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Autore: KamiKumi    04/09/2017    1 recensioni
Cosa succede ad un uomo che è stato tradito ed abbandonato dalla sua ragazza dopo una lunga relazione di cinque anni?
Vi ricordate di Nate Brown?
Questa è la sua storia.
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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IL CAPITOLO PRECEDENTE È STATO MODIFICATO, CONSIGLIO UNA RILETTURA. GRAZIE.

 

Oggi è finalmente lunedì, ossia il giorno che per chiunque lavori nella ristorazione è domenica. La pizzeria è chiusa il primo giorno della settimana e, per quanto mi piacerebbe rimanere a letto a crogiolarmi nella solitudine/attaccarmi alla bottiglia con la mano destra nelle mutande, mi tocca dare una sistemata al mio aspetto malconcio per andare nell'ufficio del mio psicologo. Mio malgrado sono costretto ad andarci, dato che al lavoro sanno del mio problema con l'alcol. Per fortuna grazie alla mia esperienza nel campo e al mio carisma (o all'incredibile pietà di Rick) ho ancora un posto di lavoro. Tuttavia ce l'avrò solamente fino a che continuerò, e porterò al termine, questa inutile terapia. Questo è l'accordo.

Mi dirigo in bagno ancora barcollando ed entro in doccia evitando di guardare il mio riflesso allo specchio, voglio evitare di autocommiserarmi già dalle prime ore del mattino.

Come ben sapete, un quarto d'ora dopo sono pronto ed esco dalla mia stanza, ben poco felice di affrontare nel modo più inutile il mio unico giorno di riposo settimanale.

Quando oltrepasso la soglia dello studio vengo invaso da un fastidioso odore di fiori. Nemmeno riconosco quali siano, li odio negli ambienti chiusi. Appena li cogli appassiscono, stanno meglio in un giardino ben curato. Oltretutto mi chiedo come possano esser vivi, date le rigide temperature.

Comunque, entro nello studio senza bussare: la porta in ogni caso era aperta e la chiudo alle mie spalle solo una volta che sono entrato, poi prendo posto alla solita poltrona lasciandomici cadere a peso morto con un forte sospiro, proprio come sempre. Incrocio le mani sullo stomaco e tengo i piedi appoggiati saldamente a terra mentre aspetto di ricevere le attenzioni per cui mi sono presentato.

Nel giro di pochi istanti la sedia da ufficio che mi sta di fronte ruota, così che il soggetto smetta di osservare il paesaggio fuori dalla finestra per dedicarsi a me.

«Riconoscerei il tuo atteggiamento anche ad occhi chiusi.» Incontro i suoi occhi color nocciola nascosti dietro un paio di lenti da occhiali da vista dalla montatura fine ed elegante. La voce è decisa, velata di divertimento, quando sfugge alle sue labbra rosee. Oggi i capelli biondi sono sciolti intorno al suo viso latteo, e li tiene composti portandoseli dietro alle orecchie. Avrei dovuto dirvelo che il mio psicologo è una donna davvero attraente?

«Wow, i tuoi sensi devono essere davvero molto sviluppati.» Replico ironicamente, la dottoressa Olivia Craig di tutta risposta posa la schiena sullo schienale incrociando le braccia al petto. Con la coda dell'occhio noto che la camicetta rosa che indossa oggi aderisce perfettamente al suo seno, come se le fosse stata cucita direttamente addosso, ma distolgo velocemente lo sguardo. Non ci tengo ad alimentare inutili appetiti destinati a restare sopiti, tuttavia non nego che le stia davvero bene.

Le sue sopracciglia sono sollevate in due archi perfetti e le conferiscono un'espressione di sfida con una sfumatura di divertimento. Proprio così, lo vedete anche voi il sorrisetto stampato sul suo viso, no?

«Tutto qui?» Domanda con un tono di voce che non so se distinguere tra lo stupito o il deluso, quindi mi limito a guardarla con aria confusa. «Beh, sai di solito nelle tue risposte ironiche e scontrose ci metti più accidia. Brown, che delusione!» Esclama scuotendo la testa fingendo disapprovazione, così facendo i suoi capelli fini ondeggiano in sincronia al movimento del capo. Sono così lisci da sembrar finti.

E, in ogni caso, ha ragione: di solito, le rare volte in cui decido di aprir bocca, mi impegno davvero tanto per dare risposte del cazzo. È che questa cosa della terapia proprio non la concepisco. Parlare come può risolvere i miei problemi? Andiamo dai, siate ragionevoli.
La maggior parte degli psicologi nemmeno si prendono la briga di fingere di essere utili, intascano lo stipendio, prescrivono medicine e semplicemente fottono i soldi e le menti di coloro che si affidano alle loro "capacità". Oh si, si vede che sono contro a questo genere di cosacce? Se devo sborsare dei soldi almeno vorrei farlo per un dottore vero. Nah Freud mi dispiace, disapprovo categoricamente la tua psico-analisi.

