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Autore: thestoryreader    06/09/2017    0 recensioni
Sara è una ragazza a pezzi dopo aver assistito a un evento agghiacciante. Viene ospitata dalla famiglia Kent in attesa di essere adottata e intanto, piano piano, ricostruisce la sua vita, fidandosi di nuovo degli altri, vivendo un'avventura emozionante con i suoi amici e condividendo il suo più grande segreto: la magia.
Genere: Avventura, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Fece lo stesso sogno, ogni notte per 2 settimane. E quando non dormiva, pensava costantemente a quella porta. Non sapeva che cosa significasse, non sapeva il significato che aveva per lei e non sapeva che cosa c’entrasse con il fumetto di Jordan.
“non capisco e io odio non capire” disse un giorno a colazione, mentre faceva girare i cereali nella tazza del latte. Il cucchiaio girava da solo mentre con le mani si reggeva la testa in contemplazione.
Clark alzò lo sguardo dalla tazza. Guardò verso la porta e vide Lex bussare. Si schiarì la voce per avvisare Sara che prontamente prese in mano il cucchiaio.
“ciao Lex. come stai?” chiese Clark
“non c’è male. Sono venuto a ritirare delle torte che avevo ordinato. Mi ha detto tua madre di passare stamattina” guardò Sara “tutto ok Sara?”
Lei annuì. Era distante. Lex sollevò un sopracciglio. Guardò Clark come per chiedere conferma che stesse bene e lui annuì. “gli allenamenti di atletica la prosciugano” mentì.
Lex annuì poco convinto mentre Sara continuava a mescolare i cereali.

Sara si avvicinò al suo armadietto. Prese il libro di fisica e lo mise nello zaino. Poi lo richiuse e si ritrovò faccia a faccia con il viso di Jordan.
“ehy” esclamò.
Sara sobbalzò e fece quasi cadere il cellulare.
“ciao Jordan” disse lei, deglutendo. Diventò rossa.
“non volevo spaventarti, mi dispiace” disse lui.
“tranquillo” gli sorrise “non è successo nulla”
Si fermò davanti al suo armadietto in attesa che lui dicesse qualcos’altro.
“mi hai detto che volevi vedere il continuo della storia vero?”
Lei si illuminò. “si certo mi piacerebbe”
“ecco guarda” disse porgendole il quaderno.
Lei lo prese, lo strinse tra le mani per un attimo e poi lo aprì.
Dopo che Clark aveva raccolto la chiave si era rivolto alla ninfa del lago. Avevano deciso di comune accordo di nasconderla in casa del cavaliere. Tutto combaciava con quello che era effettivamente successo nella realtà.
Girò la pagina. Vide la ninfa del lago e il cavaliere. Erano davanti a un castello e avevano la chiave.
“è pazzesco” disse Sara “è il castello dei Luthor”

“come hai detto?”
“a cosa ti ispiri quando disegni. A fatti reali o inventi tutto”
“bhe ti potrà sembrare pazzesco ma… quando disegno è come se una voce nella mia testa mi dicesse tutti i particolari della storia. Potrei scriverci un romanzo ma amo disegnare quindi…”
“quindi ciò che apre quella chiave si trova in questo castello vero?”
“si credo… ci devo ancora lavorare”
Sara sorrise. La destinazione era il castello dei Luthor e finalmente avrebbe scoperto quello che c’era dietro quella porta.
“grazie mille. é una bella storia. E soprattutto disegni benissimo” disse la ragazza, chiudendo il quaderno.
“grazie” disse lui rimettendolo nello zaino. Ed ecco che si fermarono, a un metro l’uno dall’altro a guardarsi, aspettando che l’altro dicesse qualcosa.
“senti.. di solito il sabato sono sempre da solo a colazione. Ti va di.. venire a farla con me?” disse lui portando la mano alla spalla dello zaino.
Sara avvampò. Che cosa doveva fare? “emh.. io… non saprei.”
“facciamo così… pensaci. Poi a fine lezione dimmi se ti va” le disse con un sorriso.
Lei annuì e gli sorrise.

