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Autore: Miky_D_Senpai    04/09/2017    1 recensioni
[AU moderno] [Coppia principale: Merlino x Morgana]
Cosa succede quando al figlio viziato (e un po' scorbutico) di un rispettato politico viene tolto tutto? A quali nuovi e moderni intrighi andrà incontro il biondo definito "figlio di papà più sexy"? E soprattutto, sarà ancora così utile un Merlino in chiave moderna?
Dal testo:
"Aveva sempre letto tra le righe, ognuna delle cinquantasette volte, che l’intento della testata giornalistica era quello di definirlo il “figlio di papà più sexy”. Avrebbe ricontrollato, per pura paranoia, quella mattina."
Genere: Azione, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Merlino, Morgana, Principe Artù, Uther | Coppie: Merlino/Artù, Merlino/Morgana, Morgana/Artù
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta, Triangolo | Contesto: Nessuna stagione
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Si svegliò. La tranquillità di quella mattina gli riempì i polmoni. Riemerse dalle coperte purpuree, facendosi avvolgere dalla stuzzicante brezza che entrava, senza pretese, dall’enorme finestra. Si tirò a sedere, portandosi una mano al volto. Gli occhi vagarono, come al solito, sull’arredamento, saltellando da un mobile all’altro, danzando tra le componenti decorative che ne coloravano il cupo legno. Erano troppi per una camera da letto, se l’era sempre detto.
Aveva dormito senza nulla a coprirgli il petto e le braccia, una certa dose di narcisismo lo portava a guardarsi allo specchio. Si controllava ogni volta che poteva farlo. Doveva tenere sotto controllo la sua linea, il suo volto, ma quella mattina era particolarmente in disordine. I capelli biondi sparati in aria portarono alla sua bocca quella smorfia di disappunto che lo distingueva da chiunque altro.
Dovette farsi strada tra i diversi mobili per arrivare al bagno. Studiò dapprima i contorni del suo viso, la barba di un paio di settimane cominciava a donargli un’espressione matura, quasi austera. No, non la voleva. Non avrebbe mai compromesso l’immagine che voleva di sé ed essere come il padre non era nei suoi piani. Per meglio dire, lo era, ma non fisicamente. Aprì il primo cassetto alla sua sinistra e la prima cosa ad augurargli il buongiorno era la sua foto sulla rivista “Attitude”, quella volta che i lettori della stessa gli avevano dato il titolo di “figlio di politico più sexy”. Sorrise nel vedersi, ma il sorriso celava la sua insoddisfazione, sia perché nell’immagine non aveva nemmeno un pelo in volto, sia perché quel titolo (al suo ego) non sarebbe mai bastato.
“Artù” un nome importante lo aveva definito l’intervistatore quella sera. Ma qualunque cosa il ragazzo avesse risposto non era stata ritenuta importante ai fini della pubblicazione dell’articolo.
“Non voglio essere un principe, né tanto meno un re, preferisco seguire la strada che ha già percorso mio padre” Erano quelle le parole che gli erano uscite, ma altre erano finite a contornare i suoi addominali.
Aveva sempre letto tra le righe, ognuna delle cinquantasette volte, che l’intento della testata giornalistica era quello di definirlo il “figlio di papà più sexy”. Avrebbe ricontrollato, per pura paranoia, quella mattina.
Uscì dal bagno con il collo in fiamme, colpa del dopobarba, e con un asciugamano bagnato in mano per tamponare i sottili tagli che si era inferto. Doveva ripercorrere la camera da letto per accedere alle scale, precedute da uno stretto corridoio. Nonostante non rispecchiasse il resto dell’abitazione, aveva deciso lui di lasciare che la sua tana inglobasse lo spazio precedentemente riservato al piano superiore, abbattendo con le sue stesse mani i muri della casa che gli era stata donata in eredità dalla madre. Era un gesto metaforico, ma non velato, perché anche suo padre ebbe modo di accorgersi dei sentimenti che muovevano il figlio. Ma Uther non aveva fatto nulla per fermarlo, un po’ per gli impegni che lo stressavano, un po’ perché non voleva che suo figlio lo guardasse con gli occhi di Morgana.