«Non ho avuto una grande serata.» Brontolo poi senza troppi giri di parole ricordando come ho dato il via alla colossale, e abituale, sbronza della domenica sera. Lei mi osserva con aria compiaciuta, come se sapesse qualcosa che io non so. Quel sorrisetto irritante...

«Beh sai Nate, quando si beve come delle spugne può capitare.» A-ha, colto in fallo. È dunque a questo punto che voleva arrivare? Lei sapeva, voleva umiliarmi? Strega manipolatrice.

Aggrotto le sopracciglia guardandola con aria truce, senza darle la soddisfazione di poter udire una mia risposta. L'astio che trasmetto dovrebbe essere sufficiente a farle capire che il mio umore è appena peggiorato. Dev'essere per questo che riprende a parlare, volutamente in tono provocatorio oltretutto.

«Devi sapere che la nostra è una piccola cittadina. Le voci girano e soprattutto ci sono pochi bar.» Ed è attraverso questa frecciatina ben poco velata che, leggendo tra le righe, capisco che è stata lei stessa a vedermi ieri sera.

Valuto se risponderle o meno, non sono interessato ad avere una vera e propria conversazione. È solo che quell'aria di compiacimento proprio mi irrita... Per questo motivo, da buon adulto quale che sono, decido di continuare a rispondere in maniera assolutamente seria. O forse no.

«Poteva venire a farsi un bicchierino, avrei offerto io.» Cambio posizione sulla poltrona, incrocio le gambe posando la caviglia sinistra sul ginocchio destro mentre, appoggiandomi ad un bracciolo della poltrona, reggo il peso della mia testa sul palmo di una mano. Se è questo che vuole, questo avrà: la solita versione di me ironica, evasiva e spesso stronza. Resto in attesa di una sua risposta che, in realtà, non tarda ad arrivare.

«È proprio ciò che ho fatto: mi sono seduta accanto a te per farti un saluto.» Fa scorrere le rotelle della sua sedia da ufficio sul pavimento e si mette in piedi così da raggirare la scrivania. Si siede sul bordo guardandomi attentamente negli occhi ed è come se allo stesso tempo mi stesse rimproverando con lo sguardo e provando compassione nei miei confronti. È una sensazione che mi riempie di rabbia. Serro i pugni sui manici della sedia, mentre lei riprende a parlare scostandosi i capelli dietro l'orecchio e risistemandosi gli occhiali sul naso «Ti ho ritrovato semi-svenuto al tavolo di un bar,circondato da dodici bottiglie di birra, intento a maledire il profilo Facebook di una povera ragazza.» Alla pronuncia di quelle parole sbarro gli occhi. Che io abbia raccontato di lei? Stringo le labbra in una linea dura sistemandomi sulla sedia nell'inutile intento di non apparire teso. Ok, il fatto che mi abbia visto in quelle condizioni non implica che ci siamo necessariamente rivolti la parola. Con la Dottoressa Craig non ho ancora aperto bocca e gradirei poter continuare su questa strada. Come, mi chiedete il motivo? Oh beh, ve lo dico subito: potrei mai umiliarmi raccontando della mia patetica storia da cornuto, ritrovandomi a rivivere quei momenti che mi hanno tanto sconvolto? La risposta è no. E comunque parlarne non cambierebbe nulla, proprio per questo spero di non averlo fatto.

Lei sospira scuotendo il capo spazientita «Non ti capisco davvero, Brown. Potresti parlare e basta, sai bene che prima inizi questa terapia prima la finisci.» Sospiro di sollievo quando capisco che non sa nulla ma, come se mi avesse letto nel pensiero, ricomincia a parlare. «Basta guardarti negli occhi par capire quanto tu stia ancora male per questa Emily.» Il solo sentir pronunciare il suo nome accende in me una miccia di risentimento che nel giro di pochi istanti esplode come una bomba ad orologeria, inondandomi d'odio e rancore. M'irrigidisco immediatamente rimettendomi in piedi di scatto, lei sobbalza per il movimento inaspettato e improvviso. Mi squadra con sopracciglia aggrottate, i suoi occhi caramellati sono sgranati mentre scrutano con attenzione ogni mio movimento, sorpresa da questa mia reazione. Probabilmente questa rabbia è il primo sentimento che le dimostro di provare, e potrebbe essere anche l'unico. Il mio respiro è affannato mentre cerco di dominare le emozioni. Mesi e mesi per eliminare il suo viso dal mio cuore, quando solo sentirne pronunciare il nome mi stravolge al punto di non riuscire quasi a contenere la mia rabbia.

Lei si avvicina a me sedendosi su tavolino che mi sta di fronte. Ora siamo distanti solo un metro l'uno dall'altra. Ha stampata sul viso la compassione e non riesco a tollerarlo. Distolgo con un grande sforzo lo sguardo dai suoi occhi azzurri, nonostante sia un peccato disfarsi di una tale visione. Ora devo solo consolidare quel muro che ho eretto per non lasciar crollare di nuovo il mio cuore nell'abisso dell'umiliazione.

Resta in silenzio per qualche istante. L'unico suono che riesco a percepire è quello dei miei pensieri che da mesi affollano la mia testa senza trovar pace e che ora come ora vorticano incessanti, facendo riaffiorare ricordi e sensazioni che cerco ancora oggi di seppellire invano.

La situazione potrebbe avere due risvolti: in uno sono collaborativo, mi apro e parlo dando sfogo ai miei sentimenti ed iniziando davvero questo strazio di terapia; nell'altro continuo a tacere guardandola in cagnesco, senza pronunciare alcuna parola.

Vi lascio indovinare quale opzione scelgo. Di conseguenza continuiamo a fissarci, lei pazientemente in attesa ed io semplicemente irritato fino al midollo.

La dottoressa sospira scuotendo il capo «Che ne dici di iniziare a spiegarmi chi è Emily?»

Tuttavia se ció che la cara, dolce ed apprensiva signorina Craig voleva ottenere era una confessione tutto quel che ricava è il peggioramento della situazione.

«Smettila di pronunciare quel nome davanti a me.» Sbraito ancor prima di rendermi conto di aver reagito. Ho il respiro affannato ed il mio corpo si sta scaldando per la rabbia che, sopita, si sta risvegliando.

Si mette in piedi anche lei e solo in quel momento mi rendo conto di essermi alzato. Curva le sopracciglia assumendo un'espressione tra il contrito ed il preoccupato. «Nate. Ti presenti a queste sedute ormai da tre mesi. Una volta alla settimana, da allora, ti siedi su quella poltrona» e la indica «ed ammutolisci per un'ora intera, limitandoti a scaldare il posto e facendomi perder tempo.» La sua voce calma e dolce d'insinua dentro di me, placando per un attimo la mia ira. La guardo negli occhi, ascoltandola. «Nate tu hai bisogno di parlarne, ti serve aiuto per superare questa storia.»

Scuoto la testa passandomi le dita tra i capelli, come se fossi preda di un'isterismo incontrollabile «Non dirmi di cosa cazzo ho bisogno.» Sibilo a denti stretti in tono minaccioso, più di quanto probabilmente avrei voluto. Lei si limita a fissarmi da dietro le lenti dei suoi occhiali, ammutolendosi serrando le labbra in una linea dura. Inspiro dal naso abbassando e palpebre nel tentativo di riacquistare la mia calma. «Me ne vado.» Annuncio infine voltandomi verso la porta.

«Nate, aspetta. Parlami. Io posso aiutarti.» Esclama con determinazione, non perdendosi d'animo. L'ammiro. Dal suo sguardo capisco che non ha intenzione di arrendersi. Ma non mi riguarda. Se non sapessi che lo fa per lavoro potrei credere che le importi di me. La sua voce è quasi una supplica, ma me la lascio comunque alle spalle chiudendola nella stanza, dietro la porta del suo studio.

«Non ho intenzione di farmi giudicare.» Sbotto tra me e me, non riuscendo a tollerare oltre la visione impressa nella mia mente dei suoi grandi occhi chiari velati di apprensione nei miei confronti. Non voglio sentirmi che devo andare avanti, che devo superarla, che ci sono tanti pesci nel mare, che mi sto distruggendo e devo risolvere questo problema che sto alimentando giorno per giorno da mesi. Ma indovinate un po'? Non ho fottutamente intenzione di chiedere aiuto, di smettere di bere o di pescare un altro pesce dal mare. Ho l'alcol e anche se questo non risolve i problemi, quantomeno mi aiuta ad andare avanti schifoso giorno per schifoso giorno e se mai dovesse arrivare il momento in cui avrò bisogno di aiuto sarò semplicemente io a chiederlo.

Me ne vado da li a passo lento, come se camminando dovessi trascinarmi delle pesanti catene legate alle mie caviglie.

Me ne vado diretto al bar con l'obiettivo di dedicarmi all'attivitá che meglio mi riesce: bere.
 

S O N O    Q U I .

Quanto tempo per questo secondo capitolo! (Che in realtà è pronto dagli inizi di Agosto...)
Mi scuso per la confusione per lo scambio dei capitoli, in un secondo momento ho deciso di stravolgere i due invertendoli e smontandoli per il bene della trama.
Spero comunque vi piaccia!
Gli aggiornamenti per Away From You temo saranno più lenti del previsto, ma abbiate pazienza per favore!
Un bacione, 
KamiKumi
   
 
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