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Autore: Lila May    05/09/2017    3 recensioni
/ Valerie’s centric / 1581 words / introspettivo, slice of life, triste /
- Dal testo:
❝Un’anima intrappolata tra nastri di ogni tipo e profumi vorticosamente forti. Sotterrata da strati di fondotinta e chili di mascara.
Sul serio, chi era Valerie?
Quella riflessa nello specchio o la bambolina delle lotte Pokémon?
Si sentì persa mentre fissava il suo riflesso, incapace di riconoscersi.
Era lei, ma allo stesso tempo non lo era.
Aveva le sopracciglia spettinate, le iridi gonfie e tristi di un dolore che disseminava ferite anche solo a pensarci. Si immerse fino al midollo in quella tristezza, la percepì sotto la pelle come se fosse sua.
Era sua.
Ne ebbe paura.❞
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Perfect girls don't cry.



<< Anche l’ultimo laccio è andato. >>
Quattordici chili di pura seta a forma d’ala precipitarono armoniosamente sul pavimento in legno della stanza, accompagnati da lunghi nastri violetti, fiocchi dalle svariate dimensioni e un insolito fermacapelli che ricordava tanto le adorabili orecchie di Audino.
Le dita affusolate di Valerie, finalmente libere, corsero al corpetto, e lo spinsero verso il passo con un gesto delicato e impaziente; fu facile da togliere, ora che lacci e laccetti erano stati sfilati.
Si ravviò i lunghi capelli neri e si voltò verso la ragazza che le aveva prestato aiuto, sorridendole con candore. Era sempre così, per Valerie, un momento a cui ormai era abituata. Ogni sera, terminate le sfide in palestra, si ritirava nei suoi alloggi e si faceva aiutare da una delle sue ragazze perché le dessero una mano a togliersi il pesante abito che era solita indossare. Avrebbe potuto benissimo farlo da sola, se non fosse stato per la scomodità delle maniche. Graziose, eleganti, esotiche, perfette se non per un piccolo dettaglio: erano chiuse. E, senza mani, non poteva fare molto. << Ti ringrazio, cara. Sei un tesoro. >> fece un gesto del capo a indicare la porta lasciata semichiusa oltre le spalle della giovane. << Puoi andare. >>
La graziosa biondina unì le mani e si congedò, lasciandola sola.
Sola.
Finalmente.
Prese un sospiro, si sedette sul bordo del letto e si tolse con cura i tacchi. Erano alti, forse troppo, e la punta si alzava orgogliosamente verso l’alto, permettendo allo spettatore di notare con stupore la meravigliosa suola rosa confetto.
Impeccabilmente scomodi, si disse mentre si alzava per riporli nella scatola.
Le facevano male le piante dei piedi, la testa e gli arti, ma quel lancinante dolore non era una novità, bensì un’orribile abitudine ormai assimilata e sconfitta: stava tutto il giorno immobile a fissare l’orizzonte, le braccia piegate verso l’esterno per mettere in risalto il prestigioso abito di trentatré libbre, decorato apposta perché ricordasse le potenti ali di un drago leggendario.
Una posizione intrigante, misteriosa, che la faceva sembrare una fragile bambolina di cristallo agli occhi dell’ ennesimo allenatore.
Quello rimaneva estasiato dinanzi a tanta grazia, come se non avesse mai visto niente di tanto prezioso in tutta la sua vita. Le percorreva i capelli con occhio stupito, correva al suo volto perlaceo, le fissava gli occhi stellati e scendeva fino alla gola, ove un maestoso collare lilla le metteva in risalto le clavicole pallide.
Poi ancora giù, al piccolo seno saldato dietro il rigido corpetto rosa, alla vita coperta appena dall’estrosa gonnellina di pizzo.
Fino alle lunghe gambe da modella, nere dalla cima ai piedi.
Poi passava alle ali, e dopo l’attimo di shock iniziale rinsaviva, ricordandosi i motivi per i quali era lì.
Valerie sorrideva orgogliosa della sua bellezza quasi irreale, che aveva effetto sia sui maschi sia sulle femmine.
Si inchinava piegandosi appena - o avrebbe guastato il costume - e poi partiva la lotta.
Agli occhi di tutti sarebbe potuta sembrare contenta, fiera, quasi invidiosa di se stessa mentre impartiva ordini con la delicata voce di un’elfa.
Ma no, in verità non era affatto contenta.
Ne fiera. Ne invidiosa di se stessa.
Sotto strati di trucco e sorrisi avvenenti, Valerie era devastata da un sordo dolore, che la prendeva e sballottava contro gli spigoli più taglienti della vita.
Era una continua tempesta. Implacabile e violenta.
Soffriva. Soffriva perché non si sentiva abbastanza, perché non era più se stessa.
Non era niente.
Solo un corpo esibito.
E ogni minuto che passava dentro quell’abito scomodo e pesante, a comportarsi da bambola di porcellana, a farsi tessere lodi dagli allenatori, per lei equivaleva ad un lento suicidio interno.
Era come se dentro di sé imperversasse una lotta senza fine. Quella tra la vecchia Valerie di Johto, la ragazza timida ed elegante di Amarantopoli, e la nuova Valerie di Kalos, quella così bella da sembrare aliena, quella così delicata da aver assimilato la fragilità di un filo di seta.
Quella che recita poesie a memoria nel tempo libero, che detesta i giorni di pioggia e che domina sovrana sui suoi tacchi alti. Quella finta, proprio quella.
Era una maschera, affacciata al palcoscenico della vita.
Prese un sospiro, mentre con aria afflitta si guardava intorno. Le sembrava di non riconoscere più quella stanza.
Di non riconoscere più neanche l’ultimo residuo di se stessa.
Proprio perché la battaglia era dentro di sé, nessuno, nessuno si era mai accorto del suo dolore.
Anche perché, che motivi aveva per soffrire?
Possedeva tutto ciò che una ragazza avrebbe potuto mai desiderare dalla vita. Soldi, una bellezza eterea, un carattere educato e malizioso.
Era impeccabile.

