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Autore: Lupe M Reyes    04/09/2017    3 recensioni
A Blair piace fare i turni di notte alla biblioteca dell'Arca. Fino alla sera in cui il Cancelliere Jaha non si presenta alla sua porta... Per impedirgli di inviare sulla Terra John Murphy, Blair cede al ricatto e contribuisce al progetto sui Cento. Ma l'incontro con Bellamy Blake cambierà ogni equilibrio. Fino al giorno in cui non diventerà lei stessa la persona numero 101 a raggiungere la Terra.
[Arco temporale: prima stagione]
Personaggi principali: Blair (personaggio nuovo), Murphy, Bellamy, Raven, Clarke, Jaha
Personaggi secondari: Finn, Octavia, Kane, Abby, Sinclair, Jasper, Monty
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, John Murphy, Raven Reyes
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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INSONNIA
 
John si rigira senza pace sulla stuoia che dividiamo, continuando a tenermi sveglia.
Pensare che una volta era lui a lamentarsi del mio sonno agitato. Lui ronfava sempre come un sasso; quando restava a dormire da me la mattina per tirarlo giù dal letto ci mettevo una vita.
Immagino di dover iniziare a accettare il fatto che ormai esiste un Prima Della Terra e un Dopo La Terra che separa le nostre esistenze in due esperienze completamente diverse.
Io mi sento ancora la Blair dell’Arca, almeno in parte. Certo, fino a due mesi fa non avrei mai immaginato di riuscire ad impugnare un’arma, accendere una rivolta, diventare astronauta, minacciare di morte qualcuno, colonizzare la Terra, abbandonare i miei genitori, e soprattutto non leggere nemmeno un libro per settimane. Eppure in qualche modo mi sento ancora io. Sono ancora Blair Foer, la biliotecaria. La bibliotecaria su un pianeta senza libri.
 
John ha ripreso i sensi solo per qualche minuto, quando siamo tornati all’accampamento. Ha aperto gli occhi e mi ha chiamato. Non era lucido, a malapena ha capito dove si trovava prima di crollare di nuovo addormentato.
Bellamy l’ha trasportato di peso fino al campo base. Abbiamo percorso il bosco in silenzio.
Al nostro ingresso, un mormorio concitato si è diffuso tra i ragazzi. Ho stretto la pistola che tenevo in pugno e li ho ignorati.
Clarke mi ha raggiunta appena entrati nella navicella. Si è messa al lavoro sulle ferite di John senza mai sollevare gli occhi sui miei. Nemmeno quando mi ha comunicato che stava bene, che nessuno dei suoi tagli era infetto, che la temperatura gli era salita per lo stress subito dal corpo torturato, ha avuto il fegato di guardarmi. Ha medicato la pelle aperta, l’ho aiutata a lavarlo, l’ho osservata fasciargli le dita squarciate. L’ho congedata come ho mandato via Bellamy, senza ringraziare. Mi sono stesa accanto a John e ho provato a dormire.
 
Terrestri.  
Quella sì che era una nuova parola per il mio vocabolario. Di tutte le cose che ci saremmo aspettati, di certo non avremmo immaginato dei sopravvissuti all'olocausto nucleare. La nostra si era rivelata un'invasione, non un'emigrazione. Va da sé che i Terrestri non erano contenti del nostro sbarco. E temevano la colonizzazione. La nostra tecnologia, le armi. Nessuno degli incontri era stato pacifico.
Me li figuravo come dei tribali qualsiasi, con pellicce per coprirsi, facce pitturate, una lingua arcaica e gutturale, punte di freccia intagliate nella pietra - poco meno primitivi degli uomini delle caverne. Me li avevano descritti grossomodo così. Come dei barbari. Le condizioni di John, tenuto loro prigioniero per giorni, ne erano la più lampante conferma.