Pensò tutto il giorno a cosa dire a Jordan. Accettare o non accettare? A lei piaceva ma era completamente bloccata. Clark la vide pensierosa.
“stai ancora pensando a quel sogno? Sta diventando un’ossessione”
“Jordan mi ha invitata a casa sua” disse “ho bisogno del tuo aiuto per capire se è una saggia decisione”
“si” disse lui senza pensarci “vacci. vi piacete.”
Lei sorrise. Che cosa aveva da perdere?
“ok mi hai convinta. Ci vado” disse lei ridendo
“ci ho messo poco a convincerti vedo” rise lui di rimando.

“Jordan?” lo chiamò dal fondo del corridoio
Lui si girò “ehy” esclamò.
“domani verrò. Verrò a fare colazione con te”
Lui le sorrise “mi fa piacere che tu abbia accettato l’invito: pancakes? ti vanno?” chiese
“vanno benissimo” sorrise Sara
“allora domani alle 9:30 facciamo?”
Lei annuì.

In pullman Clark e Sara si sedettero vicini.
“Ti devo dire una cosa?” dissero all’unisono.
Risero poi Clark cedette la parola alla ragazza.
“so dove si trova la porta. Almeno, dal fumetto di Jordan ho capito determinate informazioni.”
“e dove sarebbe la porta”
“a casa dei Luthor. Ci andiamo un giorno di questi? Chiederò a Lex di prestarmi un libro e tu con la tua supervelocità farai un sopralluogo.”
“quella casa è immensa. Ci sono una sacco di passaggi di cui nessuno conosce l’esistenza. é se fosse dietro a  un muro? Come passiamo senza sfondarlo?”
“su quello non ti devi preoccupare. Conosco un incantesimo. Devi solo trovare la porta”
“ci sto. Accordato” poi si strinsero la mano, come se avessero appena concluso un contratto.
“e tu invece che cosa mi volevi dire”
“questa domenica arriveranno i servizi sociali a controllare che vada tutto bene con noi e con te. Ci sarà uno psicologo e dovrai fare una seduta.”
“va bene” disse lei sospirando. Poi aggiunse “se questo incontro va bene probabilmente resterò qui più a lungo.”
Alle 9 l’indomani uscì di casa e raggiunse a piedi la casa di Jordan. Non aveva idea di cosa gli avrebbe detto e si ritrovò a pensare di essere estremamente nervosa. Aveva indossato un jumpsuit che aveva preso un pomeriggio mentre era fuori con Martha. Suonò al campanello e lui le aprì. “ehy” disse con gli occhi ancora assonnati e la voce impastata.
“scusami mi sa che sono un po’ in anticipo” disse lei
“no problem” disse facendole segno di entrare.
“i tuoi non ci sono?” chiese Sara
“Il sabato vanno sempre a giocare a tennis la mattina fino alle 11:30. Tornano a casa per pranzo” disse lui mentre si dirigeva ai fornelli.
Lei si sedette guardandosi attorno.
“ecco i tuoi pancake” disse Jordan porgendoglielo su un piatto, distraendola dai suoi pensieri.
“wow li hai fatti tu?” chiese
“si, te l’ho detto il sabato sono sempre solo e mi sono dovuto adattare” disse facendole l’occhiolino e sedendosi accanto a lei.
Li provò. “ehy sono buonissimi” disse strabuzzando gli occhi.
“lo so ” disse Jordan ridendo. “detengo il record di miglior pancake di Smallville” rise sarcastico.
Si guardarono negli occhi per un momento. Lui si avvicinò di poco. Stava quasi per sfiorarle le labbra con le sue ma lei si tirò indietro.
“Io… non mi merito il tuo amore. Devo prima riuscire a perdonarmi per una cosa che è successa tempo fa.” disse lei.
Lui si tirò indietro e la guardò.
“io non sto bene e come avrai notato ho problemi a essere toccata o avere contatti. Io…” disse incupendosi.
“che cosa ti è successo?” chiese lui.
Lei scosse la testa “è difficile da spiegare.” disse.
“provaci. Capirò” disse il ragazzo
“ho paura a dirlo. Ho paura che cambierà tutto”
Lui le sorrise “non cambierà nulla te lo assicuro”
Lei lo guardò sull’orlo del pianto “voglio dirlo una volta sola a tutti quanti, perché se lo dico non sono sicura di poterlo raccontare di nuovo” disse Sara.
Mangiarono il resto dei pancake parlando della squadra di football in cui lui giocava e nella squadra di atletica in cui lei avrebbe corso. Alle 10:30 Sara disse a Jordan che doveva necessariamente andare via. Lui la accompagnò alla porta e si fermarono lì davanti. Si guardarono per un momento poi lei si sporse e gli diede un bacio sulla guancia. Poi se ne andò in silenzio.

