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Autore: milly92    04/09/2017    1 recensioni
“Io sono Alice, piacere. La mediatrice culturale”.
“La che?”.
Offesa, feci una smorfia: il mio era un mestiere come tanti, non di certo uno di quelli super fighi con il titolo tradotto in inglese giusto per sembrare ancora più irraggiungibili.
“La me-dia-tri-ce culturale” rispiegai pazientemente.
“Ah, mediatrice! A causa del viaggio sto così fuso che avevo capito meretrice, ecco perché ero confuso” ridacchiò, con un palese accento romano. “Salvatore, comunque. Piacere. Faccio questo mestiere da cinque anni e non ho mai sentito parlare di una mediatrice nel team!”.
“E’ un’eccezione, oltre agli inglesi ci sono gli spagnoli e l’azienda aveva bisogno di una traduttrice. Diciamo che è un esperimento... Scusami comunque, mi sono bloccata nel bel mezzo della strada perché ho appena ricordato di aver dimenticato l’adattore e il mio cellulare è appena morto”.
“Azzò, sei perspicace, Alice la Mediatrice. Spero non dimentichi le traduzioni delle parole così come dimentichi le cose essenziali”.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 5

Day 5: La vida es un Carnaval

 

A volte la vita ti fa qualche favore sotto una forma che a prima vista può sembrare negativa.

Il favore in questione, quel lunedì sei luglio, per me fu essere costretta a starmene chiusa in ufficio ad aiutare Saverio con una questione di rilevante importanza.

Quel sabato il programma prevedeva una visita di due giorni ad Oxford e i ragazzi avrebbero alloggiato in un hotel dal sabato alla domenica pomeriggio, poi saremmo tornati in college.

C’era stato un problema con la prenotazione dell’autobus e con il numero delle camere – gli inglesi avevano ordinato 80 singole quando poi in realtà le camere erano doppie – e il team era così indaffarato che Saverio si era preso carico di aggiustare la situazione.

Quella mattina ero scesa a colazione per ultima per starmene in santa pace visto che non mi andava di rivedere Luca e volevo rimandare il più possibile il momento in cui avrei dovuto parlargli o anche solo vederlo.

 Avevo trangugiato il tutto in dieci minuti scarsi e Saverio mi aveva trovato seduta sul prato vicino all’ufficio, in attesa che si facessero le nove.

“Alice! Ma che fine hai fatto? Dove eri a colazione?” chiese, avvicinandosi rapidamente.

Sembrava preoccupato come non mai ma sollevato nell’avermi trovato.

Io, che stavo ascoltando una delle registrazioni delle mie migliori amiche che rispondevano ai miei drammi della sera precedente, alzai lo sguardo e gli sorrisi per rassicurarlo.

“Scusami, ho fatto tardi, sono arrivata alle otto e dieci. Stavo aspettando le nove...” spiegai, indicando l’orologio.

Lui annuì e prese posto al mio fianco, continuando a guardarmi con attenzione.

“Alice, se c’è qualche problema dopo ieri, devi dirmelo” esclamò, deciso più che mai. “Ti conosco da cinque giorni ma mi sono già affezionato a te e mi odierei nel caso in cui tu ti sentissi a disagio a causa mia”.

Colpita nel profondo, mi lasciai scappare un sorriso di gratitudine e riconoscenza sincero più che mai e mi portai instintivamente una mano al cuore.

“Saverio! Sei il migliore capo del mondo, davvero. E’ tutto ok, sto bene e ho capito il tuo discorso. Se ti sembro un po’ giù non è a causa tua, ho avuto delle notizie poco piacevoli riguardo la mia migliore amica e mi dispiace starle lontano in un momento delicato” mentii, sentendomi uno schifo per la bugia inventata.

Consocendomi, almeno quel giorno mi sarei comportata non proprio come al solito, quindi era meglio avere già una scusa pronta per giustificare eventuali momenti di incazzature e cose simili.

Se dovevo sorbirmi qualche scenetta in cui Luca faceva l’idiota con Paula, tanto valeva avere già una scusa per giustificare il mio istinto omicida.

“Oh, mi dispiace... Le cattive notizie non vengono mai da sole, purtroppo. E’ successo un casino” e qui mi spiegò l’avvenimento catastrofico.

