Capitolo 5
Day 5: La vida es un Carnaval
A
volte la vita ti fa qualche favore sotto una forma che a prima vista può
sembrare negativa.
Il
favore in questione, quel lunedì sei luglio, per me fu essere costretta a
starmene chiusa in ufficio ad aiutare Saverio con una questione di rilevante
importanza.
Quel
sabato il programma prevedeva una visita di due giorni ad Oxford e i ragazzi
avrebbero alloggiato in un hotel dal sabato alla domenica pomeriggio, poi
saremmo tornati in college.
C’era
stato un problema con la prenotazione dell’autobus e con il numero delle camere
– gli inglesi avevano ordinato 80 singole quando poi in realtà le camere erano
doppie – e il team era così indaffarato che Saverio si era preso carico di
aggiustare la situazione.
Quella
mattina ero scesa a colazione per ultima per starmene in santa pace visto che
non mi andava di rivedere Luca e volevo rimandare il più possibile il momento
in cui avrei dovuto parlargli o anche solo vederlo.
Avevo trangugiato il tutto in dieci minuti
scarsi e Saverio mi aveva trovato seduta sul prato vicino all’ufficio, in
attesa che si facessero le nove.
“Alice!
Ma che fine hai fatto? Dove eri a colazione?” chiese, avvicinandosi
rapidamente.
Sembrava
preoccupato come non mai ma sollevato nell’avermi trovato.
Io,
che stavo ascoltando una delle registrazioni delle mie migliori amiche che
rispondevano ai miei drammi della sera precedente, alzai lo sguardo e gli
sorrisi per rassicurarlo.
“Scusami,
ho fatto tardi, sono arrivata alle otto e dieci. Stavo aspettando le nove...”
spiegai, indicando l’orologio.
Lui
annuì e prese posto al mio fianco, continuando a guardarmi con attenzione.
“Alice,
se c’è qualche problema dopo ieri, devi dirmelo” esclamò, deciso più che mai.
“Ti conosco da cinque giorni ma mi sono già affezionato a te e mi odierei nel
caso in cui tu ti sentissi a disagio a causa mia”.
Colpita
nel profondo, mi lasciai scappare un sorriso di gratitudine e riconoscenza
sincero più che mai e mi portai instintivamente una mano al cuore.
“Saverio!
Sei il migliore capo del mondo, davvero. E’ tutto ok, sto bene e ho capito il
tuo discorso. Se ti sembro un po’ giù non è a causa tua, ho avuto delle notizie
poco piacevoli riguardo la mia migliore amica e mi dispiace starle lontano in
un momento delicato” mentii, sentendomi uno schifo per la bugia inventata.
Consocendomi,
almeno quel giorno mi sarei comportata non proprio come al solito, quindi era
meglio avere già una scusa pronta per giustificare eventuali momenti di
incazzature e cose simili.
Se
dovevo sorbirmi qualche scenetta in cui Luca faceva l’idiota con Paula, tanto
valeva avere già una scusa per giustificare il mio istinto omicida.
“Oh,
mi dispiace... Le cattive notizie non vengono mai da sole, purtroppo. E’
successo un casino” e qui mi spiegò l’avvenimento catastrofico.
Per
sua fortuna avevo qualche esperienza nell’organizzazione dei viaggi e di
planning in generale, frutto di circa tre anni di esperienza come
organizzatrice di viaggi nel mio gruppo di amici, così fui ben lieta di dargli
una mano e mettere a frutto ore di telefonate con le compagnie aeree e dei
padroni dei vari appartamenti in cui avevamo alloggiato.
Il
colpo di fortuna fu avere un ufficio tutto mio per l’occasione, visto che da
noi non c’era il telefono e la struttura ci concesse l’uso del telefono fisso e
di un portatile.
Avevo
la possibilità di concentrarmi su un problema che non mi riguardava, starmene
lontana da certe fonti di distrazioni e sentirmi meglio per l’eventuale
risoluzione di un problema: cosa potevo chiedere di meglio quel lunedì grigio e
piovoso?
L’ufficio
che mi fu assegnato quella mattina era una piccola reggia: niente moquette, il
pavimento era in parquet, era più grande della mia stanza ed aveva una sedia
comodissima insieme a qualche divano super soffice in pelle bianca.
Secondo
me non era un semplice ufficio, forse durante l’anno era la sala professori che
insegnavano al Queen’s College.
