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Autore: TheChump    06/09/2017    1 recensioni
L'amore può essere un ossessione.
Quando non lo si è mai provato.
Quando tutti attorno a te si innamorano e tu resti solo a guardare.
Può diventare una caccia al tesoro, un boccino d'oro da inseguire.
É quello che è per Nina, quasi una leggenda.
Tutti si innamorano di lei, ma lei non si innamora di nessuno. Lei sembra apatica, incapace di provare un sentimento simile.
E poi? e poi Alice.
Alice che diventa una possibilità, una speranza.
Alice che ama Paolo e non è ricambiata.
Alice che cambia il mondo di Nina.
Alice che può farle scoprire cos'è l'amore.
É un amore idealizzato, è ciò che ho capito di esso e come vorrei che fosse.
Nina e Alice si amano, di quell'amore che forse si legge solo nei libri.
E se lo trovi, crediti fortunata, perchè è decisamente tanto raro.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
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                                                          capitolo 2

19/10/2015, notte inoltrata, Giulia

Quella fu la prima notte dopo svariate settimane che piovve. Scese una pioggia a catinelle, che più che gocce parevano cati d’acqua ghiacciata. L’autunno era alle porte, eppure quella sembrava una pioggia invernale. Il tempo sembrava aver fatto un salto, forse quest’anno l’autunno gli faceva antipatia, forse era il gelo dell’inverno che desiderava, forse era congelarsi, immobilizzarsi il suo desiderio più profondo. Fermarsi dal suo perenne cammino e regalare all’uomo l’immortalità. Sarebbe stato divertente osservare tutti questi piccoli uomini gioire del regalo ricevuto nell’immediato, per poi impazzire una volta resisi conto di come una vita senza morte è come una moneta con un’unica faccia: strana e disturbante, la tua mente si aspetta una cosa e la realtà te ne concede un’altra. Ma non era un qualcosa che poteva permettersi, non era stato creato per sapere cosa fosse il riposo, la possibilità di potersi fermare non faceva parte delle sue possibili scelte. E così quella notte fu solo un caso, fu uno errore stupido di chi controlla il cielo, e fu questo sbaglio che le fece incontrare.
Nina era già lì da tempo, seduta sul gradino dell’entrata di quel negozio di souvenir, bagnata fradicia, che fissava il vuoto e pensava. Il proprietario si era scordato il tendone aperto, e grazie a questa dimenticanza non aveva dovuto fare i km per trovare un altro posto in cui ripararsi. Non soffriva il freddo, ma quella pioggia la prese alla sprovvista, e quella sottile camicetta color senape, ora persino gocciolante, non era abbastanza per riscaldarla. Così se ne stava lì, raggomitolata su se stessa, abbracciando le sue stesse gambe, con la testa persa chissà dove. Tutta la gente che prima vagava per le strade era scomparsa nel nulla e lei sembrava essere l’unico essere vivente nel raggio di un km. La pioggia aveva iniziato a cadere con una forza sconcertante, il suo rumore naturale copriva tutti quelli artificiali della città, e il suo scendere così fitto non permetteva la vista di quello che la circondava. Era come stare dentro una stanza con le mura invisibili eppure spesse.
E poi eccola, una figura che veloce si avvicina sempre di più, i suoi passi che lentamente si iniziano a sentire, e poi la sua irruzione dentro quello spazio isolato dal mondo intero. Era un cappotto enorme verde militare, da cui uscivano due sottili gambe femminili. Dal cappuccio alzato e stretto al viso si intravedevano degli occhi verde scuro e delle ciocche nere, su un viso spaventosamente bianco. I jeans erano zuppi d’acqua, avevano palesemente cambiato colore, così come le scarpe di stoffa, sporche di fango, per una pozzanghera presa per sbaglio.
“Spero smetta presto…” disse una vocina non molto convinta, da quel cumulo spropositato di vestiti. L’aveva semplicemente detto tra se e se, a bassa voce, abbattuta e sconfortata, osservando la pioggia cadere.
“Non smetterà fino a domani mattina.” le rispose Nina, dalla profondità insondabile dei suoi pensieri. Non si era neppure accorta di averle risposto.
Alice si girò e finalmente si accorse della sua presenza, si strofinò le mani l’una contro l’altra e poi si abbassò il cappuccio, “come scusa?”.
“Smetterà di piovere domani mattina”, Nina continuava a fissare un punto invisibile a pochi passi dai suoi piedi, probabilmente manco si accorgeva di stare avendo una conversazione con qualcuno.
Alice sospirò, “hai guardato le previsioni meteo?”, aveva un tono rassegnato.
Nina mosse distrattamente la testa a destra e sinistra, “No”.
Alice corrucciò le sopracciglia, “sei una specie di animale selvatico, per caso?”, guardava in direzione di Nina, ma a parte capelli, scarpe e mani, di lei riusciva a vedere ben poco.
Sentendo quella domanda, finalmente Nina si destò dai suoi pensieri e accorgendosi della presenza di un’altra persona, distese le gambe e alzò la testa. Quella che vide fu una bella ragazza. Aveva un viso sottile attorniato da capelli ricci nero corvino, degli occhi verdi spiccavano su un biancore immacolato e le sue labbra carnose e rosse, appena socchiuse, lasciavano vedere dei denti bianchi, appena spostati da quella posizione che gli avevano imposto l’apparecchio anni prima. I suoi lineamenti non erano perfetti, ma nel complesso erano molto gradevoli e questo contrasto tra il biancore della pelle, il verde degli occhi, il nero dei capelli e il rosso delle labbra le conferivano una certa bellezza. Nina rimase piacevolmente colpita. Sorrise appena e continuò a guardarla, “Può essere, spiegherebbe molte cose”.
