesto di andare a
controllare in modo “non ufficiale” cosa era accaduto, mentre la piccola Tonks
avrebbe avvisato l’Ordine della Fenice.
Questo significava avere attorno altri Auror e dover
sentire ancora di più la sua limitatezza per non poter avere un ruolo più
attivo.
Uscì da Hogwarts, finalmente.
Direzione Diagon Alley, per poter raccogliere
informazioni.
Grazie alle sue passate conoscenze, che non sapevano
ora quale fosse il suo lavoro, gli era possibile sondare, nei bassifondi del
quartiere, tutte le bettole, per avere informazioni aggiornate sulla situazione
dei fedelissimi di Voldemort.
Era sufficiente che si facesse vedere. Lì era
rimasta immutata la sua fama di conoscitore delle Arti Oscure, di mago capace
di usare la magia più oscura per avere forza sugli altri.
Era ancora fonte di paura per parecchie persone.
E lì poteva dare sfogo al suo lato peggiore, portare
alla luce della luna la sua rabbia e il suo dolore facendolo provare agli
altri, minacciando di feroci conseguenze coloro che non volevano aiutarlo
fornendo le informazioni necessarie.
Dando sfogo al peggio di sé riusciva a sentirsi
meglio, a sentirsi capace e abile, non solo un professore di scuola costretto a
vivere chiuso tra quattro mura, impossibilitato a mettere in pratica tutta la
sua competenza nelle Arti Magiche se non per insegnare a dei ragazzini ingrati
delle pozioni che non erano in grado di apprezzare.
Eppure, quando rientrava nella sua stanza a Hogwards
si sentiva ancora più inadeguato, come se quello che aveva appena fatto fosse
solo un restauro ad una facciata che non era la sua.
Un po’ di lifting alla sua fama di Mangiamorte.
Mancato. Neppure in quello era riuscito.
Dopo aver scoperto quale folle successo avesse
ottenuto Tu-Sai-Chi, e dopo averlo comunicato a Silente, per cercare un po’ di
equilibrio si avviò nella sua aula alla ricerca di ordine e di silenzio, mentre sentiva crescere dentro di sé la
delusione e la frustrazione.
Era sempre più vicino il ricordo della paura, del
dolore, dell’angoscia di sedici anni prima, sembrava che tutto ricominciasse,
ancora.
Appena aperta la porta vide il suo luogo di
tranquillità invaso dalla presenza di quella ragazzina. Era impegnata a fare
quello che doveva fare lui.
Si trovava davanti ad uno degli armadi e stava
riordinando delle boccette di vetro vuote, utilizzate dagli allievi per fare
esercizio, dividendole per grandezza.
No, non poteva avere vicino nessuno in quel momento
che avesse a che fare con la gioia, la luce, la speranza.
“Vattene Ninfadora. Faccio io.” le sibilò dalla
porta.
Tonks non l’aveva sentito, trasalì e fece cadere
almeno due provette.
“Ma sei un incapace!” sbottò lui.
Lei si girò a guardarlo. Era … nero. Nei vestiti,
nel volto e, dal tono, anche nell’anima.
“Mi ha sorpreso. Non l’avevo sentita.”
“Siamo proprio al sicuro se reagisci così alle sorprese!
Pensi di vincere contro un Mangiamorte lanciandogli una provetta? Chi ti ha
detto che potevi essere un Auror?” Era livido dalla frustrazione e urlava.
Tonks si bloccò. Era sempre stato scortese, ma mai
aggressivo verso di lei.
Lo guardò a lungo, in silenzio. Non sapeva decidere
se doveva uscire oppure se doveva reagire.
“Allora, ragazzina. Ti muovi? Vattene dalla mia
aula. Smaterializzati. Non voglio vederti.”
Beh, accidenti, pensò Tonks, non era il suo
professore e quella era una lite tra adulti. Frustrato o arrabbiato che fosse,
lei non aveva contribuito in nessun modo.