Fatto
sta che per starmene più comoda presi il portatile e mi appoggiai sul divano,
presi il telefono e mi apprestai a fare un enorme giro di chiamate.
Di
fronte a me, Saverio aspettava con ansia, mi dava qualche suggerimento,
sclerava con me quando mi mettevano in attesa con la musichetta.
Ogni
tanto Elena ci raggiungeva per avere ulteriori istruzioni da Saverio riguardo
cosa dovevano fare i GL e a come far andare avanti la giornata in quella
situazione di emergenza, ci dava qualche suggerimento o ci portava del caffè.
Fuori
la poggia batteva brutalmente contro le finestre di vetro del college, creava
un sottofondo malinconico alle nostre conversazioni piene di dubbi e ansie ma a
me piaceva quell’atmosfera, la trovavo perfetta per il mio umore del momento e
mi faceva rilassare allo stesso tempo.
Ho
sempre amato la pioggia mentre me ne stavo a casa, al caldo, mi ha sempre
regalato una sensazione di beatitudine che non so spiegarmi.
“Non
ci credo, è fatta! La tizia dell’hotel ci ha dato l’ok, 40 camere doppie e per
scusarsi dà una stanza con letto matrimoniale a te, Saverio, al costo di una
singola. Dobbiamo pagare una differenza di cinquecento sterline, ma credo che
sia il meglio che potessi fare” urlai alle undici e quaranta, dopo quasi tre
ore di telefonate, litigate e attese.
Ero
rossa in viso, tremante, ma mai quanto Saverio che dilatò le
pupille come se
avessi vinto alla lotteria, urlò un:
“Sìììììì!” e mi
si avvicinò.
Non
so con quale dinamica riuscì ad alzarmi dal divano e a sollevarmi come se
fossimo una coppia di novelli sposi, urlando: “Alice sei grande! Alice for
president!” e scuotendomi in un modo che mi fece quasi venire le vertigini.
“Saverio,
grazie ma... Aiuto, Saverio!” protestai, ma lui non si arrese.
Si
fece forza e mi condusse all’ascensore, scese al primo piano e, continuando a
tenermi tra le sue braccia, varcò la soglia dell’ufficio dove stavano gli
altri.
Ovviamente
era toccato a me spingere la porta per farla aprire e consentirci di passare.
Tutti
stavano svolgendo le varie mansioni a cui il capo non poteva dedicarsi quella
mattina, così, al “Ragazzi, problema risolto!” di Saverio si voltarono e
rimasero di stucco nel vederlo tutto fiero mentre mi teneva sollevata. “Dopo
tre ore, la nostra mediatrice ha davvero risolto il problema creato da quel
team di cretini! Sabato si va ad Oxford grazie a lei! Te lo dico davanti a
tutti, per ringraziarti ti cedo la mia camera lussuosa”.
Si
levò un coro di: “Alice! Alice! Alice!” con tanto di applauso, Mario venne in
soccorso di Saverio che stava per morire a causa del mio peso e lo aiutò,
prendendo metà del mio corpo sulle sue spalle.
“Ragazzi
grazie, vi voglio bene ma mettetemi giù...”.
“Ok”.
Mario
mollò la presa, Saverio a stento se ne accorse in tempo e come risultato quasi
mi ritrovai a sbattere con il sedere per terra, mi salvai solo grazie
all’appoggio delle mani sul pavimento.
“Oddio,
scusa!”.
“Mariooooo!”
protestai, con una smorfia di dolore.
“Ma
è colpa mia se pesi due quintali?”.
“Mario,
coglione!” sbraitò Saverio. “Alice possiamo farla fuori alla fine del
soggiorno, ora ci serve” ironizzò.
Li
guardai male, senza riuscire a sollevarmi, e per fortuna Giada venne in mio
soccorso, preoccupata.
“Ti
sei fatta male?” chiese premurosa, mentre gli altri due le facevano spazio.
“No,
no, solo un brutto atterraggio” sospirai, lasciandole afferrare la mia mano per
aiutarmi a rialzarmi.
Mi
appoggiai al muro e notai che sentivo solo le gambe indolenzite insieme alla
zona lombare, ma niente di più.
L’unico
problema erano i tre gradini che conducevano alla zona interna dell’ufficio,
posto a distanza dal piccolo ingresso.