Raven è la sola di cui sopporto la presenza, al momento. È passata a trovarmi al calare della sera, con Finn.
Lei lo adora, è evidente. Lui è più freddo di quel che mi sarei aspettata nei confronti di Raven. Ma per lei come per tutti gli altri distribuisce sguardi morbidi e parole sensate. Inclusi me e John.
Mi sembrano un buon mix: lei tutta soluzioni pratiche, lui concentrato sul cuore, empatico. Insieme fanno una bella squadra di soccorso, che infatti mi è molto utile. Lui mi spiega meglio tutto quello che è successo; lei mi propone una lista di cose da fare da qui in avanti. Finn dice che scenderemo a patti con i Terresti, è sicuro di poter riuscire ad ottenere un accordo con loro, e la pace. Raven mi informa che sta lavorando per amplificare la portata della nostra radio, per raggiungere Sinclair, e l’Arca.
La fisso senza ascoltarla davvero, grata della sua presenza lì con me. Ad un certo punto la interrompo:
“Raven Reyes, perché non ti godi un po’ il tuo ragazzo? Io sto bene.”
Tra loro scorre uno sguardo che definirei imbarazzato, e che non mi spiego.
“Ehi.”,
faccio, richiamando l’attenzione di Finn.
Mi assicuro che siamo occhi negli occhi prima di parlare:
“Questa ragazza ha rischiato la vita, costruito una navicella spaziale dal niente e attraversato lo spazio per trovarti. E mi ha sopportata. Trattamela bene.”
Lui abbassa la fronte, annuendo. Il mezzo sorriso che mi dedica è sgualcito da una strana patina di nostalgia. Mi salutano e prima di andarsene Raven mi abbraccia.
Un’altra delle stranezze del Dopo La Terra.
 
Guardo il viso di John addormentato, finalmente ripulito dal sangue. Le sopracciglia gli restano aggrottate anche nel sonno, come se non riuscisse a rilassarsi nemmeno ora, come se soffrisse. Vorrei solo poter allungare le mani e strappargli di dosso il dolore che prova. Mangiarmelo io, se servisse a qualcosa. Invece me ne resto qui impalata a sorvegliare il suo sonno tormentato, senza poter fare niente per aiutarlo. Non so se mi sono mai sentita tanto inutile in vita mia. Sono corsa qui per ritrovarlo e ora che è alla mia portata scopro di non servire a nulla. Ho voglia di prendere di nuovo a schiaffi qualcuno.
 
Nella sua tasca, trovo la busta con la mia lettera, ripiegata tre volte su sé stessa, fino a formare un cubo compatto. Ne spuntava un piccolo spigolo bianco e non sono riuscita a trattenermi. L’ho presa e ho cercato di ripulirla come ho potuto. Non l’ho riletta. Me la sono infilata nella mia, di tasca. Gliela restituirò quando aprirà gli occhi, lo costringerò a dirmi in quali passaggi mi sarei data al sentimentalismo. Voglio farlo ridere di nuovo.
 