Arrivò a casa a passo svelto e con le lacrime che le rigavano il volto. Salì le scale di corsa e entrò in camera, chiudendo la porta alle sue spalle. Si sedette sul letto con la mano sulla bocca. Lui era un ragazzo così gentile e a lei piaceva ma come poteva, anche solo pensare di stare con lui dopo quello che aveva fatto?
Clark entrò in camera sua “sento le tue rotelle che girano. C’è qualche problema?” chiese gentilmente
“il passato” disse lei guardandolo negli occhi.
Lui entrò e si sedette di fianco a lei. Lei appoggiò la testa sulla sua spalla.
“Ho paura a raccontare tutto. Ho paura che cambi tutto tra di noi. Tu non sai la storia intera. Tu non sai che cosa è successo.” chiese bisbigliando
“da parte mia non cambierà nulla e nemmeno da parte degli altri. Devi smetterla di pensare che ti giudicheremo. Se gli altri sono davvero tuoi amici capiranno e ti assicuro che lo faranno. E non racconteranno nulla a nessuno”
“e se lo raccontassi oggi pomeriggio?” disse Sara
“lo puoi raccontare quando te la sentirai.”
“voglio solo essere sicura di doverlo dire una volta sola. Non voglio raccontarlo due volte o mille. Solo una volta sola”
“allora lo racconterai una volta sola. Vuoi che chiami gli altri e dica che devi raccontare qualcosa di importante?”
Sospirò. Lo voleva dire a qualcuno.Voleva raccontare che cosa le era successo. Voleva giustificare il suo comportamento schivo, che a volte sembrava un po’ arrogante. E voleva soprattutto giustificarsi con Jordan, il ragazzo dai capelli castani e gli occhi brillanti che le piaceva più di ogni altro ragazzo al mondo.
“si chiamali” disse alla fine.

“ok potete sedervi tutti?” chiese quando si trovarono tutti in mansarda.
Tutti presero posto sulla poltrona nel fienile. Le sue mani continuavano a tremare e camminava nervosa a destra e sinistra.
“che succede?” chiese Pete “va tutto bene?”
“ho deciso di raccontarvi… quello che è successo 6 mesi fa alla mia famiglia”
Tutti si guardarono e poi annuirono. Jordan era concentrato ma la sua agitazione era palpabile.
Prese un respiro.
“ok… ehm.. Vivevamo a Metropolis…  in uno dei quartieri più tranquilli e immersi nella natura della città. Eravamo io, mio fratello e i miei genitori. La mia era una famiglia felice. O almeno così sembrava. Io e mio fratello abbiamo sempre avuto un rapporto speciale, eravamo complici, amici, fratelli e confidenti. Aveva 4 anni più di me. Una forza della natura.
I miei genitori erano innamoratissimi l’uno dell’altro, almeno per i primi anni della mia vita.. Si concedevano delle serate per loro e avevano ancora quel pizzico di romanticismo che tutti invidiano.