Giada
mi aiutò a scendere e poi presi posto sulla sedia, dicendomi che ormai ero
condannata a non fare una cosa in modo normale nemmeno sotto tortura.
“Va
meglio?” chiese Saverio.
“Sì”.
“Ok
allora. Andiamo ad Oxford ragazzi, popopopo....” urlò Mario, facendo ridere
tutti, prima di voltarsi e abbracciarmi. “Grazie, eravamo davvero nella merda,
come hai fatto?”.
“Sarà
l’effetto Alice, come lo chiamo io”.
Mi
irrigidii.
Luca
si era avvicinato, ovviamente di buonumore, e si era inginocchiato per stare
alla mia stessa altezza visto che me ne stavo seduta.
“Nessun
effetto Alice, basta impegnarsi” minimizzai, sentendo improvvisamente la gola
arida.
Lui
annuì e Mario si allontanò, chiamato da Elena.
“Sicura
di star bene? E’ stata una brutta quasi-caduta” osservò, per poi accarezzarmi
una guancia con fare fraterno e portare una ciocca di capelli dietro
l’orecchio.
Quel
gesto mi fece irrigidire, non mi sentivo ancora pronta nello stargli così
vicino dopo aver realizzato cosa provavo per lui.
“Sto
bene, sono di coccio, davvero” borbottai, distogliendo lo sguardo.
“Non
avevo dubbi. Sei grande, hai salvato il viaggio ad Oxford!”.
“Saremmo
andati comunque, Luca, ho solo anticipato un po’ i tempi”.
“Smettila
di sminuirti. Io ti guardo e vedo una che si fa in quattro per il gruppo, non
sei l’organizzatrice dei viaggi, così come non sei un’animatrice, eppure ieri
hai salvato la serata salsa e ora hai riprenotato l’hotel...”.
“La
serata salsa l’avete salvata voi con il vostro entusiasmo nel ballare, io ho
fatto una dimostrazione di qualche minuto scarso” sbottai, senza riuscire a
trattenermi.
Perché
tornare a quel punto?
Perché
rivangare i ricordi pessimi della sera precedente?
Lui
parve captare la mia ostilità ma non mutò atteggiamento.
“Ieri
ti ho cercato per invitarti ma stavi con Saverio...” borbottò, un po’ a
disagio.
“Mi
stava dicendo delle cose per oggi. Tu eri con Paula, comunque, no?” obiettai,
di nuovo senza potermi controllare.
“Sì,
ma avrei preferito la maestra di ballo della serata”.
“Avresti
potuto dirglielo. La gente non legge nella mente, può solo interpretare ciò che
vede” dichiarai, decisa come non mai.
Lessi
una sorta di lampo nei suoi occhi ma non poteva fregarmene di meno: che senso
aveva tenersi tutto dentro?
“Hai
ragione, d’ora in poi seguirò il tuo consiglio” annuì, sforzandosi di sembrare
normale.
Mi
diede una pacca sulla spalla e tornò al suo dovere, mentre gli altri si
avvicinavano per dirmi una parola carina o ringraziarmi per il lavoro svolto.
“Allora
è vero che qualcosa la sai fa, Alì” esclamò Salvatore, forse sorridendomi in
maniera sincera per la prima volta da quando ci conoscevamo.
“Qualcosina,
dai” concessi, accennando un sorriso a mia volta.
L’hotel
in cui avevamo prenotato le camere per il weekend ad Oxford era davvero
stupendo, era a quattro stelle ed aveva
una bellissima spa di cui, volendo, avremmo potuto usufruire.
Per
questo ad ora di pranzo non si parlava d’altro: stanchi come eravamo,
immaginare di passare anche solo un’ora in una vasca idromassaggio sembrava un
sogno.
“Io
non capisco come sia venuto questo lampo di genio all’azienda, voglio dire,
Oxford è a due ore da qui, potevamo tranquillamente farci un giorno, e
invece... Mai vista una cosa simile” esclamò il capo tra un boccone e l’altro.
Ora
che la prenotazione era assicurata e non era più un dato incerto, tutti
guardavamo le foto dell’hotel come se fosse un sogno se messo a confronto con
il modesto college in cui vivevamo.
“Saverio,
ma davvero mi cedi questa stanza?” esclamai, buttandogli in faccia la foto
della camera deluxe riservata a lui come regalo dell’hotel.
