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Autore: Micchan018    05/09/2017    0 recensioni
Emanuele e Giulia non potrebbero essere più diversi. Hanno stili di vita diversi, passioni diverse, amicizie diverse, caratteri diversi.
Hanno però una cosa in comune: un passato da dimenticare, e la voglia di riscatto.
E' questo che li fa avvicinare e che, dopo il loro primo incontro nel locale più squallido che si possa immaginare, li attira l'uno verso l'altra con una forza che nessuno dei due avrebbe potuto immaginare.
Questa potrebbe sembrare la classica storia del cattivo ragazzo che s'innamora della brava ragazza e cambia per lei.
In realtà è la storia di come, a volte, l'amore per una persona tanto diversa da te può cambiarti al punto da non riuscire più a riconoscere te stesso.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Mi svegliai sentendo il suono della sveglia, e allungai una mano cercando a tentoni il telefono che non voleva proprio stare zitto. Riuscii a spegnere la suoneria, e abbandonai il braccio sul letto, cercando la forza di alzarmi.

Fanculo, pensai, devo smetterla con questa merda.

Dopo parecchi minuti riuscii a girarmi a pancia insù, e ad aprire gli occhi cisposi. Rimasi immobile a fissare il soffitto immacolato, bianco come una collina innevata, in attesa che le mie sinapsi cominciassero a collaborare. Mi sentivo come se qualcuno stesse martellando a tutta forza all'interno della mia testa, e lo stomaco era ancora sottosopra per il troppo alcol ingerito la sera prima.

Mentre ero ancora troppo addormentata per rendermi conto di cosa stesse accadendo, sentii qualcuno bussare alla porta. Non ebbi neanche il tempo di invitare la persona ad entrare, che una ragazza con i capelli biondo fragola, tinti per metà di fucsia, comparve nella mia stanza.

«Iolanda...» biascicai con voce lagnosa, girandomi su un fianco e coprendomi gli occhi con un braccio.

«Buongiorno principessa!» esclamò la mia migliore amica, sedendosi sul letto senza essere stata minimamente invitata. Iole era una persona dinamica e solare, forse anche troppo per me. A volte mi chiedevo come facessimo a essere amiche da quasi dieci anni.

«Iole, che ore sono?» biascicai, alzandomi molto lentamente e mettendomi a sedere.

«Mezzogiorno e venti» cinguettò lei con aria contenta «dovremmo uscire. Sai, pranzo con gli altri...»

Sbuffai seccata. Non avevo nessuna voglia di uscire a pranzo con gli amici.

Iolanda mi scrutava con un'espressione a metà tra la comprensione e la pietà.

«Che c'è?» chiesi, cercando di non mostrarmi troppo infastidita. Iole fece spallucce.

«No, niente.»

«Ti conosco da dieci anni, conosco quella faccia. Sembra che tu stia guardando un cucciolotto abbandonato che vuoi adottare, e non mi piace.»

Lei rise, poi si sdraiò sul mio letto con lo sguardo rivolto verso il soffitto.

«Niente, è che mi chiedevo chi fosse quel ragazzo carino che ti ha avvicinato ieri sera.»

Eh? «Quale ragazzo carino?»

«Quello che ti ha offerto il japan» replicò Iole.

Cercai con tutte le forze di provare a capire di cosa diavolo stesse parlando, ma con scarsi risultati. Tutto quello che ricordavo della sera prima, erano una gran puzza di sudore e alcool a fiumi. Iole scoppiò a ridere. «E dai, non hai bevuto così tanto! Quello con gli occhi verdi e i capelli neri. Giacca di pelle, ben pettinato, si sentiva l'odore di fumo e testosterone da un chilometro.»

Ebbi un improvviso flash, ricordando il ragazzo fin troppo sicuro di sé che mi aveva avvicinata al bancone del bar e mi aveva offerto un drink, con una sfacciataggine che m'aveva colpita. Tentai di ricordarmi il nome, ma era una causa persa.

«Non ne ho idea, Iole» mormorai passandomi una mano tra i capelli pieni di nodi «immagino fosse uno che non vedeva una figa da un bel pezzo.»

Iolanda rise, alzandosi in piedi.

«Era carino però.»

«Iolanda» disse seccamente «no. Non ancora. E poi...chi lo vedrà più a quello?»

Lei mi sorrise con aria compassionevole, e io sentii una voglia irrefrenabile di prenderla a schiaffi. Non avrei saputo che fare senza di lei, ma a volte sapeva rimescolarmi il sangue come nessun'altra.

«Giulia, sei sicura di stare bene?»

Sospirai, distogliendo lo sguardo. Che domanda stupida. «No che non sto bene, Iole.Sono passati solo tre mesi..insomma, usciamo una sera e guarda come mi riduco. Non ricordo nemmeno il nome di quel tizio. Volevo dimenticare il nome di...di quello, non degli altri.»