Era un orrore a doppia faccia, il lato storto della medaglia.
Prese posto davanti alla toletta, si raccolse i capelli in una coda e cominciò a togliersi il fard, prestando particolare occhio a dove passava le mani. Cambiò sfera di cotone sette volte, da quanti strati si era messa quella mattina. Maledizione, era sempre così.
Poi passò al mascara, all’ombretto viola e infine al lucidalabbra, che rimosse con parecchia difficoltà.
Infine si sciacquò il volto al lavandino e se lo cosparse avidamente di crema, per mantenere la pelle elastica il giusto; domani sarebbe stato pronto per essere di nuovo nascosto, almeno.
Fu in quel momento che prestò attenzione a se stessa, davvero, per la prima volta da quando si era seduta lì davanti.
Il suo corpo incrociò lo sguardo con quello della sua anima, nitidamente riflessa oltre lo specchio intarsiato d’oro.
Storse appena le labbra, e questa ne imitò il movimento di disapprovazione. Non sembrava lei, cristo. Si ammirava sempre, ma mai con attenzione come in quel preciso momento.
Come in quella precisa ora della notte, quando tutto diventava buio e incostante come le sue emozioni.
Il tempo parve rallentare, distorcersi e plasmarsi mentre lei percorreva con mano tremante i lineamenti duri e sobri del suo volto.
A stento riusciva a toccarsi senza provare un moto di disagio. Dov’era finita la pelle d’avorio? E i grandi occhi fatati?
I lunghi capelli lisci, dove erano scappati?
Quella non era Valerie. Era una ragazza come tante, con paurose borse sotto gli occhi e orripilanti labbra secche. Valerie era quella dai vestiti rari, il sorriso timido e l’andatura provocante.
Un mostro di bellezza.
Un’anima intrappolata tra nastri di ogni tipo e profumi vorticosamente forti. Sotterrata da strati di fondotinta e chili di mascara.
Sul serio, chi era Valerie?
Quella riflessa nello specchio o la bambolina delle lotte Pokémon?
Si sentì persa mentre fissava il suo riflesso, incapace di riconoscersi.
Era lei, ma allo stesso tempo non lo era.
Aveva le sopracciglia spettinate, le iridi gonfie e tristi di un dolore che disseminava ferite anche solo a pensarci. Si immerse fino al midollo in quella tristezza, la percepì sotto la pelle come se fosse sua.
Era sua.
Ne ebbe paura.
Fu percossa da un brivido, che la distrusse con la potenza di un terremoto. Non si accorse di star tremando fino a quando non lo notò allo specchio.
Chi, anzi, che cosa diavolo era diventata? Quanto si era lasciata condizionare per finire ridotta in quel modo? Per finire come una statica bambola di porcellana?
Una bambola bella, eterea, algida, sì… che però prima o poi è destinata a terminare la sua esistenza in soffitta, dimenticata da tutto e tutti.
Si chiese a cosa servisse lottare tanto per raggiungere la bellezza, se irrimediabilmente si finiva per venirne divorati.
Si finiva in mezzo alla polvere, in mezzo a centomila oggetti uguali, simili e persino migliori di lei.
Ebbe paura di cercare una risposta a tutte quelle domande. La travolsero come un’onda gigantesca, folle, senza darle neanche il tempo di ritornare in se. Urlò di terrore, terrore di essere diventata un mostro, di essersi resa nuovamente conto di non poter più tornare indietro, e in preda all’isteria più pura scaraventò al suolo tutto ciò che si trovava sulla toletta. Una pioggia di boccette finì a terra, provocando un fracasso enorme.
I profumi si spaccarono al suolo, gli smalti sparsero i loro colori sul pavimento, intasando l’aria di alcool.
<< Valerie! >> una delle sue fedeli ragazze accorse alla porta. Non bussò prima di entrare, l’aprì e le puntò gli occhi addosso, preoccupata.
Valerie si scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sfuggita alla tenuta della coda. Raccolse ciò che era rimasto intatto, lo riposizionò sulla toletta e poi guardò la sua piccola discepola.
Le sorrise, perfettamente calma.
Ma dentro, dentro sbraitava di dolore.
<< Tutto a posto. Sono scivolata. >> mormorò, sollevando appena le magre spalle per nascondere ancora di più la tremenda verità che le gravava in petto.
<< D’accordo… >> la ragazza però non sparì oltre la soglia. Rimase lì a guardarla, le sopracciglia appena corrucciate sotto l’ampia frangetta rossa. << Sono lacrime quelle che vedo, Valerie? >> chiese poi, un fragile sussurro rivolto solo alla meravigliosa Capopalestra.
Quelle parole trafissero il cuore di Valerie con la potenza di mille lame. Vacillò appena e indietreggiò, appoggiandosi contro il muro freddo della stanza. Era spaventata, sconvolta da simile rivelazione. Si rese conto di respirare appena, di non poter credere alle parole della giovane,  così strane, così… assurde.
Le ragazze perfette non piangono. Non possono, non devono.
Non ne hanno motivi.
Si toccò uno zigomo umido e fu destabilizzante venire a conoscenza di quella scoperta.
Ebbe paura di se stessa, di nuovo, ma sorrise alla giovane per non farla preoccupare.
Già. Sorrise ancora. Come se ci fosse davvero un cazzo di motivo per continuare a farlo.
<< Va tutto bene. Mi sono spaventata, ti chiedo scusa. Puoi andare. >>
<< Buonanotte, Valerie. >>
<< Notte, tesoro. >>
La giovane chinò il capo e finalmente levò i tacchi, convinta della testimonianza appena udita.
Testimonianza non vera, ovvio, ma che ne poteva sapere? Così ingenua, così felice di aver intrapreso quel cammino di bellezza e gioia.
Proprio come Valerie all’inizio, quando pensava che sarebbe riuscita a dominare tutto. Che niente e nessuno l’avrebbe schiavizzata a tanto splendore.
Si rannicchiò sul pavimento e l’ascoltò salire le scale; ogni ticchettio le faceva sussultare le vene di dolore, ma non si costrinse a non udire. Erano gli stessi suoi eleganti passi.
Le stava trasformando. Tutte loro. Tutte le sue piccole.
In bambole.
Erano tutte malate, come lei. Tutte pazze.
Infelici.
I muri della stanza le caddero addosso quando chinò il capo sulle braccia affaticate. Si sentì insulsa, piccola, soffocata in mezzo a tutta quella perfezione sbagliata, che aveva condizionato la sua vita tanto da cancellarne ogni residuo di umanità.
Era in balia della perfezione.
E stava insegnando alle altre come sottomettersi al suo potere. Non come valorizzarlo.
Che orrore.
Pianse, pianse fino a quando non si addormentò in quella scomoda posizione, appoggiata contro la parete.
Pianse, perché il suo amore per la bellezza le si era ritorto contro, uccidendola.
Pianse, perché era sbagliato persino farlo.
E perché non era ancora abbastanza perfetta per impedirselo.
 