Per sua fortuna avevo qualche esperienza nell’organizzazione dei viaggi e di planning in generale, frutto di circa tre anni di esperienza come organizzatrice di viaggi nel mio gruppo di amici, così fui ben lieta di dargli una mano e mettere a frutto ore di telefonate con le compagnie aeree e dei padroni dei vari appartamenti in cui avevamo alloggiato.

Il colpo di fortuna fu avere un ufficio tutto mio per l’occasione, visto che da noi non c’era il telefono e la struttura ci concesse l’uso del telefono fisso e di un portatile.

Avevo la possibilità di concentrarmi su un problema che non mi riguardava, starmene lontana da certe fonti di distrazioni e sentirmi meglio per l’eventuale risoluzione di un problema: cosa potevo chiedere di meglio quel lunedì grigio e piovoso?

 

 

L’ufficio che mi fu assegnato quella mattina era una piccola reggia: niente moquette, il pavimento era in parquet, era più grande della mia stanza ed aveva una sedia comodissima insieme a qualche divano super soffice in pelle bianca.

Secondo me non era un semplice ufficio, forse durante l’anno era la sala professori che insegnavano al Queen’s College.

Fatto sta che per starmene più comoda presi il portatile e mi appoggiai sul divano, presi il telefono e mi apprestai a fare un enorme giro di chiamate.

Di fronte a me, Saverio aspettava con ansia, mi dava qualche suggerimento, sclerava con me quando mi mettevano in attesa con la musichetta.

Ogni tanto Elena ci raggiungeva per avere ulteriori istruzioni da Saverio riguardo cosa dovevano fare i GL e a come far andare avanti la giornata in quella situazione di emergenza, ci dava qualche suggerimento o ci portava del caffè.

Fuori la poggia batteva brutalmente contro le finestre di vetro del college, creava un sottofondo malinconico alle nostre conversazioni piene di dubbi e ansie ma a me piaceva quell’atmosfera, la trovavo perfetta per il mio umore del momento e mi faceva rilassare allo stesso tempo.

Ho sempre amato la pioggia mentre me ne stavo a casa, al caldo, mi ha sempre regalato una sensazione di beatitudine che non so spiegarmi.

“Non ci credo, è fatta! La tizia dell’hotel ci ha dato l’ok, 40 camere doppie e per scusarsi dà una stanza con letto matrimoniale a te, Saverio, al costo di una singola. Dobbiamo pagare una differenza di cinquecento sterline, ma credo che sia il meglio che potessi fare” urlai alle undici e quaranta, dopo quasi tre ore di telefonate, litigate e attese.

Ero rossa in viso, tremante, ma mai quanto Saverio che dilatò le pupille come se avessi vinto alla lotteria, urlò un: “Sìììììì!” e mi si avvicinò.

Non so con quale dinamica riuscì ad alzarmi dal divano e a sollevarmi come se fossimo una coppia di novelli sposi, urlando: “Alice sei grande! Alice for president!” e scuotendomi in un modo che mi fece quasi venire le vertigini.

“Saverio, grazie ma... Aiuto, Saverio!” protestai, ma lui non si arrese.

Si fece forza e mi condusse all’ascensore, scese al primo piano e, continuando a tenermi tra le sue braccia, varcò la soglia dell’ufficio dove stavano gli altri.

Ovviamente era toccato a me spingere la porta per farla aprire e consentirci di passare.

Tutti stavano svolgendo le varie mansioni a cui il capo non poteva dedicarsi quella mattina, così, al “Ragazzi, problema risolto!” di Saverio si voltarono e rimasero di stucco nel vederlo tutto fiero mentre mi teneva sollevata. “Dopo tre ore, la nostra mediatrice ha davvero risolto il problema creato da quel team di cretini! Sabato si va ad Oxford grazie a lei! Te lo dico davanti a tutti, per ringraziarti ti cedo la mia camera lussuosa”.

Si levò un coro di: “Alice! Alice! Alice!” con tanto di applauso, Mario venne in soccorso di Saverio che stava per morire a causa del mio peso e lo aiutò, prendendo metà del mio corpo sulle sue spalle.

“Ragazzi grazie, vi voglio bene ma mettetemi giù...”.

“Ok”.

Mario mollò la presa, Saverio a stento se ne accorse in tempo e come risultato quasi mi ritrovai a sbattere con il sedere per terra, mi salvai solo grazie all’appoggio delle mani sul pavimento.