Alice si strinse nel giubbottone, la bellezza di Nina l’aveva sconcertata. Non aveva mai visto un’essere umano così bello. Era abituata a sentirsi dire di essere una bella ragazza. e anche se non ci aveva mai dato troppa importanza, sentendoselo dire di continuo piano piano diventò una certezza di cui andare fiera, una certezza su cui fare affidamento e ora che era lì, davanti a Nina, si sentiva come la più brutta tra gli anatroccoli. Si accorse che la stava fissando e distolse gli occhi, per poi tornare a sostenere il suo sguardo “tipo?”.
(Nina): “tipo?”, sorrise, “per esempio so che quel giubbotto non è tuo perchè ha un odore maschile”, aveva uno sguardo ironico, “a chi lo hai rubato?”.
Alice abbassò lo sguardo su quel coso gigantesco. Ci mise un po’ a capire che la stava prendendo in giro, quindi rialzò gli occhi e diventando rossa in viso si mise a ridere nervosamente. “É di un mio amico, me l’ha prestato per andare in un posto, sperando di vincere contro la pioggia”, si fermò un attimo, si girò indicò con il pollice quel diluvio universale, si rigirò ancora, guardò Nina, distolse di nuovo lo sguardo e guardandosi le mani, disse a bassa voce “ma a quanto pare ha vinto lei”. Le sue mani erano diventate rosse, e l’orologio che aveva al polso segnavano le 00:13. Sospirò. “Sei proprio sicura che continuerà così fino a domani?”, aveva uno sguardo un po’ triste.
(Nina): “Magari mi sbaglio…”, quella ragazza le faceva stranamente simpatia.
(Alice): La guardò non molto convinta: in ogni caso la pioggia non accennava né a smettere né tanto meno a calmarsi. “Tanto mezzanotte è già passata e ho pure dimenticato il telefono sul tavolo della cucina! Insomma, buon compleanno Paolo!”. Sospirò ancora e poi si portò le mani alla cerniera del giubbotto. “Che dici? Brindiamo insieme a Paolo?”. Aveva un sacchetto con almeno 3 bottiglie di vino legato alla vita. “Toccava a me portare parte degli alcolici”. Infilò la mano in una tasca del giubbotto e ne estrasse un apri bottiglia, si slegò il sacchetto dalla vita e ne prese una. “Ti piace il vino rosso?”. Per come l’aveva detto sembrava più un’affermazione che una domanda. Le sue mani tremavano, e la sua vista si andava offuscando. “É un mio amico, è una gran bella persona, c’è stato tante volte per me. Ormai lo conosco da qualche anno, e mi ha salvato tante volte. Non lo conosci, ma ti piacerebbe. Piace a tutti, o forse a quasi tutti, comunque alla maggior parte delle persone. Si, è davvero una bella persona” La sua voce tremava esattamente come le sue mani, che invano cercavano di aprire quella maledetta bottiglia. La prima lacrima colpì il pollice di Nina. Alice saltò appena in aria vendendo quella mano entrare nel suo campo visivo e afferrare la bottiglia. “l’apro io”. Con l’altra mano le alzò il viso e le asciugò una lacrima prima che questa potesse scenderle lungo la guancia. Poi delicatamente le prese anche l’apri bottiglia. “vieni, sediamoci”. Si passò quell’arnese d’acciaio nella mano con il vino e lentamente le afferrò il polso. La condusse a quel gradino rosso mattone e la fece sedere. “Lo ami?”. La guardava come un bambino curioso che chiede il significato di un termine che ancora non appartiene al proprio vocabolario. Non c'era malizia nei suoi occhi, forse solo un po' di invidia, ma nulla di più. Voleva solo capire. Il gradino non era molto spazioso, riuscivano a malapena a stare l’una di fronte all’altra in una posizione che non era molto comoda, ma che costringeva i loro ginocchi a contatto. Alice non rispose per un po’, guardava Nina e in testa aveva il vuoto più assoluto. Quella domanda improvvisa asciugò quel piccolo pianto imminente. Si perdeva in quello sguardo infantile e pensava a Paolo. “Si, lo amo”. Spostò lo sguardo sulle mani di Nina che iniziarono ad armeggiare con quel tappo di sughero, facendo un bello schiocco quando finalmente fu tolto. Appoggiò il cavatappi a terra, fece un sorso e passò la bottiglia ad Alice.
(Nina): “Perché?”, eccola di nuovo bambina.