Iolanda sorrise, con quella che voleva essere un'aria rassicurante.

«Tranquilla, passerà. Devi solo trovare qualcuno che sia meglio di lui.»

Alzai gli occhi al cielo, e cercai di cambiare discorso. «Tra quanto devo essere pronta?»

«Venti minuti! Ti consiglio di sbrigarti!»

Uscì dalla stanza, con i capelli biondi che dondolavano come un pendolo impazzito. Sapevo che avrei dovuto alzarmi, andare in bagno, farmi una doccia e rendermi presentabile, ma non ne avevo nessuna voglia. Non avevo più voglia di fare niente, da una settimana a quella parte. Era un miracolo che Iolanda fosse riuscita a convincermi a muovermi da casa, la sera prima.

Nel giro di tre mesi, la mia vita era cambiata totalmente. Sette giorni prima ero la giovane promessa sposa di un ragazzo fantastico, e ora ero una ragazza single, sola e triste che viveva a casa della propria migliore amica, in una città che le era totalmente estranea.

Se non fosse stato per Iolanda, non so che fine avrei fatto. Eravamo amiche dai tempi delle medie, fin da quando ci eravamo conosciute durante le prove del laboratorio teatrale. Ai tempi non aveva metà dei capelli rosa, ma era comunque stramba da fare paura. Non era pazza, solo...esaltata. Le piaceva chiunque, era sempre allegra, sembrava che nulla potesse scalfirla. La nostra amicizia era durata anche quando lei si era trasferita tre anni prima per frequentare l'università che aveva scelto, ed eravamo sempre rimaste in contatto. In fondo, è questo che significa essere amiche del cuore.

Così quando tre mesi prima, durante la peggiore vigilia di Pasqua che si possa ricordare, le avevo telefonato dicendole che avevo trovato il mio promesso sposo a letto con un'altra e che il matrimonio era saltato, lei non aveva esitato un attimo e mi aveva invitata a lasciare immediatamente Varese e a trasferirmi da lei. E così avevo fatto. Non sapevo cosa mi avesse convinto a piantare in asso lavoro, famiglia e amici e ad andare a vivere nella camera degli ospiti della mia migliore amica, ma non me ne ero pentita. Iolanda mi aveva offerto un tetto sulla testa e una spalla su cui piangere, e lei e Grace, la sua ragazza, erano state l'unico motivo per cui non ero completamente crollata sotto il peso della mia vita che andava a pezzi.

Quindi, mi dissi, il minimo che le devi è di renderti presentabile per questo pranzo.

Mi alzai di scatto dal letto e aprii l'armadio, in cerca di qualcosa da mettermi. Riuscii a trovare una maglietta bianca che sembrava abbastanza elegante e un paio di jeans a vita alta, li posai sul letto e andai in bagno a farmi una doccia.

Mi godetti il getto dell'acqua calda, mentre spazzava via ogni traccia della sbronza della sera prima, e cercai di togliere i nodi dai capelli con un quintale di balsamo. Avrei dovuto tagliarli, ma mi sembrava un crimine.

Tornai in camera mia avvolta in un accappatoio rosa, e mi sedetti sul letto. Stavo per prendere la crema idratante dal comodino, quando notai una lucetta di notifica lampeggiare sul mio Huawei. Iolanda è così impaziente da mandarmi anche i messaggi per dirmi di sbrigarmi? Pensai divertita.

Quando sbloccai lo schermo, però, mi accorsi che non era Iolanda a cercarmi. Avevo una chiamata persa da un numero che non era salvato in rubrica. Mi saltò il cuore in gola. Nonostante il lutto per la mia storia naufragata, avevo trovato la forza di passare gli ultimi tre mesi nella nuova città a cercare lavoro. Forse finalmente la mia ricerca aveva dato qualche frutto. Mi affrettai a richiamare, sperando con tutto il cuore che fosse qualcuno intenzionato ad offrirmi un lavoro. Mentre il cellulare squillava, il cuore mi martellava in petto come un martello pneumatico. Ci vollero circa dieci secondi, prima che una voce maschile interrompesse il beep del telefono.

«Giulia?»

Sentii il battito fermarsi. Oddio, è veramente un datore di lavoro. Era l'unica spiegazione razionale al fatto che conoscesse il mio nome.

«Ehm...sì, buongiorno...ho trovato una chiamata persa da questo numero» dissi, cercando di non balbettare e di suonare il più professionale possibile.

Dall'altra parte del telefono sentii una fragorosa risata. Rimasi spiazzata, domandandomi che razza di titolare fosse quello con cui ero al telefono.

«Caspita, sei sempre così formale da sobria?» domandò la voce.

Iniziai ad avere il sospetto che quella non fosse una telefonata di lavoro. «Posso sapere chi parla?» domandai.

«Emanuele il Magnifico, mia cara. Ritieniti fortunata, sono tante quelle che vorrebbero una mia telefonata, poche quelle che la ricevono.»