“Oddio, scusa!”.

“Mariooooo!” protestai, con una smorfia di dolore.

“Ma è colpa mia se pesi due quintali?”.

“Mario, coglione!” sbraitò Saverio. “Alice possiamo farla fuori alla fine del soggiorno, ora ci serve” ironizzò.

Li guardai male, senza riuscire a sollevarmi, e per fortuna Giada venne in mio soccorso, preoccupata.

“Ti sei fatta male?” chiese premurosa, mentre gli altri due le facevano spazio.

“No, no, solo un brutto atterraggio” sospirai, lasciandole afferrare la mia mano per aiutarmi a rialzarmi.

Mi appoggiai al muro e notai che sentivo solo le gambe indolenzite insieme alla zona lombare, ma niente di più.

L’unico problema erano i tre gradini che conducevano alla zona interna dell’ufficio, posto a distanza dal piccolo ingresso.

Giada mi aiutò a scendere e poi presi posto sulla sedia, dicendomi che ormai ero condannata a non fare una cosa in modo normale nemmeno sotto tortura.

“Va meglio?” chiese Saverio.

“Sì”.

“Ok allora. Andiamo ad Oxford ragazzi, popopopo....” urlò Mario, facendo ridere tutti, prima di voltarsi e abbracciarmi. “Grazie, eravamo davvero nella merda, come hai fatto?”.

“Sarà l’effetto Alice, come lo chiamo io”.

Mi irrigidii.

Luca si era avvicinato, ovviamente di buonumore, e si era inginocchiato per stare alla mia stessa altezza visto che me ne stavo seduta.

“Nessun effetto Alice, basta impegnarsi” minimizzai, sentendo improvvisamente la gola arida.

Lui annuì e Mario si allontanò, chiamato da Elena.

“Sicura di star bene? E’ stata una brutta quasi-caduta” osservò, per poi accarezzarmi una guancia con fare fraterno e portare una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

Quel gesto mi fece irrigidire, non mi sentivo ancora pronta nello stargli così vicino dopo aver realizzato cosa provavo per lui.

“Sto bene, sono di coccio, davvero” borbottai, distogliendo lo sguardo.

“Non avevo dubbi. Sei grande, hai salvato il viaggio ad Oxford!”.

“Saremmo andati comunque, Luca, ho solo anticipato un po’ i tempi”.

“Smettila di sminuirti. Io ti guardo e vedo una che si fa in quattro per il gruppo, non sei l’organizzatrice dei viaggi, così come non sei un’animatrice, eppure ieri hai salvato la serata salsa e ora hai riprenotato l’hotel...”.

“La serata salsa l’avete salvata voi con il vostro entusiasmo nel ballare, io ho fatto una dimostrazione di qualche minuto scarso” sbottai, senza riuscire a trattenermi.

Perché tornare a quel punto?

Perché rivangare i ricordi pessimi della sera precedente?

Lui parve captare la mia ostilità ma non mutò atteggiamento.

“Ieri ti ho cercato per invitarti ma stavi con Saverio...” borbottò, un po’ a disagio.

“Mi stava dicendo delle cose per oggi. Tu eri con Paula, comunque, no?” obiettai, di nuovo senza potermi controllare.

“Sì, ma avrei preferito la maestra di ballo della serata”.

“Avresti potuto dirglielo. La gente non legge nella mente, può solo interpretare ciò che vede” dichiarai, decisa come non mai.

Lessi una sorta di lampo nei suoi occhi ma non poteva fregarmene di meno: che senso aveva tenersi tutto dentro?

“Hai ragione, d’ora in poi seguirò il tuo consiglio” annuì, sforzandosi di sembrare normale.

Mi diede una pacca sulla spalla e tornò al suo dovere, mentre gli altri si avvicinavano per dirmi una parola carina o ringraziarmi per il lavoro svolto.

“Allora è vero che qualcosa la sai fa, Alì” esclamò Salvatore, forse sorridendomi in maniera sincera per la prima volta da quando ci conoscevamo.

“Qualcosina, dai” concessi, accennando un sorriso a mia volta.

 

 

L’hotel in cui avevamo prenotato le camere per il weekend ad Oxford era davvero stupendo, era a  quattro stelle ed aveva una bellissima spa di cui, volendo, avremmo potuto usufruire.