(Alice): Sentiva il suo sguardo su di se, ma non osava alzare gli occhi oramai secchi. Non le piaceva piangere davanti agli altri soprattutto se si trattava di sconosciuti, ma non era mai stata in grado di trattenersi. Le sue emozioni sembravano sempre voler scappare dal suo corpo e lei non era abbastanza forte da trattenerle a sé. “Perché?”. Sembrava la domanda più facile del mondo, eppure non aveva idea di quella che potesse essere la risposta, non ci aveva mai pensato, sapeva solo che era così. “Non so perchè, non c’è bisogno di un motivo, penso. Paolo è un bravo ragazzo, veniva nella mia stessa scuola del liceo. Abbiamo la stessa età, l’ho conosciuto per un corso. É alto e magro, ha i capelli castano e la carnagione scura, ha le mani grandi e quando sorride gli spunta un’unica fossetta sulla guancia sinistra. Indossa sempre dei bermuda, anche d’inverno. Dice che i maschi non sentono freddo alle gambe, e che in ogni caso sono i pantaloni più comodi che possano esistere. Ora fa giurisprudenza, vuole diventare un avvocato perchè dice che è nato per difendere la gente, ma non con le mani, con la parola. Dice che è l’arma più potente al mondo. Se lo sentissi parlare gli daresti ragione. Quando parla, anche se ha torto, gira e rigira la frittata e alla fine finisce che lui ha ragione e tu no. Ogni mattina a scuola prima che iniziassero le lezioni compravamo un pacco di twix e ne prendevamo uno l’uno. Parlavamo di tutto, da un film bello ad uno brutto, dei professori, di qualche viaggio o dei cartoni animati che ci piacevano da bambini. Mi sono accorta di amarlo nello stesso momento in cui mi ha presentato Martina. É la sua ragazza. Quando l’ho conosciuto stavano già insieme, ma lei era a New York con uno dei tanti progetti che organizzano a scuola. Quando tornò e le strinsi la mano capì che poteva anche essere una persona fantastica, ma che io l’avrei odiata a prescindere. Ci sono certe cose che non puoi controllare. Alcuni se ne fanno una ragione e buonanotte, io purtroppo volevo lui e lei era di intralcio e lo è tutt’ora. Razionalmente non gliene faccio una colpa, ma so che se lei non ci fosse stata probabilmente ora io starei con lui. Forse sono solo mie illusioni, ma me lo sento, so che è così. E quindi la odio, allo stesso modo in cui amo Paolo. Ora passiamo molto meno tempo insieme, lo vedo di rado, eppure non riesco a scordamelo. Quando mi sembra di essere andata finalmente oltre, ecco che finisce come stasera e tutti questi bei sentimenti fanno di nuovo capolino. Mi sembra la storia infinita, forse un giorno arriverà qualcun altro, ma per ora non riesco neppure ad immaginare una cosa del genere.” si interruppe e guardò Nina. “ho parlato troppo, vero? Lo so, sono una sfigata, una scema, sono quasi ridicola”. Si insultava e scuoteva la testa e intanto beveva, quella bottiglia non era più andata via dalle sue mani, e il vino continuava a diminuire.
(Nina): “Secondo me sei fortunata”, le prese il nero d’Avola di mano.
(Alice): “io?” la guardava stupita.
(Nina): “si sei fortunata, vorrei essere al tuo posto”, prese un lungo sorso di quel liquido bordeaux.
(Alice): “perché? non capisco”, la stava forse prendendo di nuovo in giro? Guardava Nina e vedeva una bellezza rara, le era bastato passare un po’ di tempo con lei, per capire che sarebbe riuscita ad attrarre persino gli oggetti inanimati, eppure sosteneva che lei era fortunata. No, proprio non capiva.
(Nina): “So cosa stai pensando e ti sbagli. no, non è così, non è come pensi”. S’inumidì le labbra con la punta della lingua, avevano il sapore del vino. “Facciamo un gioco, ti va?”. Ora anche Nina aveva distolto lo sguardo da Alice e si guardava le proprie mani che circondavano il collo della bottiglia. Era quasi arrivata a metà. Rialzò gli occhi e incontrò il suo sguardo.
(Alice): ora era ancora più confusa. “Che gioco?”, aveva un’espressione perplessa.
(Nina): le passò la bottiglia, si stiracchiò tanto quanto lo spazio stentato le poteva concedere e le sorrise. “É un gioco alcolico. É molto semplice. Si tira ad indovinare qualcosa del passato dell’altra persona. Se indovini questa beve.” Si fermò un attimo e scrutò l’espressione poco convinta di Alice. Se le avesse lasciato il tempo di parlare, avrebbe sicuramente detto di no. “Allora comincio io: scommetto che da piccola avevi un pesce rosso”. Meglio non darle neanche il tempo per pensare.
(Alice): Aprì la bocca per parlare, per dire di no, per fermare quel gioco, ma poi la richiuse. Guardò l’etichetta bianca e rossa sulla bottiglia di quel caratteristico verde scuro che col vino dietro sembrava quasi nero. L’alzò verso di sé e poggiando le labbra sull’anello, continuò ad alzarla sempre più in alto, per poi abbassarla di colpo. Una goccia le sfuggì da quel bacio rosso-violaceo e le scese lungo il mento, per poi spiccare il volo di un povero suicida. “Non ti sei mai fatta una ceretta da sola!”. prima di poterle passare la bottiglia, Nina la fermò.