“Certo
che no”.
“Va
bene, mi basta che mi ringrazi prima di dormire tra quelle soffici coperte...”.
“E
chi ti dice che ci dormo? Potrei por...” si bloccò, probabilmente memore della
conversazione della notte precedente e ricordando che non era nemmeno il caso
di scherzarci su.
Tuttavia,
compresi tutto e mi limitai a guardarlo con finta aria di disappunto.
“Ma
a noi non è andata male, cioè, una camera standard è pur sempre da sogno”
sottolineò Nadia, quasi con gli occhi a forma di cuore. “Se non siete i tipi
che rubano i prodotti omaggio dateli a me, questi come minimo ti danno prodotti
della Lush...”.
“Della
che...?” domandò Luca.
“Lush-ia stare” disse Clara, scatenando
le risate della parte femminile del tavolo.
Io,
Giada e Nadia le facemmo segno di approvazione per la battuta mentre i ragazzi
ci guardavano come se fossimo matte.
“Ora
sapete come ci sentiamo quando fate le vostre battutine” commentò Giada, prima
di prendere un pezzo di pane e addentarlo.
“Ma
davvero non possiamo usufruire della spa? Nemmeno quando i ragazzi dormono?”
domandò supplicante Luca, che non smetteva di guardare la foto della sala
benessere.
“Perché
secondo te i ragazzi dormiranno... Non possiamo creare disagi all’hotel,
dobbiamo sorvegliare i ragazzi. Cioè, voi dovete farlo, io ci andrò alla spa”.
“Ma
io e Giada che non abbiamo il compito di sorvegliare...?” domandai, giusto per
metterlo in difficoltà.
“Sì,
abbiamo capito che vuoi andartene nella vasca idromassaggio con lo spagnolo,
ammettilo” ridacchiò Mario.
Calò
una sorta di silenzio imbarazzante ed io lo fulminai con lo sguardo.
“Lo
spagnolo?” chiesi, quasi sprezzante.
“Mario,
il viaggio è con il team inglese”.
“E
allora Alice che viene a fare?”.
“Il
lunedì ci sarà una gita con gli spagnoli, come la organizziamo se io non
traduco le email e parlo con loro al telefono quando chiamano Saverio?”
sbottai.
“Tralasciando
questo, Alice ci ha salvato il sedere oggi e non merita nemmeno di visitare
Oxford?” domandò Luca, guardando male Mario per la prima volta da quando lo
conoscevo.
L’activity
leader comprese di aver esagerato perché alzò le mani in segno di resa, guardò
verso il coordinatore che ricambiò lo sguardo come a dire “hai esagerato”.
“E
ci terrei a ribadire una volta per tutte che io e certi spagnoli non abbiamo
alcun rapporto di natura non professionale. Sono la prima a cui piace ridere e
scherzare ma già dei ragazzini ci hanno visti da Costa e pensano chissà cosa
quando lui stava aspettando il suo capo, quindi evitiamo di alimentare certi
gossip, grazie” sentenziai.
Tutti
annuirono e Luca abbassò la testa, evidentemente colpevole visto che lui era
con il gruppo di adolescenti che ci aveva visto.
“Detto
ciò, parliamo di cose serie. Domani a mezzanotte sarà il mio compleanno e
vorrei festeggiare con voi durante la riunione, comprando qualcosa da bere e da
mangiare” spiegai, cambiando decisamente tono e sforzandomi di risultare più
animata possibile.
“Certo,
riunione straordinaria per Alice!” esclamò Elena, decisamente gasata.
Probabilmente
era felice per il cambio di argomento che avevo fornito, evitando che l’aria
diventasse ancora più pesante.
“Allora
ti stiamo davvero simpatici” constatò Nadia, facendomi l’occhiolino.
“Ma
sì, dai”.
“Possiamo
festeggiare alla mezzanotte dell’ora italiana? Perché io avrei sonno” mi prese
in giro Saverio.
“Porta
sfiga fare gli auguri prima!”.
“Auguri,
Alice” esclamò Salvatore, facendo ridere tutti.
Quel
pomeriggio, i ragazzi erano impegnati con le attività dei laboratori a cui si
erano iscritti e a me, ovviamente, toccò occuparmi del materiale che non avevo
avuto modo di tradurre quella mattina.