Gli si avvicinò a passo di marcia fino a trovarsi
davanti a lui, anche se parecchi centimetri al di sotto.
Con lo sguardo infuocato disse: “Se desidera che io
me ne vada, me lo chieda gentilmente e lo farò.”
Non era possibile che quell’essere fosse così……
indisponente. Con le mani sui fianchi, gli occhi fissi nei suoi osava sfidarlo.
Piton esplose: “Non osare dirmi cosa devo o non devo
fare! Esci di qui, fuori!!”
La mano si era già alzata per colpirla.
Tonks l’aveva vista e sapeva che poteva farlo.
Anni di esercizio la rendevano sicura del fatto che
lo avrebbe bloccato e battuto. Era giovane e scattante, addestrata a difendersi
e ad attaccare.
Rimase ferma, pensando cosa fare, mentre il tempo
sembrava sospeso.
O usciva, o reagiva o lo spiazzava. Scelse l’ultima,
la più incerta come riuscita.
Allungò la mano, gli sfiorò la guancia e sottovoce,
veramente preoccupata, chiese:
“Cosa ha saputo di così sconvolgente? Cosa le è
accaduto?”
Piton rimase con la mano alzata, immobile, con il
respiro corto.
Chiuse gli occhi. No, la gentilezza no. Per favore,
ragazzina, non essere comprensiva.
“Vattene Ninfadora”. Abbassò la mano, le passò a
fianco e raggiunse la cattedra.
Non sapeva cosa fare, ma almeno lì dietro si sarebbe
sentito al sicuro, dietro quel tavolo di legno che lo allontanava dal resto del
mondo.
“Severus, cosa hai saputo?”
Si era avvicinata di nuovo.
“Per favore Ninfadora. Lasciami stare. Fattelo dire
dall’Ordine.”
Si mise la testa fra le mani, con i gomiti
appoggiati al tavolo.
Tonks si stava davvero allarmando. Era disarmato,
inerme. Sembrava così vulnerabile ora. Avrebbe voluto abbracciarlo e
rassicurarlo. Non era certo istinto materno quello che stava provando. Se non
di fosse trattato di lui, di quel professore con almeno 10 anni più di lei,
avrebbe pensato di volergli bene, tanto sentiva il bisogno di proteggerlo e di
allontanargli il dolore. Da dove arrivava tutto questo?
Rimase a osservarlo, un po’ lontana cercando di
capire cosa le stava dicendo il cuore e cosa le stava dicendo la mente, ma
sentiva tanta confusione.
Dopo parecchi minuti uscì, ancora incerta e
preoccupata per lui e per se stessa.
I Mangiamorte aveva attaccato Azkaban e liberato
tutti i compagni catturati durante lo scontro al Ministero della Magia.
Erano di nuovo fuori. Tutti. E in azione.
E i Dissennatori non avevano distrutto le loro
menti.
Non avevano partecipato attivamente alla loro
evasione, ma si erano semplicemente fermati. Non avevano difeso la prigione, non
avevano attaccato i seguaci di Voldemort anche se non lo avevano seguito e non
avevano collaborato.
Questo rendeva ancora più incerta la situazione. Non
si capiva a chi davano la loro alleanza.
Erano vittime di un incantesimo di Tu-Sai-Chi?
Erano d’accordo con Lui e il loro comportamento era
un diversivo?
Non avevano ancora scelto?
Nessuno era in grado di trattare con loro. Non
avevano espresso alcuna opinione con nessun incaricato del Ministero della
Magia.
Da Azkaban erano fuggiti solo i Mangiamorte ancora
attivi. Tutti coloro che avevano ricevuto il bacio erano stati lasciati
all’interno della prigione, anche se vecchi alleati dell’Oscuro Signore.
L’esercito di Voldemort stava crescendo e la sua
risata, echeggiata nella mente di Harry, aveva un significato macabro e
pericoloso.
La notizia della fuga dei Mangiamorte da Azkaban
aveva creato molta paura non solo negli allievi, ma anche negli insegnati e
nell’Ordine.