(Nina): “Terzo superiore. Scommessa stupida con una mia compagna. Avevo così paura del primo strappo, che ci misi mezz’ora prima di convincermi a tirarlo via. Ma sai una cosa? Fece molto meno male di andare dall’estetista. Da quella volta non ci sono più andata infatti”. L’ultima frase lo disse ridendo, tra tutti i ricordi che aveva quello era uno di quelli più stupidi, ma anche più cari. L’aveva messo nel dimenticatoio, con tutte le cose poco importanti, ma ora che riaffiorava si meravigliava di quanto le avesse giovato quel ricordo. Quello era stato un bel periodo, e con Francesca aveva avuto davvero un ottimo rapporto, peccato che col tempo si erano un po’ perse di vista. Tornata a casa le avrebbe mandato un messaggio. “E ora tocca a me”. Strinse gli occhi e le rivolse uno sguardo furbo. “Il corso che hai frequentato con Paolo era quello di teatro”. (Alice): Bevve l’ennesimo sorso. “Come hai fatto?”
(Nina): “Un mago non svela mai i suoi segreti”, facendole l’occhiolino. “ora tocca a te farmi una domanda”.
(Alice): “Perché ho una mezza sensazione che questa bottiglia la finirò tutta io?”, ridendo e scuotendo appena la testa. “Va bene, ecco qui: scommetto che hai baciato un ragazzo castano.”
(Nina): “Dammi quella bottiglia”. Scoppiarono tutte e due a ridere. “scommetto che tu invece hai baciato un ragazzo biondo”.
(Alice): Stavolta fu lei a non prendere la bottiglia che Nina le allungava, “T’a pu teniri”. Quando iniziava a bere, le sue origini siciliane si facevano avanti.
(Nina): Scoppiò in una sonora risata. il vino iniziava a fare effetto anche a lei. “Non hai mai baciato un ragazzo biondo?”
(Alice): “No, solo bruni”. La serata non era poi così da buttare. “il tuo colore preferito è il giallo”
(Nina): “mi spiace, è l’azzurro. Mmm … L’ultima pizza che hai ordinato era diavola”.
(Alice): “Era margherita. Non hai mai giocato una partita di baseball”.
(Nina): “Un mio ex era un appassionato… Fu terribile, ho continuato a scivolare sul fango per tutto il tempo. Ad un certo punto tutti avevano la divisa bianca e io ero uniformamente marrone. ora è il mio turno: a tredici anni sei stata a Gardaland e ti sei fatta una foto con prezzemolo.” Dire cose a caso stava diventando divertente.
(Alice): “Come regalo di compleanno da parte dei miei genitori. Ci facemmo un quarto d’ora di fila, per riuscircela a fare. Fu un incubo, ma ne valse la pena. Ora mi puoi passare quella bottiglia.” Rise nel vedere Nina rimanere di stucco.
(Nina): “eccola” e rise. A volte anche il caso può azzeccare.
(Alice): Ne bevve un lungo sorso e si accorse che le girava appena appena la testa. “Passiamo a qualcosa di più serio: te lo leggo negli occhi: tu non sei più vergine”. Dal siciliano eccola passata alla malizia.
(Nina): Alzò la mano e le fece il gesto di darle il vino. Anche lei bevve a lungo. “Beccata! Scommetto che neanche tu lo sei più”.
(Alice): “Sisi, brava brava, dammi ca!” e afferrò la bottiglia. “Tu mi pari tipo da cosa a tre, e ci scommetto che l’hai pure fatto!”. Le fece un sorriso mezzo storto. La malizia e il siciliano andavano d’amore e d’accordo. (Nina): rise per un po’ e poi si fece ripassare quel nero d’Avola. “Non te lo dovevi finire tutto tu il vino? Sei meno scarsa di quello che dicevi di essere.”
(Alice): Il vino le aveva fatto troppo effetto per rimanere troppo scioccata, ma in fondo in fondo si stava iniziando a domandare che razza di persona si trovava di fronte. Rimase in silenzio a fissare quella ragazza bellissima davanti a lei con espressione disorientata. Se non fosse stata così influenzata dall’alcol probabilmente avrebbe messo fine a quel gioco stupido.