Per questo ad ora di pranzo non si parlava d’altro: stanchi come eravamo, immaginare di passare anche solo un’ora in una vasca idromassaggio sembrava un sogno.

“Io non capisco come sia venuto questo lampo di genio all’azienda, voglio dire, Oxford è a due ore da qui, potevamo tranquillamente farci un giorno, e invece... Mai vista una cosa simile” esclamò il capo tra un boccone e l’altro.

Ora che la prenotazione era assicurata e non era più un dato incerto, tutti guardavamo le foto dell’hotel come se fosse un sogno se messo a confronto con il modesto college in cui vivevamo.

“Saverio, ma davvero mi cedi questa stanza?” esclamai, buttandogli in faccia la foto della camera deluxe riservata a lui come regalo dell’hotel.

“Certo che no”.

“Va bene, mi basta che mi ringrazi prima di dormire tra quelle soffici coperte...”.

“E chi ti dice che ci dormo? Potrei por...” si bloccò, probabilmente memore della conversazione della notte precedente e ricordando che non era nemmeno il caso di scherzarci su.

Tuttavia, compresi tutto e mi limitai a guardarlo con finta aria di disappunto.

“Ma a noi non è andata male, cioè, una camera standard è pur sempre da sogno” sottolineò Nadia, quasi con gli occhi a forma di cuore. “Se non siete i tipi che rubano i prodotti omaggio dateli a me, questi come minimo ti danno prodotti della Lush...”.

“Della che...?” domandò Luca.

Lush-ia stare” disse Clara, scatenando le risate della parte femminile del tavolo.

Io, Giada e Nadia le facemmo segno di approvazione per la battuta mentre i ragazzi ci guardavano come se fossimo matte.

“Ora sapete come ci sentiamo quando fate le vostre battutine” commentò Giada, prima di prendere un pezzo di pane e addentarlo.

“Ma davvero non possiamo usufruire della spa? Nemmeno quando i ragazzi dormono?” domandò supplicante Luca, che non smetteva di guardare la foto della sala benessere.

“Perché secondo te i ragazzi dormiranno... Non possiamo creare disagi all’hotel, dobbiamo sorvegliare i ragazzi. Cioè, voi dovete farlo, io ci andrò alla spa”.

“Ma io e Giada che non abbiamo il compito di sorvegliare...?” domandai, giusto per metterlo in difficoltà.

“Sì, abbiamo capito che vuoi andartene nella vasca idromassaggio con lo spagnolo, ammettilo” ridacchiò Mario.

Calò una sorta di silenzio imbarazzante ed io lo fulminai con lo sguardo.

“Lo spagnolo?” chiesi, quasi sprezzante.

“Mario, il viaggio è con il team inglese”.

“E allora Alice che viene a fare?”.

“Il lunedì ci sarà una gita con gli spagnoli, come la organizziamo se io non traduco le email e parlo con loro al telefono quando chiamano Saverio?” sbottai.

“Tralasciando questo, Alice ci ha salvato il sedere oggi e non merita nemmeno di visitare Oxford?” domandò Luca, guardando male Mario per la prima volta da quando lo conoscevo.

L’activity leader comprese di aver esagerato perché alzò le mani in segno di resa, guardò verso il coordinatore che ricambiò lo sguardo come a dire “hai esagerato”.

“E ci terrei a ribadire una volta per tutte che io e certi spagnoli non abbiamo alcun rapporto di natura non professionale. Sono la prima a cui piace ridere e scherzare ma già dei ragazzini ci hanno visti da Costa e pensano chissà cosa quando lui stava aspettando il suo capo, quindi evitiamo di alimentare certi gossip, grazie” sentenziai.

Tutti annuirono e Luca abbassò la testa, evidentemente colpevole visto che lui era con il gruppo di adolescenti che ci aveva visto.

“Detto ciò, parliamo di cose serie. Domani a mezzanotte sarà il mio compleanno e vorrei festeggiare con voi durante la riunione, comprando qualcosa da bere e da mangiare” spiegai, cambiando decisamente tono e sforzandomi di risultare più animata possibile.

“Certo, riunione straordinaria per Alice!” esclamò Elena, decisamente gasata.

Probabilmente era felice per il cambio di argomento che avevo fornito, evitando che l’aria diventasse ancora più pesante.

“Allora ti stiamo davvero simpatici” constatò Nadia, facendomi l’occhiolino.

“Ma sì, dai”.