Il segnale di guerra imminente era ben chiaro a
tutti. Come era chiaro che l’obiettivo primario era Harry Potter e quindi la
scuola di Hogwarts che lo ospitava. Come e quando sarebbe arrivato l’attacco
nessuno lo sapeva.
Le riunioni dell’Ordine si fecero più frequenti e
intense. Il controllo era al massimo.
Dopo lo scontro con Piton non c’era stata più alcuna
occasione per parlagli e lui aveva evitato qualsiasi commento riprendendo il
solito atteggiamento distaccato e ironico nei suoi confronti. Forse evitava di
guardarla negli occhi un po’ troppo spesso.
Tonks era ancora confusa. Sapeva riconoscere i suoi
sentimenti e le sue emozioni, ma non capiva come potevano essere rivolte al
Professor Piton. Lo aveva temuto e odiato come tutti a scuola e lo incuriosiva
altrettanto, ma amicizia, affetto… erano sentimenti troppo grandi.
Eppure sentiva di essere preoccupata per lui. Voleva
capirci di più, sapere cosa aveva fatto, cosa poteva fare, cosa rischiava,
aiutarlo, sostenerlo.
Durante le riunioni era sempre silenzioso e attento.
Era stato deciso di procedere con il torneo di
quidditch per mantenere un minimo di normalità nella scuola e il giorno prima
dello scontro Griffondoro-Serpeverde che dava inizio alla stagione Silente fece
un ultimo incontro con tutto l’Ordine della Fenice che poteva essere presente.
Le notizie erano ancora scarse e non permettevano
alcuna ipotesi.
Piton per la prima volta disse:
“Vado io, Preside. Cercherò di avere notizie il più
possibile dirette.”
Silente lo guardò immobile.
“Il rischio è molto elevato Severus. Ne sei sicuro?”
“Sì, non abbiamo molte alternative.”
Silente annuì. La riunione si sciolse.
Piton andò nella sua stanza a prepararsi, con
vestiti vecchi e stracciati.
Sapeva quanto poteva essere rischioso per lui
avvicinarsi al gruppo dei Mangiamorte. Chiunque poteva riconoscerlo e il suo
tradimento non avrebbe portato a nessuna pietà se lo avessero preso. Ma almeno
in questo poteva essere utile e nessuno poteva farlo al posto suo.
Mentre si preparava pensò a lungo se andare o meno a
salutarla. Non le aveva praticamente parlato dall’ultimo scontro. Aveva paura
di farlo. Si sentiva troppo vulnerabile, provava emozioni e sentimenti troppo
forti e contrastanti.
Sentì bussare alla porta.
Quando aprì si trovò davanti Lupin.
“Cosa fai ancora qui? Credevo fossi già andato via
dopo la riunione.”
“Come va con Tonks?” chiese con il solito tono
cortese e amichevole.
“Cosa c’entra lei adesso?” Si era irrigidito. Tornò
dentro la stanza a sistemare le ultime cose.
“Nulla, volevo sapere come andava la convivenza con
una persona così diversa da te.”
Silenzio.
“A dirla tutta non mi pareva cortese entrare e
chiederti brutalmente perché hai deciso di rischiare di morire adesso, andando
nella tana del lupo. Anzi, scusa, frase sbagliata…” Sorrise.
“Non rischio ora più di altre volte.” Era sempre di
spalle chino su un tavolo.
“Non farti riconoscere, per nessun motivo. Non
esagerare. C’è bisogno di te, non del tuo ricordo. Ti preparo qualche pozione
ricostituente per il tuo rientro.” Lupin gli mise quasi per caso una mano sulla
spalla, lievemente.
“Comunque…” continuò uscendo dalla porta “ho notato come
riuscite a non guardarvi neppure per sbaglio. Strano per due persone che
lavorano insieme. Fino a poco tempo fa almeno dimostravi disappunto. Ora sembri
un po’imbarazzato. Buona fortuna.”
Piton chiuse gli occhi. Accidenti a quel mezzo uomo.