(Nina): Il gioco stava seguendo la strada che aveva previsto fin dall’inizio, e l’effetto che stava avendo era ancora migliore di quello che sperava quando lo aveva proposto. Avevano iniziato da solo una decina di minuti ed erano già arrivati all’argomento a cui Nina sperava di arrivare. Questa ragazza non sembrava molto diversa da tutte le altre. Iniziava a non capire perché l’avesse interessata così tanto: era scontata e quasi banale. Le sue reazioni erano prevedibili e quella che prima era una sorta di simpatia ora si stava trasformando in un eguale antipatia. “eh già ho provato di tutto, qualsiasi affermazione sul mio passato che ti venisse in mente all’80% mi costringerebbe a bere. C’è solo una cosa che non ho ancora sperimentato ed è l’amore. Non mi sono mai innamorata di nessuno”. Le rivolse un sorriso che si fermò alle labbra, il suo sguardo era perso chissà dove. “Comunque toccava a me, no?”. Alice continuava a rimanere in silenzio. “scommetto che non hai mai baciato un’altra ragazza in vita tua”. Ora guardava Alice fissa e sogghignava compiaciuta. (Alice): Incominciò a fissare un pezzo della porta e bevve un piccolo sorso. Attenzione: pericolo? Incominciava a vedere il traguardo che Nina aveva fissato per loro, incominciava a capire dove voleva andare a parare, e se non fosse stato per quella dannata pioggia probabilmente sarebbe scappata a gambe levate. Non era fatta per i flirt, non con i ragazzi e non con le ragazze, soprattutto se si trattava di estranei. Si era innamorata di Paolo alle superiori, e da allora la sua vita amorosa si era focalizzata solo su quello. Alcuni nascono per innamorarsi e disinnamorarsi velocemente, altri no. E lei apparteneva al secondo gruppo. Da quando se ne era resa conto non si era più guardata intorno, non aveva più accettato alcun tipo di proposta da parte di chiunque e aveva solo sperato, sperato di essere ricambiata o di riuscire e dimenticarlo. Nina la metteva in soggezione, le faceva quasi paura, ma riusciva ad attrarla come i fari di un’auto cattura un cervo prima d’investirlo. E così restava in silenzio, terrorizzata dallo spostare lo sguardo da quella porta, terrorizzata di incontrare il suo sguardo e scoprire quella che sarebbe stata la prossima mossa. Bevve ancora e a lungo. Poi finalmente girò la testa. Nina era a pochi centimetri da lei, la guardava con un’intensità sconcertante e i suoi occhi puntavano dritti dritti ai suoi. Alice spostò lo sguardo sulle sue labbra: erano socchiuse, ma distese in un sorriso appena impercettibile. Fu una mossa sbagliata, perchè diede a Nina la possibilità di avvicinarsi ancora di più. Quando rialzò lo sguardo, erano così vicine che i loro nasi erano quasi a contatto. Non sapeva che fare, non sapeva cosa dire, semplicemente restava immobile, attonita e le sue nocche diventavano sempre più rosse, a forza di stringere quella bottiglia col poco vino rimasto dentro. La sua testa pulsava così come il suo petto e i suoi polsi. Stava sentendo un caldo infernale, ma le sue mani erano più gelate del polo nord. Solo qualche attimo e Nina avrebbe finito di riempire quel piccolissimo spazio tra di loro, e lei doveva decidersi a fare qualcosa. Se rimanere volutamente ferma, assecondandola o se ritrarsi, scappando.
(Nina): Inizialmente non voleva flirtare, non voleva sedurre quella piccola svampita che si trovava di fronte. Voleva solo capire chi era, come aveva fatto ad innamorarsi di quel ragazzo e come continuasse ad amarlo da così tanto tempo. Voleva dimostrarle, attraverso quel gioco quanto fosse fortunata, quanto bello era poter amare, e quanto inutile fosse stato tutto quel tempo ad accumulare esperienze su esperienze senza alcuna significativa importanza. E quando stava riuscendo nel suo intento, proprio quando l’aveva vista sconcertata, attonita e spaventata da quella piccola confessione, si era scoperta arrabbiata, si era irritata ed infastidita. Chi era lei per poterla giudicare? Perché un’innocua esperienza sessuale doveva permettere a qualcuno di ritenerla una poco di buono, o comunque a farsi domande su di lei. Stava arrivando dove inizialmente voleva e si rendeva conto che era ben diverso da quello che realmente desiderava. E così aveva deciso di giocare, di renderla uguale a tutti gli altri, uguale a se stessa. Se decantava così tanto il suo amore per Paolo, se era arrivata addirittura a piangere davanti ad un’estranea per una cosa così stupida, le avrebbe dimostrato che anche lei avrebbe potuto macchiare quell’amore, renderlo piccolo piccolo, e abbandonarsi ai meri piaceri corporei. Forse era inutile continuare a cercare l’amore. Si, inutile, perchè in realtà non esisteva. C’erano solo dei corpi con i loro desideri primari, e la mente desiderava qualcosa di effimero ed irreale come l’amore, perché non poteva sopportare un così basso livello dell’essere umano. In fondo Nina non era mai cresciuta, era rimasta una bambina capricciosa che si credeva far parte del mondo degli adulti. Pensava di conoscere la gente, pensava di sapere come girava il mondo. Credeva che ogni persona fosse manovrabile come ogni altra, bisognava solo giocare le carte giuste, azzeccare le parole correte ed era fatta: ognuno poteva diventare un burattino nelle sue mani. Alice sarebbe stata come tutti gli altri. E così aveva fatto le sue mosse, aveva usato certi discorsi e ora quella ragazza era lì a pochissimi centimetri da lei, in trappola. Fu un attimo, furono pochi millimetri e le loro labbra si sfiorarono, come le mani di due sconosciuti che si toccano appena per caso. I loro occhi erano ancora aperti, collegati gli uni agli altri in uno sguardo che non gli permetteva di chiudersi né di guardarsi davvero. Quel contatto diventava sempre più forte, la mano destra di Nina risalì la gamba di Alice. Le sue labbra si mossero e costrinsero anche quelle di Alice a fare lo stesso. Si baciarono solo per una manciata di secondi, poi Alice spinse Nina via da se. Non era uguale a tutti gli altri. Nessun altro le avrebbe resistito.
(Alice): Quel bacio di così poca durata era stato probabilmente il migliore di tutta la sua vita. Poggiava le spalle al muro, si toccava le labbra con la punta delle dita e mentre riprendeva fiato, guardava Nina di sottecchi. Già dall’inizio quella era stata una serata strana, ma più passava il tempo e più lo diventava. Quella ragazza bellissima l’aveva appena baciata, e ora stava lì seduta, sbilanciata un po’ in avanti, che la guardava stupita. Probabilmente fino ad allora nessuno l’aveva mai rifiutata. Ma quel bacio semplicemente non era giusto. Non lo era verso quello che provava per Paolo, non lo era verso Nina e non lo era verso se stessa. Non poteva negare che le era oltremodo piaciuto, che era stato sensuale ed eccitante, che forse si era anche un po’ pentita di essersi staccata, ma era l’unica cosa che poteva fare.