Poi tutto diventò nero. Passammo un brutto periodo, mia mamma fu licenziata e mio padre non riusciva da solo a pagare le bollette, il cibo, le cure mediche. Si susseguivano continui litigi e fummo costretti a rivolgerci alla mensa dei poveri per riuscire a mangiare. Mio padre era arrabbiato perché mia madre non riusciva a tenere a bada i suoi vizi mentre mia madre era innervosita dal fatto che lui glielo facesse pesare. Mi accorgo solo ora che questo periodo mi fece capire quale fosse il vero carattere di entrambi: mio padre si rivelò essere un uomo possessivo verso mia madre, che lo aveva minacciato più volte di andarsene, se avesse continuato a trattarla così, e lei, dal suo canto, si era dimostrata attaccata ai soldi. Tutto si risolse, almeno in parte, quando mia madre trovò un lavoro. Riuscimmo a risollevarci ma il loro rapporto era rovinato. Anche se non litigavano, non si concedevano più le loro serate da soli e non sapevano più volersi bene. Tuttavia mio fratello mi continuava a dire che sarebbe andato tutto bene e che tutto si sarebbe risolto.

Un giorno, avevo 14 anni, stavo tornando da scuola 2 ore prima del solito, mancava un professore.  Avevo deciso di passare dalla gelateria e prendermi un ghiacciolo. Ho visto mia madre baciare un altro uomo seduta a un tavolino al bar di fronte alla gelateria. Mi si è gelato il sangue nelle vene.
Mia madre quel giorno mi vide. Si alzò dal tavolo e cercò di seguirmi per spiegarmi, ma scappai a casa. Per le successive tre settimane cercò in tutti i modi di parlarmi. Ho sempre rifiutato. La verità è che da quel giorno non ho più visto mia madre nello stesso modo, mi faceva schifo il modo in cui tradiva papà. Avrei preferito se lo avesse lasciato, evitandomi quel dolore, evitando che io vedessi quella scena.
I miei genitori non si amavano più e lo capivo, ma a quell’età speri sempre che tutto si sistemi. Che tutto possa tornare alla normalità.  
Mio padre si chiedeva come mai non parlassimo più e continuava a chiedermi se ci fosse qualcosa che non andava. Io rifiutavo sempre di parlare, dicendo che ero preoccupata per la scuola. Lo svelai a mio fratello 2 mesi dopo, non volevo che lui soffrisse come soffrivo io. Ma alla fine ho dovuto rispondere alle sue continue domande
“mamma tradisce papà” sono riuscita a dire. Di comune accordo non abbiamo mai detto nulla a mio padre.
Man mano che il tempo passava sembrava che tutto tornasse alla normalità, mamma era sempre presente in casa. Io dal mio canto scrivevo sempre tutto quello che sentivo su un diario che nascondevo sotto il materasso. Parlammo, una volta, e lei mi disse che non vedeva più quell’uomo e che potevo fidarmi di nuovo di lei.
Passarono due anni da quell’episodio e avevo perdonato mia madre. Ci parlavo poco comunque ma non le portavo rancore, non più.
Qualche mese più tardi la vidi di nuovo, sempre con lo stesso uomo.
Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. Quella stessa sera litigammo. Le dissi delle cose bruttissime mentre mio fratello cercava di calmarmi. Era sempre stato molto calmo e aveva un carattere molto pacifico: quando ero arrabbiata mi faceva sempre ragionare. Con il passare dei giorni papà si accorse di quel nuovo gelo tra di noi. Continuava a chiedere che cosa succedesse. Non gli abbiamo mai risposto sinceramente.
Una sera arrivai in camera. Il diario era aperto sul letto. Lo richiusi subito cercando di pensare a chi avesse potuto leggere il mio diario. Andai in camera dei miei genitori e vidi che le cose di papà non c’erano più”
In quel momento l’enorme groppo alla gola che Sara aveva accumulato dall’inizio della storia esplose: la ragazza cominciò a piangere. Tutti la ascoltavano straniti e un po’ preoccupati.
Intanto Sara si asciugava con le maniche della felpa le guance ormai rosse.
“aspettammo due settimane, chiamavamo ma non rispondeva mai, non sapevamo dove fosse.
6 mesi fa la mia famiglia si è distrutta ed è tutta colpa di quel diario, tutta colpa del MIO diario.