Emanuele? Non avevo la più pallida idea di chi fosse. «Scusa, ma credo di non sapere proprio chi tu sia.»

Le mie parole furono accolte da un breve silenzio, seguito da uno sbuffo di esasperazione. «Ti prego dimmi che ieri sera non hai bevuto così tanto da dimenticarti di me...» disse con voce lagnosa. Anche se ebbi la netta sensazione che fosse tutta una finzione.

«Per quanto mi dispiaccia darti una delusione, credo sia successo proprio questo.»

Lo sentii emettere un verso, qualcosa a metà fra una risata e un sospiro. «Quindi non ricordi nulla di un ragazzo incredibilmente figo che ti ha offerto il miglior Japan Ice Tea della tua vita?»

Mi sfuggì un grugnito. Il ragazzo del japan, ma certo. Avrei dovuto ascoltare di più Iolanda, quando parlava. «Io ricordo solo un ragazzo incredibilmente arrogante» replicai. Bugia, non ricordavo quasi nulla, ma che era arrogante me lo suggeriva la conversazione che stavamo avendo in quel preciso istante.

«Così mi ferisci, tesoro» mugolò lui, suonando sempre meno convincente. Io sbuffai seccata. Mi stava facendo perdere un'enormità di tempo.

«Ok...Emanuele, senti, immagino tu mi abbia chiamato per rimediare un appuntamento, ma ti dico subito che non ne ho nessuna voglia. Quindi ti ringrazio per l'interesse, ma ci salutiamo qui.»

Lo sentii ridacchiare, e per qualche motivo la cosa mi suscitò un fastidio incredibile.

«E va bene» disse «immagino che con te il mio fascino da cattivo ragazzo non funzioni. Ti chiedo scusa. Facciamo così...ciao, mi chiamo Emanuele, e tu sei stata la cosa più bella che abbia visto ieri sera, o in tutta la settimana. Per favore, possiamo metterci d'accordo per vederci ancora? Perchè mi hai davvero colpito.»

Mi sorpresi a ridere, ma ciononostante ero decisa a non retrocedere. «La risposta è sempre no» dissi cercando di suonare convincente.

«Posso sapere il perché?»

«Non c'è un perché, semplicemente non ne ho voglia.»

Ci fu un istante di silenzio, poi Emanuele sospirò. «E va bene. Chiedo scusa per il disturbo.»

«Tranquillo. Ti saluto.»

Chiusi la telefonata, senza lasciargli il tempo di replicare. Nonostante la sua arroganza, dovetti ammettere che quella telefonata mi aveva divertita. Senza dubbio era uno che con le ragazze ci sapeva fare, e forse, se non avessi visto il mio futuro matrimonio andare in pezzi appena tre mesi prima, ci sarei cascata anche io.

Abbandonai il cellulare sul letto e mi vestii, per poi uscire dal mio bunker e raggiungere Iolanda in soggiorno. Non mi sorpresi minimamente, quando la trovai intenta ad amoreggiare con Grace sul divano. Emisi un lieve colpo di tosse, e loro si allontanarono immediatamente e mi rivolsero due sorrisi a dir poco radiosi.

«Giulia!» esclamò Grace «stai benissimo! Come va oggi?»

Io mi sforzai di ricambiare il sorriso. «Tutto a posto, grazie.»

Grace, ovvero Graziella, era l'esatto opposto della sua ragazza. Capelli a caschetto castani, vestita all'ultimo grido, carattere calmo e tranquillo. Se non fossi stata fermamente convinta che l'abito non fa il monaco, sarei stata piuttosto sorpresa dal fatto che fosse lesbica. In fondo però, non è lo stile di una persona a decretarne l'orientamento sessuale.

Grace era una ragazza dolcissima, e da quando ero arrivata si era presa cura di me come se fossi stata la sua migliore amica e non quella della sua ragazza.

«Ok, direi che siamo tutte pronte!» esclamò Iole, saltando in piedi «andiamo?»

Prima che potessi rispondere, mi arrivò un messaggio sul cellulare. Era lo stesso numero di prima. Emanuele.

Aprii il messaggio, e vidi che mi aveva inviato un selfie, lui steso sul divano, con una didascalia che recitava "sicura di voler dire di no a questo faccino?"

Il ragazzo è testardo, poco ma sicuro.

Osservai il viso di Emanuele nella foto. Era senza dubbio un bel ragazzo, con gli occhi verdi e i capelli scuri e ribelli. Forse troppo bello, per una come me. Ero abituata ai ragazzi normali, e di quelli come lui, belli e sicuri di sé, non mi ero mai fidata. Ciononostante c'era qualcosa in lui che mi attraeva...non sapevo spiegare cosa, so soltanto che, senza rendermene conto, digitai un messaggio.

"Se fai il bravo, magari il no diventa un sì."

   
 
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