Mario
era in palestra con Javi e George per cercare di reperire il materiale per la
serata “’90 contro ‘2000”, Saverio ed Elena parlavano con uno dei resposabili
dell’azienda tramite Skype, Giada scriveva i verbali delle visite fatte fino ad
ora, i GL sorvegliavano i tre diversi laboratori con gli altri dei vari team.
Di
nuovo, lavorare mi consentì di concentrarmi su ciò che dovevo fare senza
ulteriori pensieri, mi diede una strana energia che, ovviamente, venne incanalata
nel modo sbagliato quando, alzando lo sguardo da un post it, vidi che Luca si
era appena seduto di fronte a me, dove di solito c’era il capo.
“L-Luca!”
esclamai, sorpresa nel vedermi il suo bel viso di fronte così, senza preavviso.
“Ali,
ehi. Ti ho spaventato?” chiese, con quel maledetto sorriso che apprezzavo fin
troppo ma che ogni volta era in grado di distrarmi.
“No,
ero solo concentrata” minimizzai, indicando il foglio su cui stavo lavorando.
“I
ragazzi erano tranquilli, noi siamo quattro, i laboratori sono tre, mi sono
preso qualche minuto per portarti uno snack, li stavano distribuendo al
laboratorio di cucina” disse, porgendomi una confezione di Bounty. “Ti piace il
cocco? Mica sei allergica?”.
“Ma
grazie! Lo adoro”.
In
effetti avevo fame, così aprii la confezione, presi uno dei due pezzi e gli
porsi l’altro.
“Cosa?
Ma è per te”.
“Uno
è più che sufficiente”.
Senza
troppi complimenti, così, prese il secondo pezzo e lo addentò.
“Ti
stavi annoiando al laboratorio?” domandai, giusto per fare conversazione.
“No,
ma...” esitò, portandosi una mano tra i capelli scuri e guardandosi intorno.
Sembrava combattuto, come se si trattasse di un affare di stato. Alla fine
sembrò risolvere la sua piccola guerra interiore e mi guardò negli occhi.
“Paula non mi ha mollato un secondo, mi ha chiesto di cucinare il gas qualcosa...”.
“Gazpacho?”.
“Quello
che è, con lei e poi... Mi ha chiaramente fatto capire che stanotte avrei
potuto andare in camera sua senza problemi” rivelò, un po’ imbarazzato.
Quasi
mi strozzai con il pezzo di Bounty che stavo masticando, mi ci volle una buona
dose di concentrazione per deglutire senza rimanerci secca.
Mi
fiondai a bere quasi tutta l’acqua che avevo nella mia bottiglina e lui mi
guardò, in attesa.
“E
brava Paula. Cosa pensi di fare? Cioè, so che non sono affari miei...” cercai
di ricompormi, cercando di ignorare le fitte al mio stomaco per quella notizia.
Perché
me ne stava parlando?
Mi
voleva forse morta?
Mi
era bastato vederli ballare la sera prima per andare in bestia e per ridurre il
mio fegato in una poltiglia, non avevo bisogno di ulteriori dettagli.
“Alice,
che domande! Dai, lo so che Saverio ha fatto anche a voi il discorso sulla
professionalità e tutto il resto, io amo questo lavoro, amo stare a contatto
con i ragazzi e di certo non rischierei una brutta valutazione nel caso
qualcuno mi scoprisse con lei. Voglio dire, non è nemmeno discreta, mi ha
palpato il sedere mentre prendevo degli ingredienti!” rivelò, alzando gli occhi
al cielo.
Avevo
quasi gli occhi fuori dalle orbite, incredula per il modo di porsi di Paula in
un ambiente lavorativo, ma allo stesso tempo la invidiai perché il sedere di
Luca non era affatto male ed io stessa mi ero scoperta a fissarlo qualche volta
quando, durante qualche escursione, mi era capitato davanti.
“Ma
se non fosse per le regole? Avresti accettato?” decisi di insistere, spinta
dalla voglia di saperne di più.
“No.
Paula è bellissima ma non mi suscita interesse. Ieri stavamo scherzando su chi
ballasse la salsa nel peggiore dei modi, per questo l’ho invitata” anticipò,
come se avesse capito dove volevo andare
a parare.
Abbassai
lo sguardo e finsi interesse per la penna che stavo utilizzando fino a poco
prima.
“Non
devi giustificarti con me...”.