Esattamente quello che non voleva sentire.
Controllò di aver sistemato tutto, per ogni
eventualità, anche quella di non tornare e uscì.
Vicino all’uscita da Hogwarts trovò Tonks ad
aspettarlo.
Nessuno dei due avrebbe saputo cosa dire e non
parlarono. Piton si limitò a fissarla per pochi secondi poi se ne andò senza
dire nulla.
La partita di quidditch fu un ottimo distensivo per
tutti. I ragazzi erano entusiasti, allegri.
La vittoria dei Griffondoro rese felici tre case su
quattro.
Tonks arbitrò con precisione e dimostrando una
serietà inedita.
Le piaceva quello che stava facendo e sapeva di
doverlo fare con il massimo della imparzialità. Ma continuava a pensare che
Piton non era rientrato da due giorni e non c’erano notizie.
Nessuno ne parlava, tutti aspettavano.
Silente aveva già provveduto a chiedere a Lupin di
sostituirlo se non fosse arrivato l’indomani per l’inizio delle lezioni
settimanali.
Era possibile che tornasse in condizioni tali da non
poter fare lezione.
Sentiva il dolore irradiarsi ovunque nel suo corpo.
Respirava a fatica e sperava che il cespuglio lo proteggesse il tempo
sufficiente a smaterializzarsi.
Doveva tornare e passare l’informazione.
Almeno era riuscito a entrare durante l’incontro dei
Mangiamorte, grazie al suo aspetto non umano, senza che lo riconoscessero.
Erano tutti lì, nella grotta, i migliori maghi di Voldemort e anche Lui. Aveva
potuto udire quali fossero i piani di attacco prima di essere cacciato fuori
con i suoi simili da un Malfoy indignato dal loro movimento continuo.
Quando era atterrato, quasi schiantato a terra, non
si era accorto subito di essere senza bacchetta.
Ma quando la guardia messa dai Mangiamorte
all’apertura della grotta, lo aveva notato, sporco e lacero, scambiandolo per
un povero pazzo o ubriaco e aveva cominciato a prenderlo a calci si era reso
conto che non aveva nulla per contrastarlo, neppure la forza.
Era rimasto stretto a se stesso aspettando che la
finisse.
Bellatrix era uscita (aveva ancora la sua mania per
le stelle) e si era avvicinata a guardarlo. Quando lo aveva riconosciuto aveva
spedito la guardia ad avvisare all’interno che una spia si stava avvicinando e
che un traditore era tornato all’ovile.
Mentre lei urlava verso il poveretto, era riuscito a
richiamare a se la bacchetta, ma la mossa successiva lo aveva trovato
impreparato.
Bellatrix aveva lanciato contro di lui uno dei più
feroci incantesimi di Magia Nera che lo aveva marchiato sulla pelle del petto e
delle braccia come fosse fuoco acceso.
Aveva urlato dal dolore, con tutto il fiato che le
costole doloranti gli permettevano di trovare. Si era irrigidito e aperto come
un burattino per poi ricadere su se stesso, come un cucciolo d’uomo indifeso.
Bellatrix era rientrata per chiamare a sé tutti gli
altri, vedendolo immobile, come svenuto.
Non poteva fermarsi, non adesso. Aveva delle
informazioni fondamentali, doveva portarle all’Ordine. Doveva tornare a casa.
Strisciando sulla schiena e tenendosi le braccia
aggrappate alle gambe per non aumentare il dolore, si trascinò verso il
cespuglio più vicino, cercando di controllare il respiro a sufficienza per
potersi smaterializzare da lì.
Pronunciò con un filo di voce l’incantesimo e si
ritrovò a terra, dentro la Stamberga Strillante, attraversato da un dolore
incessante, con la sensazione di svenire.
Non era rimasta traccia di lui vicino al cespuglio.
Doveva avvisare qualcuno… ad Hogwarts… Mentre gli occhi si chiudevano vide l’ombra di Lupin sopra la sua testa.