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Autore: myqueasysmile    07/09/2017    0 recensioni
La scuola.
Il canto.
La musica.
La famiglia.
Queste sono le cose più importanti nella vita di Elisa, ragazza diciottenne dal carattere molto introverso e complicato.
Una ragazza che adora il fratello, che spera di conoscere il suo "eroe" e che ancora non ha idea di cosa sia l'amore.
Ma poi arriva lui, completamente inaspettato, che un po' alla volta le stravolge la vita.
Forse riuscirà a farsi avvicinare da lei, lei che tende ad allontanare tutti e starsene per conto suo. O forse no.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Erano quasi le 15, e io ero appena arrivata a casa di Serena. Era metà ottobre ormai, come volava il tempo!
E Stefano a Settembre aveva iniziato la prima elementare.

Sciolsi la presa del piccoletto dalle mie gambe, poi salutai la sua mamma.
«Allora? Facciamo i compiti?» chiesi prendendolo per mano.
Lui annuì «Lo sai che la maestra mi ha dato una stellina gialla perché ho colorato bene le schede sul quaderno?».
«Davvero? Bravissimo!».

Lo aiutai a portare lo zaino in cucina, poi mi sedetti al suo fianco. Non ebbe particolari problemi a fare i compiti. Stava imparando a scrivere le lettere, quindi per ora doveva solo ricopiarle sul quaderno, e colorare qualche disegno sulle schede.

Quando finì andammo a giocare in salotto, e leggemmo anche qualche libretto. Gli piaceva stare lì a guardare le figure e ad ascoltarmi leggere.

Tra una cosa e l'altra il tempo passò, e presto arrivò Serena. La pancia cresciuta, essendo al quinto mese di gravidanza, e un'aria radiosa.
«Come stai? E il piccolino?» chiesi dopo averla salutata.
«Bene, un po' stanca, ma stiamo bene. Lui o lei cresce e ogni tanto si muove» disse con una luce negli occhi.
Ci spostammo in cucina.
«Non vedo l'ora di vederla, o vederlo» dissi ammirando la curva dolce della sua pancia.
«Sapessi io» rispose lei sorridendo «sarà strano, però, avere di nuovo un cosino piccolo da coccolare dopo così tanto tempo».

«E te, con mio fratello come va? Si comporta bene?» chiese portando il discorso su di me.
«Benissimo, lui è sempre così perfetto. A volte mi chiedo perché stia con me, quando ci sono ragazze decisamente migliori».
«Sta con te perché vuole te» ribatté lei «Mio fratello è una persona semplice, sono sicura che adesso lo sai meglio di me. Mette impegno in tutto quello che fa, soprattutto se si tratta di far felici le persone che ha intorno».
«Lo so, lui mi rende felice» confermai non riuscendo a trattenere un sorriso, pensando a lui.
«E tu rendi felice lui» rispose lei.

«A proposito, credo sia appena arrivato» aggiunse, lanciando un'occhiata dalla finestra.
E infatti poco dopo sentimmo bussare alla porta.
«Posso aprire io, mamma?» chiese Stefano fiondandosi alla porta.
«Certo tesoro».

«Ciao zio!» sentimmo esclamare il piccoletto.
«Ciao ometto» rispose l'altro «come va?».
«Bene, oggi ho preso una stellina a scuola! E poi ho giocato con Elisa».
«Bravissimo, sono fiero di te».

Sentimmo i loro passi avvicinarsi, finché comparvero nella nostra visuale.
Incrociai gli occhi di Gabriele. E quasi simultaneamente sorridemmo entrambi.
Era bello vederlo, dopo due giorni in cui non ci eravamo visti. Prima a causa di una riunione a scuola, poi per un corso di agiornamento. Entrambi dopo una giornata di scuola, quindi avevo voluto lasciargli un po' tirare il fiato nelle poche ore che aveva avute libere.

«Ciao Sere» la salutò baciandole la guancia.
«Ciao Elisa» disse poi, girandosi verso di me e impossessandosi delle mie labbra. Niente di particolarmente movimentato, solo un lieve contatto. Ma era quello che a me bastava per sentire le farfalle nello stomaco. 
«Ciao» risposi poi, mentre le mie labbra si piegavano automaticamente in un sorriso.