“No,
devo. Ti avevo chiesto un ballo poi non mi sono fatto vivo. E’ che ho visto la
foto con Javi nel gruppo e mi sentivo un asino a confronto, cioè, lo sono
ma...”.
“Luca”
lo interruppi, “Non mi sono goduta nemmeno un istante del ballo con Javi, non
ero nemmeno in me. Hai ragione, Saverio ha fatto anche me quel discorso e lo ha
fatto ieri, credeva che Javi ci stesse provando e che io stessi al gioco”.
“Javi
ci sta provando con te, Alice. Ti guarda...”.
“Vi
siete fissati voi e questo “ti guarda..!” esclamai, esasperata. “Al massimo sì,
mi guarda, ma non fa altro, fino a prova contraria è Paula che ci ha provato”.
“Perché
non gliene hai dato l’opportunità, fidati. Devi rivedere le foto di ieri,
durante il casquet ti ha guardato in un modo pieno di... Desiderio, ecco”.
“A
me non potrebbe interessare di meno. Siamo qui per lavorare, non per lasciarci
distrarre da storie e cose simili” ribadii, sentendo le pernacchie che mi
facevo da sola nel mio cervello per l’incoerenza di quello che stavo dicendo,
visto che non riuscivo a non staccare gli occhi dal ragazzo che mi stava di
fronte e per qualche istante avevo anche immaginato una scena da film in cui
lui buttava per l’aria tutti i fogli della scrivania per tuffarcisi sopra con
me, mentre mi baciava selvaggiamente e faceva vagare le sue mani sotto la mia
maglietta...
“Ma
se incontrassi qualcuno che ti piace?” insisté lui. “Che faresti?”.
“E
tu? Che faresti?”.
“Non
si risponde a una domanda con una domanda! Comunque... Beh, in maniera
discreta, ma ci proverei”.
“Io...
Beh, da indecisa cronica come sono aspetterei una sua prima mossa per essere
sicura. E’ sbagliato, lo so”.
Luca
sorrise e appoggiò una mano sulla mia, con la stessa aria malandrina che gli
avevo visto dipinto in faccia il giorno prima.
“Allora
dobbiamo dedurre che non siamo super integri, solo che Paula e Javi non ci
interessano”.
Scoppiai
a ridere e, mio malgrado, annuii.
Aveva
maledettamente ragione perché nella realtà alternativa del mio cervello lui mi
aveva appena sbattuto contro il muro, mi stava baciando il collo e tra un bacio
e l’altro mi sussurrava cose eccitanti all’orecchio.
“Se
Saverio sapesse...” sussurrai.
“E’
umano anche lui e per me qualche cotta qui ce l’ha a sua volta”.
“Cosa?
E con chi?”.
Luca
fece un segno negativo con la testa, con l’aria di chi scende dalle nuvole.
“Vedremo
se il tempo mi darà ragione o no” sentenziò, finendo finalmente l’ultimo pezzo
di cioccolato al cocco e guardandomi con aria furba.
Scossi
il capo, sospirando, e per fare qualcosa lessi di nuovo uno dei post it su cui
stavo riassumendo i punti della gita al London Eye che si sarebbe tenuta quella
settimana.
“Penso
sia meglio tornare, tra venti minuti il laborario finirà” esclamò lui,
guardando l’orologio e poi alzandosi. “Spero di non averti disturbato”.
“No,
mi ci voleva una pausa” lo rassicurai.
Luca
si aprì in un sorrisone e si avviò verso la porta, salvo poi girarsi.
“Promettiamoci
di dirci chi ci piace, che dici? Così possiamo sostenerci a vicenda e capire se
ne vale la pena o no” propose, come se stessimo parlando di una partita a
scacchi.
Sorpresa,
annuii, per poi vederlo scomparire una volta uscito.
“Ehii
Luca, scusami, mi piaci tu, che dici, ne vale la pena?” mormorai
impercettibilmente, prima di buttare la testa sulla scrivania e circondarla con
le braccia, come ero solita fare al liceo durante le ore di greco.
Mentre
i ragazzi si sfidavano nel gioco ’90 contro ‘2000 – cosa non proprio giusta
secondo me perché i ragazzi nati nel 1999 erano solo una ventina e il resto
erano nati tra il 2000 e il 2003 – io, Giada e Nadia progettavamo la serata
successiva.
