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Autore: NicolaAlberti    07/09/2017    0 recensioni
Prima parte cap. 1-10 "PURGATORIO" - Seconda parte cap. 12 - 21 "INFERNO"
Una storia d’amore impossibile immersa in un’ambientazione surreale dai tratti cyberpunk e dai richiami danteschi. Una minaccia robotica che spinge il protagonista alla paranoia e alla fuga tra i meandri di una labirintica e utopica costruzione babelica che ha sostituito l’antica città di Parigi. La ricerca della verità tra le intricate illusioni di una nuova era tecnologica che ha stravolto il mondo, mentre qualcosa di oscuro e insondabile, un dubbio perenne nella mente del protagonista, continuerà a modificare la sua percezione del reale, costringendolo ad esplorare il dedalo della propria coscienza.
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Non c'era altro che occupasse la vista e la mente, solo questo colosso spaventoso e invadente. Un brivido sinistro di timore reverenziale e nel contempo di stupita soddisfazione mi pervase, facendomi accapponare la pelle delle braccia. Quando alzai la testa, quasi caddi all'indietro, ma anche in distanza, la cima si perdeva nel buio della notte e delle nubi, rivelando solo qualche baluginio distante di chilometri. Allo snodo avevo sentito di sfuggita discutere alcune persone che dicevano capitasse abbastanza frequentemente che il nastro conducesse a destinazione alcune persone svenute. Il sistema di sicurezza e i droidi di sicurezza medica erano stati programmati anche per intervenire in questo genere di situazioni e quando accadeva che qualcuno rimanesse tramortito sul nastro, veniva prontamente recuperato e rianimato. Alla vista del Dedalus, in tutta la sua terribile imponenza, non mi riusciva incredibile credere che potessero accadere degli episodi di questo tipo. Ma in quel momento non mi sarei accorto di niente, ero semplicemente sopraffatto da una sensazione di piccolezza ed impotenza, turbato nel profondo da quella che si prospettava essere una nuova ed oscura pagina della mia esistenza.

Vi erano altri esempi nel mondo di megalopoli aggregate che potevano essere paragonate al Dedalus di Parigi, come il Kubilai di Beijing, l'Odhinn di Dublino o il McDonalds di Newyork. Questi erano altrettanti immensi esempi di queste nuove forme di insediamento umano, ma nessuno di essi sfidava il trono di Dio con la stessa esagerata spudoratezza del Dedalus. Dalle basi lunari, era sufficiente un vecchio binocolo, neanche troppo potente, per discernerne la sagoma: era come un grosso chiodo luminoso, profondamente conficcato sulla superficie terrestre.

Mi trovavo di fronte a un tripudio di fasci di luce iridescente, insegne luminose e giganteschi schermi pubblicitari, convulsamente incastrati tra grovigli inestricabili di un complesso di tubature e collegamenti in fibra fotosintetica. Un numero infinito di piattaforme parcheggio levitanti si arrampicavano sulla struttura, perdendosi in distanza e, attorno ad esse, si distingueva un perpetuo ronzare di aeromobili che svolazzavano, pullulanti e attive, come api attorno ad un alveare. La vastissima base, il cui perimetro quadrato si estendeva per chilometri, era una vaga e grottesca imitazione del progetto originale della oramai inghiottita Tour Eiffel. I quattro immensi pilastri angolari emanavano una tenue luce blu fluorescente, mentre suggevano energia dal nucleo terrestre, per distribuirla senza economia in tutta la struttura. Queste luci salivano sempre più su, perdendosi nella notte, con una leggera curvatura e un progressivo e lento assottigliamento, che lasciava solamente intuire un loro possibile congiungimento verso la vetta. Un'unica e roboante volta, protetta dalla schermatura di cristalli-laser, lasciava in trasparenza penetrare lo sguardo all'interno della base, dove si poteva distinguere, non troppo chiaramente, l'incrocio di ferro del vecchio monumento. Tutto intorno ad esso, il saettare di ascensori tubolari brulicanti di attività umana e non, il frastuono caotico di suoni, lingue, musica, ritmi meccanici e pubblicità promanati dal Dedalus in un disperato e forzato tentativo di assimilazione globale, mi incusse un timore biblico, in maniera ancora più pesante di quanto avessi potuto cogliere fino al quel punto semplicemente con lo sguardo. Nella mia mente risuonavano con gravità le parole dell'antico libro della Genesi:

"venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra",

ma questa volta, a dispetto di ogni monito divino, la costruzione della torre di Babele aveva trovato compimento.