(Nina): Ora anche Nina si era appoggiata al muro. Alice l’aveva sorpresa, stupita, era riuscita ad uscire dal personaggio che le aveva cucito addosso, era scappata dalla trappola in cui l’aveva intrappolata, era volata via dalla gabbia in cui l’aveva rinchiusa, e ora lì, davanti a lei, diventava una bestia rara, un oggetto unico, una persona interessante e misteriosa, qualcuno che valeva la pena conoscere, una possibilità su mille o forse un milione di innamorarsi finalmente di qualcuno. E così se ne stava semplicemente lì, abbandonata a quel muro, col petto che si alzava e si abbassava velocemente a ricambiare lo sguardo circospetto di Alice. Stava sentendo un freddo cane, quella camicetta non si decideva ad asciugarsi, così come i suoi jeans e i suoi capelli. L’indomani avrebbe avuto un febbrone da cavallo, ma pazienza, probabilmente ne era valsa la pena. Doveva trovare il modo di non lasciare che questa ragazza scappasse via per sempre senza sapere nulla di lei, senza poterla più trovare. Cercava qualcosa da dire, qualcosa da fare, ma tutta la sua usuale sicurezza era svanita. Davanti ad Alice, dopo quel maledetto bacio, si sentiva una delle tante ragazze normali che incontri per strada. Era una sensazione strana e destabilizzante, non le era mai capitato di perdere così il controllo. Molti l’avevano lasciata una volta che si erano resi conto di com’era stare con lei, ma nessuno l’aveva mai rifiutata, nessuno mai era scappato da un suo bacio o da un suo qualsiasi tentativo fisico di seduzione. Quella era la prima volta e ora si sentiva all’interno di un labirinto, ferma, a guardare le migliaia di strade che poteva imboccare, senza avere la minima certezza su quale prendere, e sapendo dentro di se che qualsiasi avrebbe finito per scegliere si sarebbe comunque persa. Che faceva di solito? Era assurdo, ma non riusciva a ricordarlo. Si portò le gambe al petto e, circondandole con le braccia, poggiò la testa sopra le ginocchia. Il freddo era davvero insopportabile, la pioggia non si decideva a diminuire, tutto quello che non era bagnato era umido e lei non smetteva di tremare. Altro che febbrone, l’indomani se fosse continuata così sarebbe finita all’ospedale.
(Alice): Vedendo Nina richiudersi su se stessa come un uovo, si preoccupo’ non poco. Solo ora si rendeva conto di quello che indossava, e del freddo che aveva dovuto provare per tutto quel tempo. Non ebbe neanche un attimo di esitazione. Si alzò dal suo posto e le andò accanto, le toccò le spalle e spostandola un po’ in avanti si mise dietro di lei, la circondò con quel giubbottone e chiuse la cerniera. Nonostante erano già in due, là dentro ci sarebbe perfino entrata una terza persona. Le toccò la fronte: scottava come una pignata bollente. “Tu non stai affatto bene… E ora?”. Quella non era per niente una bella situazione, non si potevano muovere da lì, non sapeva a chi chiedere aiuto e non aveva idea di che cosa fare. Panico.
(Nina): Non aveva la forza di muoversi, si sentiva debole e quel calore improvviso le aveva fatto calare un certo sonno. Quella ragazza valeva davvero la pena, ora ne era sicura. Poco tempo prima si guardava con circospezione da Nina, ma quando l’aveva vista in difficoltà l’aveva aiutata senza pensarci due volte. E ora era lì, dietro di lei, che l’abbracciava, scaldandola col suo corpo e un contatto fisico, dopo quello che era successo, non era certo la cosa più raccomandabile in assoluto. “Non ti preoccupare, tra poco starò molto meglio, ho solo un po’ di sonno. Tutto qui”. Si girò per guardarla in viso e le rivolse un sorriso mezzo trasognato, ma sincero. “Grazie comunque”.
(Alice): “Ma grazie di cosa!? L’avrebbe fatto chiunque, piuttosto mi dispiace di non averlo notato prima. É tutta colpa mia, ma dove ho la testa!?”. Sentiva il corpo di Nina che continuava a tremare appena a contatto col suo. “E comunque non è solo sonno, lo sai tu e lo so anche io! Quindi lasciati andare e riposa un po’ ”.
(Nina): Appoggiò la testa su Alice e chiuse gli occhi. “E se ti dicessi che mi piaci?”
(Alice): “Ti risponderei che è solo la febbre”
(Nina): “E se non fosse la febbre?”. Aveva un tono pacato e stanco, ma le sue parole non avevano perso quel pizzico di ironia e compiacimento.
(Alice): “Allora sarebbe il vino”
(Nina): “Non è neanche il vino, mi piaci!”
(Alice): “Io non ti posso piacere, mi conosci solo da qualche ora e abbiamo scambiato solo pochissime parole”
(Nina): “Non ha importanza. É così e basta”
(Alice): “É così e basta? Sei ritornata all’infanzia?”