Il 3 marzo ero nella mia stanza, stavo leggendo un libro, mio fratello era al lavoro, faceva il poliziotto. Sentii dei colpi alla porta molto forti, una voce insistente urlare il nome di mia madre: era papà. Mia madre salì le scale e mi disse di rimanere in quella stanza, di non muovermi. Chiuse la porta dietro di sè mentre usciva. Ero incollata con l’orecchio alla porta e ascoltavo. Sentivo urla da parte di entrambi e mi si contorceva lo stomaco dall’ansia. Ascoltai fino a che esplose quel colpo di pistola che speri di non sentire mai nella tua vita. E poi sentii mia madre collassare a terra.
Senza pensare aprii la porta e mi precipitai giù dalle scale: sentivo l’odore di alcol prima ancora di arrivare al piano terra, era completamente ubriaco. E sentivo anche l’odore del sangue.
Me lo trovai davanti mentre mi puntava la canna addosso e in quel momento mi bloccai, non sapevo che cosa fare. Ero completamente paralizzata dalla paura.
Mi disse delle cose”
Le lacrime scendevano sempre più numerose per le guance della ragazza. Iniziava anche a singhiozzare.
“mi disse che ero una vigliacca, che avrei dovuto dirgli che stava succedendo. Che ero la complice di mia madre. Tutto quello che riuscivo a pensare era di chiedere a mio padre di abbassare la pistola. Tremavo tantissimo”
Deglutì
“Ryan entrò in quel momento. Mio padre si spaventò e si girò. Puntò la canna verso Ryan che sfilò anche lui la pistola. Disse a mio padre di abbassare la pistola ma tutti e due continuavano a tenerla alzata. In quel momento mi dissi che Ryan non poteva morire, che lo dovevo proteggere: lui era il mio migliore amico. Presi il vaso dal soprammobile di fianco a me e lo alzai sulla mia testa. Mi avvicinai da dietro senza fare rumore. Per un secondo Ryan distolse gli occhi da mio padre per guardare me e lì tutto andò a farsi fottere. Mio padre sparò, perché per un secondo ne aveva avuto la possibilità. Anche Ryan sparò. Mio padre fu colpito alla testa. Io ero esattamente dietro di lui. Cadde per terra mentre io mi guardavo la maglietta completamente ricoperta di sangue. Lasciai cadere il vaso. Non riuscivo a parlare, non riuscivo a fare nulla. Piangevo e mi mancava il respiro.
Vidi mio fratello muoversi così mi precipitai verso di lui e mi levai la maglietta. Iniziai a pigiare sulla ferita. Lui faceva fatica ma parlava. Mi chiese se sarebbe sopravvissuto. Io gli dissi che certamente sarebbe sopravvissuto ma che doveva essere forte per un attimo mentre io prendevo il telefono. Digitai il 911 e chiamai in lacrime l’ambulanza. Tremavo tantissimo ma sono riuscita a mettere il vivavoce così potevo pigiare sulla ferita. Ryan tentava di parlare ma io gli dicevo di smetterla di cercare di dire quello che voleva perché me lo avrebbe detto più tardi in ospedale. Ho sentito il suo cuore smettere di battere sotto il palmo delle mie mani. Ho iniziato a fargli il massaggio cardiaco, quello che avevo imparato al corso come volontario, fino a che non è arrivata la polizia e l’ambulanza. Ero coperta di sangue dalla testa ai piedi e tremavo come una foglia. Hanno dovuto sollevarmi e sedarmi per staccarmi da Ryan. Ero isterica. La mia famiglia si era sgretolata nel giro di 5 minuti. Poi sono svenuta. Mi sono svegliata in ospedale e per 20 secondi ho pensato che fosse tutto un brutto sogno. Poi mi sono trovata circondata da assistenti sociali e psicologi. Quel giorno la mia vita è finita e mi sento responsabile per ciò che è successo: sono stata io a scrivere tutte quelle stronzate su un quaderno ed è stata colpa mia se tutto è venuto a galla” finì.
“questo è tutto” disse sollevando le mani come per dire “non saprei che altro dire” con un sorriso triste in volto.
Pete aveva la bocca completamente spalancata e non riusciva a dire nulla. Lana e Cloe erano sull’orlo della lacrime.
Jordan e Clark erano seduti mentre ascoltavano attentamente. Clark improvvisamente si alzò e si sedette vicino a lei. Le passò un braccio sulle spalle e la strinse forte a sè.
Jordan intervenne “tu sai vero che questo non è vero? che non è colpa tua?”
Gli altri sostennero la sua idea annuendo.
Sara sentì tutti gli sguardi posarsi su di lei. “non cambieremo la nostra idea su di te.” disse alla fine Jordan.