Si servì una colazione calda, abbondante, degna della giornata che avrebbe dovuto affrontare: un caffè. Era il suo giorno di riposo e non avrebbe fatto nulla di impegnativo se non, forse, una passeggiata. Si voltò, dando le spalle all’angolo cottura, e seduta su una sedia notò la sorellastra. Non fu stupito da quell’apparizione improvvisa, anzi, una parte di lui ne fu quasi compiaciuto e si apprestò a farsi dare un po’ di compagnia.
La prese alle spalle con entrambe le mani «Morgana» la salutò, quasi con calore, sfiorandole la guancia con un bacio. Mentre il profumo fresco e fruttato di quei capelli neri gli appagava le narici, l’odore deciso del caffè stuzzicava prepotentemente l’olfatto della donna.
«Mi chiedo tutt’ora come tu faccia a bere quella roba» commentò la corvina, senza quasi staccare lo sguardo dallo smartphone. Digitava prepotentemente parole pretenziose a qualcuno, evidentemente uno dei suoi ammiratori le aveva fatto un altro torto. La sua pelle pallida non reagiva quasi ai cambiamenti di luminosità del piccolo schermo, troppo impegnata a riflettere la luce solare. Il volto, decorato sapientemente da tocchi di colore nero, accompagnava dolcemente la smorfia superba delle sue labbra, assottigliando leggermente le palpebre e sollevando le gote.
“E io che volevo compagnia”
Non passò molto tempo che, tra i vari convenevoli sul come si sta e il cosa si fa, Artù prese la palla al balzo per chiedere un favore alla sorella. Lei stava elencando i lunghi lavori di ristrutturazione che avrebbe dovuto subire la casa del loro vecchio, ma anche il biondo avrebbe voluto fare un cambiamento.
«Visto che sei qui, potresti restituirmi le chiavi?» Lei gelò, non diede a vedere il motivo, ma lo sguardo mutò in disprezzo. Nei suoi occhi c’era lo stesso odio che lui aveva dimostrato alla richiesta del padre di trasferirsi in quelle quattro mura. Ma Morgana l’aveva sempre guardato così.
«Perché?» domandò, facendo finta di iniziare a cercarle. Ma non poteva trovare una scusa, le aveva, era entrata quella mattina, come faceva da un paio di mesi.
«Perché, oltre a dover rifare la porta e la serratura, mi servono per rivendere la porta direttamente alla ditta a cui mi sono rivolto» Seconda pugnalata. Era come se un castello di carte stesse cadendo in frantumi nella sua mente. Mutò nuovamente, gli stessi fulmini che attanagliavano il suo umore fuoriuscivano dai suoi occhi. Andò via, appena appoggiò le chiavi sul tavolo, congedandosi con due parole, lasciandolo seduto con i suoi addominali.
“Devo andare” quelle due parole sputate con tanta velocità e disprezzo gli frullavano nella testa mentre sciacquava la sua tazza. Si osservò le mani umide e solo in quel momento capì cosa stava facendo, quell’abitudine che il padre tanto gli criticava non era ancora passata. Aveva cominciato a lavarsi da solo le cose, per lasciare meno lavoro alla donna delle pulizie con la quale aveva intrapreso una relazione, per poter passare più tempo in intimità con lei. Ormai era capace di fare molte cose da solo, soprattutto perché da quando, pochi mesi prima, la sua amante era stata licenziata, non aveva accettato nessun altro. Non aveva mai notato la drastica coincidenza dell’inizio delle visite di Morgana con la fine di quella relazione e nemmeno in quel caso ci prestò la degna attenzione.
Si coprì, per un minimo di pudore, con una maglia da lavoro per uscire nel piccolo giardino. I passi giapponesi che accompagnavano l’ingresso seguivano una lieve curva per circondare il piccolo albero a cui avrebbe dato tante attenzioni. Fece in tempo solamente ad aprire l’acqua: davanti al piccolo cancello si presentò una figura immensa. Lo squadrò un momento, per poi riconoscere la guardia del corpo del padre.