Le parole di Jaha fanno ancora eco dentro di me.
“…non potevo fidarmi di una ragazza innamorata.”
Osservo John e mi domando cosa abbia visto Jaha in lui, e in me. Mi chiedo chi tra noi si stia sbagliando. Dal mio punto di vista, è troppo assurdo. Non posso aver trascorso gli ultimi dieci anni della mia esistenza accanto al ragazzo che amo senza essermene resa conto. Non posso.
“L’amore è stata la sua debolezza, signorina Foer. Se avesse amato di meno quel ragazzo, ora lui sarebbe salvo…”
Forse l’avrei pensato anch’io, a parti invertite? Guardando due ragazzini che rischiano di farsi ammazzare l’uno per l’altra, non avrei dedotto la cosa più ovvia? La più evidente?
Poi mi dico che anche Bellamy ha fatto lo stesso per quella che è sua sorella. E io e John siamo cresciuti insieme. Non abbiamo mai condiviso niente che anche i fratelli Blake non abbiano sperimentato nel loro rapporto. Giusto.
Se si fa eccezione per il mio ultimo sogno sull’Arca.
Scuoto la testa e scaccio per l’ennesima volta l’immagine di John che mi bacia. Non è esattamente un’immagine quel che mi perseguita, in realtà. È una sequenza di sensazioni che avverto sottopelle e nella pancia e nelle ossa... Una memoria fisica. Raddrizzo la schiena, per farla smettere di rabbrividire.
Ora John è qui. Non è un sogno. E non voglio infilargli le mani sotto la maglietta, tirarlo a me e mordergli il collo. Voglio solo restare a meno di un metro da lui per tutta la vita. Non è amore questo… Vero?
Jaha si sbaglia. E io non ripenserò mai più a quel maledetto sogno. È infantile tanto quanto la mia infatuazione per Ettore, il perfetto sconosciuto. Fantasticherie da adolescente. Roba da romanzetti rosa, per citare John.
“Sei libresca.”,
mi aveva detto, più di una volta, mentre esasperato ascoltava e riascoltava i miei viaggi di fantasia. Aveva ragione, era un difetto. Ora me ne rendo conto. Le storie mi hanno irretito il cervello. Altroché i benefici della lettura. I libri hanno incoraggiato la parte più leggera di me.
E mentre mi sto decidendo ad essere più concreta e risoluta, meno libresca, John nel sonno allunga una mano verso di me, intrecciando l’indice con il mio. E a me si mozza il respiro.
 