 
Era sempre così, per Valerie, un momento a cui ormai era abituata. Ogni sera, terminate le sfide in palestra, si ritirava nei suoi alloggi e si rendeva conto, con orrore, di essere diventata un’inutile bambola da collezione.

 
 
 
Nda
Ciao a tutti, come andiamo? Io bene male, ho finito gli esami di riparazione ma sono andati come la merd-- non importa, quello che conta è esserseli tolti di mezzo, speriamo di passare ahah. Sento di essere rimasta comunque sotto esame, fino a quando non saprò di che morte morire continuerò a non dormire. Va beh. Dunque! Nuovo Settembre, nuove storie. (?) Vi regalo questa complessata Valerie per distrarvi dall’inizio della scuola perché, che dire, personalmente amo il suo personaggio. Oltre all’aspetto, la trovo unica nel suo genere e penso che se studiata bene può prendersi anche il primo posto del podio, a mio parere.
Non so perché, ma mi ci rivedo molto in lei, specialmente in questa storia. Consideratela pure uno “sfogo”, c’è stato un periodo della mia vita nel quale non pensavo ad altro se non la bellezza esteriore. E’ stato il più brutto della mia vita, senti di non valere niente fino a quando non raggiungi i canoni che ti sei prefissato… non auguro a nessuno di ridursi in quel modo, è davvero un incubo senza fine. In ogni caso, la trama della storia è un po’ diversa, ovvio, ma tratta più o meno dello stesso argomento.
Ho scelto Valerie perché la trovo adatta al ruolo, in particolare quando nel gioco si incanta a fissare la sua stessa medaglia LOL, tutta stralunata lei che ganza. Insomma, sfido chiunque a portare un vestito di quasi 15 kg senza essere complessati. (su internet mi dice che 33 libbre corrispondono a 14,92 kg più o meno.) 
E niente, è strana forte, tipo abbagliata. Una “schiava” della bellezza, possiamo dirlo? Sembra davvero una bambolina di porcellana, che sopporterebbe di tutto pur di apparire perfetta agli occhi degli altri, sempre. Ma lei? Lei è perfetta per se stessa?
No, ve lo dico io. (?)
E niente, io ho finito. Spero in qualche recensione, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, sia della storia che del tema :(
Scappo!
A presto
 
-Lou
   
 
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