Il Dedalus non sfidava solo la volta celeste. Si vociferava infatti che esso sprofondasse le sue radici per chilometri anche sotto la crosta terrestre: un labirinto infernale di sobborghi poveri e malfamati, con piani e piani, quasi gironi danteschi, di strumentazioni di alimentazione e sostegno per la struttura sovrastante. Questo inferno sotterraneo era costantemente mantenuto in funzione da robot riparatori e sorvegliato da migliaia di osservatori, che, con la freddezza che solo una macchina poteva avere, applicavano indistintamente la legge della dematerializzazione. A nessun vivente era infatti consentito l'accesso nell'Ade e nessuno, a quanto si diceva, aveva mai provato a violare questa legge. Cosa ci fosse sul fondo di questo abisso nessuno lo sapeva con certezza. Si congetturava verosimilmente che nel nucleo più infimo e buio di quel martirio d'acciaio vi fosse "Lo 'mperador del doloroso regno": il computer centrale del Dedalus.

Mentre mi accingevo, nella mia piccolezza, a sorbire quanto più potevo da quel colosso, tramite le mie limitate percezioni umane, accadde un episodio bizzarro. Qualcosa dentro di me suggerì di voltarmi verso sinistra, probabilmente avevo colto un insolito movimento con la coda dell'occhio. Appena mi voltai notai ad un paio di canali di distanza, appena sotto il campo visivo, una macchia nera, sinuosa e lucida. Vidi due triangolini neri appuntiti sulla sommità di un piccolo cranio rotondo e un musetto allungato: era un gatto. La sua lunga coda sventolava morbidamente e con gli occhi chiusi, con lentezza, allungava la linguetta rosata, forbendo con pazienza la sua zampetta destra. Cosa diavolo ci faceva là un gatto? Non era di certo il contesto più comune in cui trovare un animale da compagnia. Isolato e nella sua placida tranquillità sembrava perfettamente a suo agio e fluttuava lentamente sulla strada non badando minimamente a tutto ciò che succedeva intorno ad esso. Lo vedevo lentamente allontanarsi all'indietro, mentre il mio nastro mi trasportava poco a poco e regolarmente verso la struttura, ad una velocità leggermente superiore alla sua. Quando alzai gli occhi di fronte a me sul resto della folla in esodo verso il Dedalus, per vedere se ero l'unico tra i presenti ad averlo notato, il mio cuore per un momento sembrò come arrestarsi. Ogni singola persona che mi stava davanti era girata verso l'animale, nessuno escluso! Tutti stavano immobili con uno sguardo fisso e incredulo, lo stesso tipo di sguardo che pochi istanti prima era rivolto verso la costruzione. Per un momento calò un silenzio spettrale sulla scena. Era come se fossi in presenza di un esercito di fantasmi silenti. Anche le macchine erano completamente ferme, solo le luci del corridoio magnetostatico continuavano a pulsare, mentre i canali emettevano un sommesso ronzio. Mi voltai nuovamente verso il felino, che in quel momento credetti essere piuttosto distante alle mie spalle e mi venne un capogiro quando, nel voltarmi, vidi di fronte a me una folla indistinta nella sua totale, caotica e normalissima mobilità . Tutte le persone mi davano le spalle e sullo sfondo, ancora una volta, il Dedalus! Dell'animale non vi era alcuna traccia e il corridoio proseguiva la sua corsa lineare verso la struttura, senza nessun intoppo o cambio di direzione... Possibile? E se in un primo momento mi fossi voltato all'indietro, dando le spalle alla struttura, senza nemmeno accorgermene? L'unica spiegazione vagamente plausibile che mi passò per la testa fu che, probabilmente, la materializzazione poteva avere qualche effetto collaterale temporaneo, generando occasionalmente degli sfasamenti a livello percettivo. «Hahahahahaha», risi forzatamente, come per auto-convincermi di questo pensiero, sebbene il mio viso rivelasse, dietro l'ilare maschera che mi ero creato, la spaventosa evidenza del mio terrore inconscio. Ma certo! Cos'altro poteva essere? Sicuramente appena avessi raggiunto la mia sistemazione, dopo aver riposato un po', mi sarei dimenticato di tutta quella orrenda faccenda e ogni cosa sarebbe tornata ad essere assurdamente normale. Sì... sarebbe stato di certo così...  

 

 

   
 
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