Nessuno ci fa visita per qualche ora. Finché, a sera inoltrata, una ragazza fa il suo ingresso nella navicella.
Di lei ho visto solo fotografie ma la riconosco, anche nella penombra. I lunghi capelli neri e gli occhi azzurrissimi sono inconfondibili.
“Cosa vuoi?”,
ruggisco, prima che possa aprir bocca.
Lei tentenna, presa in contropiede dalla mia aggressività. 
“Sai chi sono?”
“Sei la ragione per cui io e John siamo qui sulla Terra sporchi di sangue e non a mangiare un panino nel nostro lotto.”
Octavia Blake mi fissa nella semioscurità della navicella; fa qualche passo avanti, anche se non le sto dando molte ragioni per avvicinarsi.
La sua voce ha un accento che riconosco. Che mi fa scorrere un tremito doloroso lungo le braccia.
“So che hai aiutato Bellamy a venire sulla Terra.”
“Più o meno, sì.”
“Grazie.”
Reagisco con fastidio a quella parola. John, sempre accordato al mio cuore, fa un brusco movimento involontario.
“Posso aiutarti in qualche altro modo, Octavia Blake?”
Gli occhi di Octavia sono sgranati e mi fa male notarne la bellezza.
“Lui stava solo cercando di proteggere me. Di fare la cosa giusta.”
Non c’è bisogno che specifichi a chi si sta riferendo. 
“Non riesco a capire come impiccare qualcuno o bandirlo consegnandolo ai Terrestri possa essere la cosa giusta. Ti hanno mai strappato le unghie, Octavia?”
“No.”,
dice, semplicemente. Come l’innesco di un fuoco artificiale, nella mia memoria affiorano centomila momenti in cui Bellamy ha replicato alla mia paura, al mio astio o la mia incomprensione con lo stesso tono serafico, pratico. Rivedo in lei troppo del fratello, deve andarsene o inizierò a strillare, a piangere, la abbraccerò o impugnerò di nuovo la pistola.
"John ti aveva fatto del male, per caso?"
"No."
"Ti aveva mai minacciata direttamente?"
"No."
Ci guardiamo a lungo, finché non sono certa che le sia chiaro quanto sia stata stupida a venirmi a cercare.
“Va’ a dormire, Octavia. Se vuoi ringraziarmi in qualche modo, vattene.”
“Ti avevo immaginata diversa.”
Inclina la testa, come se mi stesse studiando con attenzione. Getta una ciocca di capelli dietro la schiena.
“Prego?”
“Bell ha detto appena due parole su di te…”
“Non mi sorprende.”
“Ma ha detto che sei la ragazza più in gamba che avesse mai incontrato.”
Incasso il colpo cercando di non muovere un muscolo. Non sono sicura di esserci riuscita, so che Octavia continua a puntarmi addosso i begli occhi vivaci senza che nulla faccia tentennare il suo sguardo o la sua voce.
“Che sei così buona e intelligente che non gli sembravi vera.”
Ora devo mettermi a ridere, non ho scelta.
“Tuo fratello è un bugiardo. Casomai non te ne fossi accorta.”
Scuoto la testa, pregando che le lacrime non decidano proprio ora di crollarmi lungo le guance. Mi serve qualche secondo per rendermi conto che i miei occhi sono asciutti. Per la prima volta in vita mia, mi sorprendo del fatto che non sto piangendo.
Mi rivolgo alla ragazza di fronte a me:
“Io sono una bibliotecaria. E come vedi non sono buona. E mi trovo in questa situazione, perciò non devo essere particolarmente intelligente.”
Allora lei fa una cosa senza senso: sorride.
E la sua reazione è così fuori contesto da prendermi alla sprovvista, tanto che quando lei senza preavviso viene a sedersi di fianco a me, non oppongo resistenza. Mi scosto leggermente, frapponendomi tra lei e John.
Octavia si prende la libertà di osservarmi meglio, ora che siamo vicine. Io riesco solo a notare quanto sia giovane. Sembra molto più piccola di me, anche se è più alta. Le sue guance sono due pesche perfette, rosa e lisce, la pelle pulita da bambina. Gli occhi sono piccoli, come quelli del fratello, ma di un altro colore. I capelli sono quasi neri, come quelli del fratello, ma lisci come una cascata. Non ha le lentiggini.
“Bellamy ha detto anche che hai scelto i libri da mettere nei bracciali.”
Con la coda dell’occhio intravedo il luccichio del bracciale che indossa. Lì dentro ci sono cinquanta libri meravigliosi. Nascosti, intrappolati. Mi chiedo quali siano toccati ad Octavia Blake. Quali autori straordinari stia proteggendo dall’oblio semplicemente restando in vita, con il polso intatto.
“Sì. Il primo l’ha scelto lui, in realtà.”
Octavia alza gli occhi al soffitto.
“Fammi indovinare, allora. L’Iliade?”
“Cos’è? Il suo libro preferito?”
“Bell legge un sacco di roba molto vecchia. Greci e romani soprattutto. Gli piace la storia. È stato lui a scegliere il mio nome...”