Quella stessa sera, Sara si sdraiò sul letto. Le stelle brillavano nel cielo nero della notte. Chiuse gli occhi e sorrise: era riuscita a raccontare tutto e l’avevano capita. Si destò di colpo quando sentì un colpo alla finestra. Si sedette sul letto in attesa, come se quel colpo fosse stato solo nella sua testa. Poi un altro. Corse alla finestra, la aprì e guardò giù.
“Jordan che ci fai qui?” disse cercando di non farsi sentire
“sono venuto a parlarti”
“non potevi chiamarmi?”
“no, preferivo farlo faccia a faccia. Dai vieni giù”
Chiuse la finestra e prese la felpa. La infilò e aprì la porta silenziosamente. Tutti erano nelle loro stanze. Martha e Jonathan guardavano un programma in tv mentre sentiva Clark parlare al telefono con qualcuno. Non era ancora riuscito a uscire con Lana ma entrambi ci stavano lavorando.
Infilò le scarpe e uscì dalla porta di casa.
Vide Jordan seduto sulla panchina in veranda e lo raggiunse. Si sedette di fianco a lui.
“allora di cosa volevi parlarmi”
“di niente. Volevo sapere come stavi dopo quello che è successo oggi”
Sara arrossì e ringraziò che fosse buio “io… credo di stare bene. Ho molto apprezzato che non mi abbiate giudicata. Io sento che con il tempo riuscirò a conviverci solo se le persone accanto a me lo accettino”
Lui spontaneamente posò la sua mano sulla guancia di Sara “per me sei stata coraggiosa. Non deve essere stato facile nascondere tutta quella situazione a tuo padre e comunque vivere la tua adolescenza, con tutti i problemi che comporta. E soprattutto poche persone avrebbero fatto quello che hai fatto tu quel 3 marzo.”
Sara appoggiò la testa sulla spalla morbida di Jordan e lui le passò il braccio dietro le spalle.
Restarono in silenzio per un po’. Stavano bene entrambi così.
Poi Jordan si alzò “ok ora dovrei andare. Sono uscito senza dire nulla ai miei e se mi scoprono mi beccherò una ramanzina. Ciao Sara.”.
Quelle ultime due parole le pronunciò stando fermo per un attimo sulla panchina, come in attesa di qualcosa. Poi si alzò e andò verso la macchina. Sara lo imitò ma si fermò in cima alle scale. “Ciao Jordan” disse. Così lo guardò allontanarsi lungo verso la sua macchina. Voleva davvero lasciarlo andare via così? Senza ringraziarlo per quello che le aveva detto?
In un impeto di coraggio, scese le scale di corsa e lo raggiunse.
“ehy aspetta” disse quando fu alle sue spalle. Lui si girò incuriosito.
Sara si fermò a qualche metro da lui. “non è giusto che te ne vai via così. Devo prima darti una cosa che ti appartiene”.
Si avvicinò velocemente prima che cambiasse idea. Passò la sua mano dietro al collo morbido del ragazzo e lo baciò. Poi esattamente come era corsa da lui, corse verso casa senza voltarsi indietro, salì le scale della veranda e aprì la porta. Si precipitò dentro e chiuse la porta alle sue spalle appoggiandosi poi con la schiena alla porta. Lo aveva baciato per davvero. Rise e salì le scale.

Quella notte non sognò.
   
 
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