“Possiamo festeggiare alla mezzanotte dell’ora italiana? Perché io avrei sonno” mi prese in giro Saverio.

“Porta sfiga fare gli auguri prima!”.

“Auguri, Alice” esclamò Salvatore, facendo ridere tutti. uelQUel QU

 

Quel pomeriggio, i ragazzi erano impegnati con le attività dei laboratori a cui si erano iscritti e a me, ovviamente, toccò occuparmi del materiale che non avevo avuto modo di tradurre quella mattina.

Mario era in palestra con Javi e George per cercare di reperire il materiale per la serata “’90 contro ‘2000”, Saverio ed Elena parlavano con uno dei resposabili dell’azienda tramite Skype, Giada scriveva i verbali delle visite fatte fino ad ora, i GL sorvegliavano i tre diversi laboratori con gli altri dei vari team.

Di nuovo, lavorare mi consentì di concentrarmi su ciò che dovevo fare senza ulteriori pensieri, mi diede una strana energia che, ovviamente, venne incanalata nel modo sbagliato quando, alzando lo sguardo da un post it, vidi che Luca si era appena seduto di fronte a me, dove di solito c’era il capo.

“L-Luca!” esclamai, sorpresa nel vedermi il suo bel viso di fronte così, senza preavviso.

“Ali, ehi. Ti ho spaventato?” chiese, con quel maledetto sorriso che apprezzavo fin troppo ma che ogni volta era in grado di distrarmi.

“No, ero solo concentrata” minimizzai, indicando il foglio su cui stavo lavorando.

“I ragazzi erano tranquilli, noi siamo quattro, i laboratori sono tre, mi sono preso qualche minuto per portarti uno snack, li stavano distribuendo al laboratorio di cucina” disse, porgendomi una confezione di Bounty. “Ti piace il cocco? Mica sei allergica?”.

“Ma grazie! Lo adoro”.

In effetti avevo fame, così aprii la confezione, presi uno dei due pezzi e gli porsi l’altro.

“Cosa? Ma è per te”.

“Uno è più che sufficiente”.

Senza troppi complimenti, così, prese il secondo pezzo e lo addentò.

“Ti stavi annoiando al laboratorio?” domandai, giusto per fare conversazione.

“No, ma...” esitò, portandosi una mano tra i capelli scuri e guardandosi intorno. Sembrava combattuto, come se si trattasse di un affare di stato. Alla fine sembrò risolvere la sua piccola guerra interiore e mi guardò negli occhi. “Paula non mi ha mollato un secondo, mi ha chiesto di cucinare il gas qualcosa...”.

Gazpacho?”.

“Quello che è, con lei e poi... Mi ha chiaramente fatto capire che stanotte avrei potuto andare in camera sua senza problemi” rivelò, un po’ imbarazzato.

Quasi mi strozzai con il pezzo di Bounty che stavo masticando, mi ci volle una buona dose di concentrazione per deglutire senza rimanerci secca.

Mi fiondai a bere quasi tutta l’acqua che avevo nella mia bottiglina e lui mi guardò, in attesa.

“E brava Paula. Cosa pensi di fare? Cioè, so che non sono affari miei...” cercai di ricompormi, cercando di ignorare le fitte al mio stomaco per quella notizia.

Perché me ne stava parlando?

Mi voleva forse morta?

Mi era bastato vederli ballare la sera prima per andare in bestia e per ridurre il mio fegato in una poltiglia, non avevo bisogno di ulteriori dettagli.

“Alice, che domande! Dai, lo so che Saverio ha fatto anche a voi il discorso sulla professionalità e tutto il resto, io amo questo lavoro, amo stare a contatto con i ragazzi e di certo non rischierei una brutta valutazione nel caso qualcuno mi scoprisse con lei. Voglio dire, non è nemmeno discreta, mi ha palpato il sedere mentre prendevo degli ingredienti!” rivelò, alzando gli occhi al cielo.

Avevo quasi gli occhi fuori dalle orbite, incredula per il modo di porsi di Paula in un ambiente lavorativo, ma allo stesso tempo la invidiai perché il sedere di Luca non era affatto male ed io stessa mi ero scoperta a fissarlo qualche volta quando, durante qualche escursione, mi era capitato davanti.

“Ma se non fosse per le regole? Avresti accettato?” decisi di insistere, spinta dalla voglia di saperne di più.