(Nina): “Non sono una bambina. Perché non mi credi? Ti dico che mi piaci, devi credermi!”
(Alice): “Stai solo delirando” (Nina): “No, non è vero!” (Alice): Sospira. “Ok, hai ragione: ti piaccio”
(Nina): “Tu non mi credi” (Alice): “Ti ho detto che ti credo” (Nina): “No, mi hai detto che ho ragione, ma non che mi credi”
(Alice): “E poi mi dici che non sei una bambina” (Nina): “Ok, sono una bambina e i bambini sono lo specchio della verità. Quindi non sto mentendo.”
(Alice): “Si si, certo certo. Ora riposa però” (Nina): “Ti dimostrerò che è così. Che ore sono?”
(Alice): Corrucciò le sopracciglia e poi l’accontentò, portandosi l’orologio che aveva al polso proprio sotto il naso. “Sono le 3:30”
(Nina): “Tra due orette e mezza smetterà di piovere, di botto. É solo una mia sensazione, ma se si rivelerà corretta, mi dovrai credere e dovrai anche darmi il tuo numero di telefono”
(Alice): “Non smetterà mai di piovere domani mattina alle 6, almeno non di botto con una pioggia simile”
(Nina): “Se non ci credi che hai da perdere? Accetta!”
(Alice): “Metti caso avessi davvero ragione, poi dovrei darti il numero di telefono”
(Nina): “Perché non vuoi darmelo? Sono una così brutta persona? Ti faccio così tanta paura?”
(Alice): “Non lo so che tipo di persona sei, io non ti conosco. Non darò il mio numero ad un’estranea”
(Nina): “Non sarò più un’estranea, mi conoscerai alla perfezione, prima di andarcene da qui. Quindi dai accetta”
(Alice): “Mi spieghi come ti potrò conoscere alla perfezione solo dopo 2 orette e mezza, se anche tu avessi ragione?”
(Nina): “Mi potrai fare tutte le domande che vorrai e io ti risponderò sinceramente”
(Alice): “Come posso sapere che non mentirai?”
(Nina): “Non ne avrei motivo, e in ogni caso sia la febbre che il vino me lo impedirebbero, quindi puoi stare tranquilla”
(Alice): “E se in ogni caso non volessi farti queste domande? Se non fossi interessata?”
(Nina): “Lo so che un po’ ti piaccio anch’io. E comunque non avresti nulla da perdere, anzi… se andasse bene ne potrebbe nascere qualcosa d’interessante, e sarebbe tutto di guadagnato”.
(Alice): Doveva accettare? In fondo lo sapeva anche lei che Nina aveva ragione. Era la prima volta dopo anni che si sentiva attratta da qualcuno che non fosse Paolo, ma le sembrava così assurdo e surreale che non poteva permettersi di crederci. Oltretutto si stava parlando di una ragazza! Non si era mai sentita attratta da qualcuno del proprio sesso. Forse Nina era un’eccezione, forse il fatto che appartenesse al sesso femminile era tanto importante quanto sapere che le piacesse il gelato al pistacchio. Ma questa piccola differenza rendeva la situazione ancora più anomala, e Alice si sentiva letteralmente alla deriva, in un paese sconosciuto, bello ma pericoloso. Quindi che fare? Si doveva buttare? Valeva la pena di giocare? Se fosse davvero andato tutto per il meglio, se le avesse dato il suo numero e poi da lì fosse nato realmente qualcosa, se si fosse scordata di Paolo e si fosse innamorata di lei, sarebbe stata ricambiata? O sarebbe stato di nuovo un amore non corrisposto? Sarebbe valsa la pena smettere di soffrire per uno per poi cominciare per qualcun altro? Ma se invece anche Nina si fosse innamorata di lei? Non sarebbe stato fantastico sapere finalmente cosa si provava a condividere un tale sentimento, a vivere una reale storia d’amore? Si, forse era il caso di tentare. “Va bene, ecco la prima domanda: perchè pensi che io ti piaccia?”
(Nina): “Perché sei diversa dagli altri, perchè mi sento stranamente attratta da te e perchè inizio a pensare che finalmente mi potrò innamorare di qualcuno”
(Alice): “Come fai a dirlo? Non mi conosci affatto”
(Nina): “Non ho bisogno di conoscerti per saperlo. Lo sento”
(Alice): “Tu e queste dannate sensazioni, se stasera sapevi che si sarebbe messo a piovere così forte, perchè ti trovi qui?”
(Nina): “Ero uscita con… aspetta come si chiamava? Ah si! Sandro. Era il mio ragazzo, poi abbiamo rotto e io me ne sono andata. É iniziato a piovere e mi sono venuta a riparare qui sotto”
(Alice): “Hai rotto col tuo ragazzo?”
(Nina): “Si”
(Alice): “Stasera?”
(Nina): “Si” (Alice): “E non ci stai male?”
(Nina): “Lo conoscevo da meno di una settimana, come potrei stare male per uno di cui a poco manco ricordo il nome?”
(Alice): “Perché ci sei uscita allora?”
(Nina): “Perché non stavo con nessuno e lui non sembrava così da buttare”
(Alice): “Quindi usciresti con chiunque basta che non sia da buttare?”
(Nina): Ci pensò un attimo su, “Si.”