“Avremo
un’escursione quindi potrò comprare da bere e da mangiare” dissi,
improvvisamente più rinvigorita e decisamente più energica rispetto ai miei
standard.
La
situazione era cambiata: avrei passato la serata con i miei colleghi simpatici
e la mia cotta del momento che, almeno, aveva respinto le avances di una
spagnola bellissima.
Non
ero più triste né per l’imminente “quarto di secolo” né per la mancanza dei
miei cari, anche perché avrei festeggiato a dovere al ritorno con amici e
familiari.
Ora
ero lì, in una zona periferica di Londra, e dovevo solo pensare a godermi la
giornata.
“Comprare?
Divideremo!” obiettò Giada.
“Cosa?
No, il compleanno è mio”.
“Ma
vogliamo contribuire, l’alcool costa un botto” disse Nadia, decisa.
“Ma
parliamo di qualche birra, Nadia, non possiamo bere chissà cosa in servizio. E
poi ci tengo, se fossi stata a casa avrei speso almeno un centinaio di euro per
una pizza con i miei amici, non si discute” la zittii, decisa.
Non
era orgoglio o altro, di solito in base alla mia disponibilità economica
offrivo qualcosa ai miei amici e quell’anno non avevo problemi a pagare
qualcosa da bere e da mangiare ai miei colleghi.
In
più era un modo per avere una riunione diversa, più allegra!
“Io
sono libera domani, quindi se vuoi posso truccarti” si offrì Nadia.
Con
lei iniziava la piccola serie di giorni liberi che i GL potevano prendersi e si
era offerta perché nessuno sembrava volere il sei luglio.
“Davvero?
Voglio dire, sarà una cosa super casual, ma anche un trucco base fatto da te
sarà spettacolare” mi emozionai, agitando i pugni come una deficiente.
“Ma
dai, mi lusinghi!”.
“Sei
bravissima!” mi diede man forte Giada. “Alice sarà uno splendore!”.
Abbracciai
Nadia, felice, e in quel momento gli altri GL presero posto con noi.
“Abbiamo
appena deciso i giorni liberi” annunciò Clara, “E questi due cretini si sono
presi uno sabato e l’altro domenica così se ne stanno in hotel a rilassarsi”
sbottò, indicando Salvatore e Luca.
“Detto
così suona male, è lei che ha detto “Saverio, mi prendo venerdì” e noi abbiamo
pensato in grande” si difese Luca.
“Non
è colpa nostra se non sei sveglia, Clara” ribatté Salvaotore.
“Devo
dire che è emozionanate vederti insultare qualcuno che non è Alice” osservò
Giada, facendoci ridere.
“Siete
dei culoni” dissi a mia volta. “Potrete godervi la spa!”.
“Alì,
detto sinceramente... Puoi farlo anche tu, la sera sarai libera, dai” disse
Salvatore, pratico.
“Ma
non ho il costume! Voi avete portato il costume per venire in Inghilterra?”
chiesi, incredula.
“No,
ma si compra. Domani i ragazzi avranno del tempo libero e noi provvederemo. Non
ci credo, domenica potrò dormire fino a tardi in quel letto super morbido...”
esclamò Luca, chiudendo gli occhi e gustandosi la scena nella sua mente.
“Fortunelli.
Sperate che i ragazzi non si facciano male” sbottò Giada, incrociando le braccia.
“Andrà
tutto bene. Deve andare bene”
sottolineai.
Ci
fu un generale mormorio di assenso mentre Mario annunciava la gara di ballo:
tutti ballavano tranne un ragazzo del ’90 e uno del ‘2000 che potevano porre
fine alle danze solo indovinando il titolo della canzone.
“Invito
anche il nostro staff a non starsene spiaggiato in un angolo, GL, dottoressa,
mediatrice, direttore, su! Tutti a ballare!” esclamò, facendoci segni frenetici
per invitarci ad alzarci.
George,
Alejandro, Javi, Paula e María si avvicinarono al tavolo per invogliarci ad
alzarci, María trascinò con sé Salvatore, Alejandro prese Giada, George prese
Clara, Paula si avvicinò a Luca che però si scostò, facendomi battere il cuore
a mille perché già li immaginavo mentre si strusciavano al centro della pista.
“Alice, quieres bailar conmigo?” disse Javi, con quegli occhi verdi che mi fissavano come se
volessero intrapporlarmi ai suoi.