“No. Paula è bellissima ma non mi suscita interesse. Ieri stavamo scherzando su chi ballasse la salsa nel peggiore dei modi, per questo l’ho invitata” anticipò, come se avesse capito dove volevo andare  a parare.

Abbassai lo sguardo e finsi interesse per la penna che stavo utilizzando fino a poco prima.

“Non devi giustificarti con me...”.

“No, devo. Ti avevo chiesto un ballo poi non mi sono fatto vivo. E’ che ho visto la foto con Javi nel gruppo e mi sentivo un asino a confronto, cioè, lo sono ma...”.

“Luca” lo interruppi, “Non mi sono goduta nemmeno un istante del ballo con Javi, non ero nemmeno in me. Hai ragione, Saverio ha fatto anche me quel discorso e lo ha fatto ieri, credeva che Javi ci stesse provando e che io stessi al gioco”.

“Javi ci sta provando con te, Alice. Ti guarda...”.

“Vi siete fissati voi e questo “ti guarda..!” esclamai, esasperata. “Al massimo sì, mi guarda, ma non fa altro, fino a prova contraria è Paula che ci ha provato”.

“Perché non gliene hai dato l’opportunità, fidati. Devi rivedere le foto di ieri, durante il casquet ti ha guardato in un modo pieno di... Desiderio, ecco”.

“A me non potrebbe interessare di meno. Siamo qui per lavorare, non per lasciarci distrarre da storie e cose simili” ribadii, sentendo le pernacchie che mi facevo da sola nel mio cervello per l’incoerenza di quello che stavo dicendo, visto che non riuscivo a non staccare gli occhi dal ragazzo che mi stava di fronte e per qualche istante avevo anche immaginato una scena da film in cui lui buttava per l’aria tutti i fogli della scrivania per tuffarcisi sopra con me, mentre mi baciava selvaggiamente e faceva vagare le sue mani sotto la mia maglietta...

“Ma se incontrassi qualcuno che ti piace?” insisté lui. “Che faresti?”.

“E tu? Che faresti?”.

“Non si risponde a una domanda con una domanda! Comunque... Beh, in maniera discreta, ma ci proverei”.

“Io... Beh, da indecisa cronica come sono aspetterei una sua prima mossa per essere sicura. E’ sbagliato, lo so”.

Luca sorrise e appoggiò una mano sulla mia, con la stessa aria malandrina che gli avevo visto dipinto in faccia il giorno prima.

“Allora dobbiamo dedurre che non siamo super integri, solo che Paula e Javi non ci interessano”.

Scoppiai a ridere  e, mio malgrado, annuii.

Aveva maledettamente ragione perché nella realtà alternativa del mio cervello lui mi aveva appena sbattuto contro il muro, mi stava baciando il collo e tra un bacio e l’altro mi sussurrava cose eccitanti all’orecchio.

“Se Saverio sapesse...” sussurrai.

“E’ umano anche lui e per me qualche cotta qui ce l’ha a sua volta”.

“Cosa? E con chi?”.

Luca fece un segno negativo con la testa, con l’aria di chi scende dalle nuvole.

“Vedremo se il tempo mi darà ragione o no” sentenziò, finendo finalmente l’ultimo pezzo di cioccolato al cocco e guardandomi con aria furba.

Scossi il capo, sospirando, e per fare qualcosa lessi di nuovo uno dei post it su cui stavo riassumendo i punti della gita al London Eye che si sarebbe tenuta quella settimana.

“Penso sia meglio tornare, tra venti minuti il laborario finirà” esclamò lui, guardando l’orologio e poi alzandosi. “Spero di non averti disturbato”.

“No, mi ci voleva una pausa” lo rassicurai.

Luca si aprì in un sorrisone e si avviò verso la porta, salvo poi girarsi.

“Promettiamoci di dirci chi ci piace, che dici? Così possiamo sostenerci a vicenda e capire se ne vale la pena o no” propose, come se stessimo parlando di una partita a scacchi.

Sorpresa, annuii, per poi vederlo scomparire una volta uscito.

“Ehii Luca, scusami, mi piaci tu, che dici, ne vale la pena?” mormorai impercettibilmente, prima di buttare la testa sulla scrivania e circondarla con le braccia, come ero solita fare al liceo durante le ore di greco.