«Quanto siete belli!» osservò Serena, facendomi ricordare di essere in una stanza con altre persone, e non solo con lui.
Quando eravamo insieme tendevo sempre ad estraniarmi da tutto il resto, concentrandomi soltanto su noi due.
Ma non era una cosa molto conveniente...

«Sono venuto a prenderti» disse lui circondandomi con un braccio.
«Come mai?» chiesi.
«Così! Voglio passare un po' di tempo con te» rispose.
«Ok, prendo la giacca e arrivo».

Andai in salotto a recuperare la mia giacca e la borsa, poi tornai in cucina e salutai il piccoletto e sua madre.
Gabriele mi prese per mano e uscimmo di casa, diretti alla sua macchina. Come da vero gentiluomo mi aprì la portiera facendomi salire, per poi chiuderla e raggiungere la parte del guidatore.
«Avvisa a casa che torni dopo cena» disse, mentre girava la chiave e metteva in moto.
Sorrisi «Ok, boss».
Lui mi lanciò un'occhiata divertita, poi tornò a prestare attenzione davanti a sé.

«Mi sei mancata» mormorò una decina di minuti più tardi, chiudendo la porta di casa dietro di lui, e bloccandomi il braccio nella sua presa.
Fece forza e mi fece voltare e tornare indietro fino a finire contro di lui. Le sue mani si posarono sulla mia schiena, tenendomi in "trappola". Una meravigliosa trappola!

«Anche tu mi sei mancato» risposi alzando lo sguardo, e finendo per incantarmi con l'azzurro dei suoi occhi.
Ci fissammo in silenzio e immobili per qualche istante. Poi presi l'iniziativa e mi sporsi verso le sue labbra, finché, ad occhi chiusi, sentii quel dolce contatto che tanto adoravo.
Lo sentii stringere la presa mentre premevo sulle sue labbra affinché le schiudesse. Nemmeno un istante, e le nostre bocche danzavano già, bisognose di toccarsi, mordersi e assaporarsi.

Un bacio da togliere il fiato!
E, in effetti, ci ritrovammo entrambi ad ansimare, cercando di riprendere aria. Portai le braccia dietro il suo collo, stringendolo a me, e appoggiai la testa sulla sua spalla, abbracciandolo.
«Ti amo» fu quello che mi sussurrò all'orecchio, mentre io lo stringevo come se avessi avuto paura di perderlo.
E io, in realtà, avevo paura di perderlo!

«Ti amo, Gabriele» sussurrai, sentendo quanto fosse vero quello che stavo dicendo.
Io gli volevo bene. Mi ero innamorata di lui. Lo amavo.

Non so quanto tempo passò prima che sciogliessimo quell'abbraccio, e non so nemmeno chi fu ad allontanarsi per primo.
So però che sarei potuta rimanere in quel modo, tra le sue braccia, per sempre.

Ci togliemmo le giacche, e appoggiai la borsa sul mobile nell'ingresso. Poi lanciai un'occhiata al pianoforte che si intravedeva al piano superiore.
«Mi suoni qualcosa al pianoforte?» chiesi.
Era da tanto che desideravo sentirlo.
Finora, escludendo quella volta in cui aveva suonato per farmi provare Happy Ending, non avevo mai avuto modo di ascoltarlo suonare.
«Certo, mia Piccola Solitaria» rispose, intrecciando la sua mano alla mia.
Mi guidò su per le scale, fino al bellissimo pianoforte nero, in centro alla piccola "stanza".
Mi sedetti sulla poltroncina lì a fianco, e lo guardai sistemarsi sullo sgabello.
Si sbottonò i polsini della camicia, arrotolandosela fino al gomito e lasciando scoperti gli avambracci.

E io seguii ogni sua mossa, senza riuscire a staccare gli occhi da lui.
Appoggiò le dita sui tasti e cominciò a suonare. Era bravissimo, sembrava che le sue dita danzassero!
Lo guardai, incantata, mentre suonava. Era così concentrato che sembrava essere in un altro mondo. Il suo mondo.