“I asked her to dance with me, sorry. Maybe later” si intromise Luca, senza darmi modo di replicare.
Incredula,
trattenni il fiato e riuscii a stento a dire “Descúlpame!” mentre avvertivo la mano di Luca avvolgere la mia con
decisione e trascinarmi al centro della pista.
La
canzone era “La vida es un carnaval” di Celia Cruz e pensai che al momento si
adattava perfettamente alla mia vita e alla mia situazione.
Luca
mi appoggiò un braccio attorno alla vita, prese la mia mano tra la sua e
iniziammo a ballare goffamente, più che altro perché io mi sentivo rigida come
un pezzo di legno.
Nonostante
ciò, in cuor mio speravo che nessuno indovinasse la canzone in modo da lasciarci
così per ore.
“Ehi,
ballerina di salsa, sciogliti” sussurrò, mentre mi faceva volteggiare su me
stessa e poi mi riattirava a sé, in modo da farmi ritrovare stretta più che mai
al suo corpo.
“Dovrei
forse ringraziarti per aver scacciato Javi?” chiesi, senza riuscire a guardarlo
negli occhi.
Mi
sentivo indifesa, incapace di mascherare i miei sentimenti e alzare lo sguardo
probabilmente mi avrebbe tradita.
“Dovresti.
Grazie a me non hai dovuto fare la cattiva e rifiutarlo...”.
“Non
mi hai lasciato molta scelta”.
“Ora
ti lamenti?!” domandò, incredulo.
“No.
Un ballo è solo un ballo, no?”.
Luca,
che probabilmente non apprezzava il mio guardare altrove, mi portò una mano sul
viso in modo da obbligarmi a starmene col volto di fronte al suo e mi guardò
negli occhi, poi strinse di più la presa attorno alla mia vita.
“No”
disse semplicemente, prima di far sparire la sua testa nell’incavo della mia
spalla.
Ce
ne restammo così, muovendoci sul posto come il più stupido dei lenti mentre io
non sapevo davvero cosa pensare.
Todo aquel que piense,
que la vida es desigual,
tiene que saber que no es así,
que la vida es un hermosura,
hay que vivirla.
Todo aquel que piense,
que está solo y que está mal
tiene que saber que no es así,
que en la vida no hay nadie solo
y siempre
hay alguien
Circondai
il suo collo con le braccia, stringendolo a me senza guardarlo negli occhi e
lui, in un secondo, mi posò un delicatissimo bacio sulla spalla, così delicato
da farmi dubitare se fosse successo o meno.
Come
succede sempre nei momenti più belli, proprio in quel momento il ragazzino del
’99 indovinò il titolo della canzone e fummo costretti a separarci, senza
guardarci negli occhi.
Tutta
la sala rideva ed esultava per quella sfida vinta, mentre io non sapevo cosa
pensare, cosa dire, come comportarmi nel momento in cui Mario chiamò Luca per
farsi aiutare.
Me
ne stavo così, immobile in mezzo alla pista, senza cavaliere ma con una
porzione dei miei pensieri che nonostante tutto gli apparteneva.
*°*°*°*
Ormai sempre in
ritardo, sì, scusatemi.
A quanto pare nonostante tutti i miei programmi ci si
mette qualche lavoretto occasionale a cui non posso rinunciare e così mi slitta
la programmazione ^^’
Come sempre,
grazie a chi è arrivato fin qui, ormai siamo nel vivo della storia e
Alice è davvero nel pallone, ha una cotta, non sa come comportarsi.
Grazie a Delia
Bluetales che come sempre legge i capitoli in anteprima e mi aiuta a
correggere gli errori e grazie a tutti voi che state leggendo la storia
capitolo dopo capitolo!
Ai nuovi lettori, spero di conoscere la vostra opinione
<3
Eccovi un’anticipazione:
“Luca, onestamente... Se vuoi parlare di Paula trova qualcuno
a cui interessi, magari uno dei ragazzi” sbottai, prendendo la bottiglia di
vino e gettandola con troppa energia nella spazzatura.
“Alice...”.
“Luca, io e te non ci conosciamo” lo bloccai, parandomi le
mani davanti per bloccarlo.
Cosa
succederà? Vi dico solo che ci saranno i festeggiamenti del compleanno di Alice
:D
A
lunedì,
milly.