(Alice): “Non ti capisco”
(Nina): “Non ce n’è bisogno”
(Alice): “Non era la prima volta, vero?”
(Nina): “No, non lo era”
(Alice): “Perché allora esci con questi ragazzi che neanche ti piacciono? Hai promesso di rispondere”. Ora era lei che cercava di capire, ora era lei che si sentiva attaccata e giudicata e neanche sapeva perchè. (Nina): Sbuffò “Voglio sapere cosa si prova ad essere normali. Tutti sanno cosa significa perdere la testa per qualcuno e io invece no. Voglio sapere com’è innamorarsi, fare l’amore con qualcuno”
(Alice): “E pensi che mettendoti con gente di cui non te ne frega niente, ti aiuterà ad ottenere quello che vuoi?
(Nina): “Non lo so, ma dovevo tentare”
(Alice): “Tu sei pazza. E perchè pensi che con me sia diverso?”
(Nina): “Perché tu non sei tento per. Tu mi piaci per davvero”
(Alice): “Mi sono un po’ stancata di ricordarti che ci conosciamo da solo un paio di ore”
(Nina): “E io no. Non mi sono stancata di dirti che mi piaci”
(Alice): “Sei proprio una bambina”
(Nina): “Lo so”
(Alice): “Quindi lo ammetti?”. Rise.
(Nina): “Si lo ammetto. Ti posso fare una domanda io?
(Alice): “Ok”
(Nina): “Bacio così male?”
(Alice): Silenzio.
(Nina): “Perché ti sei ammutolita?”
(Alice): “Perché non so se ti voglio rispondere”
(Nina): “Mi avevi detto ok!”
(Alice): “Ma non sapevo quale sarebbe stata la domanda”
(Nina): “Si ma hai accettato comunque, quindi ora devi rispondere, è un tuo dovere!”
(Alice): “No, non baci male”
(Nina): “Allora bacio bene?”
(Alice): Di nuovo silenzio.
(Nina): Si girò a guardare Alice in faccia. Era diventata rossa pomodoro. “Il colore della tua faccia ha risposto per te”. Le sorrise compiaciuta. “Ne vuoi un altro?”
(Alice): “No, ora stai zitta e cerca di dormire un po’, che la febbre sta salendo!”
(Nina): “Veramente mi sento molto meglio di prima grazie a te”
(Alice): “E ti sentirai ancora meglio dopo una bella dormita”
(Nina): “Non voglio dormire. Io ti voglio baciare”
(Alice): “E io non voglio baciare te!”
(Nina): “Solo uno”
(Alice): “No”
(Nina): “Solo un bacio, poi mi starò zitta e ti lascerò in pace”
(Alice): “L’offerta sembra allettante”
(Nina): “Sono così fastidiosa?”. La guardò e le fece il broncio.
(Alice): Rise. “Mi sembra di parlare con una mocciosa delle elementari”.
(Nina): “Che bacia molto meglio di un adulto, e te ne renderesti conto anche tu, se provassi”
(Alice): “Ho già provato poco fa”
(Nina): “E quello me lo chiami bacio?”. Ridacchiò. “Tu non hai molta esperienza di questo tipo, vero?”. Non aveva bisogno di girarsi per capire che era di nuovo arrossita.
(Alice): “E sono fiera di non avercela” (Nina): “Non volevo prenderti in giro. Mi piace che tu non ne abbia, rimedierò io a quello, quando staremo insieme”. Sentì la mano di Alice risalire il giubbotto e appoggiarsi sulla sua fronte.
(Alice): “Strano. Non mi sembri scottare molto più di prima”
(Nina): “Tanto prima o poi dovrai credermi”. Rise di gioia.
(Alice): “Perché sembri così felice?”
(Nina): “Perché mi piaci”. Si girò nuovamente e le rivolse uno sguardo furbo. Ridacchiò e cercò i suoi occhi con lo sguardo. Si era voltata così tanto che ora una gamba di Alice stava sulle sue. Da dentro il giubbotto seguì con le mani la sua vita, e avvicinò lentamente il suo viso a quello di Alice.
(Alice): “Ti avevo detto di no”. Aveva rientrato una mano dentro il giubbotto e ora teneva Nina distante.
(Nina): I suoi occhi brillavano di una luce tutta loro. Le prese la mano fra le sue e riempì quello spazio che separava le loro labbra.
(Alice): Nina non stava mentendo. Rispetto a questo, quello era davvero solo un “bacetto”. Non poteva negarlo, i suoi baci erano superbi. Si baciarono a lungo. A staccarsi fu di nuovo Alice, quando sentì che quel contatto stava andando troppo oltre, quando sentì le mani di Nina avanzare verso “posti” pericolosi. “Basta così. Hai avuto il tuo bacio, ora fai la brava”. Lo disse rossa in viso e col fiatone. Nina rise.
(Nina): “Si signor capitano”. Poggiò la testa sotto il mento di Alice e le abbracciò la vita. La febbre, il freddo e la notte insonne si iniziavano a far sentire, ma si sentiva viva, felice. Doveva ottenere quel numero. A tutti i costi. Si addormentarono così, in quell’assurda posizione e dormirono fino all’indomani mattina, quando il proprietario del negozio le trovò davanti la porta, con i loro corpi a bloccare l’entrata.
   
 
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