 

Mentre i ragazzi si sfidavano nel gioco ’90 contro ‘2000 – cosa non proprio giusta secondo me perché i ragazzi nati nel 1999 erano solo una ventina e il resto erano nati tra il 2000 e il 2003 – io, Giada e Nadia progettavamo la serata successiva.

“Avremo un’escursione quindi potrò comprare da bere e da mangiare” dissi, improvvisamente più rinvigorita e decisamente più energica rispetto ai miei standard.

La situazione era cambiata: avrei passato la serata con i miei colleghi simpatici e la mia cotta del momento che, almeno, aveva respinto le avances di una spagnola bellissima.

Non ero più triste né per l’imminente “quarto di secolo” né per la mancanza dei miei cari, anche perché avrei festeggiato a dovere al ritorno con amici e familiari.

Ora ero lì, in una zona periferica di Londra, e dovevo solo pensare a godermi la giornata.

“Comprare? Divideremo!” obiettò Giada.

“Cosa? No, il compleanno è mio”.

“Ma vogliamo contribuire, l’alcool costa un botto” disse Nadia, decisa.

“Ma parliamo di qualche birra, Nadia, non possiamo bere chissà cosa in servizio. E poi ci tengo, se fossi stata a casa avrei speso almeno un centinaio di euro per una pizza con i miei amici, non si discute” la zittii, decisa.

Non era orgoglio o altro, di solito in base alla mia disponibilità economica offrivo qualcosa ai miei amici e quell’anno non avevo problemi a pagare qualcosa da bere e da mangiare ai miei colleghi.

In più era un modo per avere una riunione diversa, più allegra!

“Io sono libera domani, quindi se vuoi posso truccarti” si offrì Nadia.

Con lei iniziava la piccola serie di giorni liberi che i GL potevano prendersi e si era offerta perché nessuno sembrava volere il sei luglio.

“Davvero? Voglio dire, sarà una cosa super casual, ma anche un trucco base fatto da te sarà spettacolare” mi emozionai, agitando i pugni come una deficiente.

“Ma dai, mi lusinghi!”.

“Sei bravissima!” mi diede man forte Giada. “Alice sarà uno splendore!”.

Abbracciai Nadia, felice, e in quel momento gli altri GL presero posto con noi.

“Abbiamo appena deciso i giorni liberi” annunciò Clara, “E questi due cretini si sono presi uno sabato e l’altro domenica così se ne stanno in hotel a rilassarsi” sbottò, indicando Salvatore e Luca.

“Detto così suona male, è lei che ha detto “Saverio, mi prendo venerdì” e noi abbiamo pensato in grande” si difese Luca.

“Non è colpa nostra se non sei sveglia, Clara” ribatté Salvaotore.

“Devo dire che è emozionanate vederti insultare qualcuno che non è Alice” osservò Giada, facendoci ridere.

“Siete dei culoni” dissi a mia volta. “Potrete godervi la spa!”.

“Alì, detto sinceramente... Puoi farlo anche tu, la sera sarai libera, dai” disse Salvatore, pratico.

“Ma non ho il costume! Voi avete portato il costume per venire in Inghilterra?” chiesi, incredula.

“No, ma si compra. Domani i ragazzi avranno del tempo libero e noi provvederemo. Non ci credo, domenica potrò dormire fino a tardi in quel letto super morbido...” esclamò Luca, chiudendo gli occhi e gustandosi la scena nella sua mente.

“Fortunelli. Sperate che i ragazzi non si facciano male” sbottò Giada,  incrociando le braccia.

“Andrà tutto bene. Deve andare bene” sottolineai.

Ci fu un generale mormorio di assenso mentre Mario annunciava la gara di ballo: tutti ballavano tranne un ragazzo del ’90 e uno del ‘2000 che potevano porre fine alle danze solo indovinando il titolo della canzone.

“Invito anche il nostro staff a non starsene spiaggiato in un angolo, GL, dottoressa, mediatrice, direttore, su! Tutti a ballare!” esclamò, facendoci segni frenetici per invitarci ad alzarci.

George, Alejandro, Javi, Paula e María si avvicinarono al tavolo per invogliarci ad alzarci, María trascinò con sé Salvatore, Alejandro prese Giada, George prese Clara, Paula si avvicinò a Luca che però si scostò, facendomi battere il cuore a mille perché già li immaginavo mentre si strusciavano al centro della pista.