«Wow» dissi una volta finita la canzone. Non sapevo che altro dire.
«La prossima è dedicata a te» fece lui, voltandosi e donandomi un sorriso da sciogliere tutto.
Sorrisi anch'io, mentre lui tornava a concentrarsi sui tasti.
Riconobbi la canzone appena lui iniziò a suonarla. Era "Per Elisa", e lui la stava suonando perfettamente!
Aspettai che finisse, poi mi alzai e mi avvicinai a lui.

«Grazie!» mormorai.
Lui mi afferrò facendomi sedere sulle sue gambe.
«Mi piacerebbe imparare a suonare il pianoforte» dissi sfiorando i tasti con i polpastrelli.
«E anche la chitarra elettrica» aggiunsi, portando lo sguardo sulle sue chitarre appoggiate lì vicino.

«Ti insegno io» disse lui.
«So già da dove iniziare. Questo è l'accordo Do diesis» cominciò, appoggiando un dito alla volta sui tre tasti che formavano l'accordo. Poi lo risuonò, le tre note insieme.
Tolse la mano e la mia prese il suo posto, suonando l'accordo appena imparato.
«La destra invece fa questo» aggiunse suonando dei singoli tasti, mentre io riconoscevo la canzone. Era sempre lei, la mia amata Happy Ending!
Memorizzai i tasti e provai a suonarli dopo di lui.
Poi riprovai aggiungendo quelle note dopo l'accordo. La canzone prendeva forma.

Mi mostrò come suonare la prima strofa, un pezzo alla volta. Arrivai alle ultime note, poi decisi di riprovarla tutta insieme.
Appoggiai di nuovo le mani sui candidi tasti e cominciai.

Ma mi fermai prima del previsto.
E non perché non ricordassi gli accordi o le note... Ma perché qualcuno aveva deciso bene di distrarmi appoggiandomi le labbra sul collo.
«Se tu fai così la mia concentrazione scende a livello sottoterra» lo avvisai.
Sentii le sue labbra curvarsi in un sorriso.

«Non dovresti distrarre la tua allieva, prof» lo ripresi.
«Sei tu, signorina, che distrai me» ribatté lui.
«Io non sto facendo niente, e tu tieni le mani a posto» risposi.
«Le mani sono al loro posto» rispose lui divertito. E, in effetti, le mani erano a posto, erano le sue labbra che invece non lo erano state.

Ripresi a suonare e, stavolta senza distrazioni, riuscii a suonare tutta la strofa.
«Brava. Però basta per oggi» decise lui.
Mi alzai, lasciando che anche lui potesse farlo. E tornammo di sotto, dove cominciammo a preparare la cena.
Lo aiutai, seguendo le sue direttive, e una volta pronto ci sedemmo a tavola.

Una mezz'ora più tardi stavo sparecchiando. Lui era andato in bagno, e nel frattempo io cominciai a lavare i piatti.
«Che stai facendo?». Sobbalzai, non l'avevo proprio sentito arrivare.
«Lavo i piatti» risposi, appoggiando un bicchiere sullo scolapiatti.
Poi, non sentendolo rispondere, mi girai a guardarlo, trovandolo a braccia conserte.
Osservai la sua espressione, troppo seria per i miei gusti.
«Che c'è?» chiesi.
«C'è che sei mia ospite e non devi farlo tu. Ne abbiamo già parlato» rispose fissandomi.
«Sono la tua ragazza, e se mi va di lavare i piatti a casa tua lo faccio. Che problema c'è?» replicai, fissandolo a mia volta. «Stiamo davvero litigando per questo?» aggiunsi.
«Non stiamo litigando».
«Guardati!» ribattei accennando alla sua posa e alla sua espressione.
Lui si guardò, poi guardò me, e sciolse la stretta delle braccia «Scusa».
«Non hai niente di cui scusarti. E comunque, almeno ho scoperto che sei bello anche da arrabbiato. Il che non è che sia proprio a mio favore» risposi girandomi e tornando a finire di lavare i piatti.

Lui rise, poi sentii le sue braccia avvolgermi la vita.
«Ti amo».
Mi fermai da quello che stavo facendo e sorrisi.
«Ti amo, anche se mi distrai continuamente» risposi.
«Ma ti piace» rimbeccò lui.
Sospirai.
«Sì, mi piace».
  
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