La ragazza intreccia le dita, i gomiti appoggiati sulle ginocchia ripiegate. Sospira, delicata. Mi chiedo come possa sembrare appena uscita da un set fotografico, quando in realtà è sulla Terra, senza neanche l’accesso ad una doccia da due settimane. Arriccia per un attimo il nasino, stringendosi nelle spalle, mentre io finalmente ho la risposta alla domanda "Dove avevo già visto Bellamy Blake?". Gli avrò fatto qualche prestito dalla biblioteca. Dubito che uno del settore quattro abbia libri di sua proprietà. Non ne ho nemmeno io.
Octavia prosegue:
“Lo sport preferito di Bellamy è sentirsi in colpa e responsabile per tutto. Crede ancora che sia sua, la colpa di quando mi hanno beccata.”
Devo ammettere che è brava. Dovrebbe scrivere le introduzioni ai romanzi di mestiere. In tre parole mi ha già agganciata e ora voglio conoscere tutta la storia.
Lei aspetta che io tenda le orecchie e ripende fiato:
“Io ho vissuto tutta la mia vita nascosta in una botola, di sicuro l’avrai saputo. Beh, un bel giorno Bellmay torna a casa e mi chiede se non ho voglia di uscire.”
Sorride, un sorriso doloroso.
“Allora mi dice che il giorno dopo mi porterà a una festa in maschera. Mi ha preparato un costume con cui io possa confondermi tra gli altri ragazzi. Io imbastisco come posso un vestito anche per lui, e una maschera di carta, ci prepariamo, andiamo e io… Beh, è stato il giorno più bello della mia vita. Finchè non è suonato l’allarme antincendio.”
Torno con la memoria alla festa in maschera.
Non avevo idea fosse successo lì. Ricordo l’allarme scoppiato all’improvviso, l’interruzione che ha spezzato l’incantesimo che mi teneva aggrappata al mio innamorato immaginario.
Eravamo tutti lì, quindi. Io, Octavia, Bellamy, Ettore… Non mi stesse raccontando un dramma, dovrei almeno mettermi a ridere.
“Allora le guardie ci hanno intimato di toglierci le maschere, per controllare che stessimo bene e rimandarci nei rispettivi lotti, al sicuro. Bellamy non è riuscito a portarmi via in tempo e…”
La voce argentina di Octavia si spegne. John si rigira ancora una volta, dandoci le spalle. Appoggio distrattamente una mano sulla sua schiena.
“È ancora convinto che sia tutta colpa sua. Odia Jaha e tutti i consiglieri ma odia di più sé stesso. Nostra madre è stata espulsa e lui crede che sia sua responsabilità. Ti immagini quello che prova?”
A questo punto Octavia mi guarda. Mi guarda come mi guarda Bellamy quando mi spiega qualcosa, con gli occhi diretti, aperti. Giocano sempre a carte scoperte. Come se non avessero paura di niente.
“No. No, non lo immagino.”,
le rispondo, cercando di accordarmi al modo che hanno i Blake di dire la verità, come se fosse sempre ovvia, sempre meritata, sempre sopportabile e sempre la cosa migliore.
Ci prendiamo qualche minuto di silenzio, puntellato dalle scosse dei movimenti di John sulla stuoia.
“Blair, io penso che per proteggere Murphy tu avresti impiccato qualcuno.”
Non posso fiatare, perché sarei costretta a darle ragione.
“Penso avresti legato un cappio al collo di chiunque se avessi avuto il minimo timore per lui. Inclusa me.”
Mi mastico l’interno di una guancia per impedirmi di parlare. Ma lei tace. Alla fine sono costretta a sbottare:
“Quindi?”
“Quindi forse non lo puoi perdonare. Però lo puoi capire.”
Me ne accorgo solo ora: sto stritolando la maglietta di John tra le unghie. Libero la presa, accarezzo la stoffa dove è rimasta arricciata.
Certo che capisco, vorrei dirle. Ma tu perdoneresti me, se avessi stretto una corda intorno alla gola del tuo Bell?
All’improvviso mi sento esausta e le palpebre mi sembrano più pesanti. Sarei dovuta svenire di fatica ore fa. È un miracolo che il mio cervello sia ancora in funzione. Ringrazio i mille turni di notti in biblioteca che mi hanno temprata. 
Traggo un respiro faticoso ma prima di poter proseguire un colpo di tosse mi costringe a coprirmi le labbra. Quanto scosto la mano, la scopro coperta di sangue.

****
04/09/17
Eccoci! 
Ho passato un po' di tempo a leggiucchiare in giro per EFP quindi sì, sono un po' in ritardo rispetto al solito. 
Ringrazio tantissimo Sky per le splendide recensioni dettagliate che si prende il tempo di scrivermi. E poi come sempre una menzione speciale all'angelo custode di questa storia, Pixel. Grazie, ragazze! Siete preziose! 
Un saluto a tutti quelli che hanno messo la storia nelle preferite/seguite/ricordate. Ogni volta che qualcuno si aggiunge mi commuovo un po'. 
A presto,
LRM

PS. Sto cercando nel vasto web una qualche immagine di una ragazza che si avvicini all'idea che ho di Blair... Se la trovo ve la allego al prossimo capitolo!
 
   
 
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