Sbuffò, non voleva altre visite quel giorno. «Cosa c’è?» Non fece caso alla mancanza di rispetto che volava insieme alle sue parole, si avvicinò semplicemente all’uomo.
«Mi manda il signor Pendragon» rispose pacatamente il suo interlocutore. Uscì sul marciapiede, accolto dal silenzio di quella domenica, tenuto all’ombra dalla testa di quel colosso. Appoggiò le mani sui fianchi mentre ascoltava quella voce fin troppo calma.
«Abbiamo ricevuto una soffiata, potrebbe essere in pericolo, signor Pendragon» Il biondo sorrise beffardo, continuando a cambiare punto dove concentrare la sua attenzione, stava per dire una parola, solo una, ma venne colto dal dubbio nel vedere una macchina nera avvicinarsi contromano nel viale. Gli occhi per primi reagirono al pericolo, allargandosi appena. Un uomo sbucò dal finestrino, il volto coperto da un passamontagna non prometteva altro che morte.
«A terra!» urlò il biondo. L’altro però non fece in tempo ad abbassarsi, né tanto meno ad estrarre la pistola che aveva con sé. Il fucile automatico scaricò una scia di colpi lungo tutto il marciapiede. Una perfetta linea di morte forò in tre punti diversi la testa del bodyguard. Le ruote sgommarono durante l’accelerazione che portò la macchina a svanire alla prima curva.
Sentiva solamente un lungo fischio, l’adrenalina che gli dilatava i vasi sanguigni tanto da fargli tremare le mani. Era sporco di sangue e per un momento pensò al peggio. Studiò la scena, l’uomo che non si muoveva, il formicolio alle punte dei piedi, era vivo. “Alzati” era una voce dentro la sua testa, ma seguì il consiglio, facendo peso sul cemento bagnato di sangue, tirandosi a quattro zampe. Doveva muoversi velocemente, se la verità giaceva nelle ultime parole di quel cadavere, sarebbero tornati. “Vieni qui” la sua immaginazione era davvero loquace in quegli istanti della sua vita, ma non aveva calcolato di specificare dove fosse il qui.
«Ehi, dico a te!» Non erano frutto di una fantasia post traumatica quelle parole, senza dubbio. Guardò di fronte a sé il ragazzo che lo stava chiamando. Era di poco più piccolo di lui, con una corporatura molto più esile, ma non fu questo a smuoverlo.
Aveva cominciato a mimare i suoi ordini di prima, nascosto dietro una vettura. Alzava le mani per incitarlo a fare lo stesso con il suo fondoschiena, avvicinava il palmo della mano al suo petto per indicargli la posizione da raggiungere. Aveva addirittura stretto i pugni mimando il movimento delle braccia di chi sta facendo jogging per fargli capire di sbrigarsi e si era passato il pollice lungo l’arco del collo per spiegare il destino che lo attendeva se non l’avesse fatto. Aveva una marea di domande nella testa, ma forse quella strada era la migliore da prendere in quel momento. Si voltò e un’altra persona si stava avvicinando pericolosamente alla sua posizione. Fu un attimo e scattò.
 
 
 
 
 
Angolo dell’Autore
 
*si prepara il caffè delle 22*
Salve!
Sto variando su diversi fandom ultimamente e, finalmente direi, eccomi qui! Vedo che le due persone che sono arrivate qui giù sono molto interessate… ah no, una se n’è appena andata ^^”
Bene, confido nell’ultima… no, sta uscendo anche lei :’)
Spero che la storia in qualche modo sia piaciuta ai grilli che stanno cantando in questa solitudine :D
(Mi sento un po’ Leopardi, ma giusto un filino)
Comunque non durerà tanto come storia e spero di finire di pubblicarla entro ottobre ^^” (il me del 2017 mi picchierebbe in questo momento)
Ci vediamo nei commenti (sto parlando sempre con le cicale)
Miky ^^
   
 
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