“Alice, quieres bailar conmigo?” disse Javi, con quegli occhi verdi che mi fissavano come se volessero intrapporlarmi ai suoi.

“I asked her to dance with me, sorry. Maybe later” si intromise Luca, senza darmi modo di replicare.

Incredula, trattenni il fiato e riuscii a stento a dire “Descúlpame!” mentre avvertivo la mano di Luca avvolgere la mia con decisione e trascinarmi al centro della pista.

La canzone era “La vida es un carnaval” di Celia Cruz e pensai che al momento si adattava perfettamente alla mia vita e alla mia situazione.

Luca mi appoggiò un braccio attorno alla vita, prese la mia mano tra la sua e iniziammo a ballare goffamente, più che altro perché io mi sentivo rigida come un pezzo di legno.

Nonostante ciò, in cuor mio speravo che nessuno indovinasse la canzone in modo da lasciarci così per ore.

“Ehi, ballerina di salsa, sciogliti” sussurrò, mentre mi faceva volteggiare su me stessa e poi mi riattirava a sé, in modo da farmi ritrovare stretta più che mai al suo corpo.

“Dovrei forse ringraziarti per aver scacciato Javi?” chiesi, senza riuscire a guardarlo negli occhi.

Mi sentivo indifesa, incapace di mascherare i miei sentimenti e alzare lo sguardo probabilmente mi avrebbe tradita.

“Dovresti. Grazie a me non hai dovuto fare la cattiva e rifiutarlo...”.

“Non mi hai lasciato molta scelta”.

“Ora ti lamenti?!” domandò, incredulo.

“No. Un ballo è solo un ballo, no?”.

Luca, che probabilmente non apprezzava il mio guardare altrove, mi portò una mano sul viso in modo da obbligarmi a starmene col volto di fronte al suo e mi guardò negli occhi, poi strinse di più la presa attorno alla mia vita.

“No” disse semplicemente, prima di far sparire la sua testa nell’incavo della mia spalla.

Ce ne restammo così, muovendoci sul posto come il più stupido dei lenti mentre io non sapevo davvero cosa pensare.

Todo aquel que piense,
que la vida es desigual,
tiene que saber que no es así,
que la vida es un hermosura,
hay que vivirla.

Todo aquel que piense,
que está solo y que está mal
tiene que saber que no es así,
que en la vida no hay nadie solo
y  siempre hay alguien

 

Circondai il suo collo con le braccia, stringendolo a me senza guardarlo negli occhi e lui, in un secondo, mi posò un delicatissimo bacio sulla spalla, così delicato da farmi dubitare se fosse successo o meno.

Come succede sempre nei momenti più belli, proprio in quel momento il ragazzino del ’99 indovinò il titolo della canzone e fummo costretti a separarci, senza guardarci negli occhi.

Tutta la sala rideva ed esultava per quella sfida vinta, mentre io non sapevo cosa pensare, cosa dire, come comportarmi nel momento in cui Mario chiamò Luca per farsi aiutare.

Me ne stavo così, immobile in mezzo alla pista, senza cavaliere ma con una porzione dei miei pensieri che nonostante tutto gli apparteneva.

 

 

 

*°*°*°*

Ormai  sempre in ritardo, sì, scusatemi.

A quanto pare nonostante tutti i miei programmi ci si mette qualche lavoretto occasionale a cui non posso rinunciare e così mi slitta la programmazione ^^’

Come sempre,  grazie a chi è arrivato fin qui, ormai siamo nel vivo della storia e Alice è davvero nel pallone, ha una cotta, non sa come comportarsi.

Grazie a Delia Bluetales che come sempre legge i capitoli in anteprima e mi aiuta a correggere gli errori e grazie a tutti voi che state leggendo la storia capitolo dopo capitolo!

Ai nuovi lettori, spero di conoscere la vostra opinione <3

Eccovi un’anticipazione:

“Luca, onestamente... Se vuoi parlare di Paula trova qualcuno a cui interessi, magari uno dei ragazzi” sbottai, prendendo la bottiglia di vino e gettandola con troppa energia nella spazzatura.

“Alice...”.

“Luca, io e te non ci conosciamo” lo bloccai, parandomi le mani davanti per bloccarlo.

 

Cosa succederà? Vi dico solo che ci saranno i festeggiamenti del compleanno di Alice :D

A lunedì